giovedì 27 settembre 2018

Fantasie di stupro

Le raccolte di racconti sono un genere con il quale non ho ancora familiarizzato granché: l'unica esperienza negli ultimi anni è stata la lettura di "Dal tuo terrazzo si vede casa mia", opera prima di uno scrittore italiano di origine albanese che mi ha colpita positivamente e ha suscitato la mia curiosità verso il catalogo della casa editrice Racconti Edizioni che lo ha pubblicato. 
Tra i vari titoli ho scoperto una raccolta dell'autrice canadese Margaret Atwood, della quale avevo apprezzato molto "Il racconto dell'ancella", e ho deciso che sarebbe stata la mia prossima lettura.

Titolo: Fantasie di stupro
Autrice: Margaret Atwood
Anno della prima edizione: 1977, 1982
Titolo originale: Dancing Girls and Other Stories
Casa editrice: Racconti edizioni
Traduttrice: Gaja Cenciarelli
Pagine: 303




Leggendo questa raccolta di racconti, ho provato di nuovo la sensazione di non comprenderne il contenuto. Concludendo alcuni di essi, ad esempio "Guerra in bagno" o "L'uomo venuto da Marte", mi sono davvero chiesta dove Margaret Atwood volesse andare a parare, quale dovesse essere la sensazione lasciata dal racconto in questione al lettore: io sono stata pervasa unicamente da una grande confusione.
La maggior parte delle protagoniste create dalla Atwood sono donne; solo due sono i punti di vista maschili, Morrison e Rob, rispettivamente protagonisti dei racconti "Polarità" e "Allenamento". Entrambi sono uomini con difficoltà relazionali: Rob è il terzo figlio di una famiglia di medici nella quale si sente il fallito, quello non all'altezza, e l'unica persona con cui instaura un legame è una bambina gravemente disabile della quale si occupa durante un campo estivo; Morrison invece è un uomo solo, capace di provare amore per una donna solo qualora essa sia vulnerabile, malata.
Capì che voleva solo la Louise disperata e pazza, quella privata di qualsiasi obiettivo o difesa. Una Louise sana, che potesse giudicarlo, non sarebbe mai stato in grado di gestirla. Quindi era questa la ragazza dei suoi sogni, alla fine aveva trovato la sua donna ideale; una disintegrazione, la mente che tornava ai frammenti costitutivi della propria materia, una creatura sconfitta e informe su cui potesse imporsi come la vanga sulla terra, l'ascia nella foresta, da usare senza essere usato, da conoscere senza essere conosciuto.
L'amore in questi racconti non è mai spensierato, non è mai soddisfacente: frequenti sono i tradimenti o il sospetto che questi siano avvenuti, come nei racconti "Le vite dei poeti" e "Sottovetro". In quest'ultimo, la protagonista pur consapevole di essere stata tradita dal compagno e provando per questo un grande dolore non riesce ad evitare di fare ritorno da lui.
Una relazione spirituale con te, ha detto lui, e puramente fisica con le altre. Col cazzo! Cosa crede che abbia visto in lui all'inizio, la sua anima fuori dal comune? "Vado a fare un po' di spesa" dico. […] "Vuoi che torni?"
Alcune delle donne dei racconti della Atwood sono annoiate, insoddisfatte. Tra esse c'è Annette, scrittrice di reportage da luoghi esotici, protagonista di "Articolo di viaggio": nemmeno un disastro aereo riesce a scuoterla. Come lei sono le protagoniste del racconto che dà il titolo alla raccolta, "Fantasie di stupro": un titolo che mi è parso uno specchietto per le allodole, molto più pruriginoso di quanto in realtà il racconto non sia, nell'elencare una sorta di fantasie erotiche che riguardano episodi difficili da definire violenze sessuali. Infine c'è Jeannie che in "Dare alla luce" rielabora l'esperienza della propria maternità, dalla gravidanza al travaglio fino alla nascita vera e propria della bambina che portava in grembo.
Altre sono donne anonime, insignificanti: la protagonista di "L'uomo che veniva da Marte" suscita l'interesse altrui solo quando viene perseguitata da uno stalker, mentre quella di "Ballerine" osserva ciò che avviene nella stanza in affitto accanto alla sua senza parteciparvi in alcun modo.
 

Di proposito scelgo di nominare per ultimi i racconti che davvero mi sono piaciuti: "Gioielli per capelli", "Quando succederà" e "Il quetzal splendente".
Nel primo, una donna ormai adulta e realizzata ricorda un amore di gioventù che non ha mai dimenticato per via della sua conclusione inaspettata, nonostante da tempo si preparasse ad un finale per quella relazione giovanile.
Sicuro di non rivolere tutto, quella miseria, quei palazzi marcescenti, quella disperazione e quel vuoto così seducenti, quella paura? Sicuro di non volere restare attaccato al fango delle strade di Boston per sempre? Dovevi stare più attento.
In "Quando succederà", una moglie cinquantenne osserva il mondo attraverso una finestra, preparandosi a qualcosa di pericoloso ed indefinito che sta per arrivare e stravolgere la sua realtà. La donna immagina il futuro scenario tenendosi pronta a tutto, e questo racconto pare l'anticipazione ad un romanzo distopico che mi sarebbe piaciuto leggere.
All'inizio diventerà semplicemente tutto più silenzioso. Lei avrà la strana sensazione che qualcosa non va ma passerà qualche giorno prima che sia in grado di focalizzare cosa. Poi noterà che gli aerei non staranno più volando verso l'aeroporto di Malton, e che il rumore dell'autostrada, a circa tre chilometri di distanza, che risulta piuttosto nitido quando gli alberi sono spogli, sarà quasi scomparso.
Infine una menzione la merita "Il quetzal splendente": una coppia in crisi, piena di rabbia e risentimento reciproco, trascorre una vacanza in un sito di rovine precolombiane. Mentre lei immagina la sua vita dopo un'eventuale morte del marito, lui immagina di sacrificarla in un rito antico tipico del luogo; in un racconto ricco di cinismo e di negatività, entrambi cercano a modo loro di elaborare il lutto mai superato per il loro bambino nato morto.
La sua bugia sugli uccelli era una delle molte bugie che tenevano in piedi tutto quanto. Aveva paura di affrontarla, perché sarebbe stata la fine, tutte le messinscene sarebbero crollate e loro sarebbero rimasti tra le macerie, a guardarsi in faccia. Non avrebbero avuto nient'altro da dirsi e a questo Edward non era ancora pronto.
Nel complesso, devo dirlo: non consiglierei questa raccolta. Ho pensato più volte di interrompere la lettura prima di averla portata a termine, poi un racconto più convincente degli altri mi spingeva a proseguire. Tuttavia nell'insieme non ne sono rimasta soddisfatta, in pochissimi passi ho provato delle vere emozioni nei confronti di ciò che stavo leggendo, molto diversamente da quanto mi era capitato nella lettura de "Il racconto dell'ancella".
Se affronterò ancora un'opera di Margaret Atwood, certamente darò la precedenza ai suoi romanzi!

giovedì 20 settembre 2018

Ausmerzen

Da anni sono incuriosita dallo spettacolo di Marco Paolini intitolato "Ausmerzen" che tratta del progetto Aktion T4, ossia dello sterminio dei disabili fisici e mentali che venivano considerati "mangiatori inutili", "vite indegne di essere vissute" dagli esponenti del partito nazista. Una volta scoperto che a partire da tale spettacolo è stato poi scritto un libro, non ho esitato a leggerlo.




Titolo: Ausmerzen
Autore: Marco Paolini
Anno della prima edizione: 2012
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 176




LA STORIA


Il saggio di Paolini ricostruisce la storia del progetto Aktion T4, ispirato dalle teorie dell'eugenetica di fine '800: da Lombroso che pensava di poter identificare criminali o affetti da ritardo mentale a partire dai tratti somatici, a Graham Bell (sì, l'inventore del telefono) che progettava la sterilizzazione dei non udenti.
Tali teorie trovarono terreno fertile nell'ideologia nazista, desiderosa di espandere la pura razza ariana (basti pensare al progetto Lebensborn -raccontato in forma romanzata da Sarah Cohen-Scali nella sua opera "Max") ed estirparne ogni contaminazione da parte di popoli ed etnie considerati inferiori. Prima dell'Aktion T4 infatti ci furono le sterilizzazioni di massa; nel 1939 poi si passò allo sterminio vero e proprio, che tra morti per fame ed iniezioni letali mise fine nel giro di soli due anni alla vita di 70'273 persone. 
Tuttavia non finì affatto così: dalle cosiddette "case di cura" che con la cenere dei forni crematori e il numero dei necrologi cominciavano ad attirare troppa attenzione, lo scopo del progetto Aktion T4 continuò ad essere perseguito nei campi di sterminio.

Marco Paolini in una scena dello 

COSA NE PENSO


Ero davvero molto interessata al tema del libro di Paolini, nei confronti del quale nutrivo alte aspettative: quando infatti mi sento ignorante nei riguardi di un tema, non vedo l'ora di poter scoprire di più e colmare le mie lacune
Ricordare è oggi un gesto di educazione, una sfida personale alla dittatura del presente che ci fa tutti informati e distratti, condannati a oblio repentino. Ricordare ci fa più solidi in un mondo liquido. Ricordatevi di Grafeneck, la prima a cominciare, novemilaottocentotrentanove vite trattate. Ricordatevi di Brandenburg, la prigione, novemilasettecentosettantadue vite trattate. Ricordatevi di Hartheim, diciottomiladuecentosessantanove vite trattate. Ricordatevi di Sonnenstein, tredicimilasettecentoventi vite trattate. Ricordatevi di Bernburg, ottomilaseicentouno vite trattate. Ricordatevi di Hadamar, diecimilasettantadue vite trattate. Trattate male. Nessuna morte pietosa, molta paura, molto inganno. 

Non posso affermare che questo testo non sia interessante, che non mi abbia fornito spunti di riflessione e numerosi dati dei quali non ero a conoscenza; tuttavia la sensazione generale che ne ho ricavato è che all'opera di Paolini manchi l'anima. Ciò che ci racconta prende la forma di brevi capitoli, di elenchi di avvenimenti e di nomi, colmi di atrocità e di dramma che però non riescono davvero a colpire in profondità. Paolini cita spesso Primo Levi, in particolare il suo celeberrimo "Se questo è un uomo", ma neanche lontanamente ne raggiunge la capacità di narratore.
Molto probabilmente il problema nasce dal fatto che Paolini lavori principalmente per il teatro: la sua forza espressiva sul palcoscenico avrà di certo dato vita ad uno spettacolo memorabile su questi temi (non ho ancora abbandonato del tutto l'idea di vederlo), mentre invece questa magia non è avvenuta sulla carta. 
Degni di nota sono gli sforzi di Paolini per far riflettere su quanto la Storia non sia mai davvero passata, su quanto sia necessario far caso alle atrocità del presente per non ripetere quelle già commesse. Anche qui, tuttavia, non arriva in profondità.
Non è archeologia, questa. Non è archeologia se ogni giorno rischi di inciampare in una frase razzista o in un abuso o in un maltrattamento che poi giustifichi con un parametro. Perché il vecchio è legato al letto? Non c'è personale, certo, e quindi a malincuore lo devi legare. Perché li teniamo un anno in un centro di accoglienza come in un lager? Cosa facciamo? Sono troppi, non ci servono, sono diventate bocche inutili da sfamare, non ce la facciamo. Sono parametri. I parametri non sono chiari, non li abbiamo scelti, ma nel momento in cui cominciamo a lasciarli passare, noi come bravi cittadini di Hadamar vediamo fumo ogni tanto, ma ci stiamo abituando.

Consiglio in conclusione questa lettura soltanto come opera di saggistica a coloro che vogliano approfondire l'argomento, suggerendovi però di non avvicinarvi ad esso aspettandosi grandi emozioni: io infatti ne sono rimasta del tutto distaccata per l'intera lettura, che nel complesso mi ha parecchio delusa. 

lunedì 17 settembre 2018

Lions

Libri che ti scavano dentro sono rari, e quelli che sanno farlo a poco a poco, senza raccontare avvenimenti eclatanti o storie dalle ricche trame lo sono ancora di più. Uno di questi è "Lions", senza dubbio.




Titolo: Lions
Autrice: Bonnie Nadzam
Anno della prima edizione: 2016
Casa editrice: Black Coffee
Traduttore: Leonardo Taiuti
Pagine: 269
 
 
 
LA STORIA
Leigh e Gordon frequentano l'ultimo anno di liceo e vivono a Lions, una cittadina del Colorado vittima della crisi economica al punto da essersi quasi completamente spopolata. Restano aperti un bar, un diner gestito dalla madre di Leigh, l'officina di John Walker, padre di Gordon. Quest'ultimo è un uomo integerrimo e silenzioso, dedito al lavoro, che spesso sparisce per giorni recandosi a Nord e senza rivelare a nessuno quale sia la sua vera destinazione.
Quando un giorno un uomo misterioso fa la sua comparsa a Lions, una catena di eventi nefasti pare innescarsi e così la vita di Gordon e Leigh, che pareva già scritta lontano da Lions, al college di qualche grande città, prende una direzione del tutto diversa.


COSA NE PENSO
Lions è un romanzo di fantasmi, come già lo stesso incipit rivela.
Se avete mai amato davvero qualcuno, saprete che c’è un fantasma in ogni cosa. Visto la prima volta, lo vedete ovunque.
È un romanzo sulla nostalgia, la nostalgia di un futuro che si è tanto desiderato e non è mai arrivato, oppure arriva ma si rivela molto diverso dalle aspettative.
"Lions" è un romanzo sull'importanza di certe promesse, come quella che Gordon fa al padre e segna il destino di un ragazzo fin troppo simile al suo genitore, legato a Lions in modo indissolubile, e ancor di più alla propria personalissima etica. È un romanzo sull'insoddisfazione, quella di Leigh che sogna costantemente un altrove dove realizzarsi, che sogna un fidanzato più energico e socievole di Gordon, un fidanzato meno prigioniero dei propri fantasmi, ma in fondo i fantasmi hanno messo radici anche in lei.
La fece voltare e lei appoggiò la birra sul davanzale marcio della finestra e gli intrecciò le dita dietro la schiena. Nella loro intimità c’era una linea che ancora non avevano oltrepassato e, sebbene Gordon si fermasse sempre un attimo prima, dicendo che ormai appartenevano l’uno all’altra, che non dovevano avere fretta, ogni volta Leigh aveva la sensazione che volesse dire altro: che, nonostante fosse sua, lui non le appartenesse del tutto. Si conservava per qualcos’altro, appena al di fuori della sua portata.
I personaggi che popolano Lions sembrano anime, più che persone; li circondano racconti dal sapore mitico su coloro che hanno fondato la città, su coloro che hanno perso la vita attraversando il Paese nella speranza di scoprire un luogo migliore dove stabilirsi. Restano i ricordi di una grandezza agognata e mai raggiunta, quando il nome di Lions doveva ricordare l'imponenza dei leoni di montagna -che nessuno ricorda di avere mai visto-, prima che fosse un teatro di desolazione e di abbandono.
Là dove un tempo c’erano cipolle selvatiche e patate dolci, bufali, antilopi, orsi e corsi d’acqua pieni di pesci, infatti, i primi abitanti di Lions si immaginarono bestiame, grano, trogoli, case costose. all’arrivo dell’uomo l’ambiente diventò inospitale, il sole ostile, la terra inconsistente, sottile, secca come pula. L’errore di quella gente non fu non capire quanto sarebbe stato arduo trasformare quel luogo in un giardino, bensì non accorgersi che lo era già al suo arrivo.
Bonnie Nadzam è un'autrice dal linguaggio descrittivo, capace di evocare i paesaggi che descrive, gli edifici, i gesti di ognuno dei suoi personaggi. Il suo Colorado è privo del calore che circonda la Holt di Kent Haruf, negli abitanti di Lions alberga una sorta di paralisi, insieme alla presenza costante anche di coloro che se ne sono già andati -e sembrano restare, appunto, come fantasmi ad influenzare le scelte di chi resta.
Lions non è un romanzo ricco di avvenimenti, né una storia che lascia col fiato sospeso; ha un ritmo lento, che ricalca quello delle vite di chi si muove tra il diner e le poche case ancora abitate, tra le strade deserte e l'officina. La pacatezza del romanzo ben riproduce l'abbandono della cittadina, la sua immobilità, e la capacità dell'autrice è quella di rendere vive le sue atmosfere, di dare corpo ai suoi fantasmi e creare un'opera convincente, poetica ed appassionante, che vi consiglio assolutamente.

giovedì 13 settembre 2018

Ritorno ad Haifa

Ghassan Kanafani, autore palestinese, trova purtroppo poco spazio sugli scaffali delle librerie di oggi ed anche nelle biblioteche della mia città è necessario mettersi d'impegno per recuperare le sue opere. Mesi fa sono rimasta folgorata da "Uomini sotto il sole", romanzo breve scritto nel 1963, che narra il dramma dell'emigrazione dalla Palestina occupata al Kuwait. Da allora desidero approfondire la produzione di questo scrittore, e finalmente oggi ho un nuovo titolo di cui parlarvi.



Titolo: Ritorno ad Haifa
Autore: Ghassan Kanafani
Anno della prima edizione: 1969
Titolo originale: 'A 'id ila Haifa
Casa editrice: Edizioni Lavoro
Traduttrice: Isabella Camera d'Afflitto
Pagine: 55



LA STORIA

Nell'aprile 1948, i palestinesi di Haifa furono obbligati ad abbandonare la propria città, le proprie case con all'interno tutto ciò che contenevano, per vederle riassegnate ai coloni che avrebbero costituito da allora il popolo israeliano. Quasi vent'anni più tardi, due di quei palestinesi costretti all'esilio (Said e sua moglie Safiya) ritornano ad Haifa per rivedere quella casa lasciata da tanto tempo, alla ricerca del bene più prezioso che, nella concitazione, vi avevano abbandonato loro malgrado: il figlio neonato Khaldun, mai ritrovato nonostante le disperate ricerche.
Da quasi vent'anni nella loro casa abita Miriam, ebrea sopravvissuta ai lager nazisti; a lei e il marito (ormai scomparso) è stata assegnata quella casa, ma è stato anche loro affidato il neonato che vi si trovava, al quale hanno dato il nome Dor e che hanno cresciuto come un figlio -nonostante i suoi veri genitori fossero proprio Said e Safiya, che il ragazzo tratta con tanta durezza non appena li incontra.

Palestinesi costretti a lasciare Haifa, 1948 (fotografia UNRWA)

COSA NE PENSO

"Ritorno ad Haifa" è un racconto capace di illustrare il dramma della Nakba ("al-nakba" in lingua araba significa "catastrofe", ed è il termine adoperato per indicare l'esodo palestinese del 1948). Da allora migliaia di persone sono state tramutate in profughi, costrette a dipendere dagli aiuti delle Nazioni Unite, obbligate a vagare negli Stati limitrofi sperando di poter tornare presto alle proprie case -per poi rendersi conto che non sarebbe mai successo.
Proprio la sofferenza dei palestinesi scacciati è l'elemento di maggiore forza di questo testo, insieme al personaggio di Miriam: quando infatti Said e Safiya la incontrano, non si trovano davanti un nemico, bensì una donna lei stessa vittima di un'atrocità della Storia che non riescono a ritenere davvero colpevole. 
Said fece un sorriso amaro. Non sapeva come spiegarle che non era venuto per questo, che non voleva mettersi a fare una discussione politica, e che sapeva che non era colpa sua. "Non è colpa sua?". No, non proprio. Come spiegarglielo?

Mentre Miriam tuttavia non assume alcun atteggiamento conflittuale nei confronti di Said e Safiya, il personaggio davvero aggressivo nei loro confronti è Dor, quel ragazzo che è nato da bambino arabo ed è cresciuto da soldato israeliano, credendo i propri genitori biologici -e l'intero popolo palestinese- colpevole di estrema vigliaccheria. Nonostante sia forse troppo freddo e distaccato davanti all'incontro con coloro che lo hanno generato, Dor rappresenta perfettamente l'indottrinamento delle forze militari d'Israele, ed è il fattore scatenante che fa comprendere a Said (il quale esprime il pensiero dell'autore Kanafani) quanto sia necessaria la resistenza e la lotta per riconquistare ciò che è stato rubato al popolo di Palestina.
Said replicò: "Non c'è niente da dire. Per quanto la riguarda, forse tutta questa faccenda è un fatto sfortunato, ma la storia è storia e, venendo qui, noi l'abbiamo intralciata. Le confesso, a proposito, che quando siamo andati via da Haifa tutto ciò sembrava provvisorio. Sa una cosa, signora? Credo che il prezzo lo pagherà ogni palestinese, so che molti hanno pagato con i loro figli, e ora so che anch'io ho pagato con un figlio, il modo strano, ma anch'io ho pagato… Questa è stata la mia prima quota, ed è una cosa che sarà difficile spiegare."
Nella sua brevità, il racconto di Kanafani fornisce un quadro chiaro ed efficace degli avvenimenti del 1948 e delle sue conseguenze sulle persone coinvolte. A differenza di "Uomini sotto il sole", una volta terminata questa lettura ne ho tratto un senso di forza e di combattività, ed approfondendo la questione ho scoperto infatti che mentre il primo appartiene al cosiddetto periodo pessimista dell'autore, nel quale egli non credeva che la causa palestinese potesse avere speranza, "Ritorno ad Haifa" appartiene ad un momento successivo nel quale la sua fiducia di poter lottare per cambiare le cose era aumentata. Sappiamo purtroppo che la condizione della Palestina non è affatto migliorata come Kanafani avrebbe sperato; tuttavia per onorarne la memoria e l'impegno leggere le sue opere ed approfondire la storia del suo Paese natale mi sembra la decisione migliore. 

lunedì 10 settembre 2018

Ragazze elettriche

Ci sono libri di cui si parla come appartenenti ad una corrente di letteratura femminista: mi vengono in mente le opere di Simone De Beauvoir, Margaret Atwood, Toni Morrison. Ho sentito parlare di "Ragazze elettriche" come di un romanzo femminista, promotore dell'indipendenza e dell'emancipazione femminile. Dopo averlo terminato, non sono completamente convinta che lo si possa ritenere tale.






Titolo: Ragazze elettriche
Autrice: Naomi Alderman
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: The Power
Casa editrice: Nottetempo
Traduttrice: Silvia Bre
Pagine: 446






LA STORIA


In seguito alle sostanze rilasciate nell'atmosfera nel corso della Seconda Guerra Mondiale, diversi decenni dopo ricompare sui corpi delle giovani donne un fenomeno di cui vi era già stata traccia nella storia: una matassa capace di generare energia elettrica, localizzata all'altezza delle scapole.
La vicenda, narrata in forma metaletteraria (uno scrittore infatti apre il romanzo, scrivendo lui stesso dei fatti), è costituita dalle conseguenze del fenomeno a livello mondiale ed il lettore la segue attraverso i punti di vista di quattro diversi personaggi: Roxy, figlia di un malavitoso e motivata dal desiderio di vendetta per l'omicidio della madre; Allie, ragazza in affidamento che si ribella alle violenze subite e fonda un culto di giovani donne; Margot, politica in carriera, ed infine Tunde, reporter nigeriano, unico maschio a ricoprire un ruolo di primo piano.
Questo romanzo di basa sul rovesciamento dei ruoli, e sull'evidenziazione delle conseguenze dello squilibrio nella distribuzione del potere tra i sessi: una volta diventate infatti pericolose quanto gli uomini, sono le donne ad incutere timore, a perpetrare violenze ed abusi, a sminuire gli esponenti dell'altro sesso.
"Adesso lo capiranno," urla una donna nella videocamera di Tunde, "che sono loro quelli che non dovranno uscire di casa da soli la notte. Sono loro quelli che dovranno avere paura".

Lo strapotere delle donne si diffonde nel mondo, a partire da Stati come l'Arabia Saudita dove il risentimento del genere femminile è altissimo; con il passare del tempo le conseguenze per gli uomini sono sempre più drammatiche, al punto di privarli della loro stessa indipendenza.
"Pertanto, oggi promulghiamo questa legge, secondo la quale ogni uomo del paese sarà tenuto ad avere il passaporto e gli altri documenti ufficiali timbrati col nome della sua guardiana. Per qualunque viaggio sarà necessario un permesso scritto rilasciato da lei. […] Agli uomini non è più permesso di guidare automobili."

COSA NE PENSO


Questa proiezione distopica fa riflettere soprattutto sull'attualità: leggendo di questo rovesciamento di ruoli, pare agghiacciante; ma quante donne nel mondo sono sottoposte ogni giorno a violenze e non hanno i più basilari diritti, come quello di decidere della propria vita? A quante donne vittime di violenza viene detto che se la sono andata a cercare (sul tema vi consiglio il romanzo di Louise O'Neill, intitolato proprio "Te la sei cercata"), che addirittura a loro sarebbe piaciuto
Una lo aveva fatto ad un ragazzo perché lui glielo aveva chiesto: questa storia suscita un grande interesse tra le altre. Possibile che ai ragazzi piaccia? È mai possibile che lo desiderino? Alcune di loro avevano trovato su internet vari forum in cui si sosteneva che era proprio così. 

Le riflessioni che questo libro ha suscitato in me sono l'aspetto che mi fa dire che l'intento di far discutere con una storia così ad effetto sia stato raggiunto dalla Alderman. Tuttavia il testo in questione ha anche un grosso limite: la caratterizzazione dei personaggi. Infatti a nessuno dei protagonisti ci si affeziona veramente, i capitoli sono più che altro un susseguirsi di azioni dal ritmo sempre più concitato, ma lo spazio per le emozioni è davvero ridotto ai minimi termini. L'autrice, che dichiara in chiusura il proprio debito di riconoscenza nei confronti di Margaret Atwood, è ben lontana dal creare personaggi profondi e ben costruiti come difred, protagonista de "Il racconto dell'ancella".
In conclusione, la più recente opera di Naomi Alderman (e l'unica che io abbia letto finora) non è riuscita a convincermi completamente. La consiglio tuttavia perché può essere un ottimo strumento per riflettere su quanto saremmo tutti indignati qualora le vittime e i subalterni dovessero essere gli uomini, e su quanto di conseguenza sia ancora necessario il femminismo; come ci ricorda anche Chimamanda Ngozi Adichie nel suo recente "Dovremmo essere tutti femministi" però, ciò è molto diverso da una semplice inversione dei ruoli. 

giovedì 6 settembre 2018

Non lasciamoli soli

Come vi anticipavo nel post dedicato ad "Appunti per un naufragio", nel periodo estivo ho completato due letture dedicate al tema delle migrazioni contemporanee. La prima è il poetico romanzo di Enia, la seconda invece un saggio molto più diretto ed esplicativo di cui sto per parlarvi.





Titolo: Non lasciamoli soli
Autori: Francesco Viviano e Alessandra Ziniti
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: chiarelettere
Pagine: 181





LA STORIA


In questo caso specifico, la Storia di cui stiamo parlando non è un'invenzione, né la storia di un individuo. Sono molte storie quelle contenute nel saggio dei due inviati del quotidiano "La Repubblica": la storia dei naufragi nel Mediterraneo negli ultimi decenni, le scelte politiche dei governi italiani a partire dal governo Berlusconi fino agli accordi del ministro Minniti con la Libia, le tragedie dei respingimenti e delle torture subite dai migranti nelle carceri libiche, i processi agli aguzzini identificati dai superstiti. Ci presentano inoltre l'unica opzione possibile per salvare migliaia di vite umane e non riscoprirci umani in prima persona, noi cittadini del cosiddetto Primo Mondo: i corridoi umanitari, che permettano a coloro che hanno diritto alla protezione internazionale di entrare in modo sicuro in un Paese europeo.




COSA NE PENSO


"Non lasciamoli soli" è un saggio composto da quattordici brevi capitoli, indipendenti tra loro, preceduti da un'introduzione dell'ex sindaco (o si dovrà scrivere sindaca?) di Lampedusa Giusi Nicolini
Non aspettatevi un'opera letteraria dal linguaggio ricercato o evocativo come quello che potrete trovare nel romanzo di Enia che ho citato in apertura di questo post. Questo saggio ha un taglio giornalistico, immediato e diretto; per quanto riguarda lo stile dei due autori mi sento anche in dovere di dire che non è stato un elemento da me molto apprezzato. 
Tuttavia si tratta di un'opera che ritengo riesca nell'intento per il quale è stato scritto e pubblicato: fornisce infatti una panoramica esaustiva per coloro che si approcciano per la prima volta al tema della situazione attuale di violenze, torture, ricatti e stupri che i migranti si trovano a vivere nelle prigioni della Libia. 
Gli orrori veri e propri che troviamo descritti nei capitoli di questo libro sono difficili da immaginare per un lettore, ma conoscerli è necessario. Attraverso le testimonianze dei sopravvissuti, colme di traumi e di sofferenze, ci rendiamo conto leggendo delle proporzioni di questo tremendo fenomeno, nuova strage della Storia dopo l'Olocausto. 
Particolarmente straziante è stato per me il capitolo "Il ponte verso la libertà", soprattutto nella parte dedicata ai piccoli superstiti siriani (nonostante rispetto a molte delle altre storie contenute nei saggi si possa quasi definire a lieto fine): mi ha ridotta in lacrime, e nel complesso questa lettura non mi ha trasmesso certo un senso di benessere. Si tratta infatti di un testo che, una volta terminato, lascia dietro di sé un'angoscia intensa, un profondo senso di impotenza: ma ha il grande pregio di ricordarci che nessuno di noi è innocente, se non prende posizione davanti a ingiustizie di questa portata.