lunedì 28 giugno 2021

Il figlio del figlio

Con questa lettura posso dire di aver portato a termine la produzione di narrativa di un autore, impresa che spesso mi prefiggo ma poi molto raramente completo!



Titolo: Il figlio del figlio
Autore: Marco Balzano
Anno della prima edizione: 2010
Casa editrice: Sellerio
Pagine: 200


LA STORIA

Nicola ha ventisei anni, è un insegnante di lettere precario e suo padre, che alla sua età era già sposato e con un figlio, sembra disprezzarlo. Con il nonno Leonardo invece, che ancora parla dialetto pugliese e non sa né leggere né scrivere, ha un ottimo rapporto; ed è per questo che decide di partire con i due uomini per un viaggio a Barletta, dove dovranno vendere la casa di famiglia che oramai non utilizza più nessuno.

COSA NE PENSO

"Il figlio del figlio" è il romanzo d'esordio di Balzano, e mi è piaciuto di gran lunga più del successivo, "Pronti a tutte le partenze", che mi aveva delusa parecchio -infatti avevo il timore che tornando ancor più indietro nel tempo l'autore potesse non piacermi.

Invece questa storia familiare, nella sua semplicità, mi ha commossa: il nonno Leonardo è una figura toccante, un uomo analfabeta e comunista che durante la guerra ha combattuto in Sardegna, che ha lasciato la terra pugliese dov'era contadino per trasferirsi a Milano con la famiglia e diventare operaio alla Montecatini, che ha cresciuto una marea di nipoti e quattro figli che oggi non si parlano più -quante famiglie si ritroveranno in certi passi di Balzano, a fare i conti con dei distacchi per i quali non si trovano apparenti ragioni.

Aprivamo la porta per uscire di casa, verso le sette e mezza, e trovavamo sacchetti di lattuga appesi alla maniglia. Papà sbuffava come un cavallo, mamma rideva, e tenendomi la mano per le scale mi diceva che quelli erano “i regali del nonno”. […] Dopo un paio di giorni, non sapendo che farcene, andavamo a buttare quelle buste senza dirgli più niente. Anzi, i miei per non dargli dispiacere mi chiedevano di dire a babbo che avevamo mangiato tanta insalata. Allora io entravo in casa e ancora con la cartella sulle spalle dicevo: “Ciao Nonò, abbiamo mangiato tanta insalata!”. E lui sorrideva contento.

Mentre la relazione tra Nicola e il suo amato "nonò" è amorevole e piena di affetto come quella tra la maggior parte dei nonni e nipoti, il rapporto tra Nicola e il padre Riccardo è molto meno espansivo, anzi è fatto di incomprensioni e ostilità, del giudizio del padre che non vede il figlio abbastanza uomo, dello sguardo del figlio su un padre taciturno e mai fiero di lui. Balzano ci risparmia la facile retorica del viaggio che riunisce una famiglia: l'esperienza a Barletta non fa miracoli, ma allarga l'orizzonte dello sguardo di Nicola, che comprende l'origine della nostalgia che gli sembra di avvertire da sempre -ma non per questo diviene un personaggio illuminato o poco credibile. Resta anzi alle prese con la propria disoccupazione, con il proprio non trovare una dimensione adatta a sé mentre per gli altri sembra sempre così facile. 

Ciò che abbiamo da offrire a chi se n’è andato è solo diffidenza e palpebre che si corrugano. Ruggine degli ingranaggi addetti alla conservazione della memoria. Ecco, in questo camminare straniero del nonno, in questo sì che mi riconoscevo anch’io.

"Il figlio del figlio" è un romanzo breve, scorrevole, semplice; è un romanzo genuino, che ha il profumo del mare, delle olive, del pesce appena pescato e del sole cocente sui muri a secco del Sud Italia. Riporta in qualche modo alle vacanze dell'infanzia, agli autogrill lungo le autostrade dove ci si fermava per la colazione, ai sacchetti da portare in spiaggia con dentro secchielli, palette e formine. Personalmente ho apprezzato molto questa lettura, perché i suoi personaggi sono del tutto credibili, ben caratterizzati, e le sue atmosfere mi hanno fatto viaggiare tra le pagine. Non è la migliore opera dell'autore, che con il tempo ha reso le proprie storie meno simili tra loro e più complesse, ma comunque è un romanzo che vi consiglio assolutamente di leggere.

lunedì 21 giugno 2021

Una domenica in piscina a Kigali

Un titolo che non mi è mai capitato di vedere citato da nessuna parte è un libro che nell’estate di diversi anni fa ho salvato dal macero nella biblioteca comunale, e che ora finalmente mi sono decisa a leggere.


Titolo: Una domenica in piscina a Kigali
Autore: Gil Courtemanche
Anno della prima edizione: 2000
Titolo originale: Un dimanche à la piscine à Kigali
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttrice: Annamaria Ferrero
Pagine: 207


LA STORIA

"Una domenica in piscina a Kigali" affronta il difficile e delicato argomento del conflitto civile in Ruanda, che negli anni '90 del Novecento portò alla morte migliaia di Tutsi. La popolazione ruandese infatti era composta da due gruppi etnici principali, gli Hutu e i Tutsi, che fino a quel momento avevano convissuto sostanzialmente in pace fino al momento in cui con l’appoggio criminale di diverse nazioni estere fu deciso a tavolino lo sterminio dei Tutsi. Questa decisione portò ad un vero e proprio massacro compiuto con armi inviate da numerosi paesi e alla presenza delle Nazioni Unite, che non agirono per fermarlo.

COSA NE PENSO

Ispirato alla figura di un giornalista canadese realmente presente in Ruanda ai tempi del massacro, "Una domenica in piscina a Kigali" racconta le esperienze di Valcourt, giornalista canadese appunto inviato in Ruanda che si innamora di una donna del posto. La sua amata è di origine Hutu, origine mostrata anche sui suoi documenti, che però per le sue caratteristiche fisiche è accusata di essere Tutsi. Valcourt in Ruanda si sente a casa, e nonostante potrebbe espatriare prima che sia troppo tardi sceglie di non farlo, e quello che leggiamo tra queste pagine diventa così una cronaca dell’orrore che ripercorre le tappe dello sterminio ed al tempo stesso è una storia d’amore tra il giornalista e la sua amata, e tra il giornalista e un intero paese.

Tu trovi la felicità nei miserabili della terra. Allora, facci un piacere, ne abbiamo così poco. Dicci che ami la felicità che ti viene da qui. Facci un piacere, dicci che anche noi, nonostante i machete, le braccia mozzate, le donne stuprate, possiamo donare bellezza e dolcezza. E la tua felicità, Bernard, smetti di scansarla, vivila insieme a noi. Ci fa sentire meglio.

"Una domenica in piscina a Kigali" è un romanzo molto duro e doloroso, dove non ci vengono risparmiate scene di morte, di violenza, racconti davvero disturbanti che hanno però l’innegabile pregio di dare voce ad una verità troppo spesso taciuta.

Ci vogliono diecimila morti africani per far aggrottare le sopracciglia a un bianco, perfino se è progressista. Anzi, neanche diecimila bastano. E poi non sono delle belle morti. Fanno vergogna all’umanità. Non si mostrano i cadaveri fatti a pezzi dagli uomini e sbranati dagli avvoltoi e dai cani selvatici. Le tristi vittime della siccità, i pancini gonfi, gli occhi più grandi dello schermo, i figli tragici della carestia e degli elementi, quelli sì che commuovono. 

Si parla molto di morte in questo romanzo, non soltanto per azione dei machete, delle armi da fuoco o dei randelli, ma anche per il virus dell’AIDS che mieteva centinaia di vittime tra la popolazione all’epoca del conflitto. Non è un romanzo per tutti dunque: sicuramente non lo consiglierei ad un pubblico di lettori molto giovani, perché le scene esplicite sono tantissime e gli argomenti trattati davvero molto forti. Tuttavia è un romanzo che mi ha davvero sorpreso, perché giaceva da tempo abbandonato nella mia libreria personale, ed ho scoperto una cronaca preziosa ed al tempo stesso una storia molto appassionante dei personaggi ai quali è impossibile rimanere indifferenti. 

Valcourt scelse di tacere. Con che diritto dare consigli a quella donna felice, proprio lui che, in quel paese, si ficcava in un sacco di guai più o meno per le stesse ragioni, per pura e insaziabile voglia di vivere anziché stare a parlare della vita che si potrebbe avere. Ogni istante rubato alla paura è un paradiso.

Inutile dirvi che fino all’ultimo ho sperato che il protagonista optasse per una partenza salvifica nei confronti della sua innamorata, ma un lieto fine in una storia su Ruanda sarebbe stato a dir poco irreale. Se siete interessati a questo tema senz’altro vi consiglio la lettura di "Una domenica in piscina a Kigali" che ritrae molto bene un’epoca, una popolazione e soprattutto un crimine contro l’umanità che trova davvero poco spazio nei nostri libri di storia. In proposito ci tengo a consigliarvi anche un podcast che ho ascoltato diverso tempo fa, e che arricchirà sicuramente la vostra cultura in merito: "Istruzioni per un genocidio" di Daniele Scaglione. 

mercoledì 16 giugno 2021

Klara e il sole

Anni fa comprai un libro attratta quasi unicamente dalla copertina: si trattava di "Non lasciarmi" di Kazuo Ishiguro, che sarebbe poi diventato uno dei libri che preferisco in assoluto. Oggi, davanti alla promessa di ritrovarne le stesse atmosfere nell’ultima pubblicazione dell’autore, non ho potuto resistere e l’ho acquistato e letto immediatamente.


Titolo: Klara e il sole
Autore: Kazuo Ishiguro
Anno della prima edizione: 2021
Titolo originale: Klara and the sun
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Susanna Basso
Pagine: 250


LA STORIA

"Klara è il sole" è la storia di un’amicizia tra una ragazzina dalla salute fragile ed un automa dalla sensibilità spiccata, che le viene affiancato. Non voglio dirvi di più della trama, perché esattamente come per "Non lasciarmi" credo che questo sia un romanzo tanto più godibile quantomeno si conosce del suo contenuto in anticipo: quando lessi "Non lasciarmi" per la prima volta non c’era Instagram, non si parlava di libri già prima della loro uscita in libreria o perlomeno le informazioni non erano così diffuse, e questo mi ha permesso di vivere completamente l’esperienza di lettura. Proprio per questo ho cercato di stare alla larga per quanto possibile da tutte le informazioni anche su "Klara il sole", e sono stata felice di averlo fatto.

COSA NE PENSO

In "Klara e il sole" c’è una tenerezza rara, c’è un rapporto speciale e soprattutto ci sono molte domande, molte questioni aperte, prima tra tutte: che cosa ci rende umani? È il nostro DNA, la nostra materia cerebrale, o il cuore umano in senso filosofico esiste davvero? È qualcosa che solo gli umani fatti di carne ossa e sangue possono avere, o anche un’intelligenza artificiale ne è dotata?

In "Klara e il sole" gli umani vengono potenziati per essere migliori, e vengono creati per bambini e adolescenti degli AA, amici artificiali che hanno molto da imparare, ma a cui di certo non mancano i sentimenti. Di sentimenti in questo libro ne troverete tanti, e molte saranno le pagine in grado di emozionarvi: ho provato sin dall'inizio un'enorme tenerezza per Klara, ed anche compassione, perché è difficile essere considerati qualcosa di meno degli altri quando dentro sia ha lo stesso mondo.

Non sbaglia chi trova dei parallelismi tra questo romanzo e "Non lasciarmi": anche qui si parla di creazioni ideate a beneficio esclusivo di qualcun altro, senza preoccuparsi di quello che sarà delle invenzioni stesse  -la visione della tecnologia, come completamente asservita all'umano, coincide. Come in "Non lasciarmi" c’è anche molto non detto: l’immaginazione del lettore deve impegnarsi per colmare i vuoti, e questo è parte del suo fascino, perché non si può dire che quelli di Ishiguro siano romanzi irrisolti. 

Anche in "Klara e il sole" infatti ogni tassello trova il suo posto, nonostante non tutto possa trovare una ragione razionale; ma si può credere nel sole, si può credere che sappia risvegliare un mendicante e un cane da un sonno eterno, e anche salvare una ragazzina da una malattia. Si può credere nel sole, nella gentilezza e nel sacrificio, e a mio parere sono proprio questi valori a rendere umani, molto più della materia cerebrale e il DNA.

lunedì 14 giugno 2021

Kafka sulla spiaggia

Il mio primo incontro con la produzione onirica di Murakami è stato "Kafka sulla spiaggia", un volume acquistato in edicola qualche tempo fa, nella stessa edizione di Underground di cui vi ho parlato da poco.


Titolo: Kafka sulla spiaggia
Autore: Haruki Murakami
Anno della prima edizione: 2002
Titolo originale: Umibe no Kafuka
Casa editrice: Einaudi
Traduttore: Giorgio Amitrano
Pagine: 514


LA STORIA

I protagonisti di Kafka sulla spiaggia sono un adolescente di 15 anni, Tamura Kafka, che si sente incapace di vivere, e un uomo ormai anziano di nome Nakata che è stato vittima di un avvenimento inspiegabile quando era bambino, che lo ha reso analfabeta ma capace di parlare con i gatti e possessore di un’ombra piuttosto sbiadita. A questi due protagonisti accadranno le più incomprensibili avventure, che ruotano attorno ad una misteriosa biblioteca, alla "pietra dell’entrata" e ad una foresta dove si verificano fenomeni inspiegabili.

COSA NE PENSO

Iniziamo col dire che Murakami è uno scrittore incredibilmente talentuoso e di questo ci si accorge sin dalle prime pagine. I primi capitoli sono narrativa pura, in cui seguiamo le vicende dei personaggi che ci vengono presentati a poco a poco; il mio preferito sin dall’inizio è stato il signor Nakata, che ho trovato tenero e sensibile come se nella sua mente fragile e che fatica a capire le cose del mondo fosse in realtà più ricettivo e sapesse comprendere meglio di chi lo circonda.

Insomma, la cosa che fa più piacere a Nakata è uscire e stare a parlare con i gatti sotto il cielo, come adesso.

Ho apprezzato molto la costruzione dei rapporti umani, specialmente quelli tra Nakata e il signor Hoshino, due solitudini che si incontrano per un viaggio apparentemente impossibile e che creano un legame profondo ed improvviso. Credo che questa amicizia sia stata in effetti l’elemento che ho preferito in tutto quanto il romanzo.

Poi si girò verso Nakata, il quale stava guardando tutto concentrato un libro con foto di mobili dell’artigianato giapponese, e con le mani manovrava pialle e scalpelli immaginari. Evidentemente, quando vedeva dei mobili il suo corpo cominciava a compiere, in modo automatico, i gesti che per tanti anni era abituato a fare nel suo lavoro. “Invece non mi stupirebbe se lui diventasse un grande uomo, - pensò Hoshino. - La maggior parte delle persone non ha la stoffa per diventarlo. Ma lui è speciale”.

Ho apprezzato anche il rapporto tra il giovane Kafka e il signor Oshima, personaggio dalla sessualità fluida che si occupa della biblioteca ed offre sin dal primo momento il suo disinteressato aiuto al ragazzo. Non altrettanto convincenti sono secondo me i rapporti tra Kafka e i personaggi femminili di questa storia, influenzati da una profezia scagliatagli contro dal suo stesso padre in odore di complesso di Edipo: è vero, a quindici anni la sessualità ha un enorme peso nei pensieri di un adolescente, ma come questa si concretizzi poi negli incontri tra Kafka e le due donne tra queste pagine non mi è sembrato del tutto credibile. E voi riderete pensando: credibile, in questo libro?

In effetti la produzione onirica di Murakami, caratterizzata dal cosiddetto realismo magico, probabilmente non è per tutti; e io devo riconoscere che il modo in cui in questo romanzo ai fatti non è data alcuna spiegazione, plausibile o meno, mi ha fatto sentire piuttosto disorientata e man mano che procedevo nella lettura questo effetto è andato acuendosi. Ho adorato, certo, il signor Nakata e le sue conversazioni con i gatti (attenzione: mi sento di indicarvi il sedicesimo capitolo come davvero molto crudo per chi come me e sensibile alla violenza sugli animali!) ma non altrettanto la piega che prende il soggiorno di Kafka nella biblioteca.

Anch’io, quando avevo la tua età, sognavo sempre di andare in un mondo a parte, — dice la signora Saeki sorridendo. — Un posto al di fuori del tempo, dove nessuno avrebbe potuto raggiungermi. — Ma un posto del genere non esiste. — Infatti, non esiste. Per questo vivo così. In un mondo dove tutto si danneggia, il cuore si consuma, e il tempo scorre senza un attimo di tregua.

Mi dispiace constatare ora che sto riordinando i pensieri che in effetti avevo aspettative piuttosto alte verso "Kafka sulla spiaggia", e ora che ho terminato la lettura mi rendo conto di come siano andate in parte deluse. So che gli estimatori dell’autore giapponese amano l’irrisolutezza delle sue opere, l’atmosfera di mistero, di irrealtà, di sogno che le caratterizza. Il suo stile e la sua capacità descrittiva piacciono molto anche a me, ma a conti fatti credo di essere una lettrice molto legata alla realtà, che ha bisogno di spiegazioni anche per gli avvenimenti più improbabili e che non ama rimanere con la sensazione di non aver compreso ciò che ha appena letto.

"Kafka sulla spiaggia" contiene di certo delle riflessioni che ognuno di lettori saprà adattare alla propria situazione e che saprà vivere e sentire come proprie: questo è innegabilmente un grande pregio della storia, perché tutti prima o poi attraversiamo le nostre tempeste di sabbia e non siamo gli stessi una volta che riusciamo ad uscirne, così come capita a Kafka che si accorge di saper vivere dopo tutto e al signor Hoshino che grazie al suo incontro con Nakata non sarà mai più Il ragazzo di prima che si lasciava sopravvivere dietro il volante di un camion.

Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia.

In conclusione "Kafka sulla spiaggia" non è diventato uno dei miei romanzi preferiti, ma mi ha lasciato qualcosa: un disordine interiore, una confusione e numerosi stimoli ai quali credo che tornerò a pensare in futuro, e per questo mi sento di consigliarvene la lettura, sia perché voi potreste apprezzarla completamente a mia differenza, sia perché altrimenti sono certa che, come a me, vi regalerò qualcosa.

mercoledì 9 giugno 2021

Palestina

Dopo aver letto "Ogni mattina Jenin", la mia curiosità nei confronti della questione palestinese è aumentata e così ho deciso di leggere un fumetto che avevo rimandato per anni: "Palestina" di Joe Sacco.


Titolo: Palestina
Autore: Joe Sacco
Anno della prima edizione: 2002 
Titolo originale: Palestine
Casa editrice: Mondadori
Traduttore: Daniele Brolli
Pagine: 141


In questo reportage, composto da nove episodi che documentano la permanenza dell’autore nei territori della Palestina occupata nei primi anni '90, Joe Sacco raccoglie le testimonianze di coloro che ha incontrato nel proprio viaggio, in cui ha visitato Gerusalemme, diversi campi profughi tra cui quelli di Balata, di Jenin, di Rafah, ed è stato anche nella Striscia di Gaza

Nei nove capitoli che compongono quest’opera Sacco descrive la condizione dei palestinesi attraverso le voci degli uomini e delle donne che ha incontrato: racconta così le violenze subite, gli arresti arbitrari, le numerosissime perdite di amici e familiari per colpa dell’esercito israeliano. Rappresenta poi le abitazioni o quello che ne è rimasto, le condizioni in cui esse versano ogni volta che si mette a piovere, la mancanza dei più elementari servizi igienici in cui vive chi a causa dell’occupazione ha perduto tutto. Sacco ritrae poi le vittime sopravvissute, le loro disabilità, i traumi dei loro bambini che numerosissimi affollano i campi profughi e i territori occupati e crescono nella consapevolezza della propria impotenza.

L’opera di Sacco per quanto non recentissima è ancora purtroppo estremamente attuale ed  è arricchita dall’ironia che l’autore riesce ad inserire nelle proprie pagine, scherzando davanti alla quantità di zucchero nel tè, ma al tempo stesso rendendosi conto della terribile realtà per la quale non era preparato. Sacco cerca di comprendere ciò che i suoi occhi vedono e le sue mani ritraggono: le divisioni per esempio all’interno del popolo palestinese stesso che indossa kefieh di colori diversi per la propria appartenenza all’OLP, ad al-Fatah, ad Hamas. Cerca di comprendere la posizione delle donne, divisa tra il rispetto verso una cultura antica e la necessità di partecipare alla lotta e alla resistenza insieme ai propri uomini. 

Sacco ascolta poi anche alcune voci israeliane, quando il suo viaggio sta per terminare, e qui si rende conto che la propria opinione è ormai troppo determinata da tutto ciò che ha visto ed imparato a conoscere e così le deboli motivazioni in difesa dello Stato di Israele non gli sembrano più convincenti in alcun modo. Sacco non lo dice apertamente, ma lo fa capire, così come fa capire quanto ogni singolo incontro gli apra gli occhi su una realtà che il mondo non vuole vedere.

"Palestina" è un fumetto importante, che è appena stato ripubblicato e quindi sarà facile per voi da reperire anche in libreria -come invece purtroppo non è possibile fare con numerose altre opere dell’autore, per esempio quella dedicata proprio alla Striscia di Gaza. 

I disegni di Joe Sacco sono estremamente dettagliati, in bianco e nero, e vi sono tavole a pagina intera che rappresentano i territori dei campi profughi in un modo che difficilmente dimenticherete. Personalmente non ho amato i volti da cartoon, da caricatura che Sacco dà ai suoi personaggi umani, compreso se stesso, ma questa è assolutamente questione di gusti. Per il resto l’autore ritrae gli ambienti in modo così vivido che talvolta sembrano fotografie, le stesse che avrà scattato durante il suo viaggio per poterli poi trasformare in disegni. 

In conclusione sono stata molto soddisfatta dalla lettura di "Palestina", che è dolorosa, impegnativa, tutt’altro che un fumetto di intrattenimento, ma è un’opera importante che mi sento assolutamente di consigliarvi, perché credo che le voci di tutti gli interlocutori dell’autore siano testimonianze preziose che hanno bisogno di essere ascoltate.

lunedì 7 giugno 2021

Ogni mattina a Jenin

Ci sono romanzi che ti insegnano, e ti scavano dentro, e ti lasciano in lacrime con in mano la tua copia acquistata per due euro all'usato e che ha invece un valore inestimabile, del quale ti accorgi una volta terminata la lettura. Questo è stato per me "Ogni mattina a Jenin".


Titolo: Ogni mattina a Jenin
Autrice: Susan Abulhawa
Anno della prima edizione: 2006
Titolo originale: The Scar of David (poi 2010, Mornings in Jenin)
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttrice: Silvia Rota Sperti
Pagine: 390


LA STORIA

Nel villaggio palestinese di 'Ain Hod inizia la storia di una famiglia: inizia con Bassima e con Yeyha e con i loro figli Darwish e Hassan, costretti a lasciare le proprie terre nel 1948, i loro ulivi, e a ricostruirsi un'esistenza da profughi a Jenin. Inizia così una storia palestinese, di massacri ingiustificati, di terre usurpate, di legami infranti, di amori intensi e veri che non hanno speranza contro i proiettili e contro i carri armati.

COSA NE PENSO

"Ogni mattina a Jenin" è meglio di un libro di storia, per certi versi: ripercorre le drammatiche vicende della Palestina occupata, dell'esercito israeliano e dei suoi massacri, attraverso dei personaggi vividi e veri seppure inventati. La protagonista a tutti gli effetti è Amal, terzogenita di Hassan e di Dalia, madre che ha perduto troppo: il suo primogenito Youssef lotterà per la Palestina mettendo costantemente a rischio la propria vita, mentre il suo secondo figlio le è stato portato via proprio nel 1948, appena neonato, ed è cresciuto sotto una falsa identità israeliana, figlio di una vittima dell'Olocausto divenuta sterile, senza che la sua madre biologica potesse saperne nulla. L'autrice per questo elemento si è ispirata al racconto "Ritorno ad Haifa" di Ghassan Kanafani, del quale vi avevo parlato qui.

Le radici del nostro dolore affondano a tal punto nella perdita che la morte ha finito per vivere con noi, come se fosse un componente della famiglia che saremmo ben contenti di evitare, ma che comunque fa parte della famiglia. La nostra rabbia è un furore che gli occidentali non possono capire. La nostra tristezza può far piangere le pietre. 

Dopo l'espropriazione del 1948 c'è poi la guerra del 1967, dove Amal e la sua amica Huda imparano cos'è un assedio, in cui sopravvivere in un buco sotto la cucina, con una neonata a morire loro tra le braccia. C'è un padre scomparso, Hassan, sulla cui fine nessuno saprà mai la verità; e c'è un orfanotrofio (realmente esistito, di cui si racconta anche nel film "Miral" che vi consiglio) dove Amal onorerà la promessa fatta al padre di farsi onore negli studi, potendo così emigrare negli Stati Uniti -dove la sua identità di Amy non coinciderà mai con chi è davvero.

Huda piangeva perché mi voleva bene e provava un grande senso di vuoto da quando avevo lasciato Jenin. Io piangevo perché, pur volendole bene a mia volta, sapevo che il mio sentimento non riusciva ad avere la stessa intensità.

La Palestina resta la vera casa di Amal, il suo sé più profondo: e sarà in un campo profughi, questa volta nel Libano dove i palestinesi vivono ammassati, che si innamorerà di Majid, che vedrà nascere sua nipote, figlia del purissimo amore tra Youssef e Fatima, a cui della Palestina sarà dato anche il nome. Ma tutti questi amori saranno distrutti dall'esercito israeliano, dall'inconcepibile massacro di Sabra e Shatila del 1982, dove persero la vita migliaia di civili (il numero esatto non è mai stato accertato, per via dei cadaveri occultati nelle fosse comuni nell'indifferenza del mondo). 

“Mio padre lo chiamava così. Jeddo Yehya – non l’ho mai conosciuto – aveva l’abitudine di portare lui e ‘Ammu Darwish in spiaggia quando la Palestina era ancora la Palestina.” “Sarà sempre la Palestina” disse Majid sommessamente, quasi con riluttanza.

"Ogni mattina a Jenin" è un romanzo che racconta la Palestina e il dramma delle torture, dei rapimenti arbitrari da parte dell'esercito israeliano -capace di accanirsi anche contro dei bambini armati di sassi, dei campi profughi privi di qualunque tutela sanitaria e ambientale, delle morti senza motivo alcuno. Amal è una protagonista che cerca in qualche modo di sfuggire ai tanti traumi della sua esistenza, alle perdite intollerabili che ha subito, ma dimostra anche come sia impossibile sfuggire a se stessi e alla propria appartenenza ad una terra per la quale è ancora così necessario lottare e restare -come fa la sua amica Huda, pagando per questo un prezzo altissimo nei suoi figli gemelli.

Guardò in silenzio le prove di quello che gli israeliani sapevano già, e cioè che la loro storia era sorta sulle ossa e sulle tradizioni dei palestinesi. Quegli uomini arrivati dall’Europa non conoscevano né l’hummus né i falafel, ma li proclamarono “piatti tradizionali ebraici”. Rivendicarono le ville di Qatamon come “antiche dimore ebraiche”. Non avevano vecchie fotografie o disegni dei loro avi che vivevano su quella terra, amandola e coltivandola. Arrivarono da nazioni straniere e dissotterrarono dal suolo palestinese monete dei cananei, dei romani, degli ottomani che poi vendettero come se fossero “antichi manufatti ebraici”. Vennero a Giaffa e trovarono arance grosse come angurie, e dissero: “Guardate! Gli ebrei sono famosi per le loro arance”. Ma quelle arance erano il risultato di secoli e secoli durante i quali i contadini palestinesi avevano perfezionato l’arte di coltivare gli agrumi.

Susan Abulhawa conosce bene ciò di cui scrive: figlia di una famiglia palestinese sfuggita alla Guerra dei Sei Giorni, cresciuta in un orfanotrofio di Gerusalemme e poi emigrata negli Stati Uniti, madre di una figlia femmina come Sara nel suo romanzo, ha molti aspetti in comune con la sua protagonista e la rende una donna assolutamente tridimensionale, per la quale si soffre pagina dopo pagina. Per Amal soffriamo, certo, ma soprattutto per la Palestina ed il suo popolo oppresso, privato delle più elementari libertà, ucciso dai cecchini e dai soldati nella terra che gli appartiene e dalla quale è stato scacciato in nome di decisioni inaccettabili. Sfido chiunque a leggere "Ogni mattina a Jenin" e rimanere indifferente alla causa della Palestina, a non comprenderne il dramma: e questo è a mio parere il maggior pregio del romanzo di Abulhawa, scrittrice dall'innegabile grande talento

"Ogni mattina a Jenin" è quindi un romanzo profondamente politico, calato in un contesto storico e capace di insegnarci una storia della quale leggiamo raramente nei libri: perché la voce che grida più forte è sempre quella del più potente, e chi nasce e cresce in un campo profughi raramente starà dalla parte dei vincitori

È però anche un romanzo familiare di enorme intensità, in cui si intrecciano grandi amori, amicizie lunghe una vita, rapporti fraterni complessi, percorsi di vita che si rincontrano dopo decenni; e se anche non siete interessati alla storia del Medioriente, si tratta comunque di una storia che, sono certa, non dimenticherete facilmente. Per me è stata una delle letture più intense in questa prima metà dell'anno, che mi ha lasciata in lacrime in più di un passaggio, e che mi ha fatto scoprire un'autrice che penso entrerà a far parte delle mie preferenze letterarie. 

martedì 1 giugno 2021

Sanguina ancora

Di libri che si avvicinino alla critica letteraria e che raccontino i classici della letteratura ne ho letti ben pochi. È un genere infatti che ho scoperto di recente, con "Cercando Emma" di Dacia Maraini dedicato a "Madame Bovary"; ho scoperto che questo tipo di letture mi piace molto e mi arricchisce, ed ecco spiegato il motivo di questa ultima lettura.



Titolo: Sanguina ancora
Autore: Paolo Nori
Anno della prima edizione: 2021
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 288



In "Sanguina ancora" Paolo Nori (che ho scoperto abitare nello stesso paesino della provincia bolognese in cui sono cresciuta!) racconta il proprio amore per i romanzi russi ed in particolare per quelli di Dostoevskij. Lo fa mescolando le informazioni sui momenti fondamentali della vita dell’autore, le trame delle sue opere principali e quello che hanno significato nella sua vita, sin da quando quindicenne si innamorò di "Delitto e castigo".

Per me, che di Dostoevskij ho detto soltanto "Memorie del sottosuolo", questa lettura è stata estremamente interessante. Innanzitutto perché la vita di Dostoevskij è un romanzo essa stessa, dalla condanna a morte (per un’opinione espressa sulle opere di Gogol’, potete crederci?) commutata in lavori forzati a pochi minuti dall’esecuzione, già sul patibolo, al denaro, gli abiti, i gioielli persino della sua seconda moglie persi nei casinò tedeschi, e naturalmente i suoi processi creativi, che lo hanno fatto sentire per tutta la vita un grande autore, spesso fin troppo pieno di sé.

Nori racconta l’uomo Dostoevskij, il padre innamorato della sua prima bambina (che purtroppo perderà troppo presto), il marito infelice con la sua prima consorte e poi compreso ed amato dalla seconda, che talvolta ci sembra fin troppo disponibile nei suoi confronti; racconta l’uomo che tanto ha amato suo fratello e si dispera alla sua morte, l’uomo dipendente dal gioco d’azzardo che roulette dopo roulette lo rovina. Ci parla anche del Dostoevskij autore, apprezzato e riconosciuto sin dalla sua prima opera "Povera gente", che non risparmia i giudizi negativi nei confronti degli altri scrittori -Gogol' per esempio, che gli costerà caro, ma anche Turgenev. Scopriamo attraverso Nori lo scrittore ricattato a causa dei propri debiti, che deve affrettarsi a terminare "Il giocatore" e che ripaga la propria situazione finanziaria ogni volta con un nuovo capolavoro.

Come vi dicevo ho letto soltanto il breve "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij, con il quale ho anche faticato non poco e che l’opera di Nori mi ha comunque permesso in parte di rivalutare. "Sanguina ancora" ha avuto per me l’enorme pregio di interessarmi e incuriosirmi dalla prima all’ultima pagina: l’ho trattato come un testo di studio, nonostante sia divertente e scorrevole grazie alla penna dell’autore, sempre ironica, ricca di aneddoti personali. Ho preso numerosi appunti, spesso anche soltanto i titoli delle opere a margine di pagina, in modo da poter ritornare sull’opera di Nori quando mi avvicinerò ai romanzi analizzati e potrò rileggere quanto scritto più consapevole delle storie prese in esame.

Credo basandomi sulla mia esperienza che "Sanguina ancora" sia assolutamente godibile per tutti gli interessati ai romanzi russi, anche se come me siete molto ignoranti in materia. L’unico elemento necessario è la curiosità, e questo libro non farà che accrescerla: infatti una volta terminata la lettura posso dire di non vedere l’ora di dedicarmi alle opere, di Dostoevskij ma non soltanto, citate in questo libro e per questo ritengo che per i neofiti l’opera di Nori sia estremamente stimolante.

Credo che la lettura possa essere comunque di grande interesse anche per chi tutti romanzi citati o quasi li ha già letti... Ma per poter affermare questo mi servirebbe il vostro parere di esperti di letteratura russa!