lunedì 20 maggio 2019

Pronti a tutte le partenze

Ho scoperto Marco Balzano con il romanzo "Resto qui", vincitore di numerosi premi letterari (e noto anche per essersi classificato secondo allo Strega 2018). Di "Resto qui" vi ho già parlato sul blog: si tratta di un romanzo che mi è piaciuto moltissimo, e da quel momento ho deciso di leggere il resto della produzione di narrativa dell'autore.




Titolo: Pronti a tutte le partenze
Autore: Marco Balzano
Anno della prima edizione: 2013
Casa editrice: Sellerio
Pagine: 209




LA STORIA

Giuseppe è un insegnante di lettere precario della provincia di Napoli che ha superato la trentina; sta andando a convivere con la sua fidanzata e attende l'assegnazione della cattedra per il nuovo anno scolastico. Tuttavia nulla andrà secondo i suoi piani: la fidanzata infatti gli confesserà di essere innamorata di un altro uomo, e nessuna cattedra resterà disponibile per lui. Offertagli allora la possibilità di una supplenza di qualche mese a Milano, Giuseppe lascia il paese natale e si trasferisce al Nord, ospite prima di un'anziana zia e poi in un appartamento condiviso con tre ragazzi di diverse nazionalità ed occupazioni.



COSA NE PENSO

Rispetto alla voce narrante di Trina in "Resto qui", il racconto in prima persona di Giuseppe è molto meno coinvolgente. Si tratta di un'opera ancora acerba, dove non mancano gli elementi di ispirazione autobiografica: Balzano è infatti oltre che scrittore insegnante di Lettere, e dunque conoscerà assai bene il mondo del precariato -ed è molto capace nel riportarlo sulla pagina.
Lei, come dice Ungaretti, sia «pronto a tutte le partenze». E si ricordi che l’unica cosa che non ci si può permettere in questa situazione è perdere il buon umore.
Oltre al mondo della docenza Balzano racconta la vita difficile dei ricercatori, delle tesi di dottorato e degli assegni così rari e preziosi, del mondo accademico dove la competizione è spietata e i rapporti non sempre trasparenti.
Provaci e vendi sempre cara la pelle. Se fai un compito eccellente e se i membri della commissione avranno ognuno il proprio protetto e non riusciranno a mettersi d’accordo può anche scattare la legge che passa lo sconosciuto... – disse col suo riso misurato e amarognolo.
Il protagonista del romanzo, Giuseppe, è un ragazzo giovane e non molto fortunato; ha origini modeste, genitori che non hanno studiato e non hanno mai lasciato Calvanico, che quando vanno a trovarlo a Milano trovano incomprensibile la grande città. 
Io mi sono laureato, Antonio invece è andato a lavorare dopo il diploma. Oggi hanno quasi settant’anni. Due persone all’antica, niente di speciale. Una vita all’autolavaggio mio padre, che poi quindici anni fa si è riuscito a comprare perché il proprietario era pieno di debiti e gliel’ha venduto per quattro soldi. Da qualche anno lo aiuta Aziz, un turco con la moglie rom («Aziz, com’è che tutti tu li tieni gli impiastri della razza?» gli dice per sfottere). E mamma Rosalia, una casalinga che ha visto poco, quasi niente del mondo. Però due persone solari, capaci di fare sacrifici con una scrollata di spalle.
Anche i processi migratori sono per loro difficili da capire, così come lo sono per un personaggio più giovane che sembra somigliare loro, Tarzan -un vicino di casa di Giuseppe che sembra essersi rassegnato alla costante ricerca di lavoro, ma che si dimosterà capace di farsi valere più di quanto non lo sia Giuseppe per tutto il romanzo.
Gli altri personaggi del romanzo (l'anziana zia che ama la canasta e si addormenta davanti alla TV, il marocchino Mohamed che sente la mancanza della moglie, non ha il permesso di soggiorno e lavora in nero in un ristorante, il cinese in carriera Ye) non restano a dire il vero molto impressi, anche se le loro interazioni sono piacevoli da leggere, talvolta riescono a toccare il tema del razzismo ma molte altre si limitano a far sorridere il lettore.
La letteratura stessa ha però un ruolo da protagonista in "Pronti a tutte le partenze": ogni capitolo infatti ha per titolo una citazione dantesca, e i riferimenti letterari abbondano in ogni capitolo; la passione per la letteratura sembra l'unica costante nella vita di Giuseppe, l'unico appiglio a cui un giovane precario, sballottato in qua e in là dagli incontrollabili avvenimenti della vita, sembra potersi aggrappare.
Sì, perché quando studiavo Dante mi sentivo una persona migliore. Più vivo e intelligente. Come se un riflesso di quella luce che lui riusciva a descrivere e vivificare arrivasse fino al mio silenzio e alle mie scontentezze.
Nel complesso ho trovato "Pronti a tutte le partenze" una lettura scorrevole, un buon ritratto di una parte di giovani italiani alla ricerca del proprio posto nel mondo del lavoro; la storia di Giuseppe però, le sue vicende amorose, le sue amicizie, non sono riuscite davvero a colpirmi. Per questo se doveste scegliere un unico libro di Balzano da leggere subito, continuerei a consigliarvi senza ombra di dubbio "Resto qui" -che mi è parsa oggi una dimostrazione dell'enorme crescita delle capacità dello scrittore!

giovedì 16 maggio 2019

Danze di guerra

La casa editrice NN ha pubblicato alcuni libri che sono stati tra le mie migliori letture del 2018: mi riferisco alla Trilogia della pianura di Kent Haruf e a "Salvare le ossa" di Jesmyn Ward. Ormai dunque mi aspetto grandi cose dai titoli che scelgono di portare sul mercato, e devo dire che le speranze che riponevo in questa raccolta di racconti non sono state per niente deluse.



 Titolo: Danze di guerra
Autore: Sherman Alexie
Anno della prima edizione: 2009
Titolo originale: War Dances
Casa editrice: NN Editore
Traduttrice: Laura Gazzarrini
Pagine: 201



Ventitré sono i brani che compongono questa raccolta: in alcuni casi si tratta di veri e propri racconti, in alcuni casi invece di brevi poemi, talvolta di bizzarre interviste destrutturate -dove alla domanda corrisponde una risposta che parla assolutamente di tutt'altro.
Sherman Alexie parla delle proprie origini di nativo americano e le trasferisce sui suoi personaggi (ad esempio l'uomo protagonista di "Furto con scasso", che viene percepito come bianco ma non si sente affatto tale). Mette se stesso nelle sue narrazioni, il proprio padre alcolista, elementi autobiografici mescolati ad altri di fantasia -difficile per un lettore distinguere gli uni dagli altri. 
Volevo chiamare mio padre per dirgli che un bianco pensava che il mio cervello fosse magnifico. Ma non potevo dirgli nulla. Era morto. Dissi a mia moglie e ai bambini che stavo bene. Lo dissi a mia madre e ai miei fratelli. Lo dissi agli amici. Ma nessuno rise tanto di gusto per il mio cervello magnifico quanto avrebbe fatto mio padre. Mi manca, quell'ubriacone bastardo. L'uomo che sentirò sempre più vicino è quello che in assoluto mi ha deluso di più.
I poemi contenuti in questa raccolta superano raramente la trentina di versi sciolti, fanno uso solo in poche occasioni delle rime baciate, e con poche parole riescono ad essere folgoranti, di grande effetto, e a proporre contenuti in cui è improbabile non riconoscersi
Mi sorprendono sempre / quelle coppie, / amanti e sposi, / che giocano e chiedono / agli altri di giocare / al gioco delle sedie / ogni volta che, per / un caso nei posti assegnati, / si trovano separati / l'uno dall'altra.
[...]
Ma, ah, ecco / la strana verità: / ogni volta che mi chiedono / di cambiare posto / per l'amore di qualcun altro, / lo faccio, lo faccio sempre.

Tra i racconti ci sono narrazioni capaci di spezzare il cuore: "Sale" è senza dubbio una di queste; lascia senza fiato, ad empatizzare e soffrire per l'anziana protagonista e le vicende che la riguardano. Alexie la racconta con pungente ironia, la arricchisce di osservazioni al limite dell'esilarante, ma l'inumidirsi degli occhi è quasi inevitabile.
Gli altri che ho preferito sono "Danze di guerra", "Furto con scasso" e "Il figlio del senatore" : hanno tre protagonisti maschili, uomini fragili, tormentati dai loro fantasmi: un omicidio avvenuto per una tragica fatalità, la malattia del proprio padre, l'omosessualità del proprio migliore amico.
C'è un tratto che accomuna tutti i diversi elementi raccolti in "Danze di guerra": a partire da avvenimenti del quotidiano (un necrologio da scrivere, un'infrazione domestica, un incontro in aeroporto) Alexie fa scaturire nel lettore riflessioni su temi chiave come la solitudine, l'identità, la realizzazione personale
Un'indiana di una certa età, una Sioux, scrittrice, studiosa e ciarlatana, era venuta a parlare dell'indipendenza e della letteratura degli indiani. Insisteva sul fatto che esistesse un qualche tipo di identità letteraria indigena, il che era paradossale visto che stava parlando in inglese a una stanza zeppa di professori bianchi. Ma non ero arrabbiato con quella donna, e neppure annoiato. No, ero dispiaciuto per lei. Ho capito che stava morendo di nostalgia. La nostalgia era diventata il suo falso mito -la sua coperta sottile- e la stava uccidendo.
Questo pluripremiato scrittore ha uno stile semplice ed evocativo, che nasconde però significati più profondi da ricercare con attenzione -soprattutto nei testi in poesia, dove un serpente apparentemente morto è molto più di ciò che sembra, o almeno questo è ciò che ho percepito io. 
I mortali hanno sempre sfidato gli dèi / e affrontato tempeste epiche per amore e/o desiderio. / Quindi non aver paura di dire chiaramente / che hai risposto alla chiamata della bellezza. / E anche se il tuo trionfo è stato modesto, / puoi ancora celebrare la tua odissea di adolescente.
Ho scoperto grazie a questa raccolta un autore che cercherò senza dubbio di approfondire; preferendo i romanzi ai racconti devo dire che non è stato un colpo di fulmine come per Kent Haruf, tuttavia nel corso della lettura mi sono trovata a riflettere sui suoi contenuti più volte e questo è indizio di un libro che lascia il segno. Anche a chi non è particolarmente amante delle raccolte di racconti, quest'operà potrà senz'altro piacere molto -è infatti priva di quei racconti "riempitivi" che spesso si incontrano in simili pubblicazioni, e potete essere certi che ogni narrazione che andrete a leggere abbia la sua ragione e il suo scopo.

lunedì 13 maggio 2019

Sirene

Qualche volta ascolto podcast online sulla letteratura, e recensioni di libri su Youtube. Uno dei giovani recensori che seguo con maggiore interesse è Gaetano Pagano, che parla in maniera davvero convincente di letture lontane dai riflettori -aspetto che amo, cercando di evitare per quanto possibile i best sellers del momento. È grazie a lui che ho scoperto questo breve romanzo che per genere è molto lontano dai libri che scelgo di solito; la recensione che ne aveva fatto mi aveva incuriosita e così eccoci qui.



Titolo: Sirene
Autrice: Laura Pugno
Anno della prima edizione: 2007
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 145





LA STORIA

In un futuro imprecisato, ma non troppo lontano dal nostro, il genere umano ha scoperto le sirene sui fondali marini: creature simili ai dugonghi quando maschi, ma corrispondenti alla figura fiabesca per metà donna e per metà pesce quando femmine. Gli umani hanno reso queste ultime specie da allevamento per la carne, prodotto estremamente pregiato da quando il Fronte di Liberazione combatte per i diritti delle sirene; ne ha inoltre rinchiusi altri esemplari nei bordelli in modo che gli uomini più facoltosi possano provare l'ebbrezza di accoppiarsi con loro
Una sirena selvatica in piscina era uno status symbol, e tra gli yakuza c'era chi amava esibirsi davanti a un pubblico scelto mentre si accoppiava con la selvatica, mentre la domava, come si diceva in gergo. Anche legate, le sirene potevano essere pericolose.
Le sirene non sono l'unico elemento di diversità in questo mondo immaginario: il sole è diventato pericoloso e causa una malattia mortale definita cancro nero, che uccide le persone facendo perdere loro la pelle un brandello dopo l'altro.
Il protagonista di questa storia è Samuel: ha perso la donna che amava per via del cancro nero e ora è un uomo in bilico, disposto a tutto, un impiegato nei macelli dove ci si procura la carne di sirena. Un giorno però la pelle lucida di una di loro lo tenta, e il giorno previsto per l'accoppiamento si sostituisce ad uno dei maschi... mettendo in moto qualcosa che sarà molto difficile da fermare: il concepimento di Mia


COSA NE PENSO

"Sirene" è un romanzo d'esordio che attinge alla narrativa giapponese e al mondo dei manga, come dichiara la stessa autrice nell'elenco di letture a cui si è ispirata. Abbiamo infatti personaggi di origine giapponese che gravitano attorno a Samuel, appartenenti alla yakuza ed in quanto tali estremamente pericolosi.
L'autrice costruisce in poche pagine un universo disturbante: i malati di cancro nero, ormai in punto di morte, si accalcano negli edifici o sulle spiagge e attendono l'ultimo respiro. L'ultima frontiera della trasgressione sono le sirene, di cui cibarsi o con le quali accoppiarsi a caro prezzo; non c'è rispetto per questa forma di vita, trattata come gli animali nei peggiori allevamenti, e Samuel non è migliore degli uomini che lo circondano, anche per via dei numerosi traumi che hanno caratterizzato la sua vita. 
La tuta aveva preso il suo odore, dolce, vegetale, di vaniglia. Giorno dopo giorno quell'odore era diventato più forte, era entrato in casa di Samuel e ci era rimasto, anche adesso che Sadako era morta e casa sua era vuota, disabitata, morta a sua volta. A volte, quando gli capitava, per una qualsiasi ragione, di calarsi nell'acqua delle vasche, gli sembrava di essere tornato da lei. 
Le scene di cui si rende protagonista sono spesso per stomaci forti, il suo senso morale è a dir poco discutibile: dopo aver concepito Mia, cerca di renderla il più simile possibile alla sua ex fidanzata defunta riproducendole sul corpo gli stessi tatuaggi. Finisce poi per accoppiarsi anche con la sirena che lui stesso ha contribuito a generare -difficile ricorrere a termini come genitorialità, in questo romanzo.
Mia chinò la testa e la massa muscolare dei capelli le coprì il viso. Samuel allungò le dita verso di lei, aspettandosi da un momento all'altro che il morso della sirena gliele staccasse di netto. Ma non accadde. Mia si limitò a voltare il viso dall'altra parte, schivando il tocco di Samuel.
"Sirene" è un libro breve che entra a pieno titolo nel genere del new weird (secondo la definizione di Jeff Vandermeer, autore della Triologia dell'Area X di cui ho letto Annientamento): per me, che prediligo le letture completamente realistiche, non è stato entusiasmante
Tuttavia ne ho apprezzato gli aspetti più critici nei confronti della nostra realtà, che non è così distante in fondo da quella descritta da Laura Pugno in questo universo: "Sirene" ci ricorda quanto sia importante la libertà, e fa riflettere sul trattamento che riserviamo alle creature considerate inferiori alla specie umana.

giovedì 9 maggio 2019

Pet Sematary

Un nuovo Stephen King tra le mie letture, impaziente come sono di vederne la nuova trasposizione in arrivo a giorni sul grande schermo. Dopo essere rimasta impantanata ne "L'ombra dello scorpione" (senza desistere, ma prendendomi numerose pause...), finalmente ho trovato un romanzo del Re che si fa a dir poco leggere tutto d'un fiato!



Titolo: Pet Sematary
Autore: Stephen King
Anno della prima edizione: 1983
Casa editrice: Sperling&Kupfer
Traduttrice: Hilia Brinis
Pagine: 425




LA STORIA

Louis Creed è un giovane medico e padre di famiglia che si trasferisce con la moglie, i due bambini e il loro gatto Church in una località del Maine, Ludlow, vicina all'università dalla quale è stato assunto. Il lavoro sembra perfetto per lui e anche la nuova casa, se non fosse per la presenza di una strada statale molto trafficata che costituisce un serio pericolo e per il cimitero degli animali, in cima ad una collina, dove gli amici a quattro zampe dei cittadini vengono sepolti da decenni. Proprio su questo luogo di sepoltura circolano diverse leggende che il vicino di casa, l'anziano Jun, non esita a raccontare... ma si sa, ogni leggenda contiene un fondo di verità!

Jason Clarke in una scena del film "Pet Sematary"  

COSA NE PENSO

"Pet Sematary" è innanzitutto un romanzo molto drammatico: non soltanto di orrore si tratta, ma anzi ancora più del dolore. Le vite raccontate in "Pet Sematary" infatti ruotano attorno al lutto: quello per un animale domestico tanto amato, quello per un'anziana moglie, per una sorella malata e quello, ancor più insopportabile, per un bambino che ha tutta la vita davanti a lui...
Stephen King racconta il dolore che colpisce chi resta, e l'impossibilità di rassegnarsi davanti ad una scomparsa per la quale non si era preparati; racconta la disperazione che spinge a ricorrere ad ogni scappatoia, ad ogni risorsa pur di non accettare la realtà. Ma è davvero possibile beffare la morte?
Se non è forse possibile, ci si può perlomeno provare in un luogo come Ludlow, che offre un terreno a dir poco magico: un antico cimitero di nativi americani, i Micmac, che ben ne conoscevano i poteri in grado di far tornare indietro dalla morte. I corpi sepolti nel cimitero dei Micmac infatti escono dai loro tumuli e ritornano nel mondo dei vivi; ma non senza conseguenze.
La morte è sempre un argomento spinoso, ma Stephen King si dimostra molto capace nel trattarlo: fonde infatti i traumi del passato di Rachel (la moglie di Louis) perseguitata dal ricordo della malattia e del decesso della sorella Zelda, alle tragedie che colpiscono la famiglia Creed nel suo presente nel Maine. Unisce a sentimenti di dolore del tutto reali gli elementi fantastici e dell'orrore che contraddistinguono le sue narrazioni, e che creano attorno a Louis Creed un mondo da incubo nel quale i morti possono tornare in vita... ma sotto forme ben diverse dagli esseri che erano stati sepolti.
Louis Creed è un protagonista davvero riuscito, un uomo reale, una persona più che un personaggio; è un uomo fragile, che a tutti i costi vorrebbe proteggere i suoi familiari ma che deve fare i conti con la propria fallibilità. Louis Creed è un uomo che sbaglia, che commette errori e pur essendone consapevole non impara da essi, anzi li ripete in una spirale che procede sempre di più verso le tenebre.
"Pet Sematary" è un romanzo che cattura i lettori sin dalla prima pagina e li spiazza con incredibili colpi di scena; è un romanzo in cui gli amanti del Re dell'orrore troveranno pane per i loro denti, grazie ai demoni che tormentano Jun e Louis, le loro scelte e le loro conseguenze. Non posso fare altro che consigliarvelo!

lunedì 6 maggio 2019

Giorni senza fame

Idealmente, mi piace scoprire gli autori a partire dai loro romanzi d'esordio. In realtà questo è un proposito che vorrei rispettare, ma molto più spesso finisco per recuperare l'opera prima degli scrittori dopo averne apprezzato un romanzo successivo.
Questo è il caso di oggi: dell'autrice francese infatti ho letto molti anni fa un romanzo che all'epoca era in cima alle classifiche, e solo oggi ne ho letto il testo con cui esordì.



Titolo: Giorni senza fame
Autrice: Delphine De Vigan
Anno della prima edizione: 2001
Titolo originale: Jours sans faim
Casa editrice: Mondadori
Traduttrice: Elena Cappellini
Pagine: 133



Ci vuole un bel coraggio a smettere di mangiare, le dice una sera una signora con la vestaglia trapuntata. Laure non prova nemmeno a dare spiegazioni. Le risponde solo no signora, il coraggio non c'entra.

LA STORIA

Il testo d'esordio di Delphine De Vigan è un'opera autobiografica, attraverso la quale l'autrice rivive la propria esperienza di ragazza diciannovenne malata di anoressia. Racconta i giorni del ricovero in un ospedale francese, le altre donne con le quali ha condiviso il difficile percorso verso la rinascita; racconta il corpo vicino alla fine che a poco a poco si riprende, e le ferite dell'anima che sono invece molto più difficili da guarire.


COSA NE PENSO

Delphine De Vigan pubblicò "Giorni senza fame" sotto pseudonimo nel 2001, quando non era ancora una scrittrice a tempo pieno come invece è oggi, dopo la pubblicazione di numerose opere di successo -una delle quali, anch'essa autobiografica, finalista al prestigioso premio Goncourt.
Lo stile dell'autrice francese in "Giorni senza fame" è piuttosto semplice, oserei dire acerbo avendo già letto un romanzo successivo; come in una sorta di diario (privo però di indicazioni cronologiche) riporta la propria esperienza, in modo molto dettagliato ma distaccato, ricorrendo ad un narratore in terza persona
Non ci risparmia i dolori fisici, il fastidio del sondino nasogastrico, ma soprattutto analizza le motivazioni psicologiche più profonde che l'hanno condotta nel reparto ospedaliero dove si trova ricoverata.
Credeva di essersene liberata, di aver già sofferto abbastanza. Credeva di potersela cavare così, di uscirne pressocché indenne, solo un po' più sensibile di prima. E invece non riusciva a smettere di rigirarsi in bocca quei brandelli d'infanzia come sassi sporchi di terra che non voleva sputare. Non voleva crescere, ma come si può crescere con quelle ferite dentro? Voleva riempire di vuoto le carenze che i genitori le avevano scavato dentro, far pagare a suo padre e a sua madre il discorso che provava verso se stessa, il senso di colpa che la legava ancora a loro.
Ho scelto di leggere questo libro dal momento che nel mio lavoro mi trovo a contatto quotidianamente con persone che soffrono di disturbi alimentari, e credo che approfondire questo tema possa aiutarmi molto a trovare il modo più corretto per comunicare con loro. Confesso infatti di avere avuto diversi pregiudizi nei confronti di queste patologie e di starmi impegnando a combatterli: quale miglior strumento vincere i preconcetti se non la conoscenza?
Se siete alla ricerca di una lettura che tratti l'anoressia in modo molto concreto, vi consiglio dunque la lettura di "Giorni senza fame"; come libro in sé e per sé, non lo definirei tuttavia molto scorrevole o appassionante. Il tempo della storia scorre infatti lento come le giornate di Laure nelle stanze d'ospedale, tra una visita psichiatrica e l'altra, e non posso dirvi in tutta sincerità che il ritmo sia trascinante. 
Nonostante ciò l'ho trovata una lettura interessante e molto utile ad avvicinarmi di più ad un mondo di persone che per la natura del loro disturbo si tengono ben distanti da tutti coloro che le circondano.

venerdì 3 maggio 2019

Gli anni al contrario

Uno dei miei propositi per le letture del 2019 era superare i miei pregiudizi nei confronti degli autori italiani contemporanei, che senza avere un vero e proprio motivo tendo ad evitare quando mi trovo davanti alla scelta del prossimo libro da leggere.
Già nei primi mesi dell'anno questa decisione mi ha portata a scoperte davvero sorprendenti, come il romanzo "Resto qui" di Marco Balzano (di cui trovate qui la recensione); animata quindi dalle migliori intenzioni, è stata la volta di questa autrice siciliana.




Titolo: Gli anni al contrario
Autrice: Nadia Terranova
Anno della prima edizione: 2015
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 152




LA STORIA

Aurora e Giovanni sono due giovani di Messina nati e cresciuti in famiglie dall'opposto orientamento politico: figlia del fascistissimo Aurora, con i suoi numerosi fratelli, figlio di un uomo di sinistra invece Giovanni. Ottima studentessa lei, svogliato scolaro lui, si incontrano nei tardi anni Settanta alla facoltà di Filosofia dove Aurora ottiene sempre il massimo dei voti mentre Giovanni raramente si presenta a sostenerlo, preso com'è dalle rivendicazioni politiche e sociali dell'epoca. Aurora e Giovanni si incontrano e si innamorano, si sposano, danno alla luce Mara; ma presto per Giovanni la quotidianità non basta, la lotta chiama, e sarà anche Aurora a pagare le conseguenze delle sue scelte.

COSA NE PENSO

In questo breve romanzo Nadia Terranova racconta l'Italia del 1977, degli entusiasmi rivoluzionari e delle grandi passioni tra i giovani studenti, in prima linea a lottare per un futuro diverso.
Racconta però anche la disillusione, l'eroina che negli anni '80 ha mietuto vittime, un virus di cui non si osava nemmeno pronunciare il nome.
"Gli anni al contrario" è una storia d'Italia attraverso la lente dell'amore di Aurora e Giovanni, dapprima euforico ed entusiasta ma in breve tempo deluso, insofferente, risentito.
Non abbiamo mai usato lo stesso dizionario. Parole uguali, significati diversi. Dicevamo famiglia: io pensavo a costruire e tu a circoscrivere; dicevamo politica: io ero entusiasta e tu diffidente. Io combattevo, tu ti rifugiavi. Se non ci fosse stata Mara ci saremmo persi subito, ma almeno non avremmo continuato a incolparci per le nostre solitudini. Quando penso agli anni trascorsi mi sembra che siano andati tutti al contrario. Abbiamo avuto una casa, una figlia, una laurea senza sapere che farcene, e ora che lo sappiamo ci stiamo già dividendo le briciole.
Lo sfondo è quello della Sicilia, con brevi incursioni nella Bologna delle radio libere, nella Berlino divisa dal Muro; lo sfondo è il sequestro Moro, sono le Brigate Rosse, sono le siringhe che forano le braccia e i rimpianti che si accumulano giorno dopo giorno.
Il giorno dopo Giovanni e il suo amico uscirono appena svegli, poi Daniele sarebbe ripartito. Giovanni diede un bacio alla moglie con la promessa di comprarle una torta e un regalo. -Quando torno festeggiamo,- la salutò. Rimasta sola, con Mara in braccio, Aurora andò ad aprire la valigia dell'ospite, e trovando l'arma che si aspettava di trovare strinse più forte la figlia e telefonò a suo padre. Neanche un'ora dopo il fascistissimo se la riportò a casa insieme alla nipote. 
Non ci sono vincitori nel romanzo di Nadia Terranova, e molti sono i vinti; c'è una speranza però, negli occhi inquisitori di Mara, che rappresenta l'Italia che verrà e la voce che racconta un amore incapace di salvarsi da solo nonostante le buone intenzioni.
Per il primo compleanno di Mara, Giovanni propose ad Aurora di andare in pizzeria tutti e tre insieme, una di quelle piccole cose che non facevano più. Poi uscì a fumare e se ne dimenticò. Rientrò ubriaco e senza regalo. Moglie e figlia dormivano abbracciate sul divano, vestite di tutto punto e pronte per uscire. Il sonno le rendeva uguali, pensò Giovanni, e si disse che i grandi, in fondo, non sono che bambini sopravvissuti. 
Quella raccontata dall'autrice è una storia semplice, lineare, in un linguaggio privo di fronzoli e di abbellimenti, efficace e diretto. La caratterizzazione di Aurora e Giovanni è impeccabile, i personaggi prendono vita tra le pagine e diventano persone di cui pare di seguire i percorsi anno dopo anno. 
Ho trovato "Gli anni al contrario" un romanzo riuscito, che rappresenta un'epoca mentre ci racconta due individui; seppure privo di colpi di scena e avvenimenti sorprendenti, mi è piaciuto e ve ne consiglio la lettura soprattutto per lo sguardo che offre su un periodo italiano che non si incontra molto spesso nei romanzi.