giovedì 18 novembre 2021

Nel blu tra il cielo e il mare

Dopo aver raccontato la Palestina e i campi profughi della Cisgiordania e del Libano in "Ogni mattina a Jenin", Susan Abulhawa torna a raccontare la sua terra d’origine e lo fa concentrandosi sulla striscia di Gaza, prigione a cielo aperto costantemente esposta alla ferocia israeliana.


Titolo: Nel blu tra il cielo e il mare
Autrice: Susan Abulhawa
Anno della prima edizione: 2015
Titolo originale: The Blue Between Sky and Water
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttrice: Silvia Rota Sperti
Pagine: 331

"Nel blu tra il cielo e il mare", pubblicato da Feltrinelli, è un romanzo che ruota attorno alle donne: a partire da una matriarca capace di contenere un jinn, fino ad una giovane donna nata negli Stati Uniti che è stata esposta all’abbandono, alla solitudine, agli abusi e che a Gaza  ritrova se stessa e e una forma di libertà nonostante la prigionia forzata a cui i palestinesi sono costretti.
Ci sono donne memorabili in questo libro: madri coraggiose, capaci di sopportare la perdita di figli uccisi o arrestati dagli israeliani; mogli innamorate e nipoti rese forti dai legami familiari che le hanno circondate.

Anche questa si conferma una saga familiare che attraversa i decenni e le generazioni. I personaggi sono molti, alcuni non hanno nemmeno un nome, come gli 11 fratelli nati tra Mazen e Alwan: un utile albero genealogico vi permetterà di non disorientarvi.

Rispetto al precedente questo romanzo contiene delle pennellate di realismo magico, primo tra tutti la capacità del giovane Khaled che è a tratti narratore in prima persona di questa storia. La sua presenza è stata avvertita già generazioni prima che lui nascesse, e seppure prigioniero nel suo corpo è capace di viaggiare ed entrare in contatto con i membri della famiglia che non ci sono più. Non immaginatevi però un messaggero, perché proprio lui è l’unico a rendersi conto di essere una sorta di intermediario e soltanto uno e definitivo sarà il messaggio che porterà ai vivi.

L’autrice anche qui è bravissima nel caratterizzare il contesto socio politico che circonda i suoi personaggi: ci sono ergastoli arbitrari, combattenti coraggiosi, ragazzi giovanissimi che rischiano la vita nel contrabbandare merci nei tunnel che collegano Gaza all’Egitto. C’è la resistenza palestinese sin dall’esordio di questa storia che si intreccia la Nakba, alla guerra dei Sei Giorni e dove persino un essere soprannaturale si schiera dalla parte della Palestina, una terra che, come ciclicamente ci ripete questo romanzo dalle prime pagine sino all’epilogo, rinascerà.

Rispetto a "Ogni mattina a Jenin" ho trovato questo secondo romanzo un po’ meno drammatico: anche qui i dolori e i lutti non mancano, ma nel complesso e soprattutto nella sua ultimissima parte la storia trasmette un senso di speranza, di dignità e di orgoglio che alleviano l’angoscia e il dispiacere. Ritornano i temi dell’appartenenza cari all’autrice (anche lei palestinese emigrata negli Stati Uniti), la Palestina torna ad essere a casa, radici e luogo in cui poter essere davvero se stessi, in questo caso superando anche traumi di un passato molto scomodo. 
La parentesi americana di questo libro infatti è estremamente tragica e tocca argomenti molto sensibili e delicati come il sistema dell’affidamento minorile e gli abusi sui bambini.

Difficile evitare di rimanere scossi davanti alle opere di questa autrice, tuttavia non posso fare altro che consigliarvi un’altra opera magnificamente scritta, dai personaggi che sono sicura sapranno emozionarvi ognuno a modo loro. Ora non mi resta che recuperare l’ultima uscita della scrittrice... 

E voi avete letto i suoi romanzi?

Notte a Caracas

Il mio primo incontro con la letteratura venezuelana avviene attraverso una lettura molto politica, immersa nella contemporaneità. Il titolo originale del romanzo "Notte a Caracas" di Karina Sainz Borgo è "La figlia della spagnola": forse meno attraente se stampato su una copertina, ma più coerente con il contenuto del testo.


Titolo: Notte a Caracas
Autrice: Karina Sainz Borgo
Anno della prima edizione: 2019
Titolo originale: La hija de la española
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Federica Niola
Pagine: 203

La protagonista e io narrante in prima persona è Adelaida Falcones, una giovane donna venezuelana che la cui madre è appena morta di cancro, in un paese devastato da una guerra civile e da una dittatura di ispirazione marxista. Adelaida è priva di punti di riferimento, e persino la sua casa è stata occupata da un gruppo vicino al regime.

"Notte a Caracas" è una storia di rinunce: Adelaida deve rinunciare alla madre, che è stata sempre il centro dell’universo per lei e con cui condivideva oltre la quotidianità anche il nome. Deve rinunciare alla sua casa, alla sua umanità quando decide per sopravvivere di sbarazzarsi del cadavere di una vicina, poi della sua identità quando assume quella della donna (la figlia della spagnola, appunto) che ha lasciato consumare nel rogo. Non ha scelta Adelaida, e la capiamo mentre cerca di salvarsi la vita dicendo addio al suo Venezuela ed emigrando in Spagna -lo stesso percorso è stato compiuto dall’autrice, che conosce bene la materia della quale scrive.

Sebbene si presenti come un romanzo, molti sono gli elementi riconoscibili tratti dalla realtà: nel Venezuela di Chavez prima e di Maduro poi l’inflazione è stata devastante per l’economia, accrescendo il potere del mercato nero e così anche la guerriglia e il narcotraffico che rendono le strade di Caracas luoghi ben poco sicuri, dove le sparizioni e gli omicidi sono all’ordine del giorno. Confrontandomi con un caro amico venezuelano ho capito che molti degli episodi raccontati in questo romanzo non sono quasi per nulla di fantasia…

L’autrice scrive un romanzo dal contenuto molto duro e dallo stile asciutto, giornalistico (la sua occupazione principale è proprio quella di giornalista), ma anche ricco di riferimenti alla cultura latino-americana, dalla poesia alla letteratura alla musica.
È un romanzo che trasporta il lettore in un universo spaventoso per me, che sono cresciuta in una città pacifica e sicura, ma che è importante che ottenga attenzione appunto per il fatto di non essere un’invenzione della scrittrice. È stata una lettura interessante, che mi ha turbata a più riprese e che vi consiglio perché di questo paese e delle terribili condizioni a cui la sua popolazione è costretta ad adeguarsi si parla davvero troppo poco.

giovedì 11 novembre 2021

L'invenzione di noi due

"L’invenzione di noi due" non è stato il mio primo incontro con la scrittura di Matteo Bussola, che seguo da anni sui social e di cui ho già letto le due raccolte di pensieri "Notti in bianco, baci a colazione" e "La vita fino a te". Entrambe mi erano piaciute molto, perché capaci di trasmettere emozioni diverse, dalla tenerezza alla nostalgia, fino a farmi ridere di gusto.


Titolo: L'invenzione di noi due
Autore: Matteo Bussola
Anno della prima edizione: 2020
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 216

"L’invenzione noi due" è il suo romanzo d’esordio, la prima volta in cui l’autore si cimenta con una storia da lui inventata in forma di romanzo -Bussola infatti lavora principalmente come fumettista. Si tratta di una storia quotidiana. di due coniugi (Nadia e Milo) che hanno superato i quarant’anni, sono sposati da tempo e sentono di essersi allontanati e di vivere un’esistenza che non li soddisfa più. Milo, ancora molto innamorato della moglie, decide di tentare di riconquistarla con lo stesso mezzo che li aveva avvicinati quando si erano conosciuti, ovvero la scrittura. Non ha però il coraggio di affrontarla direttamente e le lettere sono scritte sotto falsa identità. 

"L’invenzione di noi due" è diviso in capitoli brevi, quanto i pensieri raccolti nelle due opere che avevo già letto più lunghi durano poche pagine. I capitoli appartengono a quattro sezioni che portano in modo significativo il nome degli ingredienti utili a fare il pane, dalla spiga all’acqua: gli ingredienti dell'alimento più quotidiano, ma anche più essenziale.

Si tratta di un romanzo semplice, scritto nel riconoscibilissimo stile dell’autore, che si intravede anche in dettagli autobiografici disseminati qua e là -per esempio la professione di architetto, che accomuna per un periodo lui e il suo protagonista, i fumetti che fanno capolino, la moglie appassionata dalla scrittura. 

È una lettura leggera e piacevole, che non mi ha sorpresa per parecchie pagine. La ragione per cui sono qui a consigliarvelo è certamente la parte finale, che ha ribaltato per me il giudizio sull’opera: sono rimasta colpita dalla capacità dell’autore di non far terminare la sua storia e le vicende dei suoi protagonisti in una maniera banale, che mi sarei aspettata. Ovviamente non vi rivelerò più di così, e non aspettatevi un colpo di scena da perdere il sonno, ma considerato il genere del libro per me è decisamente un valore aggiunto. 

Credo che "L’invenzione di noi due" sia uno di quei libri che potrebbe far venire voglia di leggere anche a persone che raramente ne trovano il tempo. Una storia in cui tutti potranno in parte riconoscersi, suddivisa in modo da rendere possibile una lettura in brevi sessioni, lo rende un ottimo candidato per incuriosire qualche lettore inesperto e visto che in questo periodo siamo tutti a caccia di regali questo finisce nella lista delle mie possibili scelte. 

Qual è l’ultimo libro che avete letto e pensate di regalare a Natale?

mercoledì 10 novembre 2021

Fun Home

"Fun Home" è un fumetto che ho ricevuto in regalo molto tempo fa, quando ero decisamente troppo giovane per comprenderlo completamente. Lo riprendo oggi a distanza di oltre dieci anni e di certo le mie conoscenze sono più adeguate per avvicinarsi a questa lettura.


Titolo: Fun Home. Una tragicommedia familiare
Autrice: Alison Bechdel
Anno della prima edizione: 2006
Titolo originale: Fun Home. A Family Tragicomic
Casa editrice: Rizzoli
Traduttrice: Martina Recchiuti
Pagine: 236


Si tratta di un memoir, un racconto autobiografico della fumettista americana e del suo complicato rapporto con la figura paterna: l’uomo infatti, morto probabilmente suicida quando lei era molto giovane, viveva intrappolato in un ruolo autoimpostosi, deciso a negare la propria omosessualità che si rivelava però nei rapporti inappropriati con ragazzi poco più grandi dei suoi figli -sia chiaro, non si parla di pedofilia. 

L’autrice è in questo racconto prima bambina e poi giovane donna, e se dapprima si identifica in un maschiaccio che odia le gonne e vorrebbe farsi chiamare Albert, si scopre poi una ragazza omosessuale e transessuale come mi sarei aspettata -ma qui forse si rivela la mia ignoranza in materia. L'orientamento sessuale accomuna dunque lei e quell’incomprensibile genitore di cui tanto poco conosce.

"Fun Home" è un fumetto interamente in bianco e nero, dai disegni dettagliati, ricchi di espressività, dove ognuno dei personaggi viene ritratto in maniera particolareggiata così come l’ambiente che lo circonda. 


Un altro aspetto degno di nota è sicuramente la ricchezza di riferimenti letterari disseminati in quest’opera: si passa per Henry James, Oscar Wilde, Virginia Wolff, l’Ulisse di Omero e soprattutto di James Joyce. Il padre dell’autrice era infatti, oltre che un operatore funebre, anche un insegnante di letteratura inglese alle superiori e la letteratura è un aspetto centrale in questo fumetto, ragion per cui leggerlo ad un’età troppo precoce rende probabilmente l’opera difficile da apprezzare nel suo complesso.

Ho trovato "Fun Home" una lettura interessante, sebbene devo ammettere che nonostante gli argomenti si prestino ad emozionare il lettore questa cronaca non è riuscita a fare breccia nei miei sentimenti: pare davvero di leggere un diario, di accompagnare Alison nella sua crescita, ma di fatti eclatanti non ce ne sono poi molti e anche l'empatia che ho provato per la protagonista stessa è stata limitata dal tono distaccato con cui trasmette i suoi contenuti. 
Per questo ve lo consiglio se siete interessati alle biografie e al tema dell’omosessualità, ma non aspettatevi un fumetto ricco di sentimenti e di personaggi per cui simpatizzare!

Qual è l’ultimo fumetto che avete letto?

martedì 9 novembre 2021

Origini

"Origini" di Saša Stanišić, pubblicato da Keller editore, è uno di quei romanzi che quando l’hai finito ti lascia con un sorriso sulla faccia per la soddisfazione di aver letto qualcosa di così intenso e letterario al tempo stesso. 

Non è una storia inventata quella che l’autore racconta in "Origini", bensì ripercorre la propria vita dall’infanzia in Bosnia, all’emigrazione in Germania all’inizio degli anni '90, allo scoppio della guerra. In Germania è cresciuto e vi risiede tuttora; continua a svolgere il mestiere di scrittore che ha sentito come proprio sin da giovanissimo e che grazie a degli impiegati dell’ufficio immigrazione forse più illuminati di altri gli ha permesso di rinnovare i propri documenti di soggiorno anche quando i suoi genitori vennero invece rimpatriati.

Al centro di questo libro c’è quindi l’autore, ma c’è anche sua nonna ormai anziana, alle prese con la perdita della memoria. Così ci troviamo a viaggiare tra Heidelberg e Visegrad a incontrare pastori, poliziotti, zatterieri sulla Drina, donne che leggono il futuro nei fagioli rossi, adolescenti che portano su di sé i traumi della guerra o l’emarginazione dell’essere straniero, fino ad uno straordinario epilogo che mostra tutta la capacità narrativa dello scrittore. Ritorniamo insieme all'autore all’infanzia in una sorta di libro-game che ci fa saltare da una pagina all’altra e che preferisce rappresentare i toni fantastici di una battaglia contro i draghi e la ricerca del tanto amato marito della nonna, invece di un funerale.

Stanišić scrive un’autobiografia sui generis, in cui parla delle origini e dell’appartenenza, ma rende evidente come siano le storie il luogo dove si sente a casa. "Origini" è un testo sull’ex Jugoslavia, sui bambini che tifavano la Stella Rossa prima che le divisioni portassero i conflitti armati e ai campi minati; è un testo sull’essere rifugiati, sullo spaccarsi la schiena in lavori faticosi e poco gratificanti. Nonostante rappresenti in particolar modo l’Europa degli anni '90 è un testo molto legato alla contemporaneità che vede riflessa la fuga dell’autore e di sua madre nei profughi afghani che oggi faticano a passare i confini, molto più controllati di trent’anni fa. 

"Origini" è un libro capace di far riflettere moltissimo, ma soprattutto scritto con una lingua poetica, ipnotica, descrittiva senza mai eccedere, capace di rendere al meglio le emozioni contenute nei ricordi. La scrittura di Stanišić mi è piaciuta così tanto che ne ho centellinata la lettura per non terminarlo in fretta e nonostante l’avessi già apprezzata moltissimo quando sono arrivata alla fine l’ultimo capitolo è riuscito ancora a sorprendermi.

Come sempre questa casa editrice si conferma eccezionale nello scoprire autori lontani dalla banalità, che creano storie che ci rimarranno impresse a lungo. "Origini" è un testo più sperimentale di quelli che avevo letto fino ad oggi pubblicati da Keller e credo sia diventato uno dei miei preferiti. Inutile dire che ve lo consiglio di cuore soprattutto se siete lettori che amano essere stupiti!

Qual è l’ultimo libro che vi ha lasciati senza parole?


lunedì 8 novembre 2021

Il gatto che voleva salvare i libri

Il gatto che voleva salvare i libri" di Sosuke Natsugawa è una lettura molto tenera e delicata, assolutamente perfetta per i momenti in cui avete bisogno di un libro che vi dia conforto e sappia farvi sorridere.

Il protagonista è il giovane Rintaro, un ragazzo piuttosto asociale (si definisce infatti un "hikikomori") che vive insieme al nonno, il quale gestisce una libreria dell’usato. Alla morte del nonno il ragazzo si ritrova solo, senza sapere che cosa ne sarà del resto della sua vita, ed è proprio allora che compare un gatto parlante che lo incarica di alcune missioni che hanno lo scopo, come dice il titolo, di salvare i libri da dei personaggi che li stanno mettendo in pericolo.

Rintaro sembra una sorta di "Piccolo Principe" che come nella famosa favola viaggia non da un pianeta all’altro, ma da un labirinto all’altro per portare a termine le sue missioni da amante della lettura. Invece di addomesticare una volpe è Rintaro che viene in qualche modo addomesticato dal soriano parlante, capace di fargli riscoprire il proprio valore e le proprie potenzialità. Il gatto chiama il ragazzo "seconda generazione" proprio perché è sin dall’inizio convinto che sarà Rintaro a portare avanti la libreria del nonno, come in effetti anche il lettore arriva presto a pensare -ed in cuor mio ho interpretato il gatto proprio come una manifestazione del nonno stesso, che da una dimensione parallela entra in contatto con il nipote per fargli trovare il coraggio in lui stesso.

"Il gatto che voleva salvare i libri" è un libro che attraverso la fantasia dà voce all’amore per la lettura, a quanto sia importante non perdere di vista il valore dei libri e di ciò che sanno insegnarci, primo tra tutti la capacità di provare empatia. 
È un libro breve, pieno di buoni sentimenti, che è anche una perfetta favola di Natale perché proprio a cavallo tra la Vigilia e il 25 dicembre si svolge l’ultima avventura di cui Rintaro è protagonista: quella più importante di tutte perché gli permette di salvare la sua amica Sayo, e di riscoprire così anche l’importanza dei legami interpersonali.

Di certo si tratta di una lettura leggera e non di un grande classico come quelli che questo libro più volte nomina, da "I fratelli Karamazov" a "Cent’anni di solitudine". Tuttavia è uno di quei libri che una volta chiusi lasciano il lettore con un sorriso sul volto e il cuore più leggero, e per questo è una lettura che vi consiglio e che vi suggerisco anche se siete incerti su un regalo di Natale da acquistare  per qualcuno a cui volete bene e che ama leggere!

mercoledì 3 novembre 2021

Come un uccello in volo

Ci sono libri acquistati per caso, un pomeriggio in libreria con in tasca un buono che ti fa sentire onnipotente, e finiscono talvolta dimenticati per oltre una decina d’anni e poi riscoperti, per caso come sono stati trovati.


Titolo: Come un uccello in volo
Autrice: Fariba Vafi
Anno della prima edizione:
Titolo originale:
Casa editrice: Ponte33
Traduttore:
Pagine: 136


LA STORIA

La protagonista di "Come un uccello in volo" è una donna iraniana di 35 anni. Ha due figli, è sposata ed il suo matrimonio è tutt’altro che felice: il marito desidera costantemente di emigrare, sogna il Canada ma arriva al massimo all’Azerbaigian; inoltre attorno a lei ci sono sorelle con cui capirsi è difficile, ed una madre malata.

COSA NE PENSO

"Come un uccello in volo" è un romanzo breve e scorrevole, suddiviso in 53 capitoli che raramente superano le due o tre facciate. Sembra quasi un diario, una testimonianza raccolta giorno per giorno da una donna assolutamente reale: la credibilità infatti di quello che viene raccontato è altissima e l’autrice è molto brava a rendere vivida e presente al lettore la propria protagonista. 

La storia raccontata all’interno di "Come un uccello in volo" parla della fatica di resistere alle difficoltà di una vita quotidiana spesso noiosa, in cui non ci si sente comprese e si vivono le incombenze della vita coniugale e della maternità come talvolta opprimenti. C’è un grande distacco tra la narratrice in prima persona ed il marito, per il quale sembra non provare più nulla se non insoddisfazione, ed esasperazione nei confronti delle sue idee e dei continui traslochi a cui l'uomo la costringe. 

Siamo in Iran, ma questo aspetto è riconoscibile più che altro dai nomi dei personaggi e dei riferimenti ai cibi che consumano. Potremmo essere infatti in qualunque paese del mondo, tanto questo rapporto ormai logoro è universale, e tanto universale è il sentire della protagonista che moltissime donne dei più diversi paesi potranno riconoscersi in lei.

Non aspettatevi una lettura memorabile piena di avvenimenti: si tratta di una storia quotidiana, in cui è facile immedesimarsi e parteggiare per il personaggio femminile. L'autrice scrive in modo scorrevole, ed è stata una lettura che mi ha tenuto compagnia e che ho apprezzato come quasi sempre mi capita con storie di questo tipo, nonostante non possa dire che mi abbia tolto il fiato o emozionata in modo particolare. 

Ne consiglio quindi la lettura a coloro che amano le storie di tutti i giorni e che sono interessati a scoprire autrici donne che non provengono soltanto dal più famoso e tradotto occidente! 

Qual è l'ultimo libro di un'autrice non europea che avete letto?

lunedì 1 novembre 2021

I fichi rossi di Mazar-e Sharif

Una prospettiva interna dell’Afghanistan dilaniato dalla guerra è la raccolta di racconti "I fichi rossi di Mazar-e Sharif" di Mohammad-Hossein Mohammadi, pubblicata da Ponte33. L'autore la terminò nel 2004 e che risente quindi degli anni di occupazione sovietica ma anche della lotta interna tra talebani e mujaheddin fino all’11 settembre -non fa cenno però all’esercito statunitense. 


Titolo: I fichi rossi di Mazar-e Sharif
Autore: Mohammad-Hossein Mohammadi
Anno della prima edizione: 2004
Titolo originale:
Casa editrice: Ponte33
Traduttore: N. Samadi
Pagine: 137


Si tratta di una raccolta di racconti molto brevi, che danno una prospettiva sull’Afghanistan letteraria rispetto per esempio all’opera di Bitani che ho letto di recente. Qui l’intera narrazione è ambientata nella città di Mazar-e Sharif ed ed è frammentata in 14 punti di vista.

Quelli dell’autore sono racconti colmi di violenze, di omicidi soprusi e perdita dell’innocenza. I punti di vista sono sia maschili sia femminili, a volte di voci adulte e altre volte di bambini esposti alla perdita della loro infanzia, e anche la narrazione si alterna tra la prima e la terza persona singolare, con qualche incursione anche alla seconda. La lingua dell’autore infatti è piuttosto ricercata e alterna i dialoghi al monologo interiore e alla più tradizionale narrazione dei fatti. 

Molto spesso il lettore è portato ad immedesimarsi con i protagonisti dei racconti che com'è normale in una raccolta non ho trovato sempre ugualmente efficaci: alcuni infatti sono così brevi che non c’è il tempo di calarsi nella storia e si rimane un po’ disorientati, alla ricerca di un significato non sempre offerto dai finali che talvolta rimangono in sospeso. 

Assolutamente degni di nota sono però alcuni racconti dei quali voglio citarvi anche i titoli in modo che possiate più facilmente reperirli. Innanzitutto quello che dà il titolo alla raccolta e che vede protagonista una bambina che come una sorta di Cappuccetto Rosso nel mezzo della guerra vorrebbe portare un fico rosso dell’albero che cresce davanti alla casa che ho appena lasciato alla nonna, nonna che però non avrà più occasione di rivedere in vita.

Altrettanto convincente ed evocativo è il racconto "Il deserto di Leili", uno dei più lunghi della raccolta, che racconta alternando i punti di vista la prigionia di combattenti catturati nel deserto e rinchiusi in un container ad aspettare che muoiano soffocati, mentre i loro carcerieri attendono che cessino i rumori provenienti dall’interno. Mi ha ricordato l'indimenticabile "Uomini sotto il sole" di Kanafani. 

Doloroso e ben costruito è anche il racconto "E la pioggia cadeva", che racconta il dolore di una madre che ha già un figlio mutilato dalla guerra e viene messa al corrente dopo 10 anni della morte del figlio più giovane che fino a quel momento le era stata tenuta nascosta per risparmiarle una tale sofferenza. 

Ci sono uomini e donne che soffrono in questa raccolta di racconti; ci sono bambini che vedono morire i loro parenti o che rimangono orribilmente mutilati dalla guerra. Ci sono donne costrette a prostituirsi per poter dare da mangiare alla propria famiglia, ragazzine abusate e uomini esposti costantemente ai combattimenti, alla morte improvvisa, ai regolamenti di conti,  alla guerra che non risparmia nessuno. Non è certo una lettura agevole da intraprendere alla leggera questa raccolta di racconti, che sono brevi sì ma anche molto intensi e dal contenuto difficile da digerire. 

Credo che sia la più autentica tra le opere ambientate in Afghanistan che mi è capitato di leggere ed al tempo stesso un'opera letteraria di grande interesse e valore. Per questo vi suggerisco di recuperarla se siete interessati all’argomento: merita di certo più notorietà di quella che ha raggiunto e per me è stata un’esperienza di lettura intensa ed arricchente.

Qual è l'ultima raccolta di racconti che avete letto?


Il primo racconto i morti affida la narrazione proprio a coloro che sono stati uccisi di recente vittime delle continue battaglie tra zone rivali e mostra l’insensatezza di una guerra che non fa prigionieri anche quando ci rimettono la vita civili disarmati che stanno solo per raccogliere il grano.

Nel secondo il narratore passa dalla terza alla seconda persona singolare, per raccontare un padre in attesa su una soglia, che aspetta un figlio che non vede da anni, di cui sa che il ritorno comporterà la morte.

Un uomo che sente uno sparo nella notte, lo sente solo lui, e trova il cadavere di un soldato di cui nessuno si è accorto. La normalità della morte dietro casa, della neve che ricopre i cadaveri.

La voce in prima persona di un mutilato abbandonato a se stesso, che non ha alternative all’elemosina. Un racconto doloroso e crudo, dà voce a ragazzi che hanno perduto l’uso degli arti nella guerra e non hanno più alcuna possibilità: un ennesimo effetto collaterale delle battaglie.

Il ritorno a casa di una guardia del corpo che trova ad accoglierlo la notizia di un parente assassinato anche qui l’onnipresenza delle morti violente e improvvise che non risparmia nessuno.

Bambini costretti ad assistere alla morte violenta del nonno nascosti in una cantina per non essere uccisi a loro volta un altro racconto sulla perdita dell’infanzia e dell’innocenza.

Il punto di vista raccontato in prima persona di una donna spinta dalla povertà e dalla fame alla prostituzione che si trova in una situazione di estremo pericolo e ripensa agli anni dell’innocenza e al figlio e al marito che tanto ama primo racconto da una prospettiva femminile che dà voce alla condizione delle donne impossibilitate a lavorare che non hanno altre scelte se non l’accattonaggio o la vendita del proprio corpo finale che rimane in sospeso ancor di più che nei racconti precedenti.

La prospettiva di una bambina il cui padre è impegnato nei combattimenti e che assiste alla distruzione progressiva della città ad opera dei bombardamenti mentre nella mano stringe il fico rosso raccolto dall’albero della casa che ho dovuto lasciare anche qui si assiste ad una morte quella della nonna chiamava tanto i fichi rossi questo è il racconto che dà il titolo alla raccolta e ancora una volta l’infanzia fatica ad essere associata all’innocenza e alla spensieratezza prevalendo invece la paura e la sofferenza.

Il dolore di una madre che dopo aver visto un figlio rimanere invalido a causa di una pallottola Che lo ha mutilato di una gamba scopre a distanza di 10 anni che l’altro figlio è morto a sua insaputa e tutti hanno cercato di risparmiarle la sofferenza di saperlo racconto in prima persona della madre che parla direttamente con il figlio scomparso molto commovente.

Il deserto di lei uno dei racconti più lunghi della raccolta e uno dei più efficaci racconta la prigionia di un combattente catturato nel deserto e tenuto prigioniero da personaggi che presumibilmente parlano uzbeco il racconto è narrato attraverso due prospettive l’uomo afgano rinchiuso in un container insieme ad altri uomini che piano piano muoiono soffocati e i loro sequestratori che attendono placidamente il cessare dei colpi dall’interno del container per essere sicuri che tutti i prigionieri siano morti mi ha ricordato le atmosfere di uomini sotto il sole dell’autore palestinese Kanafani, Ed è un racconto molto concreto ed angosciante.

E l'eco rispose

Dopo aver riletto e apprezzato moltissimo i primi due romanzi di Khaled Hosseini ("Il cacciatore di aquiloni" e "Mille splendidi soli") ho deciso di acquistare la sua più recente pubblicazione, "E l’eco rispose", sempre pubblicata da Piemme.


Titolo: E l'eco rispose
Autore: Khaled Hosseini
Anno della prima edizione: 2017
Titolo originale: And The Mountains Echoed
Casa editrice: Piemme
Traduttrice: Isabella Vaj
Pagine: 455


La storia inizia in Afghanistan, in una famiglia estremamente povera dove l’unica alternativa sembra cedere a due facoltosi coniugi impossibilitati a procreare la loro bambina, separandola dal tanto amato fratello maggiore. Da qui si dipana una quantità a mio parere eccessiva di storie: quella di Pari e dei suoi genitori adottivi, quella dei suoi fratelli biologici, ma anche storie di altri personaggi come due vicini di casa emigrati poi negli Stati Uniti e quella di un chirurgo plastico originario di un’isola greca e della ragazza diventata per lui come una sorella. Queste ultime sotto trame mi sono sembrate devo ammetterlo addirittura superflue.

La scrittura di Hosseini è sempre scorrevole e capace di far affezionare il lettore ai suoi personaggi. Il fatto che siano però così tanti lascia meno tempo per conoscerli in profondità: in poche pagine vengono narrati interi decenni delle loro vite e il ritmo è un po’ frettoloso.

Interessante è la presenza di elementi che si sono già incontrati ne "Il cacciatore di aquiloni": personaggi incaricati di ritornare in Afghanistan a portare a termine una missione e ritrovare una persona smarrita nelle pieghe del tempo, l’emigrazione in California che caratterizza anche la vita dello stesso autore, un padre morto di cancro. Gli scenari di questo romanzo sono però più numerosi e non si limitano all’Afghanistan e agli Stati Uniti, ma coinvolgono diverse località europee tra cui la Francia e la Grecia -ambientazioni a mio parere non proprio necessarie.

*Somiglianze con Il cacciatore di aquiloni: -pretesto della missione da svolgere da persona in un punto di morte (qui: lettera di Nabi incarica Markos di trovare Pari; là: l’amico del padre incarica Amir di trovare Sabhor) ; -padre di un personaggio muore di cancro a casa (qui: Idris, là: Amir); riferimento autobiografico a personaggi che negli anni ‘80 emigrano dall’Afghanistan ottenendo l’asilo negli Stati Uniti, precisamente in California -l’autore conosce la materia della quale scrive (qui: Timur, Idris e le loro famiglie; là: Amir e il padre)

Non posso dire che questo romanzo non mi sia piaciuto. Tuttavia l’ho trovato costruito in maniera poco convincente per tutte le storie che vengono aperte e concluse dedicando ad ognuna poca attenzione, come se si volesse per forza arrivare ad un esito, avendo intrapreso però troppe strade. L’esito per di più è spesso funestato dalle più svariate patologie che sembrano non risparmiare i personaggi più in là con l’età!

Gli elementi che ho preferito sono sicuramente i capitoli dedicati a Pari e alla sua omonima nipote, oltre che la prima parte del romanzo che secondo me è la più riuscita e quella che condivide maggiormente l’atmosfera dei precedenti romanzi dell’autore. Insomma, se dovete scegliere di leggere per la prima volta un libro di Hosseini, sappiate che i due precedenti si meritano di più la vostra attenzione!

Avete letto questo romanzo? Siete critici quanto me?

La giusta mezura

Fumetto che avevo in lista desideri da diversi anni e che ho recuperato nella mia recente gita in biblioteca (e per esigenze di prestito immediatamente letto) è "La giusta mezura" di Flavia Biondi, pubblicato da Bao Publishing.



Titolo: La giusta mezura
Autrice: Flavia Biondi
Anno della prima edizione: 2017
Casa editrice: Bao Publishing
Pagine: 158


Una premessa necessaria: se avete tra i 20 e i 30 anni e siete studenti fuori sede, in particolare all’università di Bologna, questo è un fumetto che non dovete perdervi. Io sono salita sul treno con qualche anno di ritardo, in una fase della mia vita un po' diversa, dove gli appartamenti condivisi pieni di studenti non fanno più parte della mia quotidianità e le storie d’amore sembrano arrivate ad un punto un po’ più avanzato di quella tra Mia e Manuel, i protagonisti di questa storia.

Entrambi laureati da un po’, si arrangiano tra un lavoretto precario e l’altro rincorrendo il sogno di una casa propria e di un lavoro creativo: scrittore lui, scultrice lei, Nel frattempo hanno quattro coinquilini, uno dei quali non si è mai visto in faccia, e nascondono giorno dopo giorno la propria reciproca infelicità. E come si trova la via di mezzo, o la giusta mezura del titolo, tra i compromessi con la realtà e i propri sogni? Come si mantiene vivo un grande amore che deve fare i conti con le bollette e la realizzazione del singolo?

Quello di Flavia Biondi è un fumetto nelle sfumature del blu, colore predominante già dalla copertina, e alla storia dei protagonisti fa da sfondo Bologna, qui rappresentata nei suoi punti più caratteristici: dai portici a San Luca, dalle due torri a Piazza Santo Stefano, fino all’immancabile Piazza Verdi dove trascorrere le notti. Bologna è la mia città, e lo sguardo da studente fuori sede non mi appartiene, ma è innegabile che l’autrice sia stata molto brava nel rappresentare il legame con una nuova città nella quale i due personaggi diventano adulti. 

Anche le domande che si pongono sono condivisibili e probabilmente ci siamo passati tutti ad un certo punto della vita. Per me non sono più il centro della quotidianità e per questo ogni tanto ho provato per Mia e Manuel una certa tenerezza, quasi come se fossero delle versioni passate di me. Nonostante questo l’ho trovato un fumetto riuscito: è una storia ben raccontata che intreccia alla narrazione anche il romanzo medievale che Manuel sta scrivendo, e che diventa il pretesto per rappresentare il cambiamento che avviene in lui. 

"La giusta mezura" è dunque un fumetto che racconta la crescita, il diventare adulti, e che mi sento di consigliarvi soprattutto se siete coetanei dei protagonisti  o se provate nostalgia per quell’età in cui tutto ci sembrava ancora possibile.

Qual è l’ultimo fumetto che avete letto?
E l’ultimo titolo che avete preso in prestito in biblioteca?

L'ultimo lenzuolo bianco

Dopo due testimonianze basate sull’emigrazione di ragazzi giovanissimi, addirittura bambini, dall’Afghanistan all’Italia (mi riferisco a "Nel mare ci sono i coccodrilli" di Fabio Geda e "Stanotte guardiamo le stelle" di Ali Ehsani), ho recuperato anche "L’ultimo lenzuolo bianco", opera autobiografica di Farhad Bitani, giovane ex comandante dell’esercito afgano che ora svolge il mestiere di mediatore culturale in Italia. Il libro è pubblicato da Neri Pozza.


Titolo: L'ultimo lenzuolo bianco
Autore: Farhad Bitani
Anno della prima edizione: 2014
Casa editrice: Neri Pozza
Pagine: 208

 

Questa testimonianza è molto importante, in quanto Bitani, figlio di un mujaheddin, racconta dall’interno le brutalità compiute da coloro che in Afghanistan sono stati ritenuti un potere legittimo per contrastare i talebani. Cresciuto nel mezzo delle continue guerre nel suo paese, specialmente nel contrasto tra i gruppi di mujaheddin e talebani, Bitani ha conosciuto la ricchezza e la povertà, gli eccessi che ti permettono di sprecare dollari su dollari ma anche le notti in cui si va a letto con la fame. È stato un bambino assuefatto alle brutalità a cui era costantemente esposto: le esecuzioni negli stadi, il taglio delle mani, gli stupri lungo la strada, i matrimoni forzati, le frustate e gli abusi sui minori ritenuti normali da chi voleva mantenere il suo paese in uno stato di ignoranza e sottomissione.  

Soltanto l’incontro con culture diverse grazie alla formazione avvenuta nelle accademie militari italiane, e soprattutto sua madre, donna in grado di fargli distinguere il bene dal male anche in un contesto così improbabile, hanno permesso all’autore di divenire un uomo diverso da quelli che lo avevano sempre circondato e che per questo  lo hanno giudicato un infedele e un traditore.

"L’ultimo lenzuolo bianco" è il più convincente e formativo dei libri che io abbia letto per quanto riguarda la storia dell’Afghanistan. L’autore infatti racconta in modo molto chiaro le divisioni politiche interne al Paese e come ogni fazione sia stata appoggiata da Stati esteri: il Pakistan nel caso dei talebani, l’Iran nel caso dei mujaheddin per fare due esempi. Non fa sconti inoltre nel criticare gli aiuti umanitari che tanti Stati esteri hanno concesso all’Afghanistan allo scopo di aiutare la popolazione, ed invece sono finiti nelle mani sbagliate, ad arricchire i soliti noti senza contribuire affatto al benessere dello Stato,  ed è difficile che nessuno se ne sia mai accorto finora.

Mi ha sorpresa inoltre la sua posizione a favore dell’intervento statunitense in Afghanistan in seguito all’11 settembre 2001: l’autore la trova inevitabile in uno stato come il suo, dove anche i bambini girano armati dalla più tenera età  e non vi è alcuna cultura di pace.

Si esce da questa lettura piuttosto turbati, perché le scene violente sono numerose e non sono adatte agli stomaci più sensibili. Credo che però sia uno dei ritratti più onesti e meno edulcorati che sono arrivati nelle nostre librerie; si può imparare molto da questa lettura che io sono contenta di aver affrontato e che vi consiglio se siete interessati all’argomento. Siate preparati però: vi richiederà una certa resistenza.

Qual è l’ultimo libro che avete letto e vi ha turbati?

I passi dell'amore

Avrete notato che in questo diario delle mie letture i romanzi rosa non compaiono praticamente mai: in effetti è un genere che non ho mai letto con interesse, e c’è un’unica eccezione a questa regola: i romanzi di Nicholas Sparks. Quando ero adolescente la biblioteca dei miei genitori era parecchio ridotta e posso dire in tutta onestà che siano diventati lettori col tempo soprattutto attraverso la mia passione per i libri, che hanno da sempre incoraggiato e sostenuto! Nicholas Sparks e i suoi libri però facevano parte della loro collezione e così quando ero alle superiori e mi ammalavo, alla ricerca di qualche lettura meno corposa dei miei Stephen King, pescavo tra i romanzi dell’autore ricchi di storie romantiche e molto spesso tragiche. Confesso che sono diventati per me una sorta di libri di conforto e ancora oggi mi scopro ad aver voglia di leggerli, com’è capitato di recente con "I passi dell’amore".


Titolo: I passi dell'amore
Autore: Nicholas Sparks
Anno della prima edizione: 1999
Titolo originale: A Walk to Remember
Casa editrice: Frassinelli
Traduttrice: Alessandra Petrelli
Pagine: 240


Ambientato negli anni 50 nella Carolina del Nord, "I passi dell’amore" racconta l’innamoramento adolescenziale tra Landon, un tipico ragazzo americano che si divide tra gli amici e qualche attività scolastica, e Jamie, figlia del pastore locale, religiosissima ed incredibilmente altruista. Non sarebbe però un romanzo di Nicholas Sparks se non ci fosse all’orizzonte una tragedia, che da un lato rafforza il sentimento dei protagonisti e dall’altro costituisce un ostacolo insormontabile...

Non sono una grande fan dei libri che parlano di malattia, sul genere "Colpa delle stelle" di John Green per intenderci; questo è arrivato molto prima ed è impossibile rimanere indifferenti davanti al dramma di questi due ragazzi e all’evidente ingiustizia dei loro destini. "I passi dell’amore" è un libro scritto in modo semplice, adatto di certo ad un pubblico di coetanei dei protagonisti ed è ricco di buoni sentimenti e di morale. Mentirei se dicessi che ho faticato a leggerlo, perché ne ho davvero bevuta una pagina dietro l’altra; tuttavia ho trovato il finale più frettoloso di quanto mi sarei aspettata dato il tempo che l’autore dedica ad episodi come la recita scolastica o le visite all’orfanotrofio locale, ed arrivata alla fine ho avvertito una certa insoddisfazione pur avendo apprezzato la storia nel complesso. 

Se siete alla ricerca di una storia d'amore intensa, commovente e che si legge tutta d’un fiato, questo libro potrebbe fare al caso vostro, soprattutto se non avete grandi pretese nei confronti dello stile di scrittura. Attenzione però nel caso siate particolarmente sensibili al tema della malattia!

*Ne è stato tratto un film nel 2002 che spero di avere l'occasione di vedere a breve!

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