lunedì 24 febbraio 2020

Il richiamo del cuculo

Ci sono periodi in cui nessun libro sembra quello giusto da iniziare, nessun libro in particolare ci chiama dagli scaffali o dagli espositori di biblioteche e librerie. Confesso che mi capita molto raramente, ma ogni tanto l'indecisione sulla prossima lettura è davvero forte e così mi rifugio in un genere che mi è sempre di grande aiuto: il thriller o il giallo.



Titolo: Il richiamo del cuculo
Autrice: J.K. Rowling (con lo pseudonimo di Robert Galbraith)
Anno della prima edizione: 2013
Titolo originale: The Cuckoo's Calling
Casa editrice: Salani
Traduttrice: Alessandra Casella
Pagine: 550



LA STORIA

Primo libro di quella che è già diventata una serie di gialli (al momento in cui scrivo questo articolo, seguono altri tre titoli già pubblicati e tradotti in italiano), “Il richiamo del cuculo” ha per protagonista l’investigatore privato Cormoran Strike, veterano della guerra in Afghanistan, che si trova ad indagare sulla morte di una giovane modella, Lula Laundry, che è stata archiviata come suicidio. Il fratello della ragazza però si rifiuta di crederci…


COSA NE PENSO

Amo J.K. Rowling da quando, a poco più di dieci anni, scoprii quel libro che stava spopolando tra i miei coetanei: si trattava di “Harry Potter e la pietra filosofale”, appena pubblicato da Salani, e sarebbe stato l’inizio di una grande passione.
La scorrevolezza della scrittrice si fa sentire anche tra le pagine de “Il richiamo del cuculo”, dove però la lingua è meno ricercata, più diretta, per adattarsi al tipo di racconto. Impossibile paragonare il contenuto dei romanzi, una saga apparentemente fantasy che però racconta assai bene la realtà da un lato, un'indagine piuttosto tradizionale dall’altro. Non ci sono infatti elementi che stupiscano granché il lettore ne “Il richiamo del cuculo”: Cormoran è un investigatore non lontano da certi cliché del genere, un veterano di guerra come l’Harry Bosch di Michael Connelly, un uomo tormentato ma integerrimo, alle prese con la fine della propria storia d'amore. 
Uno strano pensiero gli attraversò la mente, mentre fissava il ritratto: che questa fosse la ragione per cui era stato dipinto, perché un giorno i grandi occhi verdeoro di Charlotte lo guardassero mentre se ne andava.
Robin, la sua assistente, è un personaggio femminile per nulla rivoluzionario: resta in secondo piano rispetto a Cormoran, sempre pronta però a dare sfoggio delle sue capacità di accudimento qualora il rude ma sfortunato datore di lavoro dovesse averne bisogno. Qualche mistero sul suo conto rimane irrisolto, presumibilmente per essere sviscerato meglio nelle successive indagini della serie.
Robin era sempre stata affascinata dai processi mentali delle persone: era a metà del corso di laurea in psicologia, quando un incidente imprevisto aveva messo fine alla sua carriera universitaria.
Il fidanzato di Robin poi è lo stereotipo del promesso sposo maschilista, indispettito dal fatto che la compagna lavori per un solo altro uomo dal quale si sente evidentemente minacciato. 
casomai era proprio Matthew a tentare di ricattarla, con il suo continuo battere e ribattere sui soldi che lei avrebbe dovuto guadagnare, insinuando che non stava facendo il proprio dovere. Non si era accorto che le piaceva lavorare per Strike?
I personaggi insomma non sono particolarmente degni di nota, si sarà capito; e anche l’indagine, che ruota attorno al mondo della moda e delle celebrità, non è nulla di strabiliante per chi guarda volentieri serie TV thriller o affini. Dalle mie parole sembrerà che io non abbia intenzione di consigliarvi la lettura de “Il richiamo del cuculo”, ma questo non corrisponde alla verità: credo infatti che possa essere il libro perfetto per i momenti in cui si è alla ricerca di una lettura scorrevole, che appassioni senza che sia necessaria molta concentrazione per comprendere gli avvenimenti, oppure in cui si fatica a trovare il libro giusto per il momento. Io l’ho trovata una lettura adattissima per alcuni giorni di indecisione; questo è stato in grado di tenermi compagnia e di farmi rilassare senza mai diventare noioso o troppo prevedibile -che è proprio quello che io chiedo ai romanzi gialli e similari. Non escludo che in futuro proseguirò la serie dedicata alle indagini di Cormoran Strike, tanto più che ne è stata tratta una serie TV che mi pare molto interessante…

lunedì 17 febbraio 2020

Il silenzio e il tumulto

Un nuovo autore siriano soddisfa la mia curiosità nei confronti degli autori arabi, come sempre scoperto a sorpresa tra le proposte della biblioteca di quartiere. Per la prima volta si tratta di una lettura che non affronta il tema della guerra civile in Siria, bensì della vita quotidiana dei suoi abitanti nel periodo della dittatura che ha preceduto il conflitto.



Titolo: Il silenzio e il tumulto
Autore: Nihad Sirees
Anno della prima edizione: 2014
Titolo originale: As-Samt-wa-as-Sakhab
Casa editrice: Il Sirente
Traduttrice: Federica Pistono
Pagine: 148



LA STORIA

In una torride estate siriana, mentre per le strade rimbomba il tumulto delle manifestazioni in onore del Leader, lo scrittore Fathi Shin (per niente amato dal regime) scopre che sua madre sta per risposarsi con un importante membro del partito e si rifugia, alla ricerca del silenzio, a casa della sua fidanzata Lama -ma la sera una convocazione presso i Servizi Segreti lo attende.


COSA NE PENSO

Quella che ci viene raccontata da Sirees è una giornata nella vita di Fathi Shin, che ha in comune con l'autore siriano la censura operata sui suoi scritti dalla dittatura del suo Paese. Egli infatti ha optato per un esilio volontario nel 2012, e quella che ci racconta è una Siria in tempo di pace, per quanto dominata dalla dittatura militare.
Cammino sul marciapiede, dirigendomi istintivamente verso il centro, dove la folla è ammassata sulle piazze e lungo le strade principali. Percepisco il fragore del corteo attraverso i televisori accesi che incontro lungo il tragitto. Il Leader ha impartito istruzioni molto chiare: le casalinghe che non partecipano alla manifestazione devono seguirla dai propri schermi televisivi; ognuno è obbligato ad alzare al massimo il volume del proprio televisore e a tenere le finestre spalancate, per non incorrere nell'accusa di antipatriottismo. 

La giornata di Fathi Shin si svolge all'approssimarsi del ventesimo anniversario del governo del Leader, il cui nome non viene mai nominato; le strade sono invase dalle manifestazioni in suo onore, le televisioni di coloro che sono impossibilitati ad uscire fanno risuonare l'eco delle celebrazioni e dei discorsi, la calca schiaccia le persone sotto il peso dei corpi e delle cariche della polizia.
Molti manifestanti muoiono durante i cortei e, se non c'è motivo di sospettare la presenza di un crimine, li si considera sacrificati alla gloria del Leader: morire soffocati, o calpestati sotto i piedi della folla durante le cerimonie di partito o le feste nazionali è un fatto banale. 

Lo stile di Sirees è semplice, diretto, composto da frasi e da periodi brevi organizzati in paragrafi che vanno spesso a capo; il romanzo è suddiviso in capitoli e interrompere la lettura per poi riprenderla risulta molto agevole per un lettore impegnato.
L'artificio più esplicitamente letterario a cui Sirees fa ricorso è senz'altro la conclusione aperta della sua opera: dopo un'accurata ricostruzione della vita in Siria prima dello scoppio della guerra civile, sotto la dittatura degli Assad (viene spesso infatti citato il dualismo tra padre e figlio che si presentano in pubblico, talvolta l'uno o l'altro inaspettatamente), si viene lasciati col dubbio relativo alla scelta che si prospetta al protagonista.
Ho trovato il breve romanzo di Sirees molto incisivo, capace di alternare momenti della vita intima di Fathi (la visita alla madre, gli incontri romantici ed erotici con la fidanzata) alla rappresentazione della vita pubblica dei cittadini siriani, capace inoltre di creare un senso di tensione che pervade l'opera e coinvolge il lettore dalla prima all'ultima pagina. 
In conclusione, si tratta di un'opera assolutamente consigliata e purtroppo assai poco nota! Spero di avervi incuriositi ed invogliati alla lettura.

lunedì 10 febbraio 2020

Se i gatti scomparissero dal mondo

Quest'anno vorrei davvero affrontare molti dei libri che sono entrati in casa per poi essere abbandonati sugli scaffali per mesi o, più spesso, per anni. Questo volume è stato fortunato: è rimasto in attesa "soltanto" per sei o sette mesi!




Titolo: Se i gatti scomparissero dal mondo
Autore: Genki Kawamura
Anno della prima edizione: 2012
Titolo originale: Sekai kara neko ga kieta nara
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Anna Specchio
Pagine: 192






LA STORIA

Il protagonista di questo breve romanzo è un giovane giapponese che un giorno scopre inaspettatamente di avere poco tempo da vivere, a causa di una gravissima malattia e com’è ovvio non si sente affatto pronto per morire. Così quando gli si presenta davanti niente meno che il Diavolo in persona, anche se con addosso una camicia hawaiana, il ragazzo accetta il suo patto: guadagnerà un giorno di vita ogni volta che acconsentirà a far scomparire dal mondo qualcosa. E così il pianeta dovrà rinunciare ai telefoni, ai film… ma sarà possibile riservare lo stesso oblio anche ai gatti?





COSA NE PENSO


Gli autori giapponesi hanno un modo molto particolare di raccontare le loro storie: con un lessico semplice creano atmosfere sospese tra il sogno e la realtà, lasciando che situazioni quotidiane creino il pretesto per affrontare argomenti profondi e spesso filosofici. Per quanto sia tutt’altro che esperta di letteratura asiatica, ho già provato questa sensazione con i romanzi di Banana Yoshimoto e di Murakami Haruki, e l’ho riconosciuta nel corso di questa lettura.
“Se i gatti scomparissero dal mondo” è suddiviso in sette capitoli, ognuno dedicato ad un giorno della settimana in cui il protagonista si trova ad avere a che fare con il Diavolo e il patto con lui stipulato; ognuno di essi è dedicato ad una rinuncia ed alle conseguenze che essa ha sulla vita del ragazzo e su coloro che lo circondano.
In appena vent’anni i cellulari erano diventati dei veri «mai piú senza», prendendo il pieno controllo del genere umano. Creandoli abbiamo creato la scomodità del non averli. Ma forse si poteva dire lo stesso delle lettere. Di internet, di tutto! Ogni volta che gli uomini inventano qualcosa, ne sacrificano un’altra. Adesso che la ripensavo in questi termini, capivo perché Dio avesse accettato la proposta del Diavolo.
La morte incombente e il dover fare a meno a poco a poco di ciò che si riteneva essenziale fino ad un attimo prima diventano il pretesto per parlare di sentimenti e di ciò che è davvero fondamentale nella vita. Con uno stile semplice e spiritoso l’autore riesce a raccontare i rapporti familiari, la perdita della madre e come questa ha incrinato i rapporti con il padre, lasciando il protagonista solo al mondo con il suo gatto Cavolo. Questo offre al lettore la possibilità di riflettere su tematiche che fanno parte della vita di ognuno di noi -gli amori, i distacchi, il perdono- e rende il libro meno superficiale, dopo una parte iniziale meno convincente, troppo concentrata a strappare un sorriso al lettore.
Che cosa avevo guadagnato, e che cosa avevo perso, diventando adulto? Non avrei mai potuto riavere le emozioni e i sentimenti provati in passato, e per qualche motivo quel pensiero mi aveva travolto con un’ondata di tristezza irrefrenabile. Ricordo di aver pianto senza ritegno.
“Se i gatti scomparissero dal mondo” non è un romanzo impeccabile, né particolarmente memorabile: ha però una copertina davvero attraente a cui pochi lettori amanti dei gatti sapranno resistere, e vi farà comunque trascorrere qualche ora piacevole in sua compagnia. Non ve lo consiglio se siete alla ricerca di un libro rilassante e spensierato, perché la tematica della morte imminente è di certo centrale; se però amate i libri un po’ surreali e gli autori asiatici, potrebbe fare al caso vostro.

lunedì 3 febbraio 2020

La ferrovia sotterranea

Quando frequentavo l'università, la mia professoressa di Antropologia Culturale mi propose la lettura di "Amatissima" di Toni Morrison. Quel romanzo mi colpì in un modo inaspettato, ed ancora oggi è il mio riferimento in materia di letteratura sul tema della schiavitù dei neri negli Stati Uniti.
Approfondire il tema però mi interessa, ed è per questo che ho deciso di leggere un recente, pluripremiato romanzo.



Titolo: La ferrovia sotterranea
Autore: Colson Whitehead
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: The Underground Railroad
Casa editrice: SUR
Traduttrice: Martina Testa
Pagine: 376



LA STORIA

Cora è una giovane donna schiava in una piantagione nel Sud degli Stati Uniti; sua madre, Mabel, è nota come l'unica schiava ad essere mai riuscita a far perdere le proprie tracce ai cacciatori di schiavi, e nessuno sa dove sia. Dopo molte violenze subite, anche Cora fuggirà dalla piantagione insieme a un altro schiavo di nome Caesar, grazie alla "ferrovia sotterranea": una vera e propria rete ferroviaria che sotto terra conduce gli schiavi fuggiaschi verso il Nord del Paese, nel tentativo di conquistare la libertà. Ma quel treno sarà solo l'inizio di una lunga, difficile e spesso drammatica avventura...

COSA NE PENSO

La "ferrovia sotterranea", così come descritta da Whitehead in questo romanzo (veri treni fatti di carrozze e vagoni che transitano su binari, lunghi tunnel sotterranei che collegano uno Stato americano all'altro), non è mai esistita. Storicamente però il concetto di "ferrovia sotterranea" non è un'invenzione, bensì indica la rete di abolizionisti che nel corso del 1800 aiutava schiavi fuggiaschi degli Stati del Sud a dirigersi a Nord per guadagnarsi la libertà, sostendoli attraverso itinerari segreti, luoghi sicuri, sostegno elargito sotto forma di cibo o di denaro.
A partire da un ricordo d'infanzia, quando il termine di "ferrovia sotteranea" evocò nella mente di Whitehead un'immagine vivida e concreta, l'autore dà così vita ad un vero e proprio sistema ferroviario che attraversa gli Stati Uniti e grazie alla quale gli schiavi nel Sud sperano di ottenere una vita finalmente libera.
A un certo punto le bambine fecero per salire in soffitta, ma poi ci ripensarono dopo una discussione sulle abitudini e le usanze dei fantasmi. In effetti in casa un fantasma c'era, che però con le catene, da far sferragliare o meno, aveva chiuso.
Quello di Whitehead è un romanzo molto ricco; descrive infatti in modo piuttosto dettagliato le condizioni di vita degli schiavi delle piantagioni di cotone (Cora infatti vi è nata, così come sua madre Mabel; era stata sua nonna ad essere rapita dall'Africa e ridotta in schiavitù nel continente americano), le terribili violenze a cui vengono sottoposti, come milioni di esseri umani venissero considerati pura e semplice merce.
Dalla fuga di Cora e Caesar in poi, tuttavia, l'aspetto descrittivo e psicologico diminuisce; mentre nella prima parte del romanzo viene spontaneo provare empatia per la protagonista, l'attenzione si sposta poi sul suo rocambolesco tentativo di sfuggire al cacciatore di schiavi che la insegue senza sosta -ricorda infatti ancora molto bene sua madre Mabel, l'unica schiava che non sia mai stata ritrovata.
Cora diede tre calci in faccia a Ridgeway con le sue scarpe di legno nuove. Pensò: Visto che il mondo non muove un dito per punire i malvagi. Nessuno la fermò. In seguito disse che erano stati tre calci per tre persone uccise, e raccontò di Lovey, Caesar e Jasper per farli rivivere ancora per un attimo nelle sue parole. Ma non era vero. I calci erano stati tutti per lei.
Whitehead ci descrive una peregrinazione attraverso diversi Stati, una Carolina del Sud distopica dove sulla popolazione nera vengono messi in atto esperimenti scientifici e sterilizzazioni forzate (molto simili a quelle davvero attuate nei campi di sterminio nazisti) nascosti dietro la facciata di possibilità che viene loro offerta.
Lei dormì male. Negli ottanta letti a castello le donne russavano e si muovevano sotto le lenzuola. Erano andate a letto credendosi libere dal controllo e dagli ordini dei bianchi. Credendo di essere padrone della propria vita. Ma venivano ancora raggruppate e addomesticate. Non pura merce come prima, ma bestiame: da allevare, da sterilizzare. Da chiudere in dormitori che sembravano stie per i polli o conigliere.
Molta importanza viene data da Whitehead alle ambientazioni, a ciò che circonda Cora, a ciò che avviene attorno a lei e la coinvolge talvolta totalmente, talvolta soltanto in parte. Ci sono bianchi che sostengono la sua causa, bianchi a cui non importa nulla, bianchi che invece sono convinti dell'inferiorità di quelli come lei.
Cora in tutto questo però sembra ricoprire un ruolo di secondo piano, e questo è l'aspetto che ho meno apprezzato in un romanzo che mi aspettavo avrebbe toccato delle corde intime e profonde, mentre invece rimane piuttosto in superficie
Il personaggio meglio caratterizzato è Mabel, la madre di Cora, e soprattutto il mistero che ruota attorno alla sua sparizione: mentre gli schiavi fuggiaschi vengono catturati e seviziati pubblicamente prima di essere uccisi (come monito per gli altri schiavi, e come spettacolo di intrattenimento per gli schiavisti), Mabel è l'unica di cui nessuno ha saputo più nulla. E nessuno tranne il lettore saprà davvero quale è stato il suo destino, in un artificio davvero ben costruito.
Ci sono inoltre tra i lati positivi del romanzo interessanti riflessioni sul ruolo degli schiavi neri e dei loro discendenti negli Stati Uniti, sul ruolo che essi hanno dovuto ricoprire all'interno della società e sulle difficoltà che il Paese (diviso sulla questione dell'abolizionismo) ha dovuto affrontare. L'aspetto storico non è mai didascalico nel romanzo di Whitehead, ma viene percepito nel contesto in modo molto efficace.
Agli irlandesi e ai tedeschi dava fastidio fare quel lavoro da negri, o la sicurezza del compenso cancellava il disonore? Tra i filari di piante i bianchi senza un soldo erano subentrati ai neri senza un soldo, solo che alla fine della settimana i bianchi un po' di soldi ce li avevano. A differenza dei loro simili dalla pelle più scura, potevano estinguere il loro contratto grazie al salario accumulato e cominciare una nuova vita.
Insignito del prestigiosio premio National Book Award e del Premio Pulitzer, senza ombra di dubbio "La ferrovia sotterranea" è un romanzo ben scritto; che però ha soddisfatto solo parzialmente le mie aspettative per via del suo risvolto da romanzo d'azione e avventura.
Se quindi siete interessati alla tematica della schiavitù negli Stati Uniti e siete indecisi sul titolo dal quale cominciare... vi consiglio di leggere "Amatissima" di Toni Morrison!