giovedì 15 febbraio 2024

Grande Meraviglia

 Di Viola Ardone avevo già letto i precedenti romanzi pubblicati da Einaudi, "Il treno dei bambini" e "Oliva Denaro". Anche in "Grande meraviglia" ho ritrovato lo stesso talento dell'autrice: raccontare storie italiane che ricevono poca attenzione, in modo semplice e accessibile, capace di emozionare e rimanere impresso.

Se nel primo titolo erano stati i bambini del meridione accolti in Emilia Romagna nel secondo dopoguerra, e nel secondo il matrimonio riparatore, qui si parla dei manicomi chiusi dopo la legge Basaglia del 1978 e di come prima di allora per molto tempo vi fossero state rinchiuse donne scomode, a volte adultere, a volte politicizzate, a volte povere, a volte semplicemente indesiderate dai propri mariti e famiglie.

Una di loro è la Mutti, mamma tedesca di Elba che nel manicomio del Fascione ci nasce e cresce: non è mai stata malata di mente sua madre, ma la ha resa tale il manicomio con le sue terapie disumane, primo tra tutti l'elettroshock. Non è mai stata malata di mente Elba, ma il manicomio è l'unica casa che conosce, l'unico posto in cui si sente al sicuro da una libertà che non sa gestire. 

Al Fascione incontra Meraviglia, Franco Meraviglia, allievo di Basaglia che crede nella convivenza tra sani e malati; Franco la libera, o perlomeno ci prova, la accoglie in casa sua come una figlia, la spinge a studiare psicologia. Franco in questo libro lo ritroviamo anziano, alle soglie del 2020; si chiede cosa sia stato di quella ragazzina che lo ha lasciato all'improvviso, fa i conti con il padre assente che è stato per Vera, che tuttavia non indugia ad affidargli il nipotino ha cui ha dato il suo nome, e Mattia, che è diventato prete. Franco è stanco, dei suoi dubbi e della vecchiaia che gli pesa; dà da mangiare a un gatto ogni mattina, ma dentro di sé vorrebbe che questo compleanno incombente fosse l'ultimo,

La conclusione sa di salvezza e di affetti, di Elba che non ha mai smesso di scrivergli e tra le mura di un altro istituto, da libera caregiver, ha trovato la propria dimensione; di un gatto che ti impedisce di addormentarti con il gas aperto, di Vera che impara a dimostrargli il bene che gli vuole. 

Leggere dei manicomi è doloroso, difficile; la voce di Elba bambina li racconta in tono giocoso, della fiaba che la mamma ha inventato per lei e che ricorda "La vita è bella" di Benigni. Alla sua segue poi la voce di Franco che è scanzonata, allegra anche nelle difficoltà, e insieme alleggeriscono episodi intollerabili, li rendono leggibili al pubblico che così ne riesce a prendere coscienza. Ardone è maestra in questo, e anche qui riesce benissimo, creando due protagonisti a cui alla fine si vuole un gran bene.

Sebbene Amerigo de "Il treno dei bambini" mi abbia particolarmente colpita, in una storia ancora più vicina al mio territorio, qui c'è la poesia dei giorni tutti uguali, un omaggio ad Alda Merini, le piccole storie di chi la società ha cercato di dimenticare, di contenere, di imprigionare, e in Franco coloro che hanno lottato perché riconquistassero i diritti e la libertà. Un romanzo, insomma, che sono arricchita dall'aver letto e che vi consiglio caldamente.

Qual è il vostro titolo preferito di Viola Ardone?

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