giovedì 29 marzo 2018

Chesil Beach

McEwan è uno degli autori che preferisco: la pulizia del suo stile, le sue descrizioni dettagliate ma mai noiose, la costruzione dei suoi personaggi sempre credibili. Tra i miei romanzi preferiti ci sono senza dubbio quelli che appartengono al primo periodo della sua produzione, opere dalle tinte nere che gli sono valse il soprannome di "Ian McMacabre". La mia ultima lettura appartiene però ad un momento più recente, e nonostante non vi siano retroscena raccapriccianti non manca una certa amarezza di fondo.




Titolo: Chesil Beach
Autore: Ian McEwan
Anno della prima edizione: 2007
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Susanna Basso
Pagine: 136



LA STORIA

Florence ed Edward sono cresciuti nel secondo dopoguerra, e nei primi anni Sessanta hanno 22 anni. La loro giovinezza non vive la liberazione e l'emancipazione che sono prossime a venire, ed anzi entrambi sono ingabbiati nei ruoli precostituiti imposti loro dalla società inglese. Edward è uno storico, di famiglia modesta, cresciuto a contatto con le stranezze della madre (rimasta vittima di una lesione cerebrale) in un ambiente molto lontano da quello benestante e ricco di villeggiature, arte e cibo esotico nel quale è stata educata invece Florence, promettente violinista
I due si incontrano e si frequentano per un anno circa prima di sposarsi: sono convinti che il matrimonio li renderà finalmente liberi di godersi la propria gioventù, restituendo loro la spensieratezza degli anni universitari. Tuttavia sono molti i tabù legati alla sessualità che li condizionano: mentre Edward vede nelle nozze un modo legittimo per soddisfare il proprio desiderio, Florence è talmente spaventata da temere di non provare alcuna pulsione. Sono queste tensioni che raggiungono il culmine proprio nella prima notte di nozze, che i due ragazzi trascorrono in un albergo sulla costa inglese e non lascia loro più alcun modo di sfuggire all'intimità. 

Billy Howle e Saoirse Ronan in una scena del film
"On Chesil Beach" di D. Cook (2017)

COSA NE PENSO

L'azione vera e propria si sviluppa nell'arco di un'unica serata: quella successiva alle nozze di Edward e Florence, nell'albergo di Chesil Beach, dove i due ragazzi sono rimasti soli con le loro paure, con il loro imbarazzo. Tuttavia numerose sono le epifanie dei protagonisti: è sufficiente infatti che sentano un rumore lontano perché la loro mente ripercorra le tappe della loro storia d'amore, ricca di momenti piacevoli, di attimi in cui sono stati in sintonia.
Quella che McEwan ci racconta è infatti la storia di due persone che si amano, ma che sono talmente condizionate dalla repressione sessuale della propria epoca da non saper gestire il momento della perdita della verginità. Sarebbe bastato loro nascere qualche anno dopo, ed invece sono lì, all'inizio del decennio in cui tutto cambierà, ed Edward non sa far scendere la cerniera di un vestito, e Florence ha il terrore di vedere il marito senza vestiti. 
L'atmosfera che pervade questo breve romanzo è tesa, come i suoi protagonisti sappiamo che si arriverà al dunque, che non si potrà rimandare per sempre centellinando arrosto e ciliegie candite; tra un ricordo e l'altro ci affezioniamo ai due ragazzi, alla passione per la musica di Florence ed al suo genuino amore per Edward, che come ogni ventenne è seppure innamorato molto orgoglioso e spaventato all'idea che la sua virilità insicura possa essere sminuita. Edward e Florence ci inteneriscono, vorremmo intrometterci e dar loro qualche consiglio, fermarli prima che la situazione degeneri ed offrire loro un'alternativa alle parole taglienti che non riescono ad evitare di rivolgersi. 
Il maggior pregio che ho riscontrato in questo romanzo la capacità di coinvolgimento: Edward e Florence sono due personaggi talmente ben costruiti da sembrare veri, e la crescente tensione non lascia scampo al lettore, al quale sembra di conoscerli davvero attraverso i tanti flashback che tengono in sospeso il racconto. Senza dubbio si tratta di un'altra riuscitissima opera dell'autore inglese, del quale ho letto molto e ancora molto altro leggerò in futuro!

lunedì 26 marzo 2018

Uomini sotto il sole

Un difetto molto comune dei lettori è quello di privilegiare letterature che le case editrici ci propongono più di frequente, ad esempio quella statunitense o quelle europee in generale. Raro è infatti trovare molta pubblicità attorno a titoli di autori mediorientali o africani, a meno che non confermino in qualche modo stereotipi tipicamente occidentali -penso ai romanzi sull'oppressione delle donne nei paesi a maggioranza musulmana, ad esempio. Quello che spesso si dimentica però è che negli scaffali delle biblioteche e delle librerie si nascondono anche piccoli gioielli di letterature altre, che meriterebbero di essere scoperti: il titolo protagonista di questo post fa senza ombra di dubbio parte della categoria.



Titolo: Uomini sotto il sole
Autore: Ghassan Kanafani
Anno della prima edizione: 1963
Titolo originale: Rijal fi al-Shams
Casa editrice: Sellerio
Traduttrice: Isabella Camera d'Afflitto
Pagine: 112



LA STORIA



I protagonisti di questo romanzo sono quattro: il giovane Marwan, il più adulto Abu Qais, Asad e Canna. Quest'ultimo è un contrabbandiere che con il suo camion porta uomini al di là della frontiera, fino al Kuwait, destinazione agognata dagli altri tre personaggi che incontriamo. Sono uomini palestinesi, le cui abitazioni e le cui risorse (gli ulivi che tanto rimpiangono, le terre di cui si prendevano cura) sono state loro sottratte dall'occupazione israeliana. Dai territori occupati sono arrivati a Bassora, in Iraq, e da qui sperano di giungere in Kuwait dove a quanto pare fare soldi è una facile impresa in cui riuscire. 
Mentre Abu Qais lo fa per la sua famiglia, per far studiare il figlio che non ha più nemmeno una scuola da frequentare, e come Marwan appena sedicenne (il cui fratello maggiore si è sposato e non manda più soldi alla famiglia) emigra per la prima volta, per Asad è il secondo tentativo dopo la brutta esperienza dell'essere abbandonato nel deserto, sotto il sole cocente, dal quale lo hanno salvato due turisti. Canna è un contrabbandiere e trafficante di uomini, ma non dobbiamo immaginarci un uomo spietato e privo di scrupoli: è al contrario un uomo traumatizzato dalle ferite di guerra riportate dieci anni prima, deluso dalla vita, che ha fatto dei guadagni la propria missione. 

Immagine dal web

COSA NE PENSO



Il primo consiglio che mi sento di darvi è quello di riservarvi per dopo la lettura l'introduzione di Vincenzo Consolo: infatti vi svela il finale dell'opera riducendone così l'impatto emotivo. 
La narrazione procede alternando flashback dei protagonisti allo svolgimento dell'azione vera e propria: è così che veniamo a sapere dei loro contesti familiari, di come questi abbiano influito sulla loro decisione di emigrare, e dei loro sentimenti e rimpianti riguardo la terra di Palestina dove sono nati e cresciuti. Ognuno di loro ha motivazioni diverse, ma si uniscono in un viaggio estremamente pericoloso proprio per quel sole battente e caldissimo che incombe su di loro, che scotta la pelle e fa sembrare sangue il sudore che cola. Canna è il traghettatore, colui che promette un futuro migliore, e da quando i tre salgono sul camion e sono costretti a nascondersi nella cisterna (che più che una cisterna è una fornace, date le temperature) il ritmo è crescente, in un'escalation di tensione fino all'ultima riga. 
Kanafani, autore rimasto precocemente vittima di un attentato, ha scritto questo breve romanzo più di cinquanta anni fa: eppure racconta sentimenti universali, che di certo il popolo palestinese ancora prova, non essendo la sua condizione migliorata affatto in questi decenni. Siamo davanti ad un'opera ancora profondamente attuale, in un'epoca di migrazioni globali dove migliaia di individui si trovano costretti a mettersi in viaggio ogni giorno, lasciando i propri alberi d'ulivo e d'arance e rischiando la vita proprio come Abu Qais, Asad e Marwan: questo aspetto, unito allo stile conciso eppure ricco dello scrittore, è senz'altro un'ottima motivazione alla lettura. 

giovedì 22 marzo 2018

Il GGG

La prima pagina scritta di questo libro colpisce come un pugno nello stomaco i lettori più adulti in grado di coglierne il significato:


L'undicesimo dei suoi romanzi per bambini infatti è pubblicato a vent'anni di distanza dalla morte della figlia Olivia, deceduta a soli nove anni a causa del morbillo. 



Titolo: Il GGG
Autore: Roald Dahl
Anno della prima edizione: 1982
Titolo originale: The BFG
Traduttrice: Donatella Ziliotto
Casa editrice: Salani
Pagine: 223



LA STORIA

Nonostante il momento di tristezza che ci assale in apertura, quello che abbiamo tra le mani è un romanzo ricco di immaginazione e di magia. I suoi protagonisti sono Sofia, una bimba di nove anni che vive in un orfanotrofio di Londra, e il GGG (Grande Gigante Gentile), l'unico esemplare vegetariano del paese dei giganti, costretto a nutrirsi dei disgustosi cetrionzoli per risparmiare gli esseri umani.
Ogni notte il GGG soffia sogni nelle camerette dei bambini, ma sta bene attento a non farsi scoprire; Sofia però non sta dormendo, la notte in cui scorge il GGG dalla finestra della sua stanza, ed egli è così obbligato a rapire la piccola: gli umani, se sapessero della loro esistenza, non esiterebbero a dar loro la caccia! Il paese dei giganti però è un luogo davvero inospitale per Sofia, che non sopporta l'idea di decine e decine di persone divorate quotidianamente e così escogita un ingegnoso piano per salvare gli umani dai giganti... con la complicità del GGG ed addirittura della regina d'Inghilterra!

Un'immagine dal film "Il GGG"
di Steven Spielberg (2016)

COSA NE PENSO

Roald Dahl è di certo tra i più noti autori per bambini, tra i consigliati delle scuole elementari, uno di quelli che scoprivo con meraviglia nella biblioteca della scuola. Il GGG lo avevo sfogliato, ma mai letto fino alla fine, ed ora che mi sto nuovamente avvicinando a questo scrittore da una diversa prospettiva sono riuscita a godermi appieno la lettura. Si tratta di un romanzo immaginifico, a partire dai giganti e dal paese che abitano, fino al linguaggio estremamente creativo che avrà rappresentato un'ardua sfida nelle traduzioni: il GGG distorce infatti anche le parole di uso comune, creando strafalcioni e neologismi assolutamente esilaranti
"Il GGG" è un libro per sognatori, di qualunque età: immagineranno gli incubi ed i sogni felici imbottigliati nelle ampolle del GGG, i suoi balzi chilometrici, Sofia rintanata nel suo enorme orecchio a contemplare il paesaggio. In ogni pagina c'è magia, ma non quella dovuta alla presenza di creature fantastiche come i giganti: c'è la magia dell'evocare con le parole un mondo capace di incantare e divertire, di trasportare in un universo creato dalla fantasia dove sentirsi di nuovo bambini intenti ad ascoltare una storia della buonanotte. 
Inutile dire che questo sarà solo il primo titolo di Roald Dahl a comparire tra queste pagine virtuali...

lunedì 19 marzo 2018

La settimana bianca

Una scomoda verità e gli incubi nel sonno e nella veglia sono gli elementi centrali di questo romanzo breve, che solo sul finale distingue la realtà dall'immaginazione del protagonista. Raramente devo sbirciare la conclusione quando sono solo alle prime pagine di lettura: in questo caso mi è successo.



Titolo: La settimana bianca
Autore: Emmanuel Carrère
Anno della prima edizione: 1995
Titolo originale: La classe de neige
Casa editrice: Adelphi
Traduttrice: Maurizia Balmelli
Pagine: 139



LA STORIA

Nicolas parte per la settimana bianca (in realtà sono previste due settimane di soggiorno) in una località sciistica sulle Alpi svizzere insieme ai suoi compagni di classe. Sono bambini che frequentano la scuola primaria, hanno ancora il timore di fare la pipì a letto e stare lontani dalle proprie famiglie, ma il più apprensivo è senza dubbio il padre di Nicolas: teme talmente per la sicurezza del figlio che si incarica lui stesso di accompagnarlo in automobile, evitandogli così il viaggio in pullman.
Nicolas è un bambino molto timoroso e timido, con numerose difficoltà di socializzazione: la vacanza sulla neve è per lui motivo di ansia, soprattutto dal momento in cui si accorge di aver dimenticato il proprio zaino nell'auto del padre, il quale non torna per restituirglielo nei giorni successivi. Nella mente di Nicolas si affollano allora immagini terrificanti, prima tra tutte quella di un incidente mortale di cui il padre sarebbe stato vittima, in parte provenienti da un libro intitolato "Storie spaventose" che aveva trafugato dalla libreria di casa e lo aveva impressionato profondamente con i suoi macabri racconti del terrore.
Gli orrori però non esistono solo nella fantasia infantile di Nicolas, ma si verificano anche nella realtà innevata che circonda lui ed i suoi coetanei impegnati nelle lezioni di sci: nei dintorni infatti scompare un bambino della loro età, ed i gendarmi avviano immediatamente le ricerche.

[foto mia, marzo 2018]

COSA NE PENSO

I veri avvenimenti si verificano al margine della storia che ci viene raccontata da Carrère, quasi fuori fuoco: in primo piano infatti vi è sempre Nicolas, con i suoi pensieri e le sue paure, il crescente senso di angoscia -l'autore stesso ha dichiarato in proposito di essere stato sempre più terrorizzato man mano che la stesura del romanzo procedeva.
Gli adulti di questa storia  sono incapaci di rassicurare Nicolas, incapaci persino di trovare le parole adeguate per spiegargli l'orrore che accade a pochi passi dallo chalet dove lui si rifugia tra divani e coperte; perfino Patrick, istruttore che più di tutti è entrato in sintonia con il bambino, non ha il coraggio di rivelargli la verità che neanche al lettore viene mai apertamente comunicata, se non tramite indizi come tessere di un puzzle che ricostruiamo da noi. 
L'inquietudine è crescente pagina dopo pagina, quasi intollerabile; Carrère rende alla perfezione il punto di vista di un protagonista bambino, innocente e spaventato, che vorrebbe sottrarsi alla ineluttabile realtà, quella che comprende dalle parole dette di nascosto da Patrick alla sua insegnante:
Ti immagini, portarsi dietro una cosa simile? Che vita potrà mai avere?
È un destino segnato quello che attende Nicolas, ed il lettore ne è consapevole, ancora pervaso com'è dall'oppressione che questa lettura, breve ma intensa, ci lascia. Quello di Carrère è un romanzo pieno di non detti, di flashback che ci svelano particolari fondamentali in un modo che pare quasi casuale ma che è invece architettato alla perfezione. Ho letto raramente un noir così ben congeniato e tuttavia insolito, dove né il mostro né la vera e propria vittima (nel senso tradizionale del termine: la vittima diretta della violenza) hanno un ruolo da protagonisti. Qui il personaggio principale è invece colui che ne subisce gli effetti collaterali, ed è senza dubbio un'ottima strategia che dà vita ad un riuscitissimo romanzo capace di tenere incollati alle pagine, divorati dal progressivo aumento della tensione. 


giovedì 15 marzo 2018

Blankets

Delle mie letture invernali ha fatto parte una splendida autobiografia illustrata, che racconta l'infanzia e l'adolescenza in Wisconsin del fumettista Craig Thompson. Opera famosissima, che avevo sfogliato diversi anni fa ma non avevo mai letto con la tranquillità e la contemplazione che richiede prima di questo mese.




Titolo: Blankets
Autore: Craig Thompson
Anno della prima edizione:
Casa editrice: Rizzoli
Pagine: 600




LA STORIA

Craig Thompson è cresciuto in Wisconsin, in una famiglia dall'incrollabile credo religioso, appartenente alla corrente dei cristiani rinati. La loro fede ha influenzato profondamente l'educazione impartita ai figli: Craig racconta l'infanzia che ha condiviso con il fratello, scegliendo di omettere la propria sorella, ma siamo certi che le sia toccato lo stesso. Un'infanzia dunque all'ombra del timore di Dio, figura autoritaria e spaventosa, pronta ad essere delusa dal minimo errore dei bambini, dal minimo atto che possa richiamare una condotta meno che pura, al punto da condannare la stessa curiosità artistica del ragazzino quando osa rappresentare corpi femminili.
Con l'adolescenza il peso della religione su Craig non diminuisce, al punto di fargli prendere in considerazione una carriera ecclesiastica invece di assecondare il proprio talento nel disegno. Naturalmente però con l'adolescenza sorgono anche in Craig le prime pulsioni sessuali (nonostante la ferrea repressione che si impone per non assecondarle) e l'attrazione per l'altro sesso. Ad una colonia parrocchiale, nella quale si ritrovano giovani credenti da tutto il paese, Craig conosce Raina: la ragazza che sarà il suo amore giovanile, la prima che gli spezzerà il cuore. 



COSA NE PENSO

L'infanzia di Craig è stata un'infanzia fredda, segnata dagli inverni rigidi del Wisconsin, nella gelida stanzetta condivisa con il fratello dove le coperte non sembravano mai sufficienti, nella neve che li circondava con la sua magia e il suo silenzio. Nevica spesso su Blankets, nevica su Craig bambino e su Craig e Raina adolescenti, e la neve resterà anche per Craig una volta cresciuto un elemento da ricercare per sentirsi in pace con se stesso. La neve nelle tavole in bianche e nero dell'autore riesce a dare l'idea di sofficità e di quiete attraverso le pagine, al punto da avvolgere anche il lettore.
Oltre all'inverno, un altro degli elementi a cui ruota attorno Blankets è quello della fede: una certezza per i genitori di Craig, data per scontata da lui stesso negli anni giovanili, in una versione repressiva ed opprimente del Cristianesimo. Craig trova per anni rifugio delle sacre scritture alla ricerca di risposte, per poi allontanarsene una volta cresciuto, comprese le irrazionalità insite nella fede e le incongruenze con ciò che gli era stato ripetuto per tanto tempo. 


Ciò che resta però senza dubbio più impresso di questa graphic novel è la vicenda romantica che occupa una buona parte dell'opera: la storia d'amore con Raina. Il personaggio di Raina è immerso in una situazione familiare estremamente complessa (una sorella prigioniera di un matrimonio con un uomo oppressivo e prevaricatore, due fratelli adottivi, Ben e Laura, affetti da ritardo mentale dei quali deve prendersi cura, e a tutto ciò si aggiunge la separazione in atto tra i genitori) e trova comunque spazio per Craig nella sua vita, in un modo tenero e dolce come solo gli adolescenti sanno fare. Il titolo stesso dell'opera, "Blankets", si riferisce ad un accadimento tra i due: il regalo di Raina per Craig, una coperta patchwork realizzata da scampoli di tessuti accuratamente scelti dalla ragazza. Il soggiorno di Craig presso la famiglia di Raina è un momento di rara delicatezza, rappresentato attraverso immagini spesso vorticose che anticipano la magnificenza del tratto che ritroveremo in "Habibi", opera successiva di Thompson, a mio parere il suo capolavoro
Nel complesso la scelta dell'autore di raccontarsi attraverso le tavole in bianco e nero, talvolta a pagina intera, è assolutamente riuscita. I capitoli del suo romanzo grafico di formazione raccontano una storia estremamente personale senza mai risultare noiosi, e ci riportano agli anni dell'adolescenza in cui ci sembrava che la nostra esistenza dipendesse dalla risposta che giungeva dall'altra parte del telefono e quegli squilli in attesa di una risposta ci parevano interminabili... E tra una nevicata e l'altra ci ricordano anche il dolceamaro periodo in cui il cuore andava in frantumi in un attimo, per un'indecisione altrui, e diventa così non soltanto un'autobiografia, ma un racconto della storia di ognuno di noi

lunedì 12 marzo 2018

Vergine giurata

Di Elvira Dones, autrice albanese residente negli Stati Uniti, avevo letto pochi anni fa "Piccola guerra perfetta": un romanzo potentissimo che raccontava la guerra nel Kosovo e le sue brutalità in modo davvero toccante. Ho desiderato da allora conoscere meglio la produzione della scrittrice, sperando di scovare un altro gioiellino come quello; purtroppo non ho trovato "Vergine giurata" altrettanto convincente.





Titolo: Vergine giurata
Autrice: Elvira Dones
Anno della prima edizione: 2007
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine: 204





LA STORIA

Due filoni narrativi si alternano in questo romanzo, con un'unica protagonista: Hana Doda. Il primo filone è ambientato tra le montagne dell'Albania, nel minuscolo paesino di Rrnaje, dove Hana resta orfana da piccola. Viene allora cresciuta con amore da zia Katrina e zio Gjergj, che assecondano il suo desiderio di studiare all'università nonostante le ristrettezze economiche (il regime comunista autarchico di Hoxha aveva infatti imposto la collettivizzazione dell'agricoltura, che alla famiglia Doda aveva sottratto addirittura la loro unica mucca). Purtroppo, mentre Hana a Tirana sogna una vita diversa, lontana dalle montagne e dal Kanun (il codice consuetudinario albanese), lo zio Gjergj si ammala gravemente. Per via delle gravi preoccupazioni, il cuore di zia Katrina non resiste al dolore e così Hana si trova ad occuparsi dello zio in fin di vita, il quale si mette in testa di trovarle un marito prima che la nipote resti sola. Tale prospettiva pare ad Hana la peggiore condanna e così prende la decisione che cambierà per sempre la sua vita: rispettando una tradizione prevista dal Kanun, abbandona i propri panni di donna ed indossa quelli maschili, impegnandosi alla castità ed assumendo l'identità di Mark Doda, al tempo stesso uomo e vergine giurata.
Il secondo filone narrativo si svolge invece negli Stati Uniti, dove si è trasferita Lila, la cugina di Hana, insieme al marito. Lì è nata la loro figlia, ormai adolescente, ma nonostante i tanti anni di lontananza Lila non ha mai interrotto i contatti con la cugina rimasta in Albania, che considera in trappola in quei panni maschili che si è scelta. Lettera dopo lettera è proprio Lila infatti che riesce a convincere Hana, dopo quattordici anni dal giorno in cui si è tramutata in Mark, a salire su un aereo e trasferirsi dall'altra parte dell'oceano riassumendo la propria identità di donna.

Alba Rohrwacher in una scena del film
"Vergine giurata" di L. Bispuri (2015)
COSA NE PENSO

Alcuni aspetti di questo romanzo sono estremamente interessanti: prima tra tutte il costume previsto dal Kanun secondo cui una donna può divenire una vergine giurata, tradizione che mi era sconosciuta prima di leggerlo. L'autrice inoltre racconta un'Albania rurale e montana, lontana dalle moderne città, dove poche sono le opportunità professionali ed ancora meno quelle di realizzazione per le donne; ci racconta tradizioni antiche secoli, ed al di fuori di esse, lontano migliaia di chilometri, la contemporaneità occidentale in cui la protagonista può rinascere.
Mentre la parte della storia ambientata in Albania mi ha convinta molto, più dubbiosa mi ha lasciata la vita americana di Hana: ho apprezzato il suo rapporto con la nipote, adolescente molto più sicura di sé di quanto non siano mai state sua madre e soprattutto sua cugina, ed anche la caratterizzazione di Lila e del marito, legati alla cultura albanese ed al tempo stesso soddisfatti della propria vita in un Paese straniero, aperti al cambiamento. Ciò che invece mi ha lasciato un'impressione non del tutto positiva è la riscoperta di Hana della propria femminilità, specialmente l'esigenza che l'autrice sembra sentire di farle trovare per forza un uomo da frequentare, un appuntamento romantico da organizzare e un rapporto sessuale da consumare quasi ad ogni costo, come se altrimenti una donna non potesse essere completa. Il percorso di Hana in tale direzione non è riuscito a coinvolgermi ed anzi, lo ritengo quasi superfluo nel complesso della storia, che altrimenti mi avrebbe soddisfatta di più. 
Un altro aspetto da considerare è quello linguistico: "Vergine giurata" è il primo romanzo che l'autrice ha scritto direttamente in italiano, uscendo dalla propria zona di comfort rappresentata dalla scrittura in albanese, sua lingua madre. Rispetto a "Piccola guerra perfetta", che conteneva frasi che mi hanno colpita come questa:
 I due si amano da sei mesi ma la terra in mezzo a loro è stata angusta, mobile, sprovvista di normalità. Sono fatti entrambi di lava invece che di ossa, solo che bruciano in maniera diversa.
nel linguaggio utilizzato per narrare questa storia non ho trovato la stessa poesia e la stessa intensità che era stata resa nella traduzione del mio primo contatto con l'autrice.
Per tutte queste ragioni, credo che se dovessi consigliare un romanzo di Elvira Dones sarebbe certamente quello che avevo letto per primo, e non "Vergine giurata", che tutto considerato non è riuscito a convincermi completamente.

giovedì 8 marzo 2018

Crepuscolo

Un ritorno ad Holt, immediato, necessario, non appena conclusa quella meraviglia che è "Canto della pianura" (di cui vi ho parlato qui poco tempo fa). In ordine cronologico infatti "Crepuscolo" costituisce il secondo volume della Trilogia della pianura, ambientata in una cittadina del Colorado creata appositamente da Haruf.




Titolo: Crepuscolo
Autore: Kent Haruf
Anno della prima edizione: 2004
Titolo originale: Eventide
Casa editrice: NN Editore
Pagine: 320



Difficile replicare un'opera tanto riuscita quanto la precedente, pensavo non appena chiuso il primo volume. Eppure sentivo già il richiamo, potentissimo, della quiete di Holt, della fattoria dei fratelli McPheron, delle atmosfere capaci di riconciliarmi col mondo che avevo scoperto in quelle poche centinaia di pagine.
Una parte delle storie di "Canto della pianura" prosegue in "Crepuscolo": Victoria, ad esempio, ha una bimba ormai di due anni ed è molto lontana dall'adolescente smarrita e fragilissima che avevamo conosciuto; ora studia all'università e si affaccia al proprio futuro con cautela e tenacia. Ci sono anche Ike e Bobby, nonostante rivestano un ruolo decisamente marginale; e ci sono i fratelli McPheron che mi avevano completamente conquistata.
A loro si aggiungono nuovi personaggi: Richie e May Rae, i figli dei Wallace, costretti a vivere in una roulotte in balia di genitori inadeguati e uno zio violento; DJ che appena bambino si occupa da solo dell'anziano nonno, unico parente ancora in vita che gli rimane; Dena, che con DJ passa i pomeriggi, cercando di dimenticare sua madre che, lasciata dal marito, abusa di alcol e sigarette e non riesce ad alzarsi dal letto.

"You haven't seen a sunset, until you've seen a Colorado sunset"
(foto dal web)
Il dolore irrompe ad Holt più di quanto non avesse fatto nel primo capitolo della Trilogia; evitando spoiler che vi rovinerebbero la lettura, alcune pagine riservano un destino davvero infausto ai protagonisti, e ci lasciano attoniti, ammutoliti per il dispiacere. C'è comunque anche spazio per i nuovi inizi, per gli amori inaspettati, ormai insperati, spazio per le rinascite. Alla fattoria McPheron c'è ancora posto per i randagi, per le anime fragili e sole come quella di DJ, che la notte cammina per la città quando non riesce a dormire. 
La narrazione di Haruf è impeccabile e coinvolgente, i suoi personaggi sono delicati, impossibile non provare empatia nei loro confronti, specialmente per l'innocenza di quelle due anime pure che sono Raymond e DJ nelle loro differenze e somiglianze. Come in "Canto della pianura" avevo riscontrato un parallelismo tra le esistenze dei fratelli McPheron e quelle dei figli di Guthrie, questa volta sono l'anziano Raymond ed il piccolo DJ ad essere uno lo specchio dell'altro. Il mondo di Holt è ancora una volta un piccolo universo, anche se questa volta pervaso da un po' meno ottimismo, un po' meno serenità; c'è più spazio per le lacrime, per quelle di dolore oltre che di commozione, ma siamo davanti ad un'opera di pari intensità e valore. 

lunedì 5 marzo 2018

Una stella tranquilla

La biblioteca è per me un gigantesco baule dei tesori: il mio antidoto alle giornate no, alle mattine in cui ti svegli col piede sbagliato. Mi basta una mezz'ora di tregua tra un impegno e l'altro per immergermi in un universo di scaffali, espositori, novità e copertine che mi attirano come calamite, in una delle diverse biblioteche della città delle quali sono utente (una non mi sembrava sufficiente!).
Una delle scoperte più sorprendenti dell'ultimo periodo è stata proprio "Una stella tranquilla".




Titolo: Una stella tranquilla - ritratto sentimentale di Primo Levi
Autore: Pietro Scarnera
Anno della prima edizione: 2013
Casa editrice: comma22
Pagine: 239




Attraverso un romanzo grafico, l'autore descrive con parole ed immagini la persona di Primo Levi e la sua storia: descrive Levi narratore, colui che scriveva già prima dell'esperienza della deportazione e del Lager, Levi testimone dell'Olocausto attraverso le proprie poesie ed i propri libri, Levi chimico in fabbrica e Levi marito e padre. 
Pietro Scarnera ripercorre i passi stessi di Levi a Torino, città in cui sono nati entrambi; cerca la casa nella quale ha abitato, le fabbriche nelle quali ha lavorato e che ora non esistono più. Riporta le memorie legate ad Auschwitz, ma anche la complessa storia editoriale del suo primo libro, "Se questo è un uomo", dapprima rifiutato  nel 1947 da Natalia Ginzburg e Cesare Pavese ad Einaudi e pubblicato dalle edizioni De Silva, poi ripubblicato dalla stessa Einaudi nel 1958.
Mentre la produzione letteraria di Levi progrediva, arricchendosi di generi diversi, anche la sua carriera lo faceva e lo riportò anche in Germania -dove intanto "Se questo è un uomo" era stato tradotto in tedesco, trasformandosi nel mezzo di accusa che l'autore desiderava.
Il libro lo avevo scritto sì in italiano, per gli italiani, per i figli, per chi non era ancora nato, ma i suoi destinatari veri, quelli contro cui il libro si puntava come un'arma erano loro, i tedeschi. Ora l'arma era carica. 

Scarnera ci racconta l'amicizia con Italo Calvino, il successo editoriale de "La tregua", i racconti di fabbrica che Levi temeva di non saper scrivere, il viaggio di lavoro in Unione Sovietica dove gli operai piemontesi emigrati ispirano il protagonista de "La chiave a stella"; ci mostra le due anime dell'uomo, scrittore e chimico, in bilico tra due mondi che si sforza costantemente di conciliare. 
C'è spazio poi nel terzo capitolo per gli ultimi anni di vita di Levi, che si dedica completamente alla scrittura (anche in qualità di giornalista per La Stampa). Traduce inoltre "Il processo" di Kafka, libro che gli causerà una profonda depressione, per la prima volta confessata: Levi riconosce pubblicamente la propria fragilità, la disillusione che sente nei confronti dello stesso genere umano nel comprendere che dopo i Lager non è sorto alcun mondo migliore.
Il mio lieto fine personale, il fatto di essere riuscito a sopravvivere al lager, mi ha reso stupidamente ottimista. Sembrava assurdo pensare che dal fondo, dalla fossa, dal Lager non dovesse nascere un mondo migliore. Oggi non sono più ottimista. Penso che dal Lager non possa nascere che il Lager.
Della morte di Primo Levi si parla molto, è uno degli aspetti più noti, nonostante non vi siano state esplicite spiegazioni del gesto e l'evento stesso fu avvolto dal mistero e dall'incredulità, tanto contrastava con l'immagine pubblica curiosa e sorridente dell'autore.


Un'autobiografia composta da illustrazioni e testi brevi è un tipo di opera che non avevo mai incontrato e che mi ha convinta moltissimo. In parte perché mi ha fatto scoprire alcuni aspetti della vita di Primo Levi che non conoscevo (specialmente riguardo la sua carriera di chimico, ma anche la traduzione del testo di Kafka), ma soprattutto perché sa essere chiara e poetica allo stesso tempo. In queste pagine i disegni e le parole di Scarnera, che riscopre una Torino anche sua dove le tracce del passaggio di Levi sono in realtà molto sbiadite, rendono in modo vivido la figura di quest'uomo valorizzandone il viaggio di scrittore più dell'esperienza di sopravvissuto, cosa che spesso si tende a non fare e che mi ha colpita. Scarnera rispetta il confine tra figura pubblica e privata, e lo rappresenta anche attraverso l'immagine di una maschera in rame a forma di testa di gufo che lo stesso autore aveva realizzato (visibile sulla copertina); questo evita al libro qualunque tipo di voyeurismo o invadenza, aspetto molto positivo. 
Un altro indiscutibile pregio di un'opera di questo genere è che instilla nel lettore la stessa curiosità che caratterizzava Levi per primo, e fa nascere in desiderio di approfondirne le opere in poesia ed in prosa. Letture che forniscono spunti per altre letture, e che riescono ad insegnarci pagine di storia senza risultare mai didascaliche, sono per me sempre un'ottima scoperta. 



giovedì 1 marzo 2018

Kant e il vestitino rosso

Lamia Berrada-Berca, l'autrice, è figlia di una donna francese ed un uomo marocchino, è nata in Francia ma attualmente risiede in Marocco. Si suppone quindi che conosca bene la realtà delle comunità immigrate in Francia, a cui appartiene la protagonista di questo romanzo, Aminata.


Titolo: Kant e il vestitino rosso
Autrice: Lamia Berrada-Berca
Anno della prima edizione: 2011
Titolo originale: Kant et la petite robe rouge
Traduttrice: Silvia Manfredo
Casa editrice: Edizioni E/O
Pagine: 160



Analfabeta ed orfana, Aminata è giunta a Parigi al seguito del marito, a cui ha dato finora solo una figlia femmina. La realtà della donna è assai deprimente e singolare, molto diversa da quella della maggioranza degli immigrati (presumibilmente nordafricani) presenti nelle città d'Europa: indossa infatti il burqa e della città dove vive conosce in pratica solo i luoghi in cui acquista il cibo e la scuola che frequenta la figlia. Suo marito si aspetta da lei il cibo in tavola, la casa pulita, un corpo con cui soddisfare il proprio desiderio; Aminata non si fa domande, accetta in modo passivo la propria condizione, guarda il mondo da dietro la griglia della sua veste.
Questo accade per anni, finché un giorno nella vetrina di un negozio Aminata vede un abito rosso per il quale prova un desiderio immediato e fortissimo.
Pochi giorni dopo poi, sullo zerbino di un vicino di casa, Aminata trova un libro che parla di Kant, della sua filosofia e delle idee illuministe. Naturalmente Aminata non può leggerlo, ma sua figlia ci prova per lei; bastano quelle poche frasi incomprensibili per entrambe (insieme al pensiero del vestito rosso e la volontà di acquistarlo) a sconvolgere la vita di Aminata e far nascere in lei il bisogno di cambiare la propria esistenza.

Quello di Lamia Berrada-Berca è un racconto che parla di emancipazione e libertà. La condizione di Aminata appare un po' estrema (il burqa, l'analfabetismo, il marito che ritiene i film un insieme di immagini sataniche...) ma offre comunque parecchi spunti di riflessione: un abito, un libro, elementi per me e per molte di noi così scontati, possono essere la miccia per una vera ed auspicabile esplosione.
Un valore aggiunto al racconto è costituito dall'appendice: testi dello stesso Kant, di Voltaire, Montesquieu, George Sand ed altri autori ed autrici sulla tolleranza, il pluralismo religioso e l'emancipazione femminile.