lunedì 21 dicembre 2020

L'uomo che voleva uccidermi

Continua la mia avventura con la letteratura giapponese, che si sta rivelando negli ultimi mesi molto più nelle mie corde di quanto pensassi: questa volta è stato il turno di un romanzo noir, il primo proveniente dal Giappone che mi capita di leggere.


Titolo: L'uomo che voleva uccidermi
Autore: Shuichi Yoshida
Anno della prima edizione:
Titolo originale: Akunin
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttrice: Gala Maria Follaco
Pagine: 336




LA STORIA

Yoshino è una ragazza di poco più di vent’anni che lavora nel campo delle assicurazioni. Ha due buone amiche e dei genitori che le vogliono bene, ma è una ragazza fondamentalmente insoddisfatta: ha infatti una cotta per Masuo, uno studente universitario che però non la ricambia, e così finisce per frequentare degli uomini trovati su un sito di incontri. Una mattina il cadavere di Yoshino viene trovato ad un valico autostradale, e da qui parte l’indagine, che inevitabilmente coinvolge Masuo, ma anche Yūichi, uno degli uomini che la ragazza aveva conosciuto online.


COSA NE PENSO

“L’uomo che voleva uccidermi” è un romanzo dove l’elemento thriller c’è, ma senza essere predominante: i colpi di scena sono piuttosto riusciti, infatti per la prima parte del romanzo si è assolutamente convinti della colpevolezza di un personaggio a riguardo del quale la nostra opinione verrà ribaltata.
Tuttavia quello che è più degno di nota nel romanzo è l’aspetto di denuncia e di critica sociale che l'autore fa della società giapponese, della condizione dei giovani e delle loro relazioni: infatti i personaggi sono molto ben costruiti, a partire da Yoshino, la vittima, che è molto lontana dall’essere la ragazza innocente per la quale è immediato provare empatia e dispiacere. Yoshino è una ragazza a cui viene facile mentire, una ragazza che i suoi genitori in realtà non conoscono e che si sente molto superiore alla maggior parte delle persone che incontra. 

Senza che io lo sapessi, una parte di me desiderava che fosse lui il colpevole. Perché, in caso contrario, mia figlia sarebbe stata assassinata da uno sconosciuto incontrato in circostanze equivoche. E mia figlia non è la persona su cui tv e giornali stanno ricamando. Mia figlia si è messa insieme a un deficiente che va all’università e quello l’ha ammazzata. Mia figlia non può essere uguale a tutte quelle ragazze nauseanti di cui si sente parlare al giorno d’oggi in tv e sui giornali. 

Questi tratti caratteriali la accomunano a Masuo, che è tutt’altro che un personaggio positivo, mentre colui che suscita la vera compassione del lettore è Yūichi: un giovane operaio che è stato abbandonato dalla mamma in tenera età ed è stato cresciuto dagli amorevoli nonni, dei quali oggi si prende cura. In realtà Yūichi si occupa di tutta la comunità di anziani del paese in riva al mare dove risiede ed è un ragazzo di pochissime parole, legato solo alla propria automobile, che cerca i rari contatti umani che ha attraverso Internet. Yūichi non vuole essere una vittima: questa è una frase che emerge piuttosto avanti nel romanzo ma in realtà ne è la chiave, ed è necessario notarla per comprendere il vero senso della lettura. 

C’è troppa gente a questo mondo che non tiene a nessuno in particolare. Chi non ce l’ha, una persona così, tende a credersi invincibile. A pensare che siccome non ha niente da perdere è più forte degli altri. Chi non ha niente da perdere non desidera niente. La gente così è convinta di potersi permettere qualsiasi cosa e guarda dall’alto in basso quelli che invece perdono qualcosa, che nutrono desideri, che gioiscono e soffrono. Ma è un grave errore. 


È a Yūichi dunque che inevitabilmente ci si affeziona; e insieme a lui c’è Mitsuyo, una ragazza che vive con la sua gemella e anche lei sembra intrappolata in un’esistenza che non la soddisfa, al punto di non avere nemmeno desideri, di non sapere neanche quale libro o quale disco comprare quando si reca al supermercato, e che non sa proprio come riempire le giornate libere dal lavoro. L’incontro tra queste due solitudini, anch’esso nato online -e qui è evidente quanto le relazioni virtuali siano al centro di questa trama di legami- darà origine ad una storia d’amore estremamente tenera ma anche estremamente difficile.

Dopo ogni appuntamento si sentiva sola e triste. Avrebbe voluto vederlo ancora. all’epoca aveva immaginato cosa provasse, ma adesso lo capiva fino in fondo. Non solo lo capiva, ma provando le stesse sensazioni si rendeva conto che Tamayo se l’era cavata fin troppo bene. Mitsuyo si sarebbe messa a correre dietro alla macchina. O si sarebbe seduta per terra a piangere e gridare. Pur di stare insieme a Yuichi, sarebbe stata capace di qualsiasi cosa.



"L’uomo che voleva uccidermi" più che un omicidio e di un’indagine, nonostante entrambi gli elementi siano presenti ed importanti, racconta un Giappone di ragazzi smarriti, di ragazzi isolati. La maggior parte dei loro legami è dettata dalla convenienza, spesso c’è una grande ipocrisia che predomina sulle loro relazioni. I loro legami sono basati su incontri occasionali, su conoscenze fatte online dove ognuno può fingere di essere chi vuole e su qualche ora trascorsa nei love hotels, talvolta addirittura in cambio di denaro.

Se si fosse trattato di una prostituta che incappa in un cliente malvagio e viene uccisa, allora la storia avrebbe avuto un che di stereotipato. Ma la donna che era stata uccisa non era una prostituta. Non lo diceva a nessuno, ma era una giovane impiegata di una compagnia di assicurazioni e andava in giro a proporre polizze. Giocava a fare la prostituta, ma non lo era.

I giovani giapponesi che l’autore ci racconta in questo romanzo sono estremamente fragili e questa è la caratteristica del romanzo che più colpisce il lettore: veniamo trasportati in una dimensione molto interessante anche perché non così lontana dalla nostra, per quanto portata forse all’estremo. In conclusione "L’uomo che voleva uccidermi" è un romanzo che mi è piaciuto moltissimo e mi ha appassionata al punto da averlo terminato in pochi giorni. Di certo prossimamente recupererò l’altro romanzo (anch'esso, come questo, pluripremiato in Giappone) che lo scrittore ha già pubblicato!

lunedì 14 dicembre 2020

Notre-Dame de Paris

 Da anni mi riprometto di colmare le mie lacune abissali in fatto di classici; non è facile iniziare, quando si è abituati alla narrativa contemporanea e si è un po’ intimoriti dalla mole di certi volumi. Grazie ad un gruppo di lettura però ho deciso di farmi coraggio e iniziare da qui


Titolo: Notre Dame de Paris
Autore: Victor Hugo
Anno della prima edizione: 1831
Casa editrice: Rizzoli
Traduttore: Fabio Scotto
Pagine: 595


LA STORIA

Nella Parigi della fine del Quindicesimo secolo, si muovono le vite di un arcidiacono, il suo dissennato, giovane fratello, un campanaro affetto da numerose deformità fisiche, un poeta spiantato e una giovane, attraente gitana che danza nelle piazze insieme alla sua capretta. Sono Claude Frollo, Jehan, Quasimodo, Gringoire ed Esmeralda: all’equazione va aggiunto anche Phoebus, un aitante capitano dedito al corteggiamento delle fanciulle. Questi personaggi ruotano attorno alla cattedrale di Notre Dame, e i loro incontri e scontri si riveleranno una miscela esplosiva…


COSA NE PENSO

“Notre Dame de Paris” è il primo grande successo di Hugo, che non aveva ancora trent’anni quando il romanzo fu dato alle stampe. Si trattava di un romanzo storico, che sceglieva di raccontare la città cara allo scrittore in epoca medievale, al tempo del regno di Luigi XI -che spunterà tra le pagine, ritratto in modo non proprio lusinghiero! 

Lo stile del giovane Hugo è ricco di descrizioni, mi sento di premetterlo: un intero capitolo è dedicato alla cattedrale (che è in qualche modo la vera protagonista del romanzo, come si intuisce già dal titolo: immutabile mentre le vite degli umani vanno in pezzi) e un altro alla città vista dall’alto. Vi confesso che tali descrizioni hanno messo a dura prova la mia resistenza, ma poi è stata una grande soddisfazione non essermi arresa!

Parigi è nata, come si sa, in quella antica isola detta poi Cité che ha la forma di una culla. Il greto dell'isola fu la prima cinta della città e la Senna il primo fossato. E per molti secoli Parigi fu l'isola: con due ponti: uno a tramontana, uno a mezzogiorno, e due teste di ponte che gli servivano di porta e di fortezza: il Grand-Châtelet sulla riva destra, il Petit-Châtelet sulla riva sinistra.


Tra le tantissime caratterizzazioni di Hugo, ciò che ha spiccato per me sono stati i protagonisti e le loro umane vicende. Certo, Esmeralda è giovane e ingenua al limite del divenire insopportabile; Phoebus è uno stereotipo del capitano dell’esercito, che beve e va a donne, illudendone una dopo l’altra spezzando loro il cuore. Chi è stato tratteggiato in modo più convincente e sfaccettato è senza dubbio Frollo: un alchimista, un uomo di chiesa, tormentato dalle sue pulsioni più fisiche alla vista della giovane zingara; generoso nei confronti di Quasimodo e del proprio fratellino Jehan, sa essere al tempo stesso (addirittura anche nei loro confronti) un uomo egoista e crudele.

Ghignò ancora di più quando rifletté che di tutte le creature viventi di cui aveva desiderato la morte, l'egiziana, la sola creatura che egli non odiasse, quella era la sola che non gli era potuta sfuggire.


Gli amori raccontati da Hugo non sono amori felici: non lo è l’amore materno della Reclusa a cui è stata rapita la figlia appena bambina, non lo è l’adorazione priva di contegno di Esmeralda nei confronti di Phoebus, non lo è la venerazione del campanaro né quella dell’arcidiacono per la ragazza. Sono amori devastanti, passioni che divampano e distruggono ciò che trovano sul loro cammino: passioni figlie del Romanticismo, che tirano i fili delle vite dei personaggi e li trascinano verso la sventura.

Perché l'amore è come un albero: germina da sé, getta profondamente le sue radici in tutta la nostra vita, e continua spesso a verdeggiare sopra un cuore in rovina. E l'inesplicabile è questo: che più questa passione è cieca, più è tenace: non è mai tanto solida come quando non ha in sé nessuna ragione.

Oltre ai sentimenti che travolgono e prevalgono sulla ragione, l’altro filo conduttore del romanzo è la bellezza: l’aspetto di Esmeralda che abbaglia tutti coloro che la guardano ballare nelle piazze, l’avvenenza di Phoebus che la incanta al punto di farle dimenticare tutto il resto, la deformità di Quasimodo che lo rende ripugnante agli occhi degli altri e lo rende un recluso, a proprio agio solo con le campane e le sculture della cattedrale. E poi, certo, la monumentale maestosità di Notre Dame: edificio dalla magnificenza destinata a durare ben più delle brevi vite dei parigini, capace di offuscare ogni tumulto del popolo e di sopravvivere a tutto ciò che succede ai suoi piedi e tra le sue mura. 


Non posso a cuor leggero consigliarvi la lettura di “Notre Dame de Paris” come se si trattasse di uno snello romanzo di intrattenimento: credo richieda un certo impegno, e il momento giusto per essere letto. Tuttavia se ne siete incuriositi e avete in voi un po’ di motivazione, posso assolutamente dirvi di provarci: vedrete che vi appassionerete alle storie che Hugo racconta, che Quasimodo vi spezzerà il cuore, e che quando avrete terminato questo classico della letteratura francese vi sentirete lettori arricchiti, più consapevoli e perché no, anche più coraggiosi. 

mercoledì 9 dicembre 2020

Jonas Fink

Fumetto che mi era stato regalato ormai più di un anno fa, e che finalmente mi sono decisa a leggere, questa corposa opera ambientata a Praga è stata veramente una scoperta, in grado di riportarmi in una città che ho amato molto.


Titolo: Jonas Fink
Autore: Vittorio Giardino
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Rizzoli Lizard
Pagine: 329



"Jonas Fink - una vita sospesa" è un fumetto diviso in tre parti: la prima dedicata all’infanzia, la seconda all’adolescenza del protagonista e la terza si intitola "libraio di Praga", proprio perché Jonas, diventato adulto, svolge questo mestiere nella capitale della Repubblica Ceca dove è nato e cresciuto.

Quando Jonas è un bambino in Cecoslovacchia è al governo il partito socialista, e questo si concretizza in una vera e propria dittatura che censura le opere letterarie e arresta per motivi politici in maniera arbitraria. Vittima di questi arresti è proprio il padre di Jonas, che viene condannato senza che abbia commesso alcun crimine se non quello di essere un medico ebreo. Jonas cresce dunque con la madre in una condizione di povertà estrema e dal momento che suo padre è considerato un nemico del partito a Jonas sarà impedito anche di frequentare il liceo. È proprio per questo che si metterà a lavorare giovanissimo e dopo delle brevi esperienze in lavori manuali verrà contattato da un libraio che lo assumerà come suo apprendista, lasciando gli poi la gestione del negozio quando a sua volta verrà arrestato perché si sospetta -ed in effetti è vero- che dalla sua libreria vengano messi in circolazione dei libri proibiti.

Al centro della capitolo dedicato all’adolescenza di Jonas c'è Tatjana, l’amore giovanile del ragazzo, che però è figlia di un personaggio di spicco del partito socialista e che quindi sarà costretta ad allontanarsi da Jonas. Nonostante questo e nonostante il passare degli anni che li vedranno separati -Jonas non si muoverà per lungo tempo da Praga, mentre Tatjana sarà costretta a traslocare con la famiglia- i due non si dimenticheranno mai a vicenda e una volta diventati adulti troveranno il modo di rincontrarsi.

Le tavole di Giardino sono colorate, ricche di dettagli e i suoi personaggi hanno volti estremamente espressivi. Sul loro sfondo c’è Praga, una città magica, con il ponte Carlo, con la sua finta tour Eiffel, con le sue stradine, i suoi vicoli, i suoi palazzi colorati: questo per me che ho avuto la possibilità di visitare Praga e me ne sono innamorata e stato un valore aggiunto a questo bellissimo, appassionante fumetto.

Un altro aspetto molto interessante è la centralità della storia della Repubblica Ceca (o Cecoslovacchia, stato che comprendeva anche la Slovacchia fino al 1993): infatti vediamo dapprima la dittatura socialista e poi, quando Jonas è ormai un giovane uomo, la Primavera di Praga con cui i prigionieri politici vengono gradualmente scarcerati e la censura viene abolita, anche se moltissimi cittadini rimangono fedeli al precedente governo. Nell'ultima parte del fumetto invece Giardino illustra l'invasione sovietica della Cecoslovacchia nel 1968, che mise fine al periodo di riforme e diede il via ad un'enorme ondata di emigrazione -della quale fa parte, nel testo, lo stesso Jonas.

"Jonas Fink" è dunque un'opera imperdibile, che unisce la storia di un Paese (non lontano dal nostro, popolare meta turistica eppure poco studiato nei nostri programmi) ad un racconto di formazione davvero molto riuscito. Le citazioni letterarie dei personaggi che hanno avuto un forte legame con Praga poi (Franz Kafka per citarne uno) rendono "Jonas Fink" ancora più irresistibile per gli amanti della lettura! Non posso fare altro che consigliarvi di recuperare al più presto questo fumetto, anche nel caso non siate particolarmente abituati al genere. 

lunedì 7 dicembre 2020

Il volto ritrovato

Wajdi Mouawad è un autore libanese naturalizzato canadese, che scrive principalmente per il teatro; una delle sue opere, “Incendies”, è stata trasformata in un film che ho amato molto, “La donna che canta”. In Italia sono stati pubblicati due dei suoi romanzi; li possiedo entrambi, e ho scelto di iniziare dal meno noto, il suo romanzo d’esordio.


Titolo: Il volto ritrovato
Autore: Wajdi Mouawad
Anno della prima edizione: 2002
Titolo originale: Visage retrouvé
Casa editrice: Fazi
Traduttrice: Antonella Conti
Pagine: 231



LA STORIA

Wahab nasce in Libano, dove quando è soltanto un bambino dolce, che ama gli animali, scoppia la guerra civile. Così Wahab assiste a un attentato che colpisce un autobus, vede i passeggeri bruciare tra le fiamme; e questo episodio segnerà per sempre la sua psiche, anche quando lui e la sua famiglia saranno emigrati in Canada, al punto di rendere Wahab incapace di riconoscere il volto della sua stessa madre dal giorno del suo quattordicesimo compleanno in poi.


COSA NE PENSO

In quarta di copertina, lo scrittore italiano Fabio Geda definisce questo romanzo un noir: viene da chiedersi quale libro gli sia stato proposto di leggere da parte della casa editrice Fazi, perché dubito fortemente che “Il volto ritrovato” possa essere considerato un noir. 

Si tratta piuttosto di un romanzo di formazione, che ha il grande pregio di dare voce in modo credibile a Wahab (narratore in prima persona) nelle varie età della vita: è un ragazzino realistico quando decide di scappare di casa per sfuggire ad una sgridata, quando si perde nelle sue fantasie, poi un giovane altrettanto verosimile quando trova la propria strada nell’arte che gli permette di ricomporre le immagini sconnesse che da tanto tempo gli confondono la mente. 

Tirò fuori dalla sua cartella il suo quaderno di storia, una matita, e, in piedi al centro del mondo, al chiaro di luna, tentò di ritrovare i tratti continui e luminosi di sua madre. Ma Wahab non sapeva disegnare. Non ancora, pensò, basterà esercitarsi, non mollare. Continuare. 

Non tutto il romanzo è a mio parere ugualmente riuscito: in alcuni punti il ritmo non è dei più appassionanti, anche se i capitoli brevi aiutano il lettore a non demordere nella lettura. Le avventure di Wahab sono ai limiti del possibile, e talvolta mi sono ritrovata a chiedermi se non fossero piuttosto metafore di qualcos’altro. 

Il secondo libro che compone “Il volto ritrovato” però è molto più convincente del precedente, anche se più drammatico: seguiamo un Wahab diciannovenne che sotto una bufera di neve si dirige all’ospedale, e il racconto diventa più coinvolgente.

Sui grandi viali cominciò a cadere una neve fine, nella frenesia della chiusura dei negozi e degli ingorghi. Non voglio far parte di questo mondo. Mai. Se sia meglio o peggio, me ne frego. Alzò la testa verso il cielo assente della città. Il grande telo grigio delle nuvole imbavagliava il sole, e la terra, che girava, girava, fece cadere la sera sul volto dei passanti. Bisogna essere dei pazzi scatenati per accettare di vivere, pensò Wahab.


Lo stile di Mouawad è descrittivo, i paesaggi accompagnano la crescita di Mouawad e le sue azioni: la natura nel Canada e il suo tempo atmosferico sono una costante dei capitoli e un loro valore aggiunto. Anche nei dialoghi Mouawad è a proprio agio, fatto comprensibile considerata la sua vasta esperienza nella scrittura per il teatro.

Per quanto non abbia trovato “Il volto ritrovato” un romanzo particolarmente memorabile, nel complesso credo che sia un racconto di formazione piuttosto riuscito, che migliora con il procedere delle pagine, e sono molto curiosa di affrontare prossimamente “Anima”, il più noto dei romanzi dell’autore. 

mercoledì 2 dicembre 2020

Il giro di vite

Siete alla ricerca di una lettura perfetta per le serate di nebbia, in cui avete voglia di un po' di spavento? Una storia di fantasmi che sia breve e appassionante? Allora il consiglio di oggi fa proprio al caso vostro!


Titolo: Il giro di vite
Autore: Henry James
Anno della prima edizione:
Titolo originale: The Turn of the Screw
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttore: Luigi Lunari
Pagine: 199


LA STORIA

Nel corso di una lettura di storie di fantasmi la sera della vigilia di Natale, un giovane di nome Douglas legge ai presenti il contenuto di un manoscritto, lasciatogli dall’autrice ormai deceduta. È proprio lei che, da giovane ragazza, si era trovata a ricoprire l’incarico di istitutrice presso la residenza di Bly, dove si occupava dei piccoli Miles e Flora. È in questa casa che la ragazza ben presto aveva iniziato a scorgere attorno a sé delle inquietanti presenze, interessate soprattutto ai piccoli di cui si prendeva cura…

COSA NE PENSO

Il racconto di Henry James fu originariamente pubblicato a puntate su una rivista, nel 1898. Il suo autore non lo prese particolarmente sul serio: lo considerò uno scritto più che altro per divertimento, lontano dalle opere più importanti come "Ritratto di signora". Nel corso degli anni però, dopo la morte di James, "Il giro di vite" divenne senza dubbio uno dei suoi testi più noti e apprezzati dal pubblico.

Nonostante sia passato più di un secolo dalla sua prima pubblicazione, oggi "Il giro di vite" sa ancora bene come inquietare il lettore: l’ambientazione gotica in questa villa turrita, la solitudine della protagonista senza nome, l’incertezza che ne avvolge il compito e l'enigmatico datore di lavoro, che ad ogni costo deve evitare di contattare. Se aggiungiamo la misteriosa espulsione dell’angelico Miles dal collegio e i decessi da cui sono stati colpiti i precedenti lavoratori di Bly (il maggiordomo Peter Quint, ma soprattutto la precedente istitutrice che aveva una relazione con lui), è facile lasciarsi immediatamente coinvolgere dalla storia e provare dall’inizio un certo, piacevolissimo brivido alla schiena

Ma, per quanto ne so, non è la prima volta che un fenomeno tanto affascinante coinvolge un bambino. Se la presenza di un bambino dà all'effetto un altro giro di vite, che direste di due bambini?...’Diremmo, naturalmente’, esclamò qualcuno, ‘che darebbero due giri di vite. E anche che vogliamo conoscerne la storia’.

Molto è il non detto, nel volutamente ambiguo romanzo di James: poche e non schiaccianti sono le prove dell’esistenza dei fantasmi a Bly (una descrizione accurata di persone che la protagonista non ha mai visto quando erano in vita, una candela che si spegne all’improvviso in una stanza chiusa), potrebbero non dimostrare proprio nulla, e molti sono i dubbi irrisolti. Non sapremo mai perché Miles non può più frequentare la scuola, né il vero significato delle velate minacce alla tata; non sapremo mai cosa è successo a Miss Jessel o al signor Quint, né cosa spinga lo zio dei bambini a disinteressarsi completamente di loro e non volerli mai incontrare.

"Non ve ne ricordate?” parlava con la soave esuberanza tipica dei rimproveri infantili. “Ma era proprio per dimostrarvi che potevo farlo!” “Oh sì, potevi farlo.” “E posso farlo di nuovo.” Sentii che forse, dopotutto, potevo mantenere il possesso delle mie facoltà. “Certamente. Ma non lo farai.” “No, non ancora quello. Quella era una cosa da niente.”

Proprio qui sta la potenza del romanzo: nel suo essere immaginifico, nell’instillare la paura nel lettore e nel lasciarlo in preda ad una profonda confusione, la stessa che si trova a vivere la giovane donna che subisce le apparizioni nella vecchia casa e viene disorientata dal comportamento dei due piccoli, apparentemente angelici eppure inquietanti nelle loro azioni. 

 “Oh, sì, possiamo star qui sedute a guardarli, e loro possono darcela a bere sin che vogliono; ma persino quando fingono d'esser perduti nelle loro fiabe, sono sprofondati nella visione dei morti che ritornano. Lui non sta affatto leggendo,” dichiarai, “stanno parlando di loro... stanno parlando di orribili cose!”

“Il giro di vite” è un racconto di fantasmi estremamente riuscito, che saprà far provare un po’ di timore anche ai lettori più coraggiosi; è anche una lettura breve e molto scorrevole, perfetta per quando siete alla ricerca di un romanzo che vi faccia compagnia in momenti molto impegnati in cui vi distraete facilmente: credetemi, in questo caso non riuscirete a staccarvi dalle pagine!