mercoledì 20 marzo 2024

L'anno che bruciammo i fantasmi

La mia conoscenza con Louise Erdrich, autrice nativoamericana che negli anni è stata premiata con il Pulitzer e il National Book Award, inizia con un titolo minore: "L'anno che bruciammo i fantasmi", pubblicato da Feltrinelli editore. 

Questo romanzo, dalla struttura a frammenti, si svolge nell'arco di un anno ed è fortemente influenzato dall'attualità: l'assassinio di George Floyd a Minneapolis e l'epidemia di coronavirus. È anche però permeato dalla spiritualità indigena, dai rituali fatti di preghiere, salvia e incensi, sepolture e fuochi, con i quali la protagonista Tookie è solo parzialmente a proprio agio: infatti non crede agli spiriti, ma deve scontrarsi con la presenza del fantasma della cliente Flora, che si rifiuta di lasciare la libreria dove Tookie lavora.

Attorno a questa donna, dal passato irrisolto e segnato da un'incarcerazione ingiusta, ruotano il marito Pollux, ex poliziotto molto vicino alla propria appartenenza culturale, la nipote che ha appena dato alla luce un bambino e i colleghi della libreria. Così, mentre Tookie affronta la propria identità rimossa e il fantasma di Flora, Pollux contrae il virus e lotta per la guarigione, mentre Minneapolis si ribella alla violenza delle forze armate e manifesta per i diritti civili.

Nel complesso il romanzo non è particolarmente pieno di eventi, ma è disseminato di riferimenti letterari che renderanno felici molti tra i lettori, pronti a prendere nota ad ogni pagina (Louise Erdrich è proprietaria in prima persona di una libreria indipendente, e questo si percepisce molto bene, anche grazie al cameo con cui compare nel testo). Lo definirei "un libro per gli amanti dei libri", sicuramente non il più significativo di questa scrittrice di cui ho intenzione di leggere altro, ma comunque molto godibile. Ve lo consiglio però soltanto se siete pronti ad incontrare in un libro il periodo della pandemia, ancora così vicino! 

Avete letto qualcuno dei suoi libri?

I miei sette figli

Pubblicato per la prima volta nel 1955, "I miei sette figli" (che ora trovate in libreria nell'edizione Einaudi) scritto da Renato Nicolai si basa sulla testimonianza di Alcide Cervi, il capofamiglia, e il suo tono informale da contadino di romagna formatosi sui libri e soprattutto sull'esperienza.

In poco più di cento pagine Alcide racconta la sua vita, dalla giovinezza al ruolo di padre di quei sette maschi che gli furono strappati dai fascisti. Racconta il lavoro dei campi, dapprima a mezzadria e poi su terreni propri; le modifiche sul terreno che lo resero sempre più fertile, le migliorie all'allevamento e alla produzione del latte, la coscienza politica sempre più consapevole grazie a quei figli che leggono e si informano e si avvicinano sempre di più al socialismo e al sogno della Russia.

E poi, naturalmente, racconta la Resistenza: i sabotaggi ai fascisti, la diffusione dell'Unità, la stampa clandestina nell'ambiente domestico, le pressioni sempre più forti, gli arresti, infine la fucilazione di quei ragazzi così forti, così coraggiosi da non mostrare mai la loro paura né alle mogli, né ai figli, né ai genitori. 

Altrettanto coraggioso emerge Alcide, rimasto con le nuore e undici nipoti, il più grande di appena dieci anni e il minore ancora sul punto di nascere: Alcide che crede alla forza del raccolto che verrà, della prossima generazione pronta a crescere con gli ideali dei padri.

È un testo prezioso, intriso di un territorio e di una sapienza contadina; con la coscienza di oggi lo si troverà un romanzo molto maschile, in cui le due figlie femmine non compaiono mai (probabilmente spose e uscite di casa a differenza dei fratelli che vi hanno condotto le mogli). Rappresenta una generazione e un ideale, nel clima politico di oggi sempre fondamentale e necessario.

Qual è il testo sulla Resistenza che vi ha segnati maggiormente?

Nuotare, fluttuare, volare

Di Daniel Glattauer ho letto negli anni diversi titoli, alcuni dei quali ancora in lingua originale quando studiavo a Berlino. La sua ultima uscita "Nuotare, fluttuare, volare", come sempre pubblicata da Feltrinelli, mi sembrava decisamente un titolo nelle mie corde e ho deciso di leggerlo appena scovato tra le novità della biblioteca. Non mi sbagliavo!

Nella sua scrittura semplice e diretta, Glattauer pone il lettore davanti a un dilemma etico quando una benestante famiglia viennese viene citata in giudizio, con la richiesta di risarcimento pari a duecentomila euro, dopo che sotto la loro custodia in vacanza in Toscana è affogata Ayaana, figlia di una famiglia di rifugiati somali.

Quanto vale una vita umana, soprattutto quando non è europea? Quanto si è disposti a nascondere la verità per salvaguardare la propria rispettabilità e il proprio mestiere? Con queste domande si scontra la politica Elisa, madre di Sophie Louise, la compagna di scuola che ha invitato Ayaana in Toscana, e si scontrerà anche con l'elaborazione del trauma da parte dell'adolescente, che online entrerà in contatto anche con le sostanze stupefacenti e un'altra vittima della tragedia [Abdulaziz, il fratello di Ayaana, che sotto falso nome la farà innamorare di lui ma la trascinerà anche nella spirale della dipendenza]. 

Sebbene la trama di per sé sia piuttosto lineare, ho trovato il testo di Glattauer convincente: lo arricchisce anche dei potenziali commenti sui social network con i quali i cittadini austriaci reagiscono alle notizie sulla disgrazia e sul processo, mettendo in luce i punti di vista spesso razzisti e astiosi nei quali ci imbattiamo quotidianamente. 

Per di più l'autore non cade nel facile tranello di voler esprimere troppo nel dettaglio il punto di vista della famiglia somala: sottolinea sì la necessità di dar voce agli inascoltati, a coloro che restano nell'ombra della società dopo aver subito innumerevoli traumi legati alla migrazione forzata (e li riporta sulle pagine), ma si concentra soprattutto sul punto di vista dei personaggi austriaci che meglio conosce ed evita stereotipi e gratuito buonismo.

Nel complesso è stata una lettura molto scorrevole e coinvolgente, più focalizzata sull'opinione pubblica e sui dilemmi morali che sul tema dell'emigrazione, che mi sento di consigliarvi.

Avete mai letto questo scrittore?

mercoledì 13 marzo 2024

Tanto poco

"Tanto poco" di Marco Lodoli, pubblicato da Einaudi, è un regalo che ho ricevuto all'inizio dell'anno, e uno dei tanti titoli che sono stati proposti per entrare nella dozzina del Premio Strega. Non conoscevo affatto l'autore, ma la trama e la copertina mi hanno incuriosita; purtroppo, il contenuto non mi ha convinta altrettanto.

In una prospettiva che mi ha ricordato all'inizio le atmosfere de "L'eleganza del riccio", il punto di vista della protagonista è quello di una collaboratrice scolastica di Roma, che nasconde i libri che legge sotto alle riviste rosa per essere sottovalutata da chi la circonda. Quando nell'istituto arriva Matteo, un nuovo, giovane professore con l'ambizione della scrittura, per la donna scatta un colpo di fulmine che ne condizionerà tutta l'esistenza, trasformandosi in una vera e propria ossessione -in certi momenti anche allucinatoria in questa commedia nera.

La protagonista è un personaggio interessante, che rimuove i traumi subiti liquidandoli in poche parole (una violenza sessuale, un aborto) e che nasconde in cespugli di rose e margherite una crudeltà intollerabile (mi sarei volentieri risparmiata una scena di violenza sugli animali davvero molto esplicita). Questo la rende originale, tuttavia le neanche 90 pagine del racconto, dove la vediamo sprofondare sempre di più nelle sue fantasie mentre anche Matteo non se la passa granché bene, non mi sono bastate per definirla una storia particolarmente memorabile.

Insomma una lettura per me senza infamia e senza lode, mi ha tenuto compagnia per un pomeriggio ma non posso dire di averne tratto molto di più!

Conoscete questo autore? A voi questo titolo è piaciuto?
Tra i nominati per lo Strega 2024, quali titoli avete letto o vorreste leggere?

Persone normali

Dopo un primo incontro con "Parlarne tra amici" che non mi era piaciuto per niente, ho dato un’altra possibilità a Sally Rooney con "Persone normali", sempre pubblicato da Einaudi, che a dire il vero era il titolo che avrai voluto leggere sin dall’inizio ma non avevo trovato disponibile in biblioteca la prima volta e la cui trama mi ricordava vagamente "Un giorno" di David Nicholls, che ho riletto da poco.

È andata molto meglio! Innanzitutto la struttura del romanzo è pianificata in maniera più convincente, attraverso continui salti temporali, a volte più lunghi, altri brevissimi, che eliminano i dettagli superflui.

In secondo luogo i protagonisti, Marianne e Connell, sono costruiti in modo tale che si prova per loro una sincera empatia e sono certa che se questo libro fosse uscito dieci anni fa, quando avevo la loro stessa età e vivevo le loro analoghe esperienze (l’ultimo anno di liceo, l’inizio dell’università, l’anno di Erasmus) avrebbe potuto diventare uno dei miei romanzi preferiti, perché vi avrei trovato innumerevoli analogie con il mio grande amore giovanile dell’epoca. 

Certo oggi le cose sono cambiate e anche il mio gusto letterario non è proprio lo stesso, tuttavia seguire questa crescita, questo percorso, il loro prendersi e lasciarsi, il cambiarsi a vicenda e il farsi bene, rimediare ai traumi dell’infanzia [specialmente nel caso di Marianne, che è cresciuta in un contesto abusivo e violento che ha poi riflettuto nelle sue relazioni di coppia disfunzionali, ma anche la depressione di Connell che fatica a verbalizzarla, trovandosi disorientato all’università dopo anni di liceo in cui è stato brillante e apprezzato] è un parabola benefica, che trasmette speranza. Connel e Marianne incarnano una generazione in modo credibile, le sue insicurezze, la precarietà, i dubbi riguardo il futuro e  le fin troppo numerose opzioni tra cui orientarsi per gli studi e la carriera.

Nonostante anche questa volta abbia trovato la scrittura di Sally Rooney piuttosto piatta e non degna di nota, i dialoghi raggiungono un livello più profondo e per fortuna abbiamo evitato il proliferare di chat sparse tanto per rendersi conto dell’epoca moderna in cui si svolgono i fatti! Insomma ho trovato questo testo molto più godibile e appassionante rispetto a quello letto precedentemente.

In conclusione se siete incuriositi dalla popolarità di questa giovane autrice irlandese vi consiglierei decisamente di partire da qui, perché vi troverete davanti alla storia di un’amicizia e di un amore che si supportano negli anni e che negli anni maturano insieme, e che a prescindere dalla vostra età anagrafica potrebbe riportarvi indietro indietro nel tempo e riscaldarvi il cuore!

Quali libri avete letto di questa autrice?

L'invincibile estate di Liliana

"L'invincibile estate di Liliana", testo di Cristina Rivera Garza pubblicato da edizioni SUR, ruota attorno al tema del femminicidio. Nel luglio del 1990 infatti Liliana fu assassinata ad Angel, quello che considerava un amore del suo passato, da cui aveva preso le distanze nonostante la sua presenza incombesse costantemente sulla sua vita, spesso nell'ombra.

Cristina riporta in vita la sorella tra queste pagine, la racconta come la giovane donna piena di vita che è stata, studentessa brillante di architettura, amica fidata e gioiosa, sempre pronta ad aiutare il prossimo, a scrivere lettere e bigliettini pieni di affetto, a riempire quaderni di riflessioni che in questo libro vengono parzialmente riferite, riportate alla luce dopo trent'anni di permanenza in una scatola.

Si tratta di un testo estremamente personale: è Liliana che viene raccontata, che impariamo a conoscere tra le pagine, ed è un percorso nei ricordi di coloro che l'hanno conosciuta. Non sempre questo libro riesce a raggiungere l'universalità, a diventare una riflessione a tutto tondo sul femminicidio che si possa riportare ad altre esperienze; riprende l'archivio di Liliana, lo ripubblica, trasmette il senso di immediatezza e di presenza provato nel ritrovarlo.

"L'invincibile estate di Liliana" è un testo complesso, che può essere definito di letteratura documentale: c'è un'attenta selezione di ciò che viene detto e ciò che rimane taciuto, nel rispetto della sua protagonista, per evitare ogni sovrainterpretazione, ogni revisione della sua voce, ogni proiezione dell'autrice su di lei.

La scelta che ho trovato più interessante è quella di negare ogni spazio, ogni parola al suo assassino. Come nel romanzo storico che vi ho consigliato da poco, "Le cinque donne" di Hallie Rubenhold, è la donna al centro della narrazione, che non viene incolpata, né santificata, bensì raccontata per ciò che è stata e senza spettacolarizzarne la tragica fine, anzi per sensibilizzare su quanto il femminicidio sia una piaga sociale da combattere con ogni arma -e le notizie sui giornali purtroppo ce lo ricordano fin troppo spesso.

In conclusione si tratta di una lettura che vi consiglio se siete interessati al tema, perché di certo saprà fornirvi interessanti spunti di riflessione e confronto.

Qual è l'ultimo testo basato su fatti reali che avete letto?

Le cinque donne

Leggo raramente testi storici e biografici, più a mio agio come sono con i romanzi. Ho letto "Le cinque donne" di Hallie Rubenhold, pubblicato da Neri Pozza, perché mi era stato caldamente consigliato da due amici di cui mi fido molto: e non sbagliavano.

Si tratta di un testo approfonditamente documentato, con un apparato bibliografico esteso, che si pone il dichiarato intento di dare voce e dignità a Polly, Annie, Elizabeth, Kate e Mary Jane, le donne assassinate a Londra nel 1888 dall'assassino mai identificato passato alla storia come Jack Lo Squartatore, ben più famoso delle sue vittime.

Fino ai giorni nostri la morale dell'epoca (non così lontana da quella odierna, che ancora divide le donne in sante e puttane, chi da proteggere chi da denigrare) ha ridotto queste donne alla definizione di "solo prostitute", come se si fossero in quanto tali meritate la fine tragica e violenta delle loro esistenze. Non esiste tuttavia alcuna prova che Polly, Annie, Elizabeth o Kate si definissero prostitute e svolgessero tale attività al momento della morte; le prime tre non avevano mai esercitato il mestiere. Solo Mary Jane, l'unica assassinata in casa, l'unica della cui storia si sa ben poco se non quella che aveva scelto di inventare per sé, poteva in realtà essere definita tale; l'elemento che accomunava queste donne era la povertà, l'essere senza tetto, l'essere dipendenti dall'alcol per sfuggire alle sofferenze delle loro vite. 

"Le cinque donne" descrive un'Inghilterra vittoriana di miseria, gravidanze troppo numerose che spingono i lavoratori nel circolo della povertà impossibile da spezzare, alcolismo, ospizi per i poveri che divengono veicolo di discriminazione e parassiti. Descrive una morale impietosa che non perdona la fragilità femminile, il venir meno al ruolo dell'angelo del focolare capace di mantenere la famiglia in assenza dell'uomo di casa, davanti alla perdita dei genitori, dei figli appena nati. 

L'autrice ci fa provare una profonda empatia per queste donne, ci fa soffrire con loro mentre le loro esistenze vanno in pezzi; le rende di nuovo persone, non soltanto vittime, le riporta alla luce senza alcun sensazionalismo o elemento voyeuristico (agli omicidi infatti non dedica nemmeno una riga). 
Non pensavo di potermi sentire così coinvolta da un testo di questo tipo, ed invece mi ha del tutto assorbita, e sento anche di aver imparato molto su un'epoca di cui finora avevo solo letto nei romanzi, come quelli di Dickens. Se siete interessati alla storia delle donne, questo è un testo che vi consiglio assolutamente!

Qual è l'ultimo testo di non fiction che avete letto?

martedì 12 marzo 2024

Buonanotte, signor Tom

"Buonanotte, signor Tom" di Michele Magorian, pubblicato da Fazi editore, contiene tutti gli elementi che mi fanno innamorare di un romanzo: un protagonista fragile e indifeso, vittima della crudeltà degli adulti, che rinasce grazie all’affetto disinteressato e puro di un uomo che la solitudine ha chiuso in se stesso e che impara a riaprire il proprio cuore a quel bambino.

Il bambino è William, sfollato dalla Londra bombardata della seconda guerra mondiale e allontanato in questo modo dalla madre sadica e irragionevole che lo ha reso introverso, insicuro e terrorizzato. L’uomo invece è Tom: rimasto vedovo da giovanissimo e isolatosi da tutta la comunità del paesino di campagna dove abita, incapace di elaborare la propria sofferenza almeno fino a che l’accoglienza del bambino gli viene imposta. Allora Tom impara di nuovo a proteggere, accudire, incoraggiare e provare un affetto così profondo da renderlo capace di ogni cosa pur di garantire a William il futuro che si merita [al punto di recarsi a Londra a salvarlo  quando William sembra essergli stato strappato, al punto di rapirlo da un ospedale quando il destino del piccolo sembra diventare quello di un istituto].

Ci sono innumerevoli sfumature in questo romanzo: quelle dei colori che William scopre a poco a poco, prendendo coscienza del proprio talento per il disegno; quelle dell’abbaiare di Sammy, il cane di Tom che dapprima lo spaventa e poi diventa il compagno di mille avventure. Poi c’è l’amicizia, quella che William prova per la prima volta con gli sfollati ma anche i residenti del paesino dove si trova a vivere, in particolare l’esuberanza di Zach, ma anche l’amore per la natura di George e quello per lo studio di Claire, che con le loro differenze gli insegnano a giocare e ad essere finalmente davvero se stesso.

"Buonanotte, signor Tom" è un romanzo colmo di emozioni e di buoni sentimenti, di quelli che ti fanno fare pace anche con le cose peggiori, come la violenza sui minori, come la guerra, perché quello che rimane una volta terminato questo libro è il calore della casa di Tom, il calore di chi la sera ti augura la buona notte e ti regala una stanza tutta per te, una casa dove sentirti al sicuro, una figura paterna che non c’entra assolutamente nulla con i legami di sangue. 

Alcune svolte di questa trama si potrebbero dire un po’ ingenue [il suicidio della madre di William che arriva a proposito per permettere a Tom la sua adozione, l’elaborazione del lutto per la sorellina innocente che avviene tenendo tra le braccia un’altra neonata, e poi la morte di Zach sotto un bombardamento, perché in un libro ambientato durante la seconda guerra mondiale sarebbe stato improbabile far sopravvivere tutti i personaggi], forse adatti a lettori molto giovani -in effetti questo romanzo nasce per tale pubblico. 

Il mio giudizio però è del tutto positivo, perché quando una storia mi conquista come questa, facendomi affezionare così profondamente ai suoi personaggi, commuovendomi per loro, tifando per loro ad ogni passo allora non posso che consigliarlo spassionatamente e se volete un libro che faccia bene al vostro cuore, nonostante contenga anche pagine davvero difficili da digerire, questo è davvero un’ottima scelta.

Qual è l'ultimo libro che vi ha scaldato il cuore?

Malinverno

Ho acquistato "Malinverno" di Domenico Dara con la promozione delle coppie di libri tascabili Feltrinelli editore l'estate scorsa, perché diverse recensioni mi avevano incuriosita.

Gli elementi per amarlo c'erano tutti: il protagonista, Astolfo Malinverno, è bibliotecario ma anche guardiano del cimitero a Timpamara, un paesino famoso per il macero della carta, che sparge per le vie fogli di romanzi, saggi e raccolte di poesie, rendendoli lettori a poco a poco -al punto che tutti i suoi abitanti hanno nomi che ricordano la letteratura.

Malinverno è un uomo solo e malinconico, nessuno dei suoi familiari è più in vita, non ha dei veri e propri amici e non è mai stato innamorato; almeno fino a che sulla lapide di una tomba senza nome l'immagine di una donna lo colpisce così tanto da volerla portare a casa con sé. La sua vita sarà ancora più sconvolta dall'apparizione di una giovane che alla foto somiglia moltissimo, e che si presenta in carne ed ossa al cimitero...

"Malinverno" sembra un romanzo confezionato per sedurre gli amanti dei libri: le sue pagine sono disseminate di citazioni dei classici, di riferimenti alle loro trame, di riflessioni sul significato e sul potere della letteratura. Aggiungiamo anche un cagnone nero che pare accompagnare le anime dei defunti, ed ecco che anche a me sembra un libro con tutte le carte in regola per piacermi moltissimo.
 
Purtroppo mi ha lasciata piuttosto tiepida: forse perché la scrittura di Dara mi è sembrata un po' artificiosa, un po' pretenziosa quando non l'avrei trovato necessario. Forse perché la storia in sé ad un certo punto mi è parsa eccedere con gli elementi drammatici, già sufficienti anche prima, e ha spezzato la mia sospensione dell'incredulità. Insomma devo ammettere di esserne purtroppo stata piuttosto delusa, forse anche perché ero convinta dall'inizio che invece mi sarebbe andato a genio!

Lo avete letto e volete farmi cambiare idea?
Qual è l'ultima lettura che non vi è piaciuta?

mercoledì 6 marzo 2024

Un giorno

 Ho letto per la prima volta "Un giorno" di David Nicholls, pubblicato da Neri Pozza, ormai quasi quindici anni fa. Ero in Erasmus, nella fase della vita in cui tutto sembra possibile, nel pieno di un amore giovanile a cui è stato impossibile non ripensare davanti alle esistenze di Em e Dex, Dex ed Em che si intrecciano, anno dopo anno, nello stesso giorno del 15 luglio. Oggi ho deciso di rileggerlo data la recente uscita della serie TV su Netflix, che ho intenzione di guardare.

La struttura del romanzo, che sceglie di raccontare di 365 giorni solo quelle specifiche 24 ore, mi è sembrata anche oggi molto convincente: capace di omettere ogni ridondanza, di ridurre la narrazione all'osso del loro rapporto, all'essenziale dei sentimenti provati e fin troppo spesso rimandati, messi a tacere, negati perfino a se stessi.

Mentre Emma ha un debole per Dexter sin dal giorno della laurea, e nel suo arrancare tra lavori precari e fidanzati che non la soddisfano lo guarda salire alla ribalta della televisione, sempre circondato da donne bellissime, è poi Dexter quello che si indebolisce, che cede alle dipendenze, che mentre Emma scrive libri non ha più una carriera avviata. E anche se i due si allontanano, riducono i contatti solo a qualche telefonata o cartolina, è impossibile spezzare quel legame -e questo forse vi farà sorridere pensando al vostro amore dei vent'anni, forse invece vi metterà addosso un po' di malinconia per qualcosa che è andato perduto.

Se dapprima ho sorriso di Emma e Dexter, provando tenerezza per loro ma sentendomi in qualche modo troppo cresciuta per farmi coinvolgere dalla storia. Dalla metà in poi, però, mi sono sentita di nuovo assorbita dalle loro dinamiche, a sperare che trovassero il coraggio e l'incoscienza di dichiararsi finalmente il loro amore, e si guadagnassero un lieto fine -anche se conservavo un vago ricordo di come la vicenda sarebbe terminata.

Sarò onesta: non me lo aspettavo, ma "Un giorno" mi è piaciuto molto. Mi sono emozionata e l'ho trovato un racconto autentico, diretto, animato da due protagonisti realistici e sinceri e da un ritmo mai noioso. In quindici anni io sono cambiata molto e così lo è la mia vita, ma so ancora sentirmi romantica davanti a questa storia, e non posso che consigliarvela! 

Conoscete qualche versione di questa storia?

martedì 5 marzo 2024

Pachinko

"Pachinko" ha richiesto alla sua autrice Min Jin Lee oltre trent'anni di lavoro e di ricerca: per lungo tempo ha sentito l'esigenza di dare voce alle storie dei cittadini coreani in Giappone, e si è documentata attraverso numerosissime interviste e anche un soggiorno in Giappone in prima persona. 

Da questa saga familiare che attraversa ottant'anni di storia emerge in primo luogo la complessità dei vissuti di coloro che circondano la matriarca Sunja, che seguiamo dalla nascita alla terza età. Ne conosciamo i genitori, modesti ma amorevoli; la vediamo giovane e ingenua rimanere incinta di un uomo ricco e già sposato, partorire il primo figlio Noa accanto ad un pastore generoso che sarà un marito amato, ma che si sacrificherà in nome della fede quando il secondogenito Mozasu sarà nato da poco. 

Seguiremo poi Noa, determinato ad emergere negli studi e nella carriera e a rinnegare quel padre biologico yakuza che non saprà mai accettare, e Mozasu, meno dotato per la scuola ma dal carattere forte e coraggioso, che troverà il successo nel pachinko. Mentre Noa, in fuga da se stesso, si fingerà giapponese e metterà fine alla sua vita posto davanti alla propria inevitabile identità, Mozasu sarà padre di Solomon, ragazzo brillante e dotato ma discriminato per le proprie origini coreane nonostante gli studi all'estero in una prestigiosa università americana, e finirà per seguire le orme del padre nel pachinko, mestiere disprezzato ma svolto, nel caso di Mozasu, da un uomo veramente onesto.

Sunja è in mezzo a tante la figura di sfondo ma sempre presente: è una madre che mette i figli al primo posto, decisa a non diventare mai un peso, a lavorare duramente al fianco della cognata che sarà per lei più di una sorella. Con il passare del tempo non rinnegherà mai le proprie scelte, prima tra tutte il non aver sposato Hansu per esserne la "moglie coreana" che lui avrebbe voluto mantenendo la prima famiglia in Giappone: Sunja non si vergognerà mai di quell'amore giovanile, accetterà l'aiuto dell'uomo quando lo riterrà necessario, e al tempo stesso senza mai mancare di rispetto alla memoria dell'amato marito Isak.

Min Jin Lee racconta la guerra e l'estrema povertà nella Corea unita; ne racconta la divisione dal punto di vista degli emigrati, dei pochi che decideranno di tornare indietro facendo perdere le proprie tracce nel dittatoriale Nord, e poi racconta la discriminazione subita in Giappone, da chi si rifiuta di assumere i coreani, di affittare loro alloggi, di chi costringe anche generazioni di nati in Giappone a richiedere e ottenere un permesso di soggiorno per restare dove si è sempre vissuto -e questo ricorda una realtà che conosciamo molto da vicino.

I personaggi in questo romanzo sono numerosissimi, a volte li ho trovati quasi troppi (per esempio nel libro terzo la fidanzata giapponese di Mozasu e la figlia di lei mi sono sembrate una linea narrativa non proprio necessaria, anche se accrescono la costruzione del personaggio di lui e del figlio), ma ognuno di loro ha un proprio percorso nel testo e lo arricchisce di un'altra sfaccettatura. "Pachinko" è un romanzo stratificato, pieno di dettagli, di legami e di incontri, che farà la felicità degli appassionati di saghe familiari come me, che l'ho apprezzato moltissimo!

Qual è l'ultima saga familiare che avete letto?