lunedì 30 marzo 2020

Uri e Sami

Quest'anno mi sto dedicando alla lettura dei numerosissimi libri che ho acquistato nel tempo, e poi ho lasciato a prendere polvere sugli scaffali per mesi che mi vergogno anche a tentare di contare. Uno di questi è "Uri e Sami", acquistato al mercatino dell'usato non ricordo nemmeno più quando. 



Titolo: Uri e Sami
Autrice: Dalia B.Y. Cohen
Anno della prima edizione: 1995
Titolo originale: Uri and Sami
Casa editrice: Giunti
Traduttore: Daniele Liberanome
Pagine: 152



LA STORIA


Uri è un dodicenne israeliano in gita nei boschi della Galilea con i suoi compagni di scuola, che si ferma per sistemare il suo zaino e non trova più traccia del gruppo. Sami invece è palestinese, è emigrato in Libano con la famiglia ma per una missione misteriosa si trova nello stesso giorno in Israele, e incontra Uri nella notte, in una grotta. Ha inizio così un'avventura... e una sintonia che gli stessi due protagonisti faticano ad accettare.


COSA NE PENSO


Il conflitto israeliano-palestinese e la tragedia della Nakba (che nel 1948 costrinse i palestinesi all'esodo) sono un tema tutt'altro che facile. Israele è uno stato recente, la cui nascita fu unilateralmente proclamata nel 1948, dopo che gli ebrei d'Europa erano stati sterminati nei campi di concentramento nazisti. Da ben prima l'Occidente, la Gran Bretagna in particolare, aveva manifestato l'intenzione di suddividere il territorio della Palestina tra la popolazione araba e quella ebraica, anche a causa dei crescenti flussi migratori di ebrei -comunità che da sempre rivendica il territorio come promessogli da Dio. 
La creazione di Israele e la sottrazione delle case ai palestinesi ha portato a numerosi conflitti armati (tre sono state le guerre arabo-israeliane) e ad un forte movimento di resistenza arabo; moltissimi arabi palestinesi sono stati costretti ad emigrare per esempio in Libano o in Giordania, dove vivono tutt'ora in giganteschi campi profughi, e sono vittime di violenze ed arresti arbitrari da parte dell'esercito israeliano -a cui armi e risorse non mancano affatto.

Questa lunga introduzione è necessaria per parlare di "Uri e Sami" e del perché, data la mia posizione antisionista, mi è sembrato un libro fin troppo politicamente corretto. Certo, può essere un'opera introduttiva al tema per lettori davvero molto giovani, per esempio studenti delle scuole medie inferiori; è necessario però sapere prima di consigliarlo che la posizione mantenuta dall'autrice è volutamente neutrale
Sami è presentato come il più impulsivo dei due ragazzi, quello che mostra una maggiore ostilità; accusa ripetutamente Uri di far parte di un popolo di invasori, che hanno cacciato lui e la sua famiglia dalla propria casa (che è stata distrutta perché, nonostante suo padre fosse un insegnante pacifista, il fratello maggiore di Sami partecipa alla resistenza). 
"Non avrei mai creduto che gli ebrei in Israele avessero bambini come noi, che pensano e hanno un cuore" mormorò.

Uri ribatte sempre pacatamente, mantenendo il controllo e ricordandogli come gli ebrei siano sempre stati in Palestina -in alcuni passaggi sembra quasi sottintendere un "c'eravamo prima noi" che mi ha fatto storcere il naso quanto l'antitetica caratterizzazione dei due protagonisti. 



Nonostante ciò nel corso del libro, mentre i due ragazzi vivono un'esperienza di campeggio e indipendenza nella natura, scoprendo le proprie somiglianze nelle differenze che a Sami sembrano all'inizio insormontabili, qualche assunzione di responsabilità anche da parte di Uri compare.
Sami, ti sbagli” spiegò Uri con voce tranquilla. “Molti sono davvero arrivati qui dall’Europa, ma la maggior parte degli ebrei che vivono in Israele sono nati qui e in paesi arabi, e anche loro non vogliono essere “arabi ebrei”. Vogliono essere ebrei in uno stato ebraico”. “Non mi piace quello che hai detto” disse Sami con collera. “Non siete stati qui per molto tempo, poi venite, prendete delle terre che una volta erano per la maggior parte nostre, e non volete dividerle! Non volete stare insieme con noi ma solo per conto vostro, e accettate soltanto un governo ebraico. Non è una bella cosa!”
"Uri e Sami" è senza dubbio un romanzo scorrevole, un racconto di formazione che dietro all'incontro con un cucciolo di lupo, alla costruzione di una zattera e al mettersi alla prova per sopravvivere in assenza di adulti dà voce al conflitto che dilania un paese e mette da una parte o dall'altra anche i nuovi nati, che non possono restare neutrali -nonostante la soluzione del compromesso pacifico sia quella che l'autrice fa intraprendere ai suoi due giovani protagonisti, nel tentativo di dare un messaggio morale ai suoi lettori. 
La semplificazione a cui Dalia Cohen ha fatto ricorso per raccontare Israele e la Palestina a dei preadolescenti fatica a convincere i più cresciuti e chiunque sia un minimo informato sulla politica della regione; tuttavia potrebbe essere comunque una lettura utile per introdurre un argomento molto delicato ed evitare che, come troppo spesso capita, rimanga del tutto sconosciuto ai ragazzi.

lunedì 23 marzo 2020

Scrittura cuneiforme

Secondo romanzo dell'autore iraniano Kader Abdolah, "Scrittura cuneiforme" è una delle letture che mi attirano da tempo immemore e che finalmente sono riuscita a portare a termine -complice un utilissimo gruppo di lettura scovato su Instagram.





Titolo: Scrittura cuneiforme
Autore: Kader Abdolah
Anno della prima edizione: 2000
Titolo originale: Spijkerschrift
Casa editrice: Iperborea
Traduttrice: Elisabetta Svaluto Moreolo
Pagine: 318




LA STORIA



I protagonisti di "Scrittura cuneiforme" sono un padre e un figlio, Aga Akbar e Ismail. Aga Akbar è sordomuto, non ha mai imparato a leggere e a scrivere in alfabeto persiano o latino, ma ha lasciato dietro di sé un taccuino in cui ha inciso la storia della propria vita in caratteri cuneiformi, difficilissimi da decifrare.
È questo il compito al quale Ismail si dedica, una volta adulto ed emigrato in Olanda, avendo così l'occasione di ripercorrere l'esistenza del padre e la propria insieme alle vicende che hanno segnato l'Iran nel Ventesimo secolo.
"Scrivo questo libro in primo luogo per lui, e poi per chiarire a me stesso che la mia fuga fu inevitabile, che avvenne per circostanze indipendenti da me, che non avevo più sotto controllo, come posso dire, che fu lui stesso la causa per cui fuggii dal paese. Non so spiegarlo. È perché sono il figlio di Aga Akbar che ora sono qui a lottare con questa nuova lingua."





COSA NE PENSO


Come nel suo primo romanzo, "Il viaggio delle bottiglie vuote" di cui ho scritto qui tempo fa, gli elementi autobiografici non mancano in "Scrittura cuneiforme": Ismail, che spesso narra la vicenda in prima persona (per quanto si alterni ad un narratore onnisciente, ma esterno), è un attivista politico che si oppone all'instaurazione della repubblica islamica in Iran.
Anche Abdolah (che scrive sotto pseudonimo) prese parte alla lotta politica prima di rifugiarsi in Olanda, e riporta la testimonianza di coloro che hanno lottato anche all'interno di quest'opera, in particolare nelle figure di Ismail e della sorella Campanellina. 
Sotto il regime dello scià potevi contare sull’aiuto del popolo, spesso potevi cercare rifugio a casa di sconosciuti. Ma sotto il regime degli ayatollah era diventato impossibile. Lo scià faceva tutto in nome di se stesso, ma gli ayatollah governavano in nome di Dio.
C'è l'Olanda dunque a fare da sfondo alla vita di Ismail dopo aver lasciato l'Iran: un'Olanda a cui Abdolah si è profondamente legato, al punto da scrivere proprio in olandese i propri libri, impresa tutt'altro che semplice o frequente (un'altra autrice che ha scelto di farlo è l'albanese Elvira Dones, che ha scelto l'italiano per la propria produzione letteraria). Non solo però la scelta linguistica fa comprendere quanto l'Olanda abbia un ruolo fondamentale nella scrittura di Abdolah: la poesia olandese che cita in "Scrittura cuneiforme" si mescola ai racconti dell'antica Persia, alle figure mitiche dei santi sul fondo dei pozzi, i polder si confondono con le montagne innevate. 


"Scrittura cuneiforme" è un romanzo di rara delicatezza. Aga Akbar, figura a cui tutto ruota attorno, è un uomo indimenticabile: tessitore di tappeti che comunica in una propria lingua dei segni comprensibile quasi soltanto ai suoi figli, un uomo dunque -per forza- di poche parole, difficile da interpretare quanto i caratteri incisi sul suo taccuino. 
"Fare il riparatore di tappeti, ragazzo mio, era il mestiere migliore per lui. Ci sono sempre tappeti rovinati che hanno bisogno di riparazioni. Poteva andare ovunque. In quel modo si guadagnava da vivere e aveva la possibilità di annodare, tingere, pulire e disegnare tappeti come un artista. Puoi metterci i tuoi pensieri in un tappeto. Tuo padre era un poeta analfabeta e sordomuto. Te l’ho già detto tempo fa. Doveva dar sfogo in qualche modo ai suoi pensieri, nel suo quaderno o nel buco di un tappeto.“ 
Il rapporto tra padri e figli è uno dei temi cardine di "Scrittura Cuneiforme": Ismail è legato a suo padre in modo indissolubile, ma neanche lui è in grado di capirlo veramente, molte sono le domande che gli restano in sospeso. E se dapprima sembra Aga Akbar ad essere dipendente da Ismail, per orientarsi nel mondo, con il passare del tempo è lo stesso Ismail a cercare forza nel proprio padre, a lasciarsi aiutare da lui.
Tra poco sarebbe sorto il sole sul venerdì e mio padre, per la prima volta, avrebbe mancato la preghiera alla moschea. “Non vai alla moschea?” gli chiesi. “No”, gesticolò lui. Adesso mi era chiaro che sapeva cosa significasse andare via.
La comunicazione -e l'incomunicabilità- sono gli altri nodi a cui Aga Akbar e Ismail girano attorno, come i fili che le dita intrecciano per tessere tappeti: Aga Akbar non può parlare, si fa capire con le mani o attraverso Ismail, solo i suoi figli comprendono appieno il suo linguaggio. Ismail ha il dono della parola, può esprimersi, scrivere, stampare addirittura le parole che condannano il regime: eppure c'è la dittatura a imbavagliarlo, ci sono gli arresti e le sparizioni, c'è la fuga e anche durante il viaggio la comunicazione gli è preclusa, perché potrebbero intercettarlo. 
Non basta quindi l'uso della voce per comunicare, da un lato, e dall'altro non è necessario saper scrivere per lasciare dietro di sé memoria della propria vita: anche copiare i caratteri cuneiformi dal fondo di una caverna e utilizzarli per scriverci la propria versione dei fatti è possibile, ed è questa la strada che Aga Akbar -uomo che definirei profondamente puro- sceglie di percorrere.
Isfahan gli aveva fatto una grande impressione. In seguito non faceva che parlarne. Se gli capitava di vedere un tappeto di Isfahan, diceva: “Guarda, questo viene da Isfahan. Tu ci sei mai stato?” E parlava delle moschee. E quando descriveva le piastrelle azzurre della moschea di Sheikh-Lotfollah* indicava il cielo. Un tempio che è una sfida a quello dell’universo. E se voleva esprimere la sua ammirazione per l’antichissima moschea di Jamé, prendeva un mattone, lo sollevava e poi lo lasciava cadere per terra. Con quel gesto intendeva dire che le pietre della moschea erano cadute dal cielo. Quando parlava del bazar, si copriva la bocca con la mano e si guardava attorno stupito: intendeva dire che a volte, lì, si vedevano tappeti magici e che uno restava a bocca aperta dallo stupore.


Kader Abdolah è un grande scrittore, e lo è ancora di più pensando che quella in cui scrive non è la sua lingua madre, ma una lingua d'adozione. Abdolah costruisce nell'Aga Akbar "Scrittura cuneiforme" un personaggio intenso, profondo, che racchiude un universo intero -e lo fa molto meglio di quanto non ci fosse riuscito con il disorientato Bolfazl de "Il viaggio delle bottiglie vuote". 
"Scrittura cuneiforme" è un romanzo poetico, che racconta i rapporti umani e la resistenza e li mescola alla meraviglia, che descrive il dolore ma lo fa con una delicatezza tale da lasciare il lettore in qualche modo intatto. È un romanzo che mi ha spezzato il cuore, e lo ha fatto lasciando una traccia profondissima dietro di sé. 
Non posso fare quindi altro che consigliarvene la lettura, e proseguire io stessa nella scoperta di questo autore che -ne sono sicura- saprà riservarmi altre belle sorprese! 

lunedì 16 marzo 2020

La stagione della migrazione a Nord

Conoscete la sensazione di curiosità che si prova, talvolta, senza particolari motivi nei confronti di un libro? Per anni ho girato attorno a questo titolo, iniziando da un'opera minore dell'autore ("Le nozze di Al-Zain", di cui ho scritto qui lo scorso anno) e poi decidendomi finalmente a prenderlo in prestito dalla biblioteca. Quando poi l'ho letto è stata una vera folgorazione




Titolo: La stagione della migrazione a Nord
Autore: Tayeb Salih
Anno della prima edizione: 1967
Titolo originale: Maswim al-Higra ila-s-Samal
Casa editrice: Sellerio
Traduttore: Francesco Leggio
Pagine: 182




LA STORIA


In un villaggio del Sudan sulle rive del Nilo, nella prima metà del Novecento, vive un uomo di cui non sapremo mai il nome. È lui, il narratore, a raccontarci del suo incontro con il misterioso Mustafa Sa’id, che dopo molti anni trascorsi tra l’Egitto e l’Inghilterra ha fatto ritorno al paese natale portando con sé un passato oscuro ricco di segreti.


COSA NE PENSO


Tayeb Salih racconta in questo breve e denso romanzo la migrazione. Racconta il percorso di un ragazzo poco più che bambino che parte per formarsi all’estero, che all’estero diviene uomo e lo diviene a contatto con una cultura “nordica” molto lontana da quella in cui era nato. È all’estero che Mustafa si trasforma in un intellettuale affermato, in un uomo sicuro di sé al cui fascino le donne non sanno resistere; è all’estero che sembra piantare nelle sue amanti un seme oscuro, che le spinge inesorabilmente a disinnamorarsi della vita.
Londra era appena uscita dalla guerra e dalla cappa dell’età vittoriana. Conobbi i pub di Chelsea, i club di Hampstead, i circoli di Bloomsbury, declamavo poesie, parlavo di religione e di filosofia, facevo il critico d’arte, disquisivo sulla spiritualità dell’oriente, facevo di tutto pur di portare la donna nel mio letto. Poi passavo a un’altra caccia. Nel mio cuore non c’era una stilla d’allegria […].




Nel romanzo di Salih scopriamo a poco a poco il complesso passato di Mustafa, che pur non essendo il narratore in prima persona è la figura a cui la storia ruota attorno. È infatti di Mustafa che il lettore vuole sapere di più ad ogni pagina, perché l’autore lascia briciole di indizi da seguire per ricostruire il personaggio, accrescendo la curiosità al punto da rendere impossibile l’interruzione della lettura.
Quanto a me, a volte vengo assalito da quella sensazione che mi prese la notte in cui lo udii, improvvisamente e inaspettatamente, recitare dei versi in inglese, mentre stringeva il bicchiere di vino in mano, con la figura sepolta nella poltrona, le gambe distese, la luce della lampada riflessa sul volto e gli occhi librati, almeno così immaginai, in orizzonti dentro se stesso, mentre il buio fuori intorno a noi era come un insieme di forze diaboliche che s’intrecciavano per soffocare la luce della lampada. A volte mi balena all’improvviso quella fastidiosa idea, che Mustafa Sa’id non sia esistito affatto e che sia stato davvero una menzogna, o uno spettro, o un sogno, o un incubo, che ha assalito la gente di quel villaggio, in una cupa soffocante notte, e che, riaperti gli occhi alla luce, non hanno più visto.



Non tutte le donne ne “La stagione della migrazione a Nord” sono però come le amanti inglesi di Mustafa, irretite dalla sua avvenenza e dai suoi modi esotici, ma sostanzialmente fragili, incapaci di trovare in se stesse le risorse per resistergli -o quantomeno sopravvivere. La più rappresentativa di questa categoria è senz’altro Jean, la donna che ha segnato per sempre il percorso di vita di Mustafa.
L’alternativa esiste, ed è incarnata nel personaggio di Hosna, la moglie sudanese con la quale Mustafa trascorre l’ultimo tranquillo periodo della propria vita. Anche questa donna resta segnata dall’incontro con lui, ma in modo opposto: Hosna, rimasta vedova, avrà seppure a carissimo prezzo il coraggio di ribellarsi, così inaspettato tra le donne del suo paese.


Del narratore non sappiamo molto, ma ne percepiamo lo spaesamento. Come Mustafa ha trascorso anni all’estero, anch’egli si è formato in Inghilterra dove ha conseguito un dottorato in letteratura (lo stesso Salih è emigrato a Londra, dove poi è rimasto fino alla morte, per i suoi studi).
Il mio mondo era largo all’estero, adesso s’è contratto e ritirato, tanto che sono divenuto io il mondo e non c’è mondo all’infuori di me. Dove sono allora le radici piantate nel passato? Dove sono i ricordi della morte e della vita? Che ne è della carovana e della tribù. Dove sono andati a finire gli zagharid di decine di matrimoni, le piene del Nilo, il soffio del vento d’estate e d’inverno da nord e da sud? L’amore? L’amore non fa questo. È il rancore.



Una volta ritornato in Sudan, dove la sua istruzione è ritenuta poco utile in confronto all’ingegneria o alla medicina, si trova in qualche modo diviso: da un lato si confronta con il mondo d’appartenenza di suo nonno, ormai quasi centenario, devoto credente e uomo integerrimo; dall’altro la sua fascinazione per il personaggio di Mustafa, che gli racconta la propria storia e gli lascia la chiave per scoprire ciò che ha scelto di tacergli -dandogli accesso, alla sua morte, ad un archivio di memorie che spiegheranno i fatti, ma non le motivazioni.
Quando lo accompagnai alla porta, congedandosi mi disse, mentre lo spettro beffardo si era fatto ancora più chiaro intorno ai suoi occhi: “Suo nonno conosce il segreto”.
Non mi diede il tempo di chiedergli: “Che segreto dovrebbe conoscere mio nonno? Mio nonno, di segreti, non ne ha” […].

Il romanzo di Salih contiene molta tradizione della letteratura araba: prime tra tutte le novelle de “Le mille e una notte” (lettura a cui mi riprometto di dedicarmi prima o poi), personaggi del Sacro Corano, riferimenti a poeti e condottieri leggendari.
Vi è anche il colonialismo ne “La stagione della migrazione a Nord”: c’è un uomo africano che compie un percorso al contrario, che va in Europa, e qui annienta le donne a cui si accompagna come se fossero popoli vittime del colonizzatore europeo mettendo in pratica una sorta di vendetta.


Questo romanzo di Salih, che ho letto dopo “Le nozze di Al-Zain” (opera d’esordio e senza dubbio minore) mi è piaciuto moltissimo. L’ho trovato avvincente e stratificato, arricchito dalla costruzione di un personaggio complesso ed affascinante come quello di Mustafa; ho inoltre apprezzato moltissimo il linguaggio dell’autore, letterario e poetico senza divenire manieristico. L’unico enorme dispiacere al termine di questa lettura è che il volume sia ormai introvabile, fuori catalogo in ogni libreria e sito di e-commerce che sia riuscita a rintracciare!

Lettori ai tempi del Coronavirus

Questo è un post contenitore, che potrà aggiornarsi nel corso dei prossimi giorni; ho deciso di raccogliere qui le iniziative virtuali e non finalizzate a rendere la permanenza in casa di noi Collezionisti di Storie più stimolante.

LIBRI CARTACEI

  • Alcune librerie d'Italia hanno deciso di far fronte alla chiusura obbligatoria grazie alle consegne a domicilio. A questo link trovate un elenco suddiviso per regione dove potrete trovare quella più vicina a casa vostra da sostenere con un acquisto!

EBOOKS
  • Le edizioni Adelphi mettono a disposizione una copia gratuita dell'avventuroso romanzo "In cerca di guai" di Mark Twain (più famoso per essere il "papà" di Tom Sawyer e Huckleberry Finn): potete scaricarlo qui.
    Vi segnalo inoltre che iscrivendovi alla loro newsletter riceverete un ebook in regalo, a scelta tra "Suite Francese" di Iréne Nèmirovsky e "Moby Dick" di Herman Melville.
    Su tutti gli store trovate fino al 22 marzo in regalo anche l'ebook di "Doppio sogno" di Arthur Schnitzler. 
  • Sul sito di Edicola Ediciones potete scaricare gratuitamente l'ebook di "Tony Nessuno" di Andrés Montero: non esitate a metterlo nel vostro carrello su questa pagina, perché è un romanzo veramente spettacolare -e di cui vi parlerò tra qualche tempo qui sul blog! 
  • Sul sito delle edizioni Fazi, da questa pagina, è possibile scaricare gratuitamente l'ebook "Un incantevole aprile" di Elizabeth von Arnim (fino al 22 marzo). 
  • Le edizioni Garzanti regalano un ebook di Andrea Vitali, dal titolo "Una finestra vista lago", che potete scaricare qui
  • LonelyPlanet è una popolare casa editrice che si occupa di guide turistiche: acquistare la loro guida è la prima cosa che faccio dopo aver prenotato un viaggio! Per questo periodo propone una guida dal titolo "Viaggiare dal divano", che contiene una selezione di 500 film, libri e musiche che ci faranno viaggiare con la fantasia -e ci suggeriranno qualche prossima destinazione. Potete scaricare la vostra copia gratuita a questo link
  • L'Orma editore vi permette di scaricare un ebook al giorno dal loro sito. Potete recuperare anche quelli dei giorni precedenti, sempre collegandovi a questa pagina
  • Il Saggiatore ha ideato un'iniziativa dal titolo "Solidarietà digitale" che trovate qui: ogni due giorni potrete scaricare gratuitamente un titolo dal loro catalogo. Attenzione però: dopo 24 ore il libro cambia e quello del giorno prima torna al suo prezzo originale. 
  • Il sito Bookrepublic vi regala un ebook a vostra scelta tra una decina di possibilità di diverse case editrici. Ci sono titoli di saggistica, narrativa generale e di genere; potete scaricare il vostro preferito qui seguendo le istruzioni indicate.

AUDIOLIBRI
  • La piattaforma Storytel consente una prova gratuita del suo catalogo di audiolibri per 30 giorni invece delle canoniche due settimane. Potete iscrivervi a questo link se non siete ancora registrati! 
  • Emons audiolibri vi permette l'ascolto gratuito online di Peter Pan di James M. Barrie letto da Alessio Boni. Potete ascoltarlo collegandovi a questa pagina.

FUMETTI
  • La casa editrice Bonelli mette a disposizione, da lunedì 23 marzo, 14 albi a fumetti: sono nello specifico i numeri 1 delle loro famose serie, da Tex a Dylan Dog, da Nathan Never a Julia. Ognuno sarà disponibile per il download a questo indirizzo, ma solo per 24 ore, quindi ricordatevi di controllare ogni giorno! 
  • Coconino Press vi permette di leggere online un fumetto al giorno tra quelli del loro catalogo. Non è possibile scaricarli per la lettura offline. Per rimanere aggiornati sui titoli messi a disposizione, controllate sulla loro pagina Facebook seguendo l'hashtag #unaquarantenadifumetti.
  • Lo Spazio Bianco, sito italiano dedicato al mondo del fumetto, raccoglie in una pagina in continuo aggiornamento fumetti disponibili gratuitamente per il download, messi a disposizione da autori e case editrici. Controllate ogni giorno a questo indirizzo!

RIVISTE
  • Dodici numeri delle riviste Nuova Ecologia e Quale Energia sono leggibili online cliccando sulle copertine in questa pagina
  • Un numero della rivista trimestrale Hystrio dedicata al teatro e agli spettacoli è scaricabile qui
  • Tre mesi di riviste del gruppo Condé Nast sono disponibili scaricando le relative applicazioni ed inserendo i codici che trovate su questa pagina. Sono disponibili: Vanity Fair, Vogue, Wired, GQ, La cucina italiana, AD e Traveller. 
  • Tre mesi della rivista Gambero rosso sono disponibili scaricandone l'applicazione sul proprio dispositivo e seguendo le istruzioni che trovate qui

lunedì 9 marzo 2020

So che un giorno tornerai

Ci sono libri che ci vengono regalati -perché a un lettore, si sa, si regalano libri- ma non ci attirano granché. Questo volume, con la sua copertina piuttosto anonima, è rimasto ad aspettare sullo scaffale quasi un anno; poi, come spesso mi capita, è arrivato all'improvviso il suo momento.




Titolo: So che un giorno tornerai
Autore: Luca Bianchini
Anno della prima edizione:
Casa editrice: Mondadori
Pagine:




LA STORIA

Negli anni '60, Angela Pipan non ha ancora vent'anni e vive a Trieste con i genitori e i quattro fratelli quando rimane incinta di Pasquale, commerciante di jeans calabrese che non le ha mai detto di essere sposato. Così nasce Emma, figlia di un padre che non la riconosce e di una madre che non è pronta per la maternità -e appena le si presenta l'occasione fugge in Veneto, lasciando Emma a crescere con un vuoto enorme nonostante il tanto amore che la circonda.


COSA NE PENSO

"So che un giorno tornerai" è una storia tutta italiana, che si svolge in un'Italia di frontiera dove si vendono i jeans ai cittadini jugoslavi che attraversano il confine e il meridione guarda al Nord come all'occasione della vita.
Faceva freddo e quella città gli sembrava troppo lontana da lui, troppo severa, troppo difficile da capire. Se fosse rimasto in Calabria sarebbe stato diverso. Si sarebbe comportato in modo più cauto, avrebbe avuto troppi occhi puntati addosso per fare il cretino con altre ragazze. Ma Trieste era una città di frontiera dove le barriere venivano continuamente abbattute liberando ogni sorta di freno inibitorio.

"So che un giorno tornerai" parla di donne e alle donne dà voce. Il personaggio più convincente è senza dubbio quello di Angela, che incarna alla perfezione la frase di Guccini: "ci vuole scienza, ci vuol costanza ad invecchiare senza maturità" nel suo ostinato attaccamento a Pasquale che dura una vita e la fa apparire ai nostri occhi sempre come una ragazzina.
Sapeva benissimo che quell’uomo l’aveva distrutta, ma continuava a pensarlo come una ventenne – a desiderarlo – ed era bastata una chiamata per mandarla di nuovo in tilt. In fondo, lei era molto più fragile che egoista, ma non ne aveva piena consapevolezza.

Emma dovrebbe invece essere la rappresentazione della ragazza forte e indipendente, ma sfocia più di una volta nello stereotipo, mentre la quarta generazione di donne Pipan, Benedetta, svanisce sullo sfondo quando un nuovo concepimento -funzionale alla trama- prende il sopravvento. 

Il mio giudizio potrebbe sembrare molto critico, e sarebbe anche peggiore se vi dicessi come i personaggi maschili sono poco più che caricature -specialmente Kobra e Darko, per i quali i nomi con le K sono un modo molto banale per farli sembrare speciali. 
Fa eccezione, per fortuna, nonno Pipan: un uomo forte e orgoglioso, dal grande cuore, che venera Francesco Giuseppe e rimpiange l'epoca in cui a Trieste governavano gli Asburgo: a questo triestino tutto d'un pezzo ci si affeziona immediatamente.
Si assomigliavano soprattutto in quella malinconia che li faceva sempre sentire fuori posto nel luogo in cui erano, come se avessero tutto per essere felici e facessero il possibile per rovinare le cose. Forse Trieste era troppo piccola per loro che sognavano il mondo e il mondo lo vedevano solo attraversare la frontiera.
È vero, potrei muovere numerose critiche a "So che un giorno tornerai", ma in verità questo romanzo non mi è affatto dispiaciuto: certo, lo stile è molto semplice e la caratterizzazione dei personaggi lascia un po' a desiderare. Tuttavia ogni tanto un libro scorrevole è proprio quello che ci vuole, e la storia dei Pipan è una di quelle che appassionano e si divorano pagina dopo pagina, accompagnati dai paesaggi della magica città di Trieste che arricchiscono il racconto. 

lunedì 2 marzo 2020

Le voci dell'acqua

Il nome di Tiziano Sclavi è una garanzia per chiunque come me abbia trascorso decenni in compagnia dell’Indagatore dell’incubo. Non c’è ricordo della mia adolescenza che non sia accompagnato da una copia di Dylan Dog sul comodino o nello zaino; il più caro di questi sono i giorni di vacanza dalle scuole medie quando i nonni mi portavano in edicola durante il giro della spesa, e non dimenticavano mai di regalarmi la ristampa appena uscita che mancava alla mia collezione.
Così quando ho letto "Sclavi" su questa copertina nell’espositore della biblioteca, capirete bene che non ho potuto resistere...



Titolo: Le voci dell'acqua
Autore: Tiziano Sclavi
Illustratore: Werther Dell'Edera
Anno della prima edizione: 2019
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine: 96

 


“Le voci dell’acqua” è un fumetto in bianco e nero, con molti disegni (di Werther Dell’Edera) e pochissime parole. Il protagonista è Stavros, un uomo che vaga per una città senza nome dove la pioggia non cessa mai di cadere; proprio dall’acqua che lo circonda Stavros sente provenire delle voci che gli parlano e che vengono etichettate nella diagnosi di schizofrenia.
Attorno a Stavros altri personaggi si muovono sotto la pioggia, ognuno schiacciato dai dolori che si porta dietro.
In uno scorrere di vite e di infelicità, dove la morte è sempre incombente ma solo in poche scene appare davvero sulle pagine, i disegni a tratteggio di Dell’Edera illustrano una sceneggiatura cupa, angosciante. C’è chi giura che tutto gli stia andando per il meglio, poi si spara alla tempia; c’è chi si accascia morto sulla scrivania dell’ufficio, e la priorità dell’azienda è avvertire le risorse umane per avviare la ricerca di un nuovo dipendente.


Abituata al caro Dylan, ero preparata a trovare gli esclusi, i reietti, gli infelici tra le pagine pensate da Sclavi. Se negli albi dell’indagatore dell’incubo però c’è Groucho sempre pronto ad alleggerire l’atmosfera con le sue battute, non c’è alcun elemento intenzionato a farci sentire meglio ne “Le voci dell’acqua”: le peregrinazioni e le allucinazioni di Stavros, i suoi sogni che si concludono anch’essi col fallimento, i percorsi infelici di chi lo circonda sembrano ripeterci pagina dopo pagina che non vi è nessun senso alle fatiche della vita, nessuna speranza di salvezza.


“Le voci dell’acqua” è un fumetto scomodo, duro, che non cerca in alcun modo di compiacere il lettore. Proprio per questo l’ho trovato coraggioso; in alcuni passaggi mi ha ricordato “Memorie dall’invisibile”, uno splendido numero di Dylan Dog che non ho mai dimenticato e ho avuto subito voglia di rileggere.
Non lo consiglierei a un lettore sprovveduto, alla ricerca di un fumetto di facile comprensione; lo consiglio però agli affezionati a papà Tiziano come me, che di certo ne saranno colpiti.