lunedì 31 maggio 2021

Una così lunga lettera

Un libro ricevuto in regalo, acquistato da un venditore ambulante su una spiaggia, si è rivelato una vera e propria sorpresa!


Titolo: Una così lunga lettera
Autrice: Mariama Ba
Anno della prima edizione: 1979
Titolo originale: Une si longue lettre
Casa editrice: Giovane Africa Edizioni
Traduttrice: Antonella Beri
Pagine: 95


LA STORIA

"Una così lunga lettera" è un racconto della vita in Senegal ed in particolare della vita di una donna di nome Ramatoulaye il cui marito Modou è appena morto, dopo aver concepito con lei 12 figli ed aver però abbandonato la famiglia una volta presa in moglie una giovanissima ragazza. 

“Tamsir, vomita pure dalla tua bocca i sogni da conquistatore. Sono durati quaranta giorni. Ma io non sarò mai tua moglie”. L’Imam chiamava Dio a testimone: “Quali parole profane, in abiti da lutto!” Senza proferir parola, Tamsir si alzò. Aveva compreso chiaramente la sua disfatta. Ed io mi prendevo così la rivincita sul giorno in cui, tutti e tre, con disinvoltura, mi avevano annunciato il matrimonio tra Modou Fall e Binetou.

COSA NE PENSO

Proprio di poligamia parla "Una così lunga lettera" e lo fa dando voce a due punti di vista: quello della protagonista, che sceglie nonostante tutto di non lasciare il proprio marito e gli rimane fedele fino alla morte, e quello della sua migliore amica Aissatou alla quale rivolge la propria lunga lettera, che invece al secondo matrimonio del marito ha deciso di lasciarlo. Questa donna coraggiosa decide di andarsene con i suoi figli nonostante all’uomo fosse stata imposta la seconda moglie dalla propria famiglia, a differenza di quanto è capitato all’autrice della lettera, il cui marito ha scelto di prendere una nuova moglie di sua spontanea volontà, solo perché se ne era invaghito. 

Il mio dramma giunse tre anni dopo il tuo. Ma contrariamente alla tua situazione, il punto di partenza non fu la famiglia dello sposo. Il dramma mise radici in Modou stesso, mio marito. 

L’autrice di questo breve romanzo è stata molto popolare in Senegal, a quanto riporta la quarta di copertina, e non fatico a crederlo perché il suo stile è molto piacevole da leggere e rende facile immedesimarsi nelle vicende della protagonista e della sua famiglia, con gli inevitabili problemi che un nucleo familiare tanto numeroso comporta. "Una così lunga lettera" è un interessante ritratto della vita matrimoniale in Senegal e di una pratica come la poligamia, che a noi donne occidentali appare in accettabile -o almeno è questo l’effetto che ha su di me. 

Ho apprezzato molto il fatto che nonostante la sua scelta forse difficile da condividere (quella di rimanere fedele e leale ad un marito che l’ha abbandonata) la protagonista sia tutt’altro che una donna fragile o ignorante:  è anzi una donna colta, che crede nell’istruzione dei propri figli e nell’emancipazione femminile, ed è pronta a venire a patti con le proprie convinzioni purché le sue figlie abbiano la felicità che augura loro. 

E dopotutto, si è madri per comprendere l’indefinibile. Si è madri per illuminare le tenebre. Si è madri per proteggere, quando i lampi irrompono nella notte, quando i tuoni percuotono la terra, quando il fango fa sprofondare. Si è madri per amare, senza inizio e senza fine.

Trovo che in questo brevissimo libro vi sia un ritratto molto intenso della condizione femminile e l’autrice abbia molto da raccontare su un intero paese a proposito del quale, lo ammetto, non mi era mai capitato di leggere nulla. Temo sia difficile reperire questo libro poiché non è venduto attraverso i canali ufficiali: le edizioni "Giovane Africa" infatti operano attraverso i venditori ambulanti che si incontrano per le strade delle nostre città, talvolta fuori dalle librerie, oppure nelle località di vacanza. Personalmente spero di poterne incontrare uno nei prossimi tempi, per cercare anche l’altra opera scritta da questa autrice senegalese che ho tanto apprezzato; vi consiglio frattempo nel caso veniate avvicinati da uno di quei ragazzi con i libri in mano di dare un’occhiata ai titoli che vi offre, perché possono rivelarsi delle vere e proprie chicche sottovalutate!

mercoledì 26 maggio 2021

Danny l'eletto

"Danny l'eletto" è un romanzo che ho letto piuttosto a sorpresa, dopo averlo ricevuto in scambio al posto di un titolo che non mi interessava più. Avevo spesso letto di come il suo autore fosse consigliato ai ragazzi delle medie inferiori e superiori, e ne ero molto incuriosita.


Titolo: Danny l'eletto
Autore: Chaim Potok
Anno della prima edizione: 1969
Titolo originale: The Chosen
Casa editrice: Garzanti
Traduttrice: Marcella Bonsanti
Pagine: 357


LA STORIA

Sono gli anni '40 del Novecento a New York, nelle comunità ebraiche chassidiche e non; tra due scuole ebraiche, due yeshiva, si disputa una partita di baseball giocata in modo a dir poco agguerrito, che segnerà per sempre il destino di Reuven (il narratore di questa storia) e del giovane Danny, destinato a prendere un giorno il posto di suo padre, capo della comunità chassidica di cui fa parte.


COSA NE PENSO

"Danny l'eletto" è una storia di formazione, che vede Danny e Reuven diventare grandi tra lo studio del Talmud, i rapporti con i loro padri e i compagni di scuola, la seconda guerra mondiale e lo sterminio del popolo ebraico ed infine la nascita dello stato di Israele.

Guardai la magra, fragile figura dell'uomo cinquantenne dai capelli grigi, le guance smunte e gli occhiali. Lo guardai, e a un tratto mi accorsi che da quando era venuto a prendermi all'ospedale, mio padre non aveva tossito una sola volta.

È fondamentale tenere conto della centralità della religione e della cultura ebraica in questo romanzo, che potrebbe addirittura urtare la sensibilità di chi tiene alla causa del popolo palestinese: i protagonisti di "Danny l'eletto" sono profondamente ebrei, e dopo la tragedia dell'Olocausto non riescono a vedere gli arabi come portatori di diritti uguali ai loro, bensì soltanto la terra della Palestina come appartenente in modo legittimo al popolo ebraico, a risarcimento delle sofferenze patite.

Mentre l'Irgun era così impegnato - facendo saltare i treni, attaccando i posti di polizia, tagliando le linee di comunicazione - l'Haganà continuava a infilare di soppiatto gli ebrei in Palestina attraverso il blocco navale inglese, a dispetto del ministero delle colonie britannico che aveva sbarrato le porte del paese all'immigrazione ebraica.


Molto spazio occupano le sacre scritture dell'Ebraismo, il loro studio e il loro commento da parte dei giovani Danny e Reuven, anche se le strade che i due giovani decideranno di prendere saranno differenti. Ho trovato molto interessante il modo di Chaim Potok di sviluppare questo rapporto di amicizia all'interno di una cultura della quale non conoscevo poi tanto, e che viene descritta in un momento cruciale della sua esistenza -quello immediatamente successivo all'Olocausto.

Mi abbandonai nella poltrona e alzai gli occhi al cielo: era di un intenso turchino, senza una nuvola, e mi parve di poter quasi toccarlo. Ha il colore degli occhi di Danny, pensai. È turchino come gli occhi di Danny. Di che colore sono gli occhi di Billy? mi chiesi.

Una volta terminato "Danny l'eletto" (in cui ho apprezzato particolarmente lo sviluppo della relazione tra Danny e suo padre), ho avvertito però una certa sensazione di incompiutezza: informandomi, ho scoperto che essa ha senso, visto che a questo volume ne segue un successivo, intitolato "La scelta di Reuven". Non escludo di poterlo leggere in futuro, anche se di certo non nell'immediato; per il momento mi sento di consigliare la lettura di questo primo romanzo agli amanti delle storie di formazione, in particolare a coloro che provano interesse verso l'ebraismo. 

lunedì 24 maggio 2021

Memorie dal sottosuolo

Impossibile per me non sentirmi inadeguata quando mi trovo a raccogliere i pensieri a proposito di classici della letteratura. Uno dei miei progetti per il 2021 è quello di accostarmi finalmente alla produzione di Dostoevskij, autore russo che mi intimorisce dai tempi della scuola in cui non sono mai riuscita a portare a termine nulla di suo tranne il brevissimo "Le notti bianche". 
Grazie ad un gruppo di lettura provvidenziale ho iniziato a farne la conoscenza da un punto di vista più maturo iniziando da "Memorie del sottosuolo", romanzo a quanto pare emblematico dello stile e dei personaggi dell’autore che caratterizzeranno i titoli più importanti e famosi della sua successiva produzione. 


Titolo: Memorie dal sottosuolo
Autore: Fedor Dostoevskij
Anno della prima edizione: 1864
Titolo originale:  Zapiski iz podpol´ja
Casa editrice: Einaudi
Traduttore: Alfredo Polledro
Pagine: 132


Il protagonista di "Memorie del sottosuolo" è un cosiddetto "uomo topo", ipocondriaco e rancoroso, che intrattiene il lettore con un complesso monologo nella prima parte del testo. In esso riflette sui vizi propri e degli altri uomini, sulle debolezze e sull’indulgere in esse, sul sottosuolo che alberga in ognuno di noi: devo confessarvi che questa prima parte mi ha messa a dura prova, se non addirittura scoraggiata, per l’assenza effettiva di avvenimenti e caratterizzata da un susseguirsi di riflessioni in ordine piuttosto casuale. 

Per fortuna la seconda parte di questo breve ma complesso romanzo torna a rassicurare il lettore con dei veri e propri avvenimenti, che risalgono in realtà a vent’anni prima del monologo tenuto dall’uomo del sottosuolo. Inizia con il rievocare una cena per salutare un vecchio compagno di scuola in partenza, con il quale in realtà non ha alcun rapporto vero e proprio; all'evento presenzia per un desiderio di riscatto sociale, finendo però per umiliarsi ripetutamente e vergognarsi di se stesso. Trova poi una sorta di vendetta per l’umiliazione subita nell’incontro con una giovane ed inesperta prostituta, alla quale riempie la testa di chiacchiere fingendo di provare interesse per lei ed in realtà offendendola poi in maniera brutale ed insensibile.

In primo luogo, amarla non potevo più, perché, lo ripeto, amare per me ha sempre voluto dire tiranneggiare e avere una superiorità morale. In tutta la mia vita non ho mai potuto immaginarmi un amore diverso, e sono giunto al punto che ora penso a volte che l’amore consista appunto nel diritto volontariamente concesso dall’oggetto amato di tiranneggiarlo. 

L’uomo topo del sottosuolo è un vero e proprio antieroe, ed anticipa una serie di personaggi che Dostoevskij svilupperà poi nelle proprie opere successive. In questo libro sono numerose le citazioni, e devo ammettere che è stato molto piacevole riconoscerne alcune -in particolare quelle legate ai "Racconti di Pietroburgo" di Gogol', che ho molto apprezzato qualche tempo fa. Non è Gogol' l’unico autore che mi è venuto in mente leggendo quest’opera: credo che da Dostoevskij e dalle sue atmosfere Arthur Schnitzler abbia preso una certa ispirazione.

"Memorie del sottosuolo" è stata per me una lettura piuttosto complessa che, lo ammetto, mi ha un po’ spaventata. Non per questo però ho intenzione di demordere, e anzi mi ritrovo oggi con ancora maggior desiderio di proseguire nella scoperta di questo fondamentale autore della letteratura russa!

lunedì 17 maggio 2021

Quel che il giorno deve alla notte

Tra i generi di romanzi che preferisco ci sono sicuramente il romanzo familiare e quello di formazione: "Quel che è il giorno deve alla notte" appartiene ad entrambe le categorie, ed è un libro assolutamente imperdibile e davvero troppo poco famoso.


Titolo: Quel che il giorno deve alla notte
Autore: Yasmina Khadra
Anno della prima edizione: 2008
Titolo originale: Ce que le jour doit à la nuit
Casa editrice: Mondadori
Traduttore: Marco Bellini
Pagine: 382


LA STORIA

Il protagonista è Younes, che nasce negli anni '30 nella campagna algerina, in una famiglia poverissima e molto sfortunata; dopo un’infanzia di privazioni e di sacrifici, il padre è suo malgrado obbligato ad affidarlo al fratello, un agiato farmacista che vive ad Orano. Qui il nome arabo di Younes verrà francesizzato in Jonas, e lui diventerà amico di un gruppo di ragazzi figli di coloni europei, con i quali condividerà la giovinezza. Le loro strade però dovranno inevitabilmente separarsi allo scoppio della guerra di liberazione, conflitto durante il quale Younes si ricorderà di essere arabo.


COSA NE PENSO

"Quel giorno deve alla notte" è un romanzo di formazione che racconta insieme alla vita di Younes anche la storia dell’Algeria dagli anni '30 del Novecento ad oggi: la colonizzazione prima, le città specchio dell’Europa in cui bere vino, fare festa, e poi il Fronte di Liberazione Nazionale intenzionato a scacciare i francesi attraverso una lotta anche sanguinosa per l’autodeterminazione, ottenuta negli anni '60. 

L'Algeria algerina nasceva con il forcipe in un lago di lacrime e sangue; l'Algeria francese rendeva l'anima in un salasso torrenziale. Tutt'e due consumate da sette anni di guerra e di orrore, per quanto sfinite, trovavano ancora la forza di dilaniarsi a vicenda come non mai.

Questo romanzo però è anche una storia di amicizia tra Younes e i ragazzi con i quali cresce da ragazzo privilegiato ed istruito, e con i quali dimentica la propria identità di ragazzo arabo, integrato com'è nella società dei coloni

C’è anche un grande amore in questo romanzo, che però non trova mai compimento. Ne è oggetto Emilie, una ragazza contesa dal gruppo di amici di Younes ma che sembra avere occhi solo per lui; Younes tuttavia non si deciderà mai a ricambiare il suo amore, nonostante i propri sentimenti. In "Quel che il giorno deve alla notte" vediamo crescere il nostro protagonista e lo vediamo spesso bloccato in un’identità ambigua, una doppia appartenenza, una nostalgia per la propria famiglia d’origine e allo stesso tempo la consapevolezza delle più grandi opportunità all’interno della casa dello zio. 

Mi resi conto che avevo sbagliato su tutta la linea. Chi ero stato a Rio? Jonas o Younes? Perché, quando i miei amici ridevano a crepapelle, le mie risate erano stentate? Perché avevo sempre l'impressione di essere di troppo fra i miei amici, di essere colpevole di qualcosa quando gli occhi di Jelloul fissavano i miei? Ero stato tollerato, integrato, addomesticato? Cosa m'impediva di essere pienamente "me stesso", incarnare il mondo nel quale vivevo, coincidere con esso mentre voltavo le spalle ai "miei"?

Molto interessante anche il personaggio dello zio di Younes, farmacista e studioso, che crede nel diritto dell’Algeria all’autodeterminazione e alla libertà ma al tempo stesso non è interessato a partecipare attivamente alle lotte. In qualche modo gli somiglia, Younes, che non vorrebbe mai schierarsi in prima linea, non vorrebbe mai prendere decisioni, e quando è costretto a farlo spesso si blocca, spesso va in cortocircuito e nonostante questo o forse proprio per questo è un protagonista al quale è impossibile non affezionarsi

La vita è un treno che non ferma in nessuna stazione. O lo si prende al volo oppure lo si guarda passare sul binario, e non vi è tragedia peggiore di una stazione fantasma.

Yasmina Khadra (pseudonimo di Mohammed Moulessehoul) è un bravissimo scrittore, del quale avevo già letto prima di oggi i romanzi "L'attentato" e "Khalil", pubblicati da Sellerio; credo però che questo sia diventato il mio preferito, per il modo commovente in cui chiude il cerchio, e dopo tanto dolore dopo tante sofferenze e indecisioni porta a compimento la storia di Younes e dei ragazzi ormai anziani che sono cresciuti con lui e che, non essendo a sua differenza di origine araba, hanno dovuto abbandonare l’Algeria pur non avendola mai dimenticata. 

"Quel che il giorno deve alla notte" è un romanzo che mi sento di consigliare a tutti gli amanti dei racconti di formazione. Sebbene nella parte centrale il ritmo subisca un leggero rallentamento e potrebbe indurre il lettore a perdere un po' di interesse per le vicende narrate, se si decide di resistere fino alla fine la fatica verrà assolutamente ricompensata da una conclusione che ho trovato a dir poco riuscitissima.

mercoledì 12 maggio 2021

La terra, il cielo, i corvi

Teresa Radice e Stefano Turconi sono tra i fumettisti più affermati e apprezzati del panorama italiano, la cui fama è senza ombra di dubbio meritata. Personalmente ho già letto due delle loro opere: "Il porto proibito" e "Non stancarti di andare"; mentre sulla seconda ho qualche perplessità, ho trovato la prima davvero un capolavoro. Non potevo dunque farmi sfuggire quest’ultima uscita!



Titolo: La terra, il cielo, i corvi
Autori: Teresa Radice e Stefano Turconi
Anno della prima edizione: 2020
Casa editrice: Bao Publishing
Pagine: 208



LA STORIA

Attilio Limonta è un giovane di poco più di vent’anni quando riceve la cartolina di leva ed è costretto suo malgrado a partecipare alla seconda guerra mondiale. Prima di allora era stato una sorta di contrabbandiere, un giovane che viveva al di fuori della legge e per questo doveva convivere con numerosi sensi di colpa, oltre che con il suo silenzioso padre incapace di dimostrargli il proprio amore. Nel corso della guerra Attilio viene fatto prigioniero e quando decide di scappare lo fa insieme ad un soldato tedesco e portandosi dietro una giovane sentinella russa, che altrimenti li avrebbe denunciati.


CHE COSA NE PENSO

Un italiano, un tedesco, un russo: sembra una barzelletta, eppure questa è una storia che non fa ridere. Ci dice Attilio che questa è la storia che racconterà della sua morte; ce lo dice all’inizio del fumetto e così passiamo le pagine successive ad aspettare una tragedia. 

In realtà la storia non è quello che sembra, anche se di drammi ce ne saranno numerosi. In questo bizzarro legame che unisce tre soldati, parti di eserciti diversi, sarà difficile non affezionarsi a loro -nel mio caso soprattutto a Volpe, il soldato tedesco che nel portafoglio porta con sé parole d’amore della moglie e della figlia.

Teresa Radice e Stefano Turconi scrivono un romanzo sulla difficoltà di comunicare e sui legami che nascono oltre le parole. È un esperimento interessante, poiché vi sono pagine intere scritte soltanto in russo o in tedesco, dove il lettore fatica ad orientarsi: nel mio caso comprendo il tedesco, ma per il russo devo confessare di essermi aiutata con un traduttore online, perché leggere un testo senza poterlo capire integralmente è un aspetto che non sono riuscita ad apprezzare nonostante ne capisca la validità sperimentale.


Come sempre incredibili sono le illustrazioni: gli sfondi di "terra, cielo e corvi" come dice il titolo, le campagne dove Attilio cresce e dove Attilio torna, in una sorta di ciclo che si chiude. Stefano Turconi è un illustratore incredibile del quale amo tantissimo lo stile, anche quando le storie non mi convincono appieno come nel caso di "Non stancarti di andare".


"La terra, il cielo, i corvi" non arriva nella mia personale classifica di gradimento a superare "Il porto proibito" che rimane a mio parere un concentrato di poesia difficile da battere; tuttavia per chi è già amante del fumetto questa è sicuramente una storia molto poetica, che mostra come nascono i più impensati legami tra gli uomini e come l’essere umano resista nelle difficoltà trainato dalla propria voglia di vivere, anche quando pensa di avere ormai perso tutto.
Ci sono diversi passaggi molto commoventi in questo fumetto, scene che vi faranno emozionare e nonostante le difficoltà linguistiche vi consiglio di arrivare fino alla fine, perché la conclusione vi trasmetterà un senso di pace e di serenità assolutamente imprevedibile fino a quel punto.

lunedì 10 maggio 2021

Il Maestro e Margherita

Per leggere i classici ho poco coraggio, e questa non è una novità. Moltissimi sono i titoli che ho accumulato in casa, in parte ereditati da precedenti generazioni, in parte acquistati in collane di cui non ho saltato un numero in edicola. Fa parte di quest’ultima categoria "Il Maestro e Margherita", opera della letteratura russa che se avessi dovuto leggere da sola probabilmente avrei rimandato per altri dieci anni almeno: per fortuna però esistono i gruppi di lettura!


Titolo: Il Maestro e Margherita
Autore: Michail Bulgakov
Anno della prima edizione: 1967
Titolo originale: Master i Margarita
Traduttrice: Vera Drisdo
Pagine: 447



Siamo a Mosca, nel periodo dell’unione Sovietica: sono infatti gli anni '30 del Novecento quando l’autore scrive questo romanzo che definisce il suo "romanzo sul diavolo" molto prima di attribuirgli il titolo definitivo. Il suo "romanzo sul diavolo" parla in effetti del Diavolo, ma non soltanto: parla della scrittura e di come i manoscritti non brucino, nonostante lo stesso Bulgakov abbia dato alle fiamme il suo "romanzo sul diavolo" proprio come il suo protagonista, il Maestro. 

“Faccia un po’ vedere” E Woland tese la mano con la palma all’insù. “Io, purtroppo, non posso farlo” rispose il Maestro, “perché l’ho bruciato nella stufa”. “Scusi, non ci credo,” replicò Woland, “non può essere, i manoscritti non bruciano”.

Per essere un protagonista il Maestro occupa poco spazio nel romanzo: compare infatti dopo più di una decina di capitoli e appare sporadicamente, mentre la storia vera e propria viene interrotta da quella di Ponzio Pilato -e questo è il romanzo del Maestro, quello che ha cercato di dare alle fiamme: un romanzo su Ponzio Pilato. 

C’è il Diavolo ne "Il Maestro e Margherita" e insieme a lui una combriccola di bizzarri, inquietanti e divertenti personaggi (un gatto parlante, un assassino, una donna bellissima dai capelli di fiamma e il segno di una corda al collo...), che fanno accadere eventi altrettanto assurdi ed inspiegabili

“I calzoni non si addicono a un gatto, Messere,” rispose il gatto con gran sussiego. “Non pretenderà mica che mi metta anche gli stivali? Soltanto nelle fiabe s’incontra un gatto con gli stivali, Messere. Ma ha mai visto a un ballo qualcuno senza cravatta? Non intendo trovarmi in una situazione comica e correre il rischio d’esser messo alla porta!”

E poi c’è Margherita: una donna profondamente innamorata del Maestro ed inserita nel romanzo sul diavolo di Bulgakov solo quando l’autore aveva sposato la propria terza moglie -e, pare, dimenticate le precedenti due. Margherita è una donna innamorata, disposta a fare il patto con il Diavolo, diversamente dalla Margherita del Faust di Goethe, che aveva nel romanzo che ha ispirato Bulgakov un ruolo soltanto passivo. Qui è Margherita che diviene una strega, ed è Margherita che fa il patto col Diavolo proprio per amore.

L’amore ci si parò dinanzi come un assassino sbuca fuori in un vicolo, quasi uscisse dalla terra, e ci colpì subito entrambi. Così colpisce il fulmine, così colpisce un coltello a serramanico! 

È dunque un romanzo d’amore "Il Maestro e Margherita", ed è un romanzo sul Diavolo, e un romanzo sulla religione nonostante Bulgakov fosse dichiaratamente ateo, ed è un romanzo sul potere della scrittura, dei romanzi che non bruciano e non muoiono, così come "Il Maestro e Margherita" trovò la propria fama quando il suo autore era già morto. Quello di Bulgakov è un romanzo complesso e stratificato, pieno di simboli, di scene che spiazzano il lettore e lo confondono, ed è un romanzo satirico, divertente a tratti, però profondamente emozionante. 

È un romanzo al quale bisogna arrivare bendisposti, aperti, pronti ad un’esperienza di lettura diversa da quelle convenzionali a cui siamo abituati, perché da un capitolo all’altro sembra di passare da una storia ad una nuova storia, i personaggi cambiano continuamente e moltissime sono le sottotrame introdotte dall’autore. Da sola credo che non avrai trovato la motivazione per portare a termine "Il Maestro e Margherita": grazie però ad un gruppo di lettura all’interno del quale mi è stata consigliata l’eccezionale conferenza del professor Barbero posso dire di essere arrivata alla fine soddisfatta di questa esperienza. Addirittura mi sento di consigliare la lettura de "Il Maestro e Margherita" nel momento in cui vi sentirete pronti ad essere trasportati in una dimensione soprannaturale e sorprendente, nel momento in cui avrete voglia di una storia d’amore ma anche di un gran ballo con i dannati, e soprattutto di un romanzo sul Diavolo che non potrà bruciare.

lunedì 3 maggio 2021

La fila

Di autori arabi ne leggo sempre volentieri, ma devo ammettere che raramente sono donne: sono stata quindi molto felice di questa novità!


Titolo: La fila
Autrice: Basma Abdel Aziz
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: Al Tabuur
Casa editrice: NERO Edizioni
Traduttrice: Fernanda Fischione
Pagine: 209


LA STORIA

"La fila" è un romanzo distopico, genere che che come abbiamo imparato da capolavori come "1984" di Orwell racconta assai bene la realtà o il futuro. In questo caso ci troviamo in un paese del Nord Africa di cui non ci viene mai rivelato il nome, ma che non facciamo fatica ad immaginare come l’Egitto data la nazionalità della scrittrice. La popolazione è costretta ad ordinarsi in questa Fila del titolo, in un'interminabile attesa per poter comunicare con la Porta, misteriosa autorità alla quale è necessario chiedere ormai l’autorizzazione per qualunque cosa, dal potere ottenere un lavoro, al permesso di venire operati o acquisire un terreno. Si raccoglie così una varia umanità cittadina nella Fila, e tra di essi seguiamo in particolare le vicende di Yaya, un giovane che è stato colpito da un proiettile nel corso dei giorni rievocati come "sciagurati eventi" -anche qui, non fatichiamo ad immaginarci queste giornate come simili a quelle delle Primavere Arabe e delle rivolte contro i dittatori, Mubarak nel caso dell’Egitto.

Il proiettile però è stato sparato dalla polizia e pertanto il dottor Tarek, che dovrebbe essere incaricato di operare Yaya, non ha il permesso di farlo: estrarre il proiettile si rivelerebbe una prova schiacciante della colpevolezza delle forze dell’ordine. Così, mentre le compagnie telefoniche si specializzano nell’intercettare le comunicazioni, Yaya soffre con il suo proiettile in corpo e attende in Fila l’estenuante autorizzazione ad estrarlo.
lui, con quella pallottola, era l’unica prova vivente che non erano ancora riusciti a insabbiare.

COSA NE PENSO

Basma Abdel Aziz è una psichiatra egiziana, attivista per i diritti umani e scrittrice per numerose riviste: questo è il suo romanzo d’esordio, pubblicato per la prima volta nel 2013, a poca distanza dalle Primavere Arabe e dalla delusione che ne sarebbe seguita. Basma Abdel Aziz conosce il carcere, perché numerose volte è stata arrestata a causa del suo attivismo e da "La Fila" appare evidente la sua capacità di ritrarre in modo simbolico ma calzante la condizione ancora oggi vigente nel suo paese: dalla Fila infatti le persone spariscono senza lasciare traccia, gli arresti sono del tutto arbitrari e le pubblicazioni sui giornali controllate dalla censura. 
L’Unità Antisommossa di Difesa della Sicurezza, incaricata sin dalla sua fondazione di trattare questo tipo di insurrezioni e armata come mai prima d’allora, era riuscita ad annientare i manifestanti in poche ore e a svuotare la piazza senza grandi sforzi.
Sebbene fosse al regime di Mubarak che questo romanzo poteva fare riferimento, data l’epoca della sua pubblicazione, c’è ancora molto di somigliante nel regime di Al-Sisi, ed è per questo che "La Fila" è un romanzo estremamente interessante per tutti coloro che siano appassionati di geopolitica e Medioriente.


A me "La Fila" è piaciuto moltissimo: mi è piaciuto seguire le vicissitudini degli amici che cercano di aiutare Yaya a tutti i costi, pur sapendo quanto sia pericoloso, e come nel caso di Amani (la sua fidanzata) subendone le conseguenze in prima persona, perché da un arresto governativo non si torna indenni
Si diceva che fossero stati convocati nei sotterranei senza che facessero più ritorno. Le voci causarono una notevole tensione: furono resi pubblici i nomi dei cittadini di cui non si aveva più notizia e la data della loro scomparsa; iniziarono a girare volantini con le loro foto, e appelli affinché tornassero sani e salvi.
Ho trovato molto stimolante la rappresentazione di personaggi così diversi: i fondamentalisti religiosi, gli ipocriti, coloro che per una sola parola sbagliata si ritrovano in un meccanismo dal quale non sanno come sfuggire. 
Devo essere però completamente onesta e rivelarvi che i finali aperti non fanno per me! Se le vicissitudini del dottor Tarek erano state per me estremamente interessanti, combattuto com’era tra la sua deontologia professionale e l’intenzione quindi di operare Yaya, ma anche il timore e l’obbedienza nei confronti degli ordini ricevuti dall’alto, avrei davvero desiderato leggere una conclusione per tali eventi. Invece sul finale sono rimasta un po’ con l’amaro in bocca, sebbene ragionandoci a mente fredda trovo che data l’attualità della situazione politica abbia avuto una sua coerenza lasciare in sospeso la vicenda, tutt’altro che risolta e terminata nella realtà.