giovedì 28 marzo 2019

Preghiera del mare

Per il gruppo di lettura organizzato da Staffetta Umanitaria di cui vi ho già parlato nel post dedicato a "Naufraghi senza volto" ho scelto di leggere anche un altro titolo, del tutto diverso. Non si tratta infatti di un saggio ricco di termini tecnici, ma di un libro illustrato dove la parte testuale è davvero ridotta.
In comune però hanno il tema delle migrazioni, ed il fatto di riguardare eventi realmente accaduti.



Titolo: Preghiera del mare
Autore: Khaled Hosseini
Anno della prima edizione: 2018
Titolo originale: Sea Prayer
Casa editrice: SEM
Traduttore: Roberto Saviano
Illustratore: Dan Williams
Pagine: 56



"Preghiera del mare" è ispirato dalla drammatica vicenda di Alan Kurdi, il bambino curdo siriano che nel 2015 divenne simbolo della crisi dei migranti -con la sua magliettina rossa, privo di vita, su una spiaggia turca. Quella fotografia fu per giorni su tutte le testate giornalistiche cartacee ed online, fu trasmessa in tutti i telegiornali; eppure è bastato ben poco per dimenticare Alan e tutti i bambini, tutte le persone come lui annegate nel Mediterraneo e spesso mai ritrovate.

Immagine di Yante Ismail
Hosseini, un popolare autore afghano che insieme alla sua famiglia ottenne l'asilo politico negli Stati Uniti quando era adolescente, dedica questo breve libro sotto forma di lettera
alle migliaia di rifugiati che sono deceduti in mare mentre fuggivano dalla guerra e dalle persecuzioni.
Nella prefazione al testo Roberto Saviano, giornalista e scrittore noto per il suo interesse nei temi più caldi della società, introduce uno spunto che sin da prima di intraprendere la lettura del libro vero e proprio fa riflettere:
Andiamo ancora più lontano e immaginiamo i luoghi in cui quelle persone sono nate: le case, i sorrisi dei loro genitori, le domeniche con i nonni. Famiglie numerose, tanti bambini. E poi la scuola, i libri, la televisione, il lavoro. Tutto potrebbe essere così. O tutto questo potrebbe essere cambiato repentinamente. Un colpo di stato. Siccità. Minoranze etniche o religiose costrette a fuggire. Ma chi fugge? Chi può, chi ce la fa, chi riesce a trovare le risorse per affrontare mesi di viaggio. E i libri? E i bambini? E i nonni? E le abitudini di ogni giorno?
"Preghiera del mare" contiene ben poche parole, ma quelle che troviamo agli angoli delle pagine magnificamente illustrate da Dan Williams sono perfettamente efficaci: colpiscono infatti il lettore come proiettili, come schiaffi in pieno viso, e lo accompagnano in un viaggio evocativo e doloroso.
Il padre che prega per suo figlio bambino, Marwan, conduce il lettore a partire dai ricordi di una Siria pacifica e rigogliosa -con i suoi pascoli, i suoi mercati, i suoi campi fioriti e i suoi olivi che ora gli sembrano un sogno.
Acquerello dopo acquerello, in Siria inizia la guerra e Marwan e suo padre si mettono in viaggio fino alla riva dove si imbarcheranno su un gommone, sul quale affronteranno le onde del Mediterraneo, tentando la fortuna, sfidando il destino.
Prego che, quando le rive si allontaneranno fino a sparire e la nostra barca non sarà più che un puntino gettato fra onde ribollenti, pronte a inghiottirla, Dio guidi la nostra rotta. Perché tu sei un carico prezioso, Marwan, il più prezioso di tutti. Vorrei che il mare lo sapesse. Inshallah. Prego perché lo sappia.


"Preghiera del mare" vi farà sentire la voce di tutti quei padri che pregano che il giubbotto di salvataggio funzioni, che possa bastare; che le onde non si alzino questa notte, che il motore non si guasti, che il carburante sia abbastazna, che non sia eccessivo il peso a bordo.
Vi fa viaggiare da un'immagine di Dan Williams all'altra, nei suoi colori dapprima accesi, colmi di vita, poi freddi, minacciosi come il Mediterraneo nelle notti ventose; "Preghiera del mare" fa soffrire, e toglie le parole con quelle poche che Hosseini ha scelto di adoperare, misurate, potentissime.
Non voglio con un flusso eccessivo delle mie appesantire un'opera che si legge in un attimo, ma resta in mente molto a lungo: l'unico consiglio che posso darvi è: leggetelo, al più presto, lasciatevi trasportare, e poi diffondetelo. Perché da poche frasi può nascere un cambiamento.

giovedì 21 marzo 2019

Naufraghi senza volto

Un interessante progetto del quale sono venuta a conoscenza su Instagram è "Staffetta Umanitaria": un gruppo di persone legate dall'intenzione di sensibilizzare altri individui sulla tematica delle migrazioni attraverso il suggerimento di film e letture.
Ho deciso di partecipare al loro gruppo di lettura e per il mese di marzo ho scelto due dei libri proposti (uno lo avevo già letto e ne avevo già scritto qui, si tratta di "Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda); questo è il primo.




Titolo: Naufraghi senza volto
Autrice: Cristina Cattaneo
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Raffaello Cortina Editore
Pagine: 192




Cristina Cattaneo è un medico legale, per la precisione il medico legale che dirige il Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia forense) dell'università statale di Milano; ha raggiunto una certa fama anche tra i non addetti ai lavori poiché si è occupata di casi di omicidio molto noti al grande pubblico per le loro apparizioni sui media. Inoltre è autrice di numerosi libri che descrivono la realtà della sua professione. 
La medicina legale è per Cristina Cattaneo una disciplina al servizio della giustizia; dato però il momento storico che stiamo vivendo, ha sentito la necessità di mettere la medicina legale anche al servizio dei diritti umani: ha dato vita per questo, con la partecipazione di colleghi, antropologi, forze dell'ordine, tirocinanti e molte altre persone, ad un progetto di identificazione delle vittime di due tra i più tragici naufragi avvenuti al largo di Lampedusa, nel 2013 e nel 2015.
Anche il più atroce racconto ha un tono diverso, se è riportato da un sopravvissuto. La vera angoscia e l'orrore del viaggio li possono raccontare solo i morti. 
In modo tecnico ma mai noioso Cristina Cattaneo spiega i vari momenti in cui si è articolata l'iniziativa, i diversi processi svolti all'interno dei laboratori creati appositamente; ho trovato esaustiva e molto chiara l'illustrazione della procedura di ricerca delle corrispondenze, attraverso gli elementi AM (cioè ante mortem, come cartelle cliniche e campioni di DNA, ma anche semplici fotografie) e PM (i resti ritrovati). 
Con il necessario distacco, senza eccessivi sentimentalismi ma non certo in modo freddo, Cristina Cattaneo descrive le operazioni nei loro dettagli che talvolta sono molto duri, oserei dire macabri (tra le più forti immagini evocate ci sono i singoli denti da latte repertati che costituiscono l'unica prova della presenza a bordo di minori, e i sacchi di cosiddetti "mix", ossia parti del corpo appartenenti a individui diversi) ma necessari per smuovere le coscienze, oltre che per comprendere la professione di Cattaneo e colleghi.
Patricolarmente toccante è anche la catalogazione degli effetti personali ritrovati insieme ai corpi, che colpiscono anche l'autrice al punto di farle comprendere appieno davanti ad un sacchettino di terra natia portata con sé da un migrante quante siano le somiglianze tra coloro che vivono da una parte e dall'altra del Mediterraneo -ed appartengono, tutti, alla medesima specie umana

Mi stava indicando il terzo molare: con questo scendevamo a 14 anni, ed era il nostro "ragazzo" più giovane. Iniziammo a svestirlo. Mentre tastavo la giacca, sentii qualcosa di duro e quadrato. Tagliammo dall'interno per recuperare, senza danneggiarla, qualunque cosa fosse. Mi ritrovai in mano un piccolo plico di carta composto da diversi strati. [...] Era una pagella. "Una pagella", qualcuno di noi ripeté a voce alta. [...] Pensammo tutti la stessa cosa, ne sono sicura: con quali aspettative questo giovane adolescente del Mali aveva con tanta cura nascosto un documento così prezioso per il suo futuro, che mostrava i suoi sforzi, le sue capacità nello studio, e che pensava che gli avrebbe aperto chissà quali porte in una scuola italiana o europea, ormai ridotto a poche pagine scolorite intrise di acqua marcia?
L'identificazione delle numerosissime persone che hanno perso la vita nel Mediterraneo non ha importanza soltanto per la dignità dei morti, nei quali è fondamentale riconoscere l'umanità -per questo infatti la dottoressa Cattaneo fa un efficace riferimento alle vittime occidentali negli incidenti aerei o nelle diverse catastrofi, in seguito alle quali si avverte l'urgenza di identificare immediatamente chi ha perso la vita.
Si erano abituati al fatto che nessuno si sarebbe preoccupato di identificare i loro cari. E si erano rivolti qua e là a chi potevano, ma senza ottenere risposte. Non solo erano rassegnati al fatto che non avrebbero più visto i loro figli e che mai avrebbero avuto la certezza della loro morte, né il certificato di decesso o una tomba su cui piangere, ma si erano arresi senza rumore al fatto che persone sconosciute avessero deciso che per i loro morti non si sarebbero messi in atto gli stessi sforzi che per quelli degli altri. Ciascuna delle persone che popolava quel corridoio viveva ormai in Europa e aveva quindi facile accesso alle notizie. Sicuramente avevano visto le attività promosse in occasione degli altri disastri, i "nostri".
Ma ancor più che per i morti, il processo di identificazione è fondamentale per i vivi: impossibile non rendersi conto, davanti alla descrizione che Cristina Cattaneo fa degli incontri con parenti e amici alla ricerca della verità sui propri cari, di quanto sia necessario per loro scoprirne il destino

Quella dei migranti che perdono la vita nel Mediterraneo, a pochi metri dalle nostre coste e dalle nostre vite, è una realtà che non vogliamo vedere. Sono migliaia i cadaveri recuperati o dispersi ai quali non vogliamo pensare, ma che esistono, ed erano i figli e le figlie, i fratelli e le sorelle, le madri e i padri, gli amici, gli zii di qualcuno: davanti al dolore del loro non sapere non possiamo chiudere gli occhi.
Il libro di Cristina Cattaneo è qui per farceli aprire, ed è giunta l'ora di leggerlo.

mercoledì 13 marzo 2019

Freedom Hospital

Come ormai avrete capito, la guerra civile siriana è un tema che mi interessa molto. I motivi principali sono due: il primo è che le fonti di notizie rendono davvero difficile informarsi in maniera approfondita, e la seconda è la complessità di un conflitto dove le forze in gioco sono numerose ma non è semplice comprendere la formazione degli schieramenti e le loro motivazioni. Così raramente mi faccio sfuggire un titolo a tema sugli scaffali della biblioteca...




Titolo: Freedom Hospital
Autore: Hamid Sulaiman
Anno della prima edizione: 2016
Traduttore: Marco Conti
Casa editrice: Add editore
Pagine: 287



LA STORIA

Questo romanzo a fumetti fornisce un punto di vista interno sul conflitto siriano narrato attraverso le voci di diversi personaggi: chi dà vita e gestisce il Freedom Hospital, i feriti di guerra con i loro traumi, vittime e carnefici. Il popolo siriano viene decimato dai bombardamenti stranieri ma anche dai cecchini e dai soldati dell'esercito di Bashar, in un terribile scenario fratricida


COSA NE PENSO

L'opera si apre con un'introduzione di Cecilia Strada, che ha il potere di calare il lettore nell'atmosfera in cui sarà catapultato nel giro di poche pagine, dando voce all'ospedale in prima persona.
"Solo l'ospedale mostra che cosa è la guerra", scrisse qualcuno quasi cent'anni fa, in una guerra lontano da qui, ma è proprio vero, lo è ancora, lo è ovunque. E io, l'ospedale, lo so. Si dice "se i muri potessero parlare", ma non vorreste ascoltare i miei muri, se si mettessero a parlare.

Hamid Sulaiman è un autore siriano ora rifugiato in Francia. Illustra e racconta una storia parzialmente di fantasia -la città siriana in cui ambienta Freedom Hospital infatti non esiste, ma ne rappresenta decine. Con la sua narrazione Sulaiman trasmette la confusione di un conflitto dove è difficile riconoscere le fazioni, dove ad ucciderti potrebbe essere un vicino, persino un parente.
Il racconto è suddiviso in quattro stagioni, nel corso delle quali i personaggi aspettano, affidandosi alla saggezza popolare, che la guerra termini, che la dittatura di Bashar abbia fine.
Un giorno, il re disse a Juha che gli avrebbe dato tantissimo denaro se avesse insegnato a un asino a parlare come gli umani. Juha accettò il denaro e giurò che avrebbe insegnato all'asino a parlare entro dieci anni. Avvertirono Juha che il re lo avrebbe ucciso se non avesse mantenuto la parola. Juha rispose: "tra dieci anni o sarò morto io, o sarà morto il re o sarà morto l'asino".
Tuttavia essa non ha fine, tanto da costringere il Freedom Hospital a trasferirsi in un campo profughi oltre confine -un altro sogno tradito. 

Sulaiman illustra le pagine bianche riempendole col nero: è nero il sangue dei feriti e dei cadaveri, sono neri gli occhi, gli edifici, i cieli da cui piove o nevica sulle strade ingombre di materie. Ai disegni si mescolano le rappresentazioni di video e fotografie presenti su Internet, estratti di discorsi, canti dei manifestanti; il tutto ci ricorda, pagina dopo pagina, che nonostante la storia del Freedom Hospital sia inventata purtroppo quanto sta accadendo in Siria è del tutto reale.

mercoledì 6 marzo 2019

Il mondo di Aisha

Di Ugo Bertotti ho letto, qualche mese fa, la più recente delle opere: "Vivere", un ambizioso romanzo grafico che oltre al tema dell'immigrazione tratta quello, più raro, della donazione degli organi. Mi era piaciuto, pur non trovandolo straordinario, e così ho deciso di recuperare l'opera prima dell'autore -che, ve lo dico subito, è diventata tra le due la mia preferita.





Titolo: Il mondo di Aisha
Autore: Ugo Bertotti
Anno della prima edizione: 2013
Casa editrice: Coconino Press
Pagine: 139



LA STORIA
Tre sono le storie in cui è suddiviso questo libro, anche se molte di più fanno capolino tra le sue pagine. Sono storie di donne, donne che vivono nello Yemen: un Paese lontano dall'Europa e quasi dimenticato, che raramente trova spazio sulle pagine dei giornali o tra le notizie della sera.
Lo Yemen è un Paese poverissimo, dilaniato da una guerra civile scoppiata nel 2015 (dunque non presente nell'opera di Bertotti, che ritrae ancora un Paese in condizioni di pace) ancora in corso che ne sta decimando la popolazione, ormai ridotta allo stremo. Lo Yemen è anche un Paese dove la condizione della donna non è delle migliori, il tasso di analfabetismo è altissimo ed estremamente frequenti sono i matrimoni precoci. Obbligatorio è inoltre per le donne indossare il niqab, cioè un velo di colore nero che lascia scoperti soltanto i loro occhi.

Tre, dicevamo, sono le protagoniste di questa graphic novel -e con le loro esperienze diventano simbolo delle donne di tutto il Paese. La prima è la vicenda più tragica: una giovane moglie ricoverata in un ospedale di Medici senza frontiere perché colpita da una pallottola alla schiena, sparata dal marito per l'unica colpa di Sabiha di aver guardato dalla finestra senza essersi coperta con il niqab.
Più d'ispirazione è invece il percorso di Hamedda, che dal vendere pani trasportati sul dorso di un asino è diventata un'affermata ristoratrice, proprietaria di alberghi e piani d'investimento; dopo anni in cui è stata giudicata una poco di buono per la propria emancipazione, oggi ha cinquanta nipoti ed è presa ad esempio -qui trovate anche le recensioni su Tripadvisor del suo locale!
L'ultima storia è quella dedicata ad una giovane donna, laureata in informatica, l'unica delle tre protagoniste ad aver scampato grazie alla lungimiranza di sua madre un matrimonio combinato e precoce; Aisha ha un lavoro, una propria indipendenza economica, ma è ancora lontana dall'emanciparsi dai costumi del proprio Paese e si chiede anche lei:
Ma senza marito cosa siamo in questo Paese?

COSA NE PENSO
Le storie illustrate da Ugo Bertotti sono state ispirate dal reportage della fotografa Agnes Montanari, che ha raccolto le testimonianze di numerose donne yemenite; le fotografie integrano le tavole in bianco e nero del fumettista, creando tra le pagine un effetto sorpresa particolarmente riuscito.
Quella che di certo rimane più impressa è la fotografia che ritrae Sabiha, nel letto di ospedale, che essendo tra le prime a comparire nel romanzo è inaspettata; lo sguardo della donna inoltre colpisce come uno schiaffo in pieno viso e ricorda al lettore che non sta affatto leggendo un'opera di fantasia.
Di certo questo testo a fumetti fa riflettere su un Paese di cui sappiamo assai poco, e sulla condizione femminile; oltre agli insopportabili abusi e prevaricazioni subiti da quelle che sono di fatto ancora bambine, trovo che sia molto emblematica la condizione della figlia di Hamedda: mentre la madre dichiara, quando le si domanda se abbia mai indossato il niqab (Hamedda è infatti ritratta senza, anche in fotografia)
Mai portato, sarebbe stato di impedimento per il mio lavoro… Come fai a respirare, col niqab, se devi trasportare un sacco pesante?
vediamo poche tavole dopo una delle figlie, Arwa, quella che più si occupa degli affari insieme alla madre, completamente velata. Nonostante sia andata a scuola, parli inglese e sappia gestire i conti del ristorante, e soprattutto nonostante il coraggioso esempio della madre, ha scelto di rispettare la tradizione.
Arwa, come Aisha, mi è parsa il simbolo di donne in cambiamento, ma circondate da un sistema patriarcale così antico da essere difficile da abbattere; ed anche se le donne dello Yemen sono state indubbiamente sulla buona strada, temo che anni di guerra civile abbiano ormai ridotto allo stremo anche le loro ammirevoli forze, e mi chiedo a distanza di tanti chilometri cosa possa essere rimasto per, un giorno, ricominciare.

lunedì 4 marzo 2019

Il mondo deve sapere

Ho già letto un'opera di non-fiction dell'autrice sarda Michela Murgia, dedicata al tema del femminicidio: ne trovate qui la recensione. Sono stata poi incuriosita dal suo testo d'esordio, che risale al 2006 e nasceva in origine come un blog su cui la scrittrice pubblicava contenuti giornalieri.



Titolo: Il mondo deve sapere
Autrice: Michela Murgia
Anno della prima edizione: 2006
Casa editrice: Einaudi (prima Isbn)
Pagine: 176




All'epoca dell'apertura del blog, Michela Murgia lavorava in un call-center di una multinazionale, la Kirby Company, dove si occupava di fissare appuntamenti per la vendita del loro pluriaccessoriato aspirapolvere. L'intento, sin dall'inizio, era quello di documentare le tecniche di persuasione adottate con gli ignari potenziali clienti al telefono, ma anche la manipolazione psicologica dei membri al vertice della gerarchia nei confronti delle operatrici telefoniche. 
Nanni Moretti guardava D’Alema in tv supplicandolo di dire qualcosa che fosse più di sinistra. Io guardo nell’acquario Kirby sperando che qualcuno dica qualcosa di meno sinistro. Perché alla fine ha ragione Stephen King, l’orrore è nel quotidiano, non è nel mostro che viene dallo spazio, è nella tazzina di caffè che non hai bevuto perché ha squillato il telefono.
Chiunque abbia lavorato in un call-center anche solo per pochi giorni sa di cosa stiamo parlando. Personalmente non ho mai dovuto occuparmi di vendite, ma ho alle spalle una disastrosa esperienza nella rilevazione: agli interlocutori (scartati se non parte di uno specifico campione di sesso ed età) ponevo interrogativi a dir poco personali, sprofondando chiamata dopo chiamata in un profondo disagio, e provando una totale comprensione per chi in malo modo decideva di riattaccare.
La signorina, verissimo, non ha fatto niente di male, ma solo perché il tuo vaffanculo non gliene ha dato il tempo. Sta solo facendo il suo lavoro, verissimo. Ma il suo lavoro è fottere la gente per telefono. Accettare la telefonista come interlocutore significa salire su un ring in cui lei è una lottatrice professionista e voi siete capitati lì per caso. Qualunque motivazione possiate opporre al prosieguo della conversazione potrà essere usata contro di voi, se la telefucker è abbastanza brava.
Anche Michela Murgia ha provato simili sensazioni, amplificate dalla realtà del dover concretamente truffare le persone chiamate; giorno per giorno ha tenuto traccia di ciò a cui ha assistito -e partecipato. Con la sua pungente ironia ha rappresentato potenziali clienti, addetti alle vendite dirette, addette alle telefonate suddividendoli in tipologie in base alle loro personali caratteristiche. In questo breve saggio incontrerete infatti venditori-squali, incontrerete single incauti che non sanno resistere alle voci femminili, casalinghe motivate a rendere perfetta la propria casa e donne lavoratrici disposte a tutto pur di togliersi dai piedi il venditore di turno.
«No, perché non sono sposato. Le hanno dato il numero sbagliato, probabilmente.»   E si capisce che in realtà la cosa gli dispiace già. É il momento dell’attacco.  «No, guardi, allora mi hanno dato il numero giusto. Le posso dire di cosa si tratta, così ci capiamo.» Queste frasi senza senso sono bellissime, chiudono i discorsi con la stessa lapidaria banalità dei testi delle Vibrazioni. Che replica può esserci a un insensato «così ci capiamo»? 
Isabella Ragonese nel film "Tutta la vita davanti"
di Paolo Virzì (2008)

Sono passati oltre dieci anni dalla prima edizione di questo libro, ma la realtà del precariato nei call-center non è cambiata granché. Le tecniche di vendite piramidali spopolano ancora online, sia nel campo dei prodotti dell'estetica sia dei sostituti alimentari, e la pubblicità di certi stili di vita lussuosi che potrebbero essere raggiunte mediante impieghi simili non accenna a diminuire.
Ho trovato quindi "Il mondo deve sapere" una lettura ancora informativa, resa semplice e scorrevole dalla sua struttura divisa in giornate (dalla struttura dei post quotidiani pubblicati sul blog) e dall'irresistibile sarcasmo che contraddistingue Michela Murgia -che mi spingerà di certo ad approfondirne la produzione, narrativa e non. 
Consiglio in conclusione la lettura di questo saggio a tutti coloro che siano interessati alle tematiche del mondo del lavoro e a comprendere meglio cosa sta dietro alle telefonate che fanno squillare così spesso i nostri telefoni fissi!