martedì 30 ottobre 2018

5 titoli per Halloween

La festa più terrificante dell'anno è arrivata, e per godervi al meglio l'atmosfera vi consiglio cinque titoli tra quelli di cui ho già scritto in questo blog: quelli che trovo più adatti a far venire piacevolissimi brividi ai lettori…
 
Per primo, un titolo adatto a tutti, anche ai lettori più giovani: "Il figlio del cimitero" di Neil Gaiman. Si tratta di una favola nera il cui protagonista è un bambino rimasto orfano che viene adottato dai fantasmi residenti in un cimitero. Nonostante la sua infanzia al cimitero sia piacevole ed avventurosa, crescendo Bod si sconterà con il suo essere ancora vivo, con tutte le potenzialità che questo comporta…
I dettagli macabri ed oscuri non mancano, e rendono "Il figlio del cimitero" perfetto per stuzzicare un po' di paure con la sua atmosfera suggestiva, adattissima alla sera di Halloween! Trovate la recensione qui.
 
 
 
 
Per secondo, uno dei miei libri del cuore, che consiglierei per un'infinità di occasioni, tra cui quella di oggi: "It", a mio parere il capolavoro di Stephen King tra i titoli che ho già letto del Re dell'Orrore. "It" non è solo un romanzo che spaventa: è un intreccio di passato e presente, un racconto sulla potenza dell'amicizia davanti al Male, sulla crescita e sugli incubi. Certo, vista la sua mole vi richiederà per essere letto decisamente più di una serata… Ma oggi potrebbe essere il giorno perfetto per cominciare! Trovate la recensione qui.


Al terzo posto un classico per gli amanti dei vampiri, quello che possiamo considerare l'inizio di tutto: "Dracula" di Bram Stoker. Composto da un alternarsi di lettere e diari per dare maggiore credibilità all'opera, il Conte è senz'altro il capostipite di tutti quei vampiri che sono stati (in maniera più o meno riuscita) romanticizzati e resi protagonisti di innumerevoli opere successive… Per me è stata una lettura piuttosto ostica, ma ho resistito e ne vado molto fiera; la recensione è qui.
Insieme a "Dracula" mi pare opportuno consigliarvi un altro titolo del Maestro, cioè "Le notti di Salem" di Stephen King. Leggendoli a poca distanza l'uno dall'altro, potrete cogliere infatti le somiglianze tra le due opere, la più recente delle quali attualizza la storia di Stoker e mostra già la capacità del suo autore nel caratterizzare ragazzini indimenticabili (teniamo presente che "Le notti di Salem" è infatti il secondo romanzo pubblicato da King). Ne trovate qui la mia recensione.
 
Per ultimo, ma non per importanza, il più famoso libro di un'autrice che ha ispirato Stephen King ed è ancora capace di spaventare i lettori con il fascino gotico delle sue storie: "Abbiamo sempre vissuto nel castello" di Shirley Jackson. Qui il mistero abbonda, e pagina dopo pagina le sorelle Blackwood ci trascinano nel loro universo di segreti e paure, in un romanzo che di certo saprà farvi venire qualche brivido lungo la schiena! Trovate la recensione di questo romanzo -che ho apprezzato davvero molto- qui.

giovedì 25 ottobre 2018

Se tu fossi un cavallo

Di Kanafani vi ho già parlato due volte su questo blog: la prima quando ho scoperto il suo romanzo Uomini sotto il sole, la seconda quando ho letto invece Ritorno ad Haifa.
Questo sarà dunque il terzo post dedicato all'autore palestinese prevalentemente scomparso, e tratterà di una raccolta composta da otto racconti.
 
 
 
Titolo: Se tu fossi un cavallo
Autore: Ghassan Kanafani
Anno della prima edizione: 1965
Titolo originale: Lau Kunta Hisanan
Casa editrice: Jouvence
Traduttrice: Angela Lano
Pagine: 69
 
 
 
Come il romanzo "Uomini sotto il sole", questi brevi racconti appartengono al cosiddetto periodo pessimista di Kanafani: fase della sua produzione caratterizzata dalla sfiducia che lo scrittore nutriva nei confronti di un futuro migliore per la Palestina.
I personaggi che popolano questi racconti infatti sono spesso immobili, intrappolati in situazioni scomode: ad esempio il protagonista di "Se tu fossi un cavallo", che non riesce a risolvere il rapporto con il proprio padre che vede in lui un predestinato portatore di sventura per via della macchia che ha sulla pelle. In una simile, infelice condizione si trova la donna protagonista di "La sponda", che da anni non ha notizie della figlia emigrata in Brasile e soffre per aver perso, dopo il matrimonio di lei, anche quello di una sua cara amica. (CIT)
"[…] una volta scriveva ogni sei mesi, poi, come sa, non pensano più alle loro madri. Ho saputo per caso, due settimane fa, che la sua amica si sarebbe sposata e ho saputo la data del matrimonio; mi sono informata più di dieci volte per non farmelo sfuggire. Ed ecco che per dieci minuti di ritardo mi sono persa le nozze un'altra volta." (dal racconto "La sponda")
Non c'è esplicitamente spazio per la Palestina in questi racconti. Delle loro ambientazioni sappiamo ben poco, talvolta si fa riferimento al mare (ne "Il paesello della miniera"), alla caccia alle gazzelle (ne "Il falcone"), ma gli spazi dove Kanafani ambienta le sue storie sono più che altro abitazioni o locali pubblici come un caffè o una chiesa.

Un graffito che ritrae Kanafani sul muro che separa la Cisgiordania da Israele
L'elemento centrale che accomuna però quasi tutti gli otto racconti raccolti in questo breve libro sono gli animali: che siano gatti, cavalli, volatili di varie dimensioni, si tratta comunque esseri fragili, sofferenti, sempre in difficoltà all'interno di queste narrazioni che creano un parallelo tra la loro condizione e quella degli esseri umani che li circondano. Come l'uccellino prigioniero nel racconto "Pareti di ferro" infatti è prigioniero il popolo palestinese della propria condizione; così come la gazzella ne "Il falcone" i palestinesi non rinunciano alla propria appartenenza. (CIT)
"È andata a morire fra quelli della sua specie. Alle gazzelle piace morire tra di loro. Per i falchi poco importa dove vanno a morire." (dal racconto "Il falcone")
Un'altra caratteristica distintiva di questi racconti, che non avevo riscontrato né in "Uomini sotto il sole" né in "Ritorno ad Haifa", romanzi estremamente realistici, è il margine di interpretazione lasciato al lettore. Spesso infatti ciò che è reale e ciò che è immaginario si fonde all'interno di un racconto, come in "Situazione difficile" dove letta la storia raccontata da un alunno al maestro restiamo a chiederci quanto ci fosse di vero, o ne "Il paesello della miniera" non scopriremo mai se Ibrahim sia davvero morto giovanissimo oppure no.
I racconti sono un genere letterario che trovo molto più complesso da avvicinare rispetto alla lettura di romanzi; vi consiglio di leggere questa raccolta di Kanafani dopo essere entrati in contatto con altre opere dell'autore, perché vi aiuterà a contestualizzarli e ad apprezzare la tragicità che trasmettono riga dopo riga, racconto dopo racconto.
 

giovedì 18 ottobre 2018

Sette luoghi

Ormai avrete capito che la letteratura araba mi affascina e che amo scoprirne sempre nuovi autori. In questo caso la mia scelta è ricaduta su uno scrittore egiziano molto famoso in patria, che è anche uno studioso dell'Islam e per il suo romanzo "Azazel" è stato insignito dell'importante premio "International Prize for Arabic Fiction" -ovvero la versione in lingua araba del Man Booker Prize.

Titolo: Sette luoghi
Autore: Youssef Ziedan
Anno della prima edizione: 2013
Titolo originale: Mihal
Casa editrice: Neri Pozza
Traduttori: Daniele Mascitelli e Lorenzo Declich
Pagine: 232
LA STORIA
Il protagonista senza nome di questo romanzo è figlio di un uomo sudanese e di una donna egiziana; alla fine degli anni Novanta vive ad Assuan, in Egitto, studia scienze sociali all'università e d'estate lavora come guida turistica. Proprio sul lavoro incontra Nora, una giovane studentessa di Alessandria, e tra i due nasce un amore profondo e duraturo, anche se non fortunato.
È in seguito alla separazione da Nora che la vita del ragazzo prende una piega del tutto inaspettata: si trasferisce infatti in Uzbekistan e lì riceve un incarico in qualità di inviato di guerra in Afghanistan. Qui arriva dopo il 2001, quando i bombardamenti da parte degli Stati Uniti stanno già distruggendo il Paese, ed è proprio all'esercito statunitense che viene consegnato
COSA NE PENSO
"Sette luoghi" è il primo volume di quella che ho scoperto essere una trilogia, ed infatti il suo finale è tutt'altro che conclusivo.
Lo stile di Zeidan è poetico ed evocativo, al punto che pare davvero di trovarsi nei luoghi che l'autore descrive: la città di Alessandria, Assuan e le rive del Nilo, Tashkent in Uzbekistan, le rovine dell'Afghanistan… pagina dopo pagina si accompagna davvero il ragazzo in ognuno dei posti nei quali si trova.
Il romanzo inoltre riflette la formazione profondamente religiosa di Zeidan ed è ricco di citazioni del Corano: il protagonista infatti è un ragazzo credente e praticante, dal cuore puro e dall'anima semplice.
Non c'è cosa migliore nella vita del piacere di bere una Coca e mangiare ciambelle al sesamo di sera, in particolar modo su un marciapiede di Luxor incastonato tra il tempio e il Nilo. E solo stando vicino a Nora poteva capirlo.
La storia d'amore tra Nora ed il ragazzo è forse la parte del romanzo che ho preferito, poiché è romantica ma priva di alcun eccesso, ed è anche la fase in cui il ragazzo è maggiormente padrone della propria vita, più capace di compiere scelte talvolta coraggiose. Vale lo stesso per Nora, che mostra un carattere forte e risoluto, ma non potrà opporsi in eterno alle vicissitudini della propria famiglia -e da allora non ne sapremo più quasi nulla.
Da un certo momento in poi nel romanzo pare che una corrente -piuttosto sfortunata- trascini il nostro protagonista: i suoi conoscenti decidono per lui, suggerendogli dove abitare, proponendogli lavori da svolgere, procurandogli addirittura una brava ragazza da sposare. Questo atteggiamento passivo, quasi rassegnato, rende il ragazzo meno interessante mentre lo si osserva scivolare su una sorta di piano inclinato verso la disfatta… che sul finale arriva, lasciandoci in sospeso.
Ogni cosa di scarso valore nel mio paese diventa preziosa se la si porta altrove, mentre io non valgo nulla nel mio paese e dopo che mi sono trasferito altrove valgo ancora meno…
Il secondo volume della trilogia, intitolato "Guantanamo", è stato di recente pubblicato dalla casa editrice Neri Pozza ed ho intenzione di leggerlo quanto prima: sono infatti molto curiosa di conoscere il seguito della storia, e spero davvero di incontrare di nuovo il personaggio di Nora, che mi è mancato molto negli ultimi capitoli di "Sette luoghi".

lunedì 15 ottobre 2018

Non è te che aspettavo

È molto difficile affrontare un tema come la disabilità senza risultare retorici o sdolcinati. 
Sulla sindrome di Down avevo già letto, diverso tempo fa, il romanzo autobiografico di Giacomo Mazzariol intitolato "Mio fratello rincorre i dinosauri": una lettura molto adatta ai più giovani, che mi era piaciuta ma non avevo trovato completamente nelle mie corde. Molto di più lo è stata invece la graphic novel di cui vi parlo oggi.




Titolo: Non è te che aspettavo
Autore: Fabien Toulmé
Anno della prima edizione: 2014
Titolo originale: Ce n'est pas toi que j'attendais
Casa editrice: Bao Publishing
Traduttore: Francesco Savino
Pagine: 246




LA STORIA


Fabien è il giovane padre francese di Louise, cinque anni, e l'amorevole marito della brasiliana Patricia. Insieme vivono nel nord-est del Brasile finché Patricia rimane incinta per la seconda volta e la famiglia decide di fare ritorno in Francia. Qui nasce Julia, e sconvolge immediatamente l'esistenza di Fabien; innanzitutto ha un problema cardiaco, ma ciò che Fabien teme in particolare è la sindrome di cui è portatrice: la Trisomia 21.



COSA NE PENSO


Il pregio maggiore di questa graphic novel è la sincerità. Alla nascita di Julia, Fabien prova un vero e proprio rifiuto nei suoi confronti; sin da bambino ha provato un certo fastidio nei confronti della disabilità, ed accettare la sua condizione di padre di una bambina trisomica gli pare impossibile. Non nasconde nulla ai lettori, Fabien: confessa anche i suoi peggiori sentimenti, il desiderio addirittura che quella bambina non sopravviva ai problemi di salute che la affliggono.
Tuttavia il tempo passa e tavola dopo tavola Julia diviene parte della famiglia, una parte sempre più fondamentale. Mentre la sorellina Louise non ha mai avuto alcuna difficoltà ad amare Julia, Patricia e Fabien hanno dovuto impararlo, lasciare che l'amore crescesse in loro mentre la loro bambina cresceva -ed è con un grande amore che si conclude questa graphic novel, che della Trisomia 21 mostra difficoltà ma anche prospettive per il futuro.


L'opera di Toulmé è suddivisa in capitoli, ognuno dei quali utilizza un unico colore di sfondo per le sue tavole: verde, rosso, azzurro o giallo pastello. Dal punto di vista grafico, le linee sono semplici e pulite e danno vita a personaggi espressivi e realistici. In fondo al volume troviamo inoltre dopo tanti disegni anche qualche fotografia della piccola Julia, davanti a cui è davvero impossibile non intenerirsi: pagina dopo pagina, abbiamo imparato ad amarla anche noi lettori. 

lunedì 8 ottobre 2018

Benedizione

Kent Haruf è per me, ad oggi, la rivelazione del 2018. La sua "Trilogia della pianura" mi ha emozionata, commossa, appassionata, trasportata sugli altipiani del Colorado insieme a personaggi vividi ed indimenticabili. Canto della pianura rimane il titolo che ho preferito, seguito da Crepuscolo che ho trovato un po' meno potente; oggi finalmente ho completato la trilogia.
 


Titolo: Benedizione
Autore: Kent Haruf
Anno della prima edizione: 2013
Titolo originale: Benediction
Casa editrice: NN Editore
Traduttore: Fabio Cremonesi
Pagine: 277
 


LA STORIA
 
Di nuovo a Holt, cittadina del Colorado, più avanti nel tempo rispetto a Canto della pianura e Crepuscolo: c'è già stato l'undici settembre, gli Stati Uniti si impegnano in conflitti armati e gli abitanti della piccola località si schierano in base alle diverse opinioni politiche.
Abbiamo guardato con orrore le figure umane che saltano giù dalle finestre delle torri in fiamme. E per questo conosciamo la soddisfazione dell'odio. Conosciamo il dolce piacere della rappresaglia. Come ci si sente bene quando ci si vendica. Certo, quella di Gesù era una buona idea. Un bel concetto, ma non si può amare chi ci fa del male.
Pacifista è senza dubbio quella di Lyle, pastore trasferito ad Holt da Denver in seguito ad incomprensioni che sembrano caratterizzare le sue prediche ispirate al vero Vangelo. Lyle non sembra capace di perdonarsi gli errori commessi in passato, così come Dad, l'uomo attorno al quale Benedizione ruota: ne seguiamo infatti gli ultimi momenti di vita a causa di una malattia terminale, e come essi vengono vissuti dalle persone che lo circondano -la moglie, la figlia, le vicine di casa.

Panorama del Colorado (immagine dal web)
 
COSA NE PENSO
 
Benedizione è il volume più malinconico e struggente della Trilogia della pianura: la morte e l'attesa sono i temi cardine, e sin dall'inizio siamo consapevoli che non vi sia per Dad alcuna speranza di sopravvivere alla malattia.
Dad è un personaggio intenso, un uomo integerrimo: perseguitato da ciò che nella vita crede di aver fatto di sbagliato, incapace di perdonarsi. Non si perdona l'essere fuggito, giovanissimo, dai propri genitori che lo maltrattavano; non si perdona che suo figlio Frank abbia fatto lo stesso con lui, che non ne accettava l'omosessualità; e sul suo letto di morte le proiezioni di tutti e tre tornano a visitarlo, senza portare con sé una vera e propria assoluzione, la stessa che neanche l'amore incondizionato della moglie e della figlia riescono a dargli.
Non so. Non lo capisco, sono troppo ignorante. Non ne so nulla, te l'ho detto, vengo da una fattoria del Kansas. Quando ero là, non sapevo altro. Ho dato tutto me stesso per arrivare fin qui, in una cittadina sull'altopiano, con un negozio su Main Street. - Hai fatto tutto bene, papà. Ne hai fatta di strada. - Non abbastanza.
Le pagine di Benedizione sono intrise del dolore della perdita, della separazione da qualcuno che amiamo; ma come i due precedenti romanzi, c'è lo stesso talento di Haruf nel descrivere un microcosmo popolato da individui variegati -degna di nota è una coraggiosa coppia di madre e figlia che non si lascia intimorire dai benpensanti, ed il legame che instaurano con la figlia di Dad e la piccola Alice, bambina affidata alla nonna in seguito alla morte della madre. Poi c'è il pastore Lyle, osteggiato dalla comunità di fedeli ma anche dalla sua stessa moglie e da suo figlio, adolescente profondamente spaesato ed infelice.
La donna anziana lo fissava. Sei il figlio del pastore. -Mio padre è un ministro del culto, sì. -Ti ho riconosciuto. Si girò a guardare la strada bagnata. -E questa pioggia? -Vorrei che smettesse, rispose il ragazzo. Oh, no. Non sai nulla della pioggia in questo posto. Non sei stato abbastanza a lungo a Holt. Devi sperare che continui.
I percorsi dei personaggi si intrecciano in giornate di lutto ma anche in altre di spensieratezza, in una quotidianità realistica e coinvolgente, mai stereotipata, nel sobrio ed efficacissimo, ormai inconfondibile stile di Kent Haruf.
In conclusione, una lettura che vi consiglio assolutamente, tenendo presente però di non seguire l'ordine con cui i libri sono stati pubblicati in Italia e secondo il quale Benedizione sarebbe il primo: se lo leggerete infatti rispettando l'ordine originale, troverete un riferimento ai precedenti volumi della trilogia che vi scalderà il cuore.
È qui che vivevano quei due vecchi fratelli, disse Dad. Quelli che presero quella ragazza delle superiori a vivere con loro. Era incinta, poi nacque il bambino e lei se ne andò all'università, e a un certo punto il fratello maggiore venne ucciso da un toro Angus nel recinto sul retro, sotto gli occhi dell'altro, che non riuscì a fare niente per fermarlo. Ormai sono morti tutti e due. […] -Conoscevo questa storia, disse Lorraine. Ma non ho mai più saputo niente della ragazza e del suo bambino. -Sono da qualche parte sulle montagne. Ormai il bambino sarà cresciuto, ovviamente. Il ranch lo tengono d'occhio i vicini.

giovedì 4 ottobre 2018

Vox

Uno dei rari casi in cui non ho saputo attendere prima di leggere il caso editoriale del momento: dopo i paragoni con Il racconto dell'ancella, romanzo che come ormai sapete ho amato, ho deciso di procurarmelo subito sperando che non mi deludesse come Ragazze elettriche.
 
 
 
Titolo: Vox
Autrice: Christina Dalcher
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Nord
Traduttrice: Barbara Ronca
Pagine:
 
 
 
 
LA STORIA
 
In Stati Uniti distopici ma fin troppo simili a quelli della presidenza Trump, un dispositivo da polso consente a tutte le appartenenti al sesso femminile di pronunciare cento parole al giorno, non una di più.
Jean McClellan era una neurolinguista, prima che la misura del governo diventasse operativa e fosse costretta ad abbandonare la propria professione. Dopo un anno trascorso ad occuparsi -naturalmente in silenzio- dei propri figli maschi e della taciturna Sonia, abituatasi troppo presto al regime che la vuole muta e analfabeta, alcuni funzionari governativi contattano Jean perché si rimetta al lavoro sugli studi sull'area di Wernicke, perseguendo suo malgrado i loro meschini scopi… ed è inutile dire che non le lasciano alcuna possibilità di rifiutarsi.

 
 
COSA NE PENSO
 
Lo spunto narrativo di questo romanzo è estremamente potente. Per qualunque donna, all'inizio di questa lettura, sarà impossibile evitare di riflettere su quante siano in effetti le parole che pronunciamo ogni giorno, su quanto la nostra esistenza si basi sulla comunicazione con gli altri.
L'inizio della narrazione è quindi magnetico, e la costruzione degli Stati Uniti distopici molto riuscita.
Numerosi sono i punti in comune con la Repubblica di Galaad che aveva creato Margaret Atwood: il ruolo della religione cattolica è anche qui predominante, nella sua interpretazione più bigotta e maschilista secondo la quale le donne possono ricoprire unicamente due ruoli -quello di madre o quello di prostituta. I bordelli infatti non hanno smesso di esistere, ed anche in questi Stati Uniti le punizioni ai disobbedienti si concretizzano sotto forma di lavori forzati o di esecuzioni -e naturalmente, il silenzio. 
Anche qui inoltre scopriamo a poco a poco l'esistere di un movimento di resistenza: e lo scopriamo con sollievo. Questa sensazione fornisce un altro spunto di riflessione: quante volte si rimane in silenzio davanti all'ingiustizia? È esattamente quanto hanno fatto i cittadini statunitensi in questo libro, non volendo credere a ciò che si prospettava per loro, e in fondo è quanto facciamo troppo spesso noi tutti, nella quotidianità.
"C'è una resistenza?" Che suono dolce che ha, questa parola. "Bellezza, c'è sempre una resistenza. Non sei andata al college?" Mentre torniamo verso casa, la donna accanto a me comincia a somigliare sempre di più a Jackie.
Lo stile dell'autrice è funzionale, descrittivo quanto basta, senza eccessi. La narrazione è condotta al presente, in prima persona, dal punto di vista della protagonista; nel romanzo cogliamo gradite citazioni letterarie, dal ricordo della lettura di Shakespeare ai confronti tra il presente dei protagonisti e quello dell'orwelliano Winston.
Non siamo certo messi male come Winston Smith, che deve accucciarsi nell'unico angolo cieco del suo monolocale perché il Grande Fratello non l'osservi attraverso uno schermo, ma abbiamo telecamere anche noi.
Per quanto riguarda i personaggi, degna di nota è senz'altro Jackie, l'amica dei tempi dell'università di Jean: come difred ne "Il racconto dell'ancella" non aveva compreso l'importanza delle conquiste del femminismo per cui sua madre aveva tanto lottato, qui è la protagonista a snobbare per anni l'impegno in prima linea dell'amica, e a rimpiangere la propria passività solo quando si rivela essere troppo tardi.
Se c'è una cosa che ho imparato da lei è che non puoi protestare contro qualcosa che non ti aspetti. Ho imparato anche altro, un anno fa. Ho imparato quanto sia difficile scrivere una lettera ai membri del Congresso senza una penna, o spedirla senza un francobollo. Ho imparato quanto sia facile per i commessi dei negozi di cancelleria dire: "Mi spiace, signora. Non posso vendergliela".
Finora quindi tutto bene. Ma non vi nascondo che sono in arrivo diverse ragioni per le quali il romanzo non mi ha convinta, nonostante ne fossi entusiasta all'inizio.
Il ritmo si mantiene infatti incalzante finché non si arriva alla parte centrale della storia, quella ambientata nei laboratori dove Jean partecipa al progetto scientifico. Qui numerosi sono a mio parere i punti deboli: cominciamo dai cliché visti e rivisti sull'italianità dei personaggi (dalla moka e la qualità del caffè, fino alla focosa intraprendenza del dottor Lorenzo -in un'intervista l'autrice ha dichiarato di conservare un ricordo vivido di un suo amante italiano…), proseguiamo con questa relazione extraconiugale non proprio necessaria allo sviluppo della trama -se non per mettere in luce il personaggio del marito, Patrick, che si scopre più sfaccettato e coraggioso di quanto sembri all'inizio.
Jean mi ha convinta sempre meno con l'andare avanti della narrazione. Il suo pensiero fisso sembra essere infatti il suo amante piuttosto che la propria condizione di donna oppressa da un regime, al punto da pianificare una fuga nel corso della quale abbandonerebbe la sua stessa figlia femmina ad un destino sempre più tremendo. Tra i suoi figli, l'unico ad essere caratterizzato in qualche modo è Steven, il maggiore: esempio perfetto dell'indottrinamento sui giovani e delle sue tragiche conseguenze, il rapporto con la madre rimane comunque appena accennato ed è ancor peggio per i due maschi gemelli, praticamente incolori e privi di una qualunque personalità.
Per farla breve, il difetto principale di questo romanzo è il fatto che sposti il centro dell'attenzione dalla distopia e le condizioni in cui il Maryland e tutti gli Stati Uniti si trovano alle vicende private di Jean, che sono più che altro concentrate sulla relazione proibita con il collega -personaggio stereotipato, integerrimo e coraggiosissimo.
Avrei preferito che la narrazione continuasse a svilupparsi come da premesse, avvincenti ed angoscianti, mentre purtroppo così non è stato. Quanto si augura però l'autrice nei ringraziamenti è in effetti avvenuto, quindi non mi sento di affermare che lo scopo che si era prefissata sia stato mancato del tutto; e spero ci sia riuscita anche con voi.
Spero che [questa storia] ti sia piaciuta, e soprattutto spero che ti abbia fatto arrabbiare un po'. E che ti abbia fatto riflettere.