martedì 27 febbraio 2024

Lo sconosciuto delle poste

Una delle ragioni per cui "Lo sconosciuto delle poste" di Florence Aubenas, pubblicato da Feltrinelli, mi attirava molto è il fatto che condivido con la vittima di questo caso realmente accaduto la professione. Conosco quindi, seppure non in un paesino di provincia piccolo quanto Montréal-la-Cluse, la varietà di utenza che ogni giorno si presenta agli sportelli, e quanto non siano tutti ugualmente inoffensivi, tra vecchietti smemorati e ragazzini pieni di pacchi.

In secondo luogo apprezzo molto i true crime, romanzi o altri prodotti narrativi basati su eventi reali, come ad esempio i delitti irrisolti come in questo caso. La vittima, Catherine Burgod, non sembrava avere rapporti problematici con nessuno dei compaesani; aveva un padre ingombrante, un divorzio alle spalle ed un nuovo compagno, due figli ancora molto giovani.

Il colpevole perfetto è l'attore decaduto Thomassin, dalla promettente carriera stroncata da un'infanzia tra famiglie affidatarie e strutture d'accoglienza, una tossicodipendenza precoce che non è mai riuscito a sconfiggere; d'altra parte non ha un movente, né sembra essersi trovato in tasca più denaro dopo l'aggressione a Catherine, che ha comportato anche un modesto furto. Gli ruotano attorno altri randagi, chi più chi meno alcolizzato o dipendente da sostanze, ma l'indagine che la giornalista ricostruisce in modo puntuale ma appassionante non sembra mai arrivare al punto.

Se come me non avete mai sentito parlare del caso, potreste rimanere spiazzati dalla conclusione di questo breve romanzo [spunterà il DNA di un giovane atleta, all'epoca dei fatti ancora adolescente e privo di alcun movente plausibile per una tale efferatezza, che confesserà di essere stato sulla scena del crimine ma soltanto a delitto avvenuto; Thomassin farà perdere le proprie tracce prima dell'ennesimo interrogatorio, facendo credere a tutti di essersi suicidato per non riconoscere finalmente la propria colpevolezza]; se invece ne avete seguiti gli sviluppi oramai quasi quindici anni fa, saprete come questa inchiesta andrà a finire. In ogni caso la lettura sarà coinvolgente, dal ritmo mai incerto né rallentato; i protagonisti si delineeranno davanti a voi in modo vivido e tridimensionale. 

Se siete amanti di titoli come "L'avversario" di Emmanuel Carrère o "L'uomo che guardava passare i treni" di Georges Simenon, anche questa breve lettura potrebbe fare al caso vostro!

Qual è un libro di true crime che vi ha colpiti?

giovedì 15 febbraio 2024

Grande Meraviglia

 Di Viola Ardone avevo già letto i precedenti romanzi pubblicati da Einaudi, "Il treno dei bambini" e "Oliva Denaro". Anche in "Grande meraviglia" ho ritrovato lo stesso talento dell'autrice: raccontare storie italiane che ricevono poca attenzione, in modo semplice e accessibile, capace di emozionare e rimanere impresso.

Se nel primo titolo erano stati i bambini del meridione accolti in Emilia Romagna nel secondo dopoguerra, e nel secondo il matrimonio riparatore, qui si parla dei manicomi chiusi dopo la legge Basaglia del 1978 e di come prima di allora per molto tempo vi fossero state rinchiuse donne scomode, a volte adultere, a volte politicizzate, a volte povere, a volte semplicemente indesiderate dai propri mariti e famiglie.

Una di loro è la Mutti, mamma tedesca di Elba che nel manicomio del Fascione ci nasce e cresce: non è mai stata malata di mente sua madre, ma la ha resa tale il manicomio con le sue terapie disumane, primo tra tutti l'elettroshock. Non è mai stata malata di mente Elba, ma il manicomio è l'unica casa che conosce, l'unico posto in cui si sente al sicuro da una libertà che non sa gestire. 

Al Fascione incontra Meraviglia, Franco Meraviglia, allievo di Basaglia che crede nella convivenza tra sani e malati; Franco la libera, o perlomeno ci prova, la accoglie in casa sua come una figlia, la spinge a studiare psicologia. Franco in questo libro lo ritroviamo anziano, alle soglie del 2020; si chiede cosa sia stato di quella ragazzina che lo ha lasciato all'improvviso, fa i conti con il padre assente che è stato per Vera, che tuttavia non indugia ad affidargli il nipotino ha cui ha dato il suo nome, e Mattia, che è diventato prete. Franco è stanco, dei suoi dubbi e della vecchiaia che gli pesa; dà da mangiare a un gatto ogni mattina, ma dentro di sé vorrebbe che questo compleanno incombente fosse l'ultimo,

La conclusione sa di salvezza e di affetti, di Elba che non ha mai smesso di scrivergli e tra le mura di un altro istituto, da libera caregiver, ha trovato la propria dimensione; di un gatto che ti impedisce di addormentarti con il gas aperto, di Vera che impara a dimostrargli il bene che gli vuole. 

Leggere dei manicomi è doloroso, difficile; la voce di Elba bambina li racconta in tono giocoso, della fiaba che la mamma ha inventato per lei e che ricorda "La vita è bella" di Benigni. Alla sua segue poi la voce di Franco che è scanzonata, allegra anche nelle difficoltà, e insieme alleggeriscono episodi intollerabili, li rendono leggibili al pubblico che così ne riesce a prendere coscienza. Ardone è maestra in questo, e anche qui riesce benissimo, creando due protagonisti a cui alla fine si vuole un gran bene.

Sebbene Amerigo de "Il treno dei bambini" mi abbia particolarmente colpita, in una storia ancora più vicina al mio territorio, qui c'è la poesia dei giorni tutti uguali, un omaggio ad Alda Merini, le piccole storie di chi la società ha cercato di dimenticare, di contenere, di imprigionare, e in Franco coloro che hanno lottato perché riconquistassero i diritti e la libertà. Un romanzo, insomma, che sono arricchita dall'aver letto e che vi consiglio caldamente.

Qual è il vostro titolo preferito di Viola Ardone?

martedì 13 febbraio 2024

My Dark Vanessa

Ho scoperto "My Dark Vanessa" di Kate Elizabeth Russell, pubblicato da Mondadori, nell'espositore delle novità della biblioteca: mi ha incuriosita e sono contenta di essermelo portato a casa!

L'autrice ha impiegato diciotto anni per scrivere questa storia, che scorre su due piani temporali: il 2001 e il 2017, dai quindici agli oltre trent'anni della protagonista, Vanessa. Nel 2001 Vanessa frequenta una prestigiosa scuola privata dove il suo docente di letteratura, il professor Jacob Spare, mostra attenzioni a dir poco inappropriate nei suoi confronti; Vanessa è timida, introversa, poco inserita nel gruppo dei pari, scrive poesie e ama la lettura, insomma una vittima perfetta per un predatore.

Da allora inizia una relazione di abuso e manipolazione, che Vanessa nella sua ingenuità confonde con l'amore, e che condizionerà tutti i suoi anni a venire, incapace di separarsi dall'ingombrante presenza di Spare nonostante le conseguenze subite (prima tra tutte, l'espulsione da scuola lasciandosi ritenere una bugiarda pur di evitargli il carcere). 

Quando, più di un decennio più tardi, l'onda del #metoo comincia a dilagare e di molestie si parla sempre più apertamente, su Spare piovono le giuste accuse che erano state troppo a lungo taciute, e Vanessa si trova messa alle strette: elaborare il proprio trauma e riconoscersi finalmente come vittima, oppure continuare a proteggerlo e ritenersi responsabile addirittura più del predatore stesso?

Kate Elizabeth Russell descrive in modo nitido ed efficacissimo quanto la manipolazione abbia effetto su un'adolescente indifesa, descrive gli abusi in modo talvolta nauseante e difficile da digerire, scrive in modo semplice e lineare ma ricco di riferimenti letterari -non vi stupirà scoprire che il principale è "Lolita" di Nabokov. 

Ho trovato "My Dark Vanessa" un romanzo potente e capace di far riflettere su una dinamica complessa e insidiosa, e ho apprezzato molto la costruzione della protagonista, che evolve con i suoi tempi e i suoi modi ed è del tutto convincente. Meno degni di nota sono i personaggi secondari, praticamente trasparenti e immediatamente dimenticabili, ma nel complesso non se ne sente troppo la mancanza e resta una lettura che vi consiglio se siete interessati all'argomento.

Qual è l'ultimo romanzo di un'autrice che avete letto?

Il fiume delle cento candele

 Ho acquistato "Il fiume delle cento candele" di Kim Echlin, pubblicato da Einaudi, diversi anni fa. 

La sua pubblicazione risale al 2009 ed il titolo originale è "The Disappeared", lo scomparso, gli scomparsi: un titolo calzante, perché a scomparire sono in molti in questo testo, che contiene una storia d'amore indissolubilmente legata al genocidio cambogiano degli anni '70.

Anne e Serey si incontrano in un inverno di Montreal; lui è emigrato da Phnom Penh per studiare, finché le frontiere sono state chiuse e ha perso ogni contatto con i suoi familiari, probabilmente morti come migliaia di altri cittadini. Quando qualche anno dopo i confini vengono riaperti Serey riparte, Anne non può seguirlo ed è lui lo scomparso ora, per ben undici anni in cui la ragazza non lo dimentica, e al termine dei quali lo ritrova in Cambogia -ma i conti con la storia non sono ancora andati in pareggio [ed infatti Serey, nelle file dell'opposizione, scomparirà di nuovo e questa volta perché sarà stato ucciso nel corso di una manifestazione].

"Il fiume delle cento candele", il cui titolo italiano fa riferimento ad una scena dolcissima condivisa da Anne e Serey all'inizio del libro, quando la felicità sembrava ancora un obiettivo raggiungibile, è un testo intriso di dolore, che riflette sulle conseguenze di uno sterminio e di una dittatura, sul diritto di reclamare almeno i corpi dei propri cari che ne sono state vittime, sul diritto alla ricerca di coloro che sembrano svaniti nel nulla. 

La scrittura di Echlin sa essere estremamente poetica e delicata, ci fa soffrire con la sua protagonista [che perde a più riprese il suo amato, che perde anche la bambina che i due hanno concepito insieme in quella Cambogia così determinata a sfinirli, eppure resta indomita anche quando tiene il cranio di Serey tra le braccia dopo averlo tirato fuori da un fiume] e dà voce a un Paese martoriato di cui avevo letto soltanto poche righe sui libri di storia -e le cui vicende conto ora di approfondire in futuro.

Si tratta purtroppo di un testo fuori catalogo, anche se di Kim Echlin si trova facilmente un altro romanzo in libreria, che credo prenderò in prestito in futuro. Spero che però possiate trovarlo in biblioteca, perché merita davvero!

Qual è l'ultima sorpresa che avete estratto dai vostri scaffali?

giovedì 8 febbraio 2024

Vincoli

Romanzo d’esordio del mio amatissimo scrittore americano Kent Haruf, "Vincoli" risale al 1984 ed è una sorta di introduzione al microcosmo di Holt, che sarà narrato in modo molto più essenziale ed asciutto nella trilogia della pianura e poi ne "Le nostre anime di notte".

Rispetto ai successivi questo è un romanzo che si dilunga di più nelle descrizioni, che fornisce più dettagli, appesantendo certe volte la narrazione. Resta però che la sua scrittura è già magnifica, capace di delineare un Colorado rurale e dei personaggi dai tratti nitidi a cui è impossibile restare indifferenti. Ho trovato degno di nota anche l'elemento noir che apre e chiude il romanzo, un mistero che riguarda la sua protagonista Edith, la cui vita seguiremo narrata dal protagonista e testimone Sanders dall’epoca in cui i genitori emigrarono dall’Iowa alla fine del diciannovesimo secolo in una sorta di colonizzazione del territorio, come dei veri e propri pionieri dell’agricoltura, fino ai suoi ottant’anni. 

Sanders bambino sarà una delle persone più vicine alla donna, così come suo padre prematuramente mancato è stato l’unico ad aver avuto con lei un rapporto sincero, oltre a quello quasi simbiotico con il fratello Lyman. 

"Vincoli" è un romanzo struggente, sulle occasioni mancate, sulla vita di Edith che a più riprese sembra davvero una vita sprecata, passata ad obbedire prima ad un padre padrone spietato e irragionevole e poi ad aspettare un fratello, che da solo è riuscito ad abbandonare la fattoria, ed infine ad assistere quest’ultimo tornato come il figliol prodigo ma condannato a perdere la ragione. Edith è una donna che ha vissuto di sacrifici, di privazioni, che ha donato molta più pazienza ed amore di quelle che ha ricevuto in cambio -tranne da Sanders e da suo padre, che hanno scelto di fare per lei quanto più possibile e di rispettare le sue decisioni, anche quando sono state esse stesse a condannarla. 

Non c’è bisogno di dirvi che un romanzo di Haruf meriti di essere letto: senza ombra di dubbio lo sapete già e questo non fa eccezione. L’autore di certo ha affinato le proprie capacità nelle sue opere successive, limando e alleggerendole di particolari non necessari, ma ciò non significa che "Vincoli" non mi abbia colpita, che non mi sia sentita presente ai tanti anni trascorsi tra l’allevamento, la coltivazione dei campi e relazioni semplici, essenziali ma non per questo prive di grazia. 

Tornare a Holt è stato bellissimo, e ora sono spaventata dal fatto che soltanto un romanzo ("La strada di casa") mi separi  Dal completare la produzione di questo scrittore, che ogni volta sa darmi tanto. 

Qual è il vostro romanzo preferito di Kent Haruf?

Heimat

"Heimat" di Nora Krug (lo trovate in libreria pubblicato da Einaudi) è una delle letture più interessanti che ho affrontato nell’ultimo periodo. Il sottotitolo lo definisce "album di una famiglia tedesca" ed è proprio l’album il genere di opera, composta da testo e immagini, che meglio lo rappresenta.

Le immagini sono illustrazioni come in un fumetto, a volte vere e proprie pagine composte da tavole e didascalie, ma altre volte sono fotografie o documenti, mappe, infografiche che arricchiscono la narrazione e la sua veridicità. 

L’autrice scava nella memoria propria ma soprattutto della sua famiglia, interrogandosi sul senso di colpa e sulla vergogna che ha sempre provato nel sapersi tedesca, per quanto emigrata in America, non conoscendo in profondità quanto i suoi antenati fossero stati in prima persona protagonisti delle atrocità naziste. È così che ripercorre tra un archivio, l’intervista ad un parente, la lettura delle corrispondenze i passi del nonno Willy, che al partito era stato iscritto, dello zio Franz Karl, morto ad appena diciott’anni soldato in guerra, e degli altri membri della famiglia che li hanno conosciuti.

È uno scavo, un viaggio a ritroso in quella Karlsruhe che tanto ha perseguitato i suoi cittadini ebrei, è un viaggio di scoperta, di elaborazione dell’identità che sa essere in primo luogo estremamente informativo. Sa essere emozionante, per l’avvicinamento emotivo che l’autrice prova nel conoscere anche dopo la loro scomparsa  i parenti sui quali si era tanto interrogata.

Ho amato anche le pagine dedicate ai prodotti di origine tedesca che poi si sono diffusi nel mondo e l’attenzione che l’autrice dedica all’aspetto linguistico dell’identità.

"Heimat" è dunque una storia familiare, ma al tempo stesso una storia della Germania, un testo che consiglierei assolutamente come lettura nelle scuole perché la sua forma illustrata lo rende adattissimo anche ai più refrattari ai testi di storia, e che sorprenderà chi si aspetta un fumetto tradizionale, perché scoprirà molto di più tra le sue pagine. Per me che per tanti anni ho studiato tedesco e ho anche abitato in Germania è stata una lettura veramente sorprendente e soddisfacente, che non posso fare altro che consigliarvi.

Qual è l'ultimo fumetto che avete letto?

mercoledì 7 febbraio 2024

Bella mia

La bella del titolo in "Bella mia" di Donatella di Pietrantonio, pubblicato da Einaudi, è L’Aquila, il capoluogo abruzzese in una canzone popolare che la protagonista di questo romanzo sente cantare da una vicina un po’ svitata negli alloggi temporanei dove si trovano loro malgrado ad abitare. 

La "bella mia" è L'Aquila delle 99 chiese e delle 99 piazze, ma anche del terremoto del 6 aprile 2009, che ha dilaniato una città e ucciso tanti dei suoi abitanti. Una di loro è Olivia, la gemella della nostra voce narrante Caterina, che in questa gemella più coraggiosa e risoluta di lei si è sempre in qualche modo nascosta, crogiolandosi nella sua insicurezza e infelicità che mette da parte soltanto quando lavora alle sue ceramiche. 

Nel terremoto Olivia rimane vittima della sua casa e lascia Marco, un figlio adolescente, ad elaborarne il lutto con un padre musicista sempre assente che vive in un’altra città, con la zia e l'amatissima nonna che dopo la perdita del marito si trova ad assorbire quella intollerabile di una figlia. Nel mentre Caterina nel suo ruolo di zia si trova a dover sostituire in qualche modo l’assenza dell’sorella e diventare una figura di riferimento per quel nipote arrabbiato e così difficile da gestire. 

Donatella di Pietrantonio con la sua inconfondibile scrittura, asciutta, precisa, che non utilizza mai una parola di troppo e colpisce sempre direttamente nel segno, è capace di commuovere in scene brevissime. Ci racconta il terremoto, la devastazione, la perdita, un universo fatto di abitazioni provvisorie che non sono fatte per durare, ma anche la vita che riprende a scorrere malgrado tutto: lo fa in una madre che ha perso la figlia bambina e grazie anche all'affetto della vicina assegnatale dal caso rimane di nuovo incinta, pronta per un nuovo percorso. Lo fa in un cane che ha cercato di salvare il proprio padrone e non c’è riuscito, ma dopo mesi passati a vagare come un randagio è l’unico in grado di riportare il sorriso sul volto di un ragazzo che non ha più ragioni di serenità.

In meno di duecento pagine Donatella di Pietrantonio ha saputo commuovermi, farmi arrabbiare verso le inadempienze di uno stato in ritardo che non mantiene le promesse e ha saputo farmi tornare a sperare, dall’autrice eccezionale che è e che conoscevo già molto bene dalla coppia di romanzi amatissimi "L'arminuta" e "Borgo Sud". Non ho amato Caterina quanto Adriana, ma la sua capacità di raccontare le famiglie e i rapporti, di mostrare senza bisogno di appesantire con i dettagli è sempre straordinaria e non vedo l’ora di leggere "L’età fragile" che mi è stato regalato di recente -anche se al tempo stesso vorrei tenermelo ancora per un po’ da parte, almeno in attesa che la scrittrice ci regali un’altra delle sue preziose storie.

Qual è l’ultima autrice italiana che avete letto?

I cieli di Philadelphia

Sin dalle prime pagine, "I cieli di Philadelphia" di Liz Moore, pubblicato da NN Editore, mi ha ricordato un romanzo che ho amato moltissimo, "Sul lato selvaggio" di Tiffany McDaniel, pubblicato da edizioni Atlantide.

Qui la cornice è quella di un poliziesco vero e proprio, ambientato a Kensington, Philadelphia, quartiere devastato dalla tossicodipendenza, dove la prostituzione, la povertà, la vita di strada diventano un'abitudine per chi è alla costante ricerca della prossima dose. Qui Michaela, Mickey, una giovane poliziotta madre di un bambino di quattro anni, cerca la sorella Kacey, che si vendeva abitualmente lungo le strade per procurarsi eroina, e di cui non ha notizie da oltre un mese mentre una serie di omicidi sta prendendo di mira proprio giovani donne come lei. 

Liz Moore alterna "adesso" ed "allora" ricostruendo l'infanzia delle sorelle, rimaste orfane di madre da bambine, cresciute da una nonna troppo dura per trasmettere loro amore; ripercorre le loro strade, sentieri radicalmente diversi, le separazioni e i riavvicinamenti, e se Mickey all'inizio sembra integerrima seppure nella sua fragilità nel corso della narrazione emergono le ombre (quell'amato figlio è in realtà il nipote, di cui ha avuto la custodia data la dipendenza di Kacey; il padre di Thomas è il poliziotto che l'aveva sedotta appena adolescente, che lei considerava un mentore, del quale non aveva mai percepito la coercizione, e che aveva approfittato anche di Kacey nel momento di massima fragilità; la seconda gravidanza di Kacey come una nuova possibilità di rinascita). 

Oltre alle protagoniste e all'ambiente della polizia, tutt'altro che esente da corruzione e colpevolezza, Liz Moore costruisce anche personaggi secondari vividi e di supporto, come la vicina con cui finalmente Mickey riesce a confidarsi, dicendo per la prima volta la verità anche a se stessa. Alcuni elementi sono forse un po' ingenui (il padre che in realtà non era morto e non si era mai disinteressato delle figlie, il poliziotto amico che sembra improvvisamente colpevole ma in realtà era sempre stato il buono della situazione) ma l'indagine non perde mai la sua capacità di avvincere il lettore, e la descrizione di Kensington è così evocativa che sembra di camminare tra edifici abbandonati, negozi di bassa qualità e ragazze che attendono che il prossimo automobilista accosti per loro -l'autrice si è dichiaratamente ispirata al progetto fotografico di Jeffrey Stockbridge, che vi consiglio di cercare.

Ho letto questo romanzo prendendolo in prestito in biblioteca, ma non escludo che farà parte dei miei prossimi acquisti, perché non sono riuscita a staccarmi dalle sue pagine. Possiedo già della stessa autrice "Il peso", e ora sono ancora più curiosa di leggerlo!

Qual è l'ultimo romanzo poliziesco che avete terminato?

Ragazzo divora universo

"Ragazzo divora universo" di Trent Dalton, pubblicato da HarperCollins, è un romanzo di formazione in parte ispirato all’infanzia dello stesso scrittore e ambientato in Australia. 

Il protagonista è Eli Bell, che incontriamo tredicenne e seguiamo fino al suo diciannovesimo anno di vita. Ha un fratello speciale, August, che da un trauma condiviso della loro infanzia ha scelto di smettere di parlare e si esprime scrivendo parole nell’aria. 

Gli adulti nel mondo di Eli non sono affidabili: bevono troppo, oppure si drogano, e il suo baby sitter e migliore amico Slim ha trascorso gran parte della propria vita in prigione. Attorno a questi adulti gravitano criminali di vari gradi, invischiati nel traffico di droga e anche in affari più inquietanti, come una fabbrica di protesi che nasconde in realtà un vero e proprio bunker degli orrori. 

Eli sogna di diventare un giornalista di cronaca nera, ma soprattutto un uomo buono, e sulla bontà, su cosa questo concetto significhi, riflette spesso: le sue risposte sono piene di sfumature, ancora piene di domande, come le parole di suo fratello maggiore che sembra capace di leggere nel futuro.

Tra i tratti più interessanti di questo romanzo ci sono dei tocchi di soprannaturale che non vengono mai spiegati del tutto: sono modi per sottrarsi ai traumi che i ragazzi vivono o si tratta davvero di qualche capacità extra sensoriale? Il telefono rosso che squilla, la voce di Gus dal futuro, la fine simboleggiata dallo scricciolo azzurro morto e la capacità dello scricciolo ma non soltanto di ritornare proprio dalla morte, come quella traumatica notte in cui hanno rischiato di annegare, non sapendo mai se il padre lo avesse fatto di proposito. 

C’è il carcere tra queste pagine, c’è la tossicodipendenza, una madre fragile che si infila troppo spesso in relazione abusive ma ama sinceramente i propri figli. Ci sono scene d’azione, talvolta eccessivamente confuse che avrebbero a mio parere potuto essere ridotte. Il romanzo nel complesso è un po’ disordinato, raggiunge picchi di bellezza ammaliante ma rimane confuso nell’estrema abbondanza di elementi che presenta. Ho trovato questo aspetto un limite, ma al tempo stesso mi sono affezionata ai suoi protagonisti e fino alla fine ho desiderato scoprire cosa ne sarebbe stato di loro.

Slim, uomo realmente esistito è a mio parere il personaggio più riuscito del romanzo, che rimane presente anche quando fisicamente se n'è andato -e la scena a cavallo tra due mondi nel giardino lussureggiante del carcere dell’aldilà è senza dubbio una delle pagine più poetiche del libro. 

Nel complesso vi consiglio questa lettura se siete amanti dei romanzi di formazione e vi piacciono quelli ricchi di eventi, talvolta anche violenti. Non è riuscito del tutto a conquistarmi, ma lo ritengo comunque un libro che ho letto volentieri! Ne stata da poco tratta una serie distribuita su Netflix che ho già visto e ho trovato molto fedele -anche qui, l’ho trovata un po’ caotica e credo che uno dei due prodotti sia più che sufficiente. 

Qual è l’ultima storia di formazione che avete letto?

L'uomo che guardava passare i treni

Il mio primo incontro con il famosissimo autore belga Georges Simenon avviene con la lettura de "L'uomo che guardava passare i treni", romanzo del 1938 che staziona nella mia libreria ormai da decenni, acquistato quando ero solo una ragazzina con la serie che usciva in edicola con la Repubblica e che ancora oggi mi permette ottime scoperte nella letteratura del Novecento.

La lettura di questo noir mi ha ricordato moltissimo le atmosfere de "L’avversario" di Emmanuel Carrère, sebbene questa sia un’opera di finzione e non basata su un personaggio reale come il testo citato: anche qui abbiamo un protagonista dalla vita in apparenza irreprensibile e rispettabilissima,  padre di famiglia, lavoratore benestante, che sovverte in modo drammatico l’ordine che lo circonda.

Popinga lo fa quando scopre che l’azienda per la quale lavora sta per fallire, e sentendosi in procinto di perdere tutto mette in discussione la propria condotta e si trasforma in un criminale in fuga, capace addirittura di uccidere. Dall’Olanda si reca in Francia e in una Parigi invernale immersa tra Natale e Capodanno, braccato dalla polizia e intento a far perdere le proprie tracce (ma al tempo stesso smanioso di ottenere un riconoscimento e alla ricerca di attenzione, al punto di scrivere al commissario incaricato dell’indagine lettere che descrivono il proprio operato) lo seguiamo in una spirale discendente di distacco dalla realtà e disavventure, peregrinazioni tra caffè, birrerie e alberghi di bassa lega, che inevitabilmente non possono portare ad un lieto fine [anche se mi aspettavo piuttosto la sua morte e non il ricovero in un ospedale psichiatrico].

Quello di Simenon è un romanzo estremamente scorrevole e appassionante, e il suo personaggio così contraddittorio e moralmente discutibile è riuscitissimo, seguire le sue avventure per la capitale francese è stato davvero un viaggio sui suoi passi! Pensare che questo romanzo sia stato scritto ormai quasi novant’anni fa sembra incredibile, perché anche oggi è davvero attuale e coinvolgente.

Ora sono curiosa: quali altri titoli di Simenon mi consigliate? Non vorrei iniziare la lunghissima serie di Maigret per il momento!

venerdì 2 febbraio 2024

Parlarne tra amici

Romanzo d’esordio della acclamatissima giovane autrice irlandese Sally Rooney, "Parlarne tra amici" pubblicato da Einaudi è la prima cocente delusione dell’anno. Di solito non parlo su questa pagina di romanzi che non mi sono piaciuti, ma dato il successo praticamente unanime che ha ottenuto questo libro voglio scriverne per confrontarmi con chi di voi invece è riuscito ad apprezzarlo! 

Diciamo la verità: è sostanzialmente una storia di corna! Francis ha 21 anni, incontra ad un evento Nick, un attore di una decina di anni più vecchio sposato con una scrittrice  e tra i due scocca un colpo di fulmine che evolverà ben presto in una relazione fisica e non soltanto. Francis è una ragazza tormentata, che alle superiori ha avuto una storia omosessuale con quella che attualmente è la sua migliore amica; ha un padre con problemi di alcolismo e soffre di disturbi che solo molto avanti nella narrazione saranno diagnosticati come endometriosi, in modo a mio parere superficiale e privo di contesto. Nick invece è un uomo insicuro che soffre di depressione e sembra insoddisfatto nel proprio matrimonio, nonostante non abbia alcuna intenzione di porvi termine.

Ci sorbiamo così quasi 300 pagine di tira e molla tra i due, litigi con coloro che li circondano, ma tutti privi di un vero sviluppo perché ogni volta le relazioni sembrano tornare al punto di partenza, come se nulla fosse avvenuto. L’autrice mette sul piatto tematiche delicate come l’autolesionismo e le lascia lì, senza approfondirle, senza dar loro importanza e i suoi personaggi sembrano lasciarsi trascinare senza evolvere in alcun modo, nonostante il tempo che passa e le situazioni che attraversano, le quali non dovrebbero realisticamente lasciarli così indifferenti.

Aggiungiamo il fatto che la scrittura è talmente semplice da diventare insopportabile: le frasi sono composte quasi unicamente da soggetto, verbo e un complemento. L’abuso di termini altisonanti e vuoti come “in modo performativo” ha avuto su di me un effetto estremamente irritante. Non ultimo l’elemento delle chat che probabilmente dovrebbe conferire modernità alla narrazione e che risulta l’ennesima lettura sterile in questo testo, e i dialoghi che non ho trovato per niente convincenti.

Non so se il problema sono io, se questa lettura è stata pensata per un target di lettrici più giovani e ingenue che possono lasciarsi coinvolgere dalle avvilenti scene di sesso tra i protagonisti e dalle amicizie superficiali che intercorrono tra di loro. 

Sono molto curiosa di conoscere il vostro parere se avete portato a termine questo libro e se ne avete tratta un’impressione diversa dalla mia, come credo sia successo alla maggioranza- Aiutatemi a cogliere i lati positivi che evidentemente mi sono sfuggiti!

Cosa pensate di Sally Rooney e dei suoi libri?