giovedì 5 aprile 2018

Max

Di romanzo contemporaneo che ripercorre il periodo nazista in Germania ho già letto quest'anno "Le assaggiatrici" di Rosella Postorino, che mi ha sorpresa e del quale vi ho parlato qui. In quel caso le protagoniste erano donne incaricate di assaggiare il cibo destinato ad Hitler evitando così potenziali attentati alla sua vita; il romanzo di oggi invece tratta del progetto Lebensborn, finalizzato all'espansione della razza ariana in Europa, e mi incuriosiva da molto.




Titolo: Max
Autrice: Sarah Cohen-Scali
Anno della prima edizione: 2012
Casa editrice: L'ippocampo
Pagine: 445






LA STORIA



Il protagonista di questo romanzo è dapprima un feto, poi un neonato, poi un bambino. Concepito all'interno del progetto Lebensborn negli anni Trenta del Novecento, figlio di un ignoto tedesco e di una donna che ha scelto (più o meno consapevolmente) di offrire al partito il suo primo bambino, lui corrisponde agli standard che il Führer desidera: capelli chiarissimi, occhi azzurri, un corpo promettente dalle misure perfette. Nasce e cresce per i suoi primi anni in un Heim destinato al progetto, che si riempie sempre più di nuovi neonati; la donna che lo ha messo al mondo e si è occupata di lui per i primi mesi di vita viene poi allontanata di colpo, perché il compito di tutte quelle volenterose donne naziste non è quello di fare le madri, ma soltanto quello di partorire
L'infanzia di Max (nome scelto per lui dalla sua madre biologica, ma in realtà sostituito poi da quello ufficiale di Konrad) è diversa da quella dei piccoli nati nello stesso Heim: non viene infatti adottato come la maggior parte di loro, né destinato ad esperimenti come quelli rivelatisi non conformi. Sin dalla più tenera età viene strumentalizzato per svolgere compiti per il partito nazista, ad esempio viene trasferito in Polonia con il ruolo di adescare bambini polacchi dai tratti ariani perché vengano strappati alle loro famiglie e tedeschizzati per ingrossare le fila del progetto Lebensborn. Una volta cresciuto la sua destinazione è una prestigiosa Napola, dove bambini ed adolescenti ariani vengono educati al diventare perfetti soldati nazisti attraverso l'educazione fisica e l'indottrinamento; ma gli anni passano, e per il regime nazionalsocialista il vento sta cambiando. Qualcosa cambia profondamente anche in Max alla Napola, luogo che condivide con Lukas, un ragazzo polacco il cui vero nome è Lucjan, che grazie alla sua perfezione fisica secondo i canoni nazisti ha passato la selezione e viene addestrato con i tedeschi: in Max, che non ha mai provato affetto o attaccamento nei confronti di nessuno, Lukas risveglia un'emotività prima sconosciuta.

Stanza dei giochi in una residenza del progetto Lebensborn a Godthaab, Norvegia.
Fotografo sconosciuto, Riksarkivet Norwegen.

CHE COSA NE PENSO

I punti di forza di questo romanzo non sono pochi. Innanzitutto la nascita e la crescita di Max (al quale, sarà per via del titolo, mi è parso impossibile riferire i pensieri sotto il nome di Konrad) ripercorrono l'ascesa ed il declino del Reich nazionalsocialista in modo estremamente convincente: Max nasce lo stesso giorno del Führer, è neonato e poi bambino durante l'espansione del regime che si impossessa delle terre circostanti e progetta l'unione dei popoli ariani per il dominio di quelli considerati inferiori. Poi l'avanzata si ferma, e le notizie sulle disfatte militari filtrano a poco a poco anche nel romanzo, soprattutto per bocca di Lucjan-Lukas, oppositore dall'inizio e per sempre poiché polacco, ebreo, figlio di una madre deportata ai campi di sterminio e mai più rivista.
Molto interessanti sono le informazioni sul poco noto progetto Lebensborn, e le nozioni sul sistema educativo che si prefiggeva di tedeschizzare gli ariani di altre nazionalità e crescerli secondo le aspirazioni del regime. Mentre Max rappresenta il più entusiasta dei giovani, intrepido e volenteroso, indottrinato sin dal grembo materno, vi sono anche punti di vista alternativi: naturalmente quello di Lucjan, determinato a contribuire al fallimento del progetto, ma anche quello di ragazzini come Manfred, timido ed indifeso, sostanzialmente inadatto a ricoprire il ruolo di valoroso Superuomo come il partito si aspetterebbe da lui e dagli altri.
Nonostante il fatto che si stia parlando di un romanzo per lo più convincente e molto coinvolgente, anche se dal ritmo non sempre ugualmente incalzante, non posso definirlo privo di difetti. Innanzitutto la narrazione, svolta interamente dal punto di vista di Max-Konrad, inizia in utero (come nel celebre "Nel guscio" di McEwan, che tuttavia vi rimane) per poi proseguire durante il parto e negli anni successivi; il linguaggio di Max mi è parso se devo essere sincera spesso inutilmente sboccato. Forse l'obiettivo è rendere l'idea di Max che sin da subito desidera porsi come un essere forte, più grande della sua età, ma resta comunque un linguaggio mai in linea con quello di un bambino e quindi a mio parere stonato, specialmente quando si tratta di sessualità.
Altre ingenuità le ho ritrovate in avvenimenti della trama, ma le elencherò al di sotto dell' immagine al termine di questo paragrafo, perché contengono spoiler che potrebbero in qualche modo rovinare la lettura a chi dovesse ancora intraprenderla.
Nel complesso comunque questo romanzo mi è piaciuto, perché è stato in grado di unire un'avventurosa storia di amicizia (adatta ad un pubblico di lettori più giovani) a numerosi elementi storici relativi alla Seconda Guerra Mondiale, spesso anche poco noti e quindi molto interessanti per lettori curiosi di tutte le età. 

Bambini giudicati ariani in una residenza del progetto Lebensborn, 1939
Foto dall'archivio Gamma-Keystone
!ATTENZIONE SPOILER!
Tra i diversi elementi non molto credibili, tre sono quelli che ho ritenuto più eclatanti. In ordine cronologico, il momento della selezione in cui Lucjan viene graziato nonostante il proprio comportamento ribelle solo perché Max interviene chiedendo che sia risparmiato in quanto desidera un fratello: nonostante sia indiscutibile il ruolo privilegiato di cui Max ha sempre goduto, mi è parso poco realistico pensare che ad un soggetto così insubordinato sarebbe stata evitata l'esecuzione in un sistema così rigido e punitivo.
In secondo luogo c'è la fuga stessa di Lucjan (e Max) dalla Napola, proprio quando viste le sue azioni si è deciso di eliminarlo. Mi è parso molto improbabile che i due ragazzini sarebbero potuti davvero fuggire fino a raggiungere la città di Berlino, ma di certo è funzionale alla trama così come lo è stato il salvataggio di cui sopra, senza il quale nulla sarebbe potuto avvenire.
L'ultima ingenuità è anche quella che mi è sembrata meno necessaria: l'incontro, nella cantina, tra Max e la "signora bionda" che conserva ancora la sua fotografia perché guarda caso è proprio la donna che lo aveva partorito. Nonostante questo incontro prima, e la morte di Lucjan per mano di un sovietico poi, inneschino in Max il meccanismo di presa di coscienza di quanto gli è capitato, credo che non sia stato un elemento così decisivo e di certo si tratta del più impossibile tra i tanti che si sarebbero potuti inserire nella trama.



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