Di questo libro nel 2017 si è parlato moltissimo. Temevo l’effetto best-seller, quello che mi rende scettica nei confronti delle letture troppo inflazionate in un certo periodo, ma la curiosità ha prevalso e così non sono riuscita ad aspettare: ora posso dire di aver preso la decisione migliore.
Autore: Mohsin Hamid
Anno della prima edizione: 2017
Anno della prima edizione: 2017
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 152
Nadia e Saeed vivono in un paese in guerra; non sapremo mai di quale paese si tratta, possiamo supporre che si trovi in Medioriente, a tratti mi ha fatto pensare al Libano, potrebbe tuttavia essere lo stesso Pakistan del quale l’autore è nativo. La guerra, comunque, impone loro coprifuochi, fa scarseggiare le provviste ed i medicinali, li espone agli attacchi dei miliziani, rende insomma invivibile la loro realtà. Mentre Nadia ha interrotto i rapporti con la propria famiglia per vivere sola, scelta molto controcorrente e contrastata nel suo contesto sociale, Saeed è un ragazzo più tradizionalista che vive con i genitori; Nadia rifiuta le convenzioni ed indossa una veste nera solo per non essere infastidita dagli uomini, Saeed prega regolarmente e crede nella castità prematrimoniale. Sono molto diversi, eppure come spesso capita si incontrano, e si innamorano.
Attorno a loro la guerra si intensifica ed al tempo stesso aumentano le voci attorno a loro che parlano di porte: porte fisiche, porte normalissime, come quelle che separano una stanza dall’altra, che invece di affacciarsi su un altro ambiente si aprono inaspettatamente su un altro Stato. Nonostante dapprima la credano solo una leggenda, una volta compreso che le porte esistono davvero, Nadia e Saeed si lasceranno alle spalle tutto ciò che li trattiene e passeranno attraverso uno dei varchi, trovandosi catapultati in Occidente.
Il loro viaggio toccherà diversi Stati e passerà attraverso diverse porte; la realtà che incontreranno però è quella di un’Occidente ostile, dove gruppi di nativi si oppongono all’arrivo dei migranti, fanno di tutto per serrare i varchi, privare questi fiumi umani dei più basilari servizi, talvolta sino ad ucciderli. È un’Occidente che ha votato la Brexit, che ha eletto Trump presidente degli Stati Uniti; Nadia e Saeed sono due personaggi di fantasia che vivono in un presente del tutto reale.
Illustrazione di Jun Cen |
“Siamo tutti migranti attraverso il tempo” scrive Hamid, e con questo spiega le tendenze nostalgiche e spesso orientate alla chiusura che si diffondono nei nostri Paesi: sono elettori adulti, se non anziani, quelli che hanno preferito Donald Trump e l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.
Hamid parla di migranti in maniera universale, apre varchi dalla Grecia all’Inghilterra, da Londra a San Francisco, ci parla di come l’intero genere umano sia in mutamento costante, in costante movimento. In “Exit West” c’è la cosiddetta crisi dei rifugiati, ci sono i campi profughi sulle isole greche, ma c’è anche la riscoperta di un senso di umanità perduta quando la situazione sembra essere sfuggita di mano.
Hamid parla di migranti in maniera universale, apre varchi dalla Grecia all’Inghilterra, da Londra a San Francisco, ci parla di come l’intero genere umano sia in mutamento costante, in costante movimento. In “Exit West” c’è la cosiddetta crisi dei rifugiati, ci sono i campi profughi sulle isole greche, ma c’è anche la riscoperta di un senso di umanità perduta quando la situazione sembra essere sfuggita di mano.
Un altro aspetto estremamente convincente del romanzo di Hamid, che ha uno stile preciso e pulito (mi ha ricordato le opere di McEwan), è che non siamo davanti ad una storia d’amore idilliaca e stereotipata. Nadia e Saeed sono due individui estremamente diversi, ne cogliamo le differenze sin dai primi incontri, sono due personalità che si aggrappano l’una all’altra negli anni più difficili delle loro vite, costantemente in transito, ma sempre sul punto di proseguire in direzioni diverse, quelle più congeniali ad ognuno di loro.
In conclusione sento di aver concluso una lettura significativa ed importante, che parla del presente senza essere didascalica e riuscendo ad inserirvi un elemento di fantasia senza che il romanzo perda di credibilità. Il tema delle migrazioni mi è molto caro, lo scorso anno il più memorabile dei libri che avevo letto a riguardo era stato “Voci del verbo andare” di Jenny Erpenbeck (ve ne avevo parlato qui) e quest’opera ancora più recente è riuscita a convincermi ancora di più.
In conclusione sento di aver concluso una lettura significativa ed importante, che parla del presente senza essere didascalica e riuscendo ad inserirvi un elemento di fantasia senza che il romanzo perda di credibilità. Il tema delle migrazioni mi è molto caro, lo scorso anno il più memorabile dei libri che avevo letto a riguardo era stato “Voci del verbo andare” di Jenny Erpenbeck (ve ne avevo parlato qui) e quest’opera ancora più recente è riuscita a convincermi ancora di più.
Qui un'interessante intervista all'autore a proposito del romanzo.
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