lunedì 14 gennaio 2019

Khalil

Dopo i fatti di Strasburgo lo scorso dicembre, l'allarme terrorismo si è riacceso: non lo sentivamo più così pressante, non ci spaventavano più le metropolitane, i mercatini di Natale, eppure eccoci di nuovo. Sul tema lo scrittore algerino che scrive sotto lo pseudonimo di Yasmina Khadra ha pubblicato proprio nel 2018 un romanzo interessante, che oggi vi propongo.
 


Titolo: Khalil
Autore: Yasmina Khadra
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Sellerio
Traduttrice: Marina Di Leo
Pagine: 247
 



LA STORIA
 
Nello stesso condominio di Molenbeek, periferia di Bruxelles, crescono Driss, Khalil e Rayan. Hanno origini marocchine e famiglie differenti, la madre di Rayan fa di tutto per offrire al figlio le opportunità migliori mentre i genitori degli altri sono disinteressati all'istruzione ed apparentemente ai figli stessi. L'educazione, si sa, ha il suo peso: e così mentre Rayan è uno scolaro brillante che trova facilmente lavoro una volta terminati gli studi, Driss e Khalil abbandonano la scuola e cercano un punto di riferimento nella moschea locale, dove vengono indottrinati da un imam al punto di vedere nel martirio l'unico senso possibile per le proprie esistenze.
Chi racconta la storia è infatti Khalil: con Driss è andato a Parigi, allo Stade de France, a compiere un attentato suicida; ma qualcosa è andato storto, e la sua cintura non è esplosa.

 
 COSA NE PENSO
 
Yasmina Khadra scava dentro il suo protagonista, che racconta in prima persona la propria vita dall'infanzia alla giovane età nella quale già si sente pronto a morire -non avendo trovato qualcosa che abbia davvero significato per lui sulla Terra. L'analisi psicologica è profonda e convincente, pagina dopo pagina ci sembra davvero di imparare a conoscere Khalil, che è un personaggio ben costruito -quanto lo è Rayan, mentre Driss ha decisamente meno spazio nel romanzo.
Rayan non poteva capire. Lui non aveva bisogno di quelle cose. Sua madre le compensava tutte. Aveva vegliato su ogni suo passo, covato ogni suo sogno, standogli sempre al fianco, ma guardando lontano. Quando ancora Rayan si reggeva appena sulle gambe, lei lo vedeva già scalare i gradini di una brillante carriera, ricoperto di titoli, con autista e segretaria a disposizione. […] Pe me era diverso. Io tiravo a fatica la carretta e ridevo forte per darlo a vedere. Non ce l'avevo con nessuno. La vita è fatta così: c'è gente agiata e gente disagiata, gente che taglia tutti i traguardi e cavalli azzoppati.
Le dinamiche dell'indottrinamento e della modalità con cui adolescenti smarriti si avvicinano all'ambiente del terrorismo è assai ben spiegata, in questo il romanzo assume quasi i tratti di un saggio, di un articolo che sappia illustrare il delicato fenomeno. È facile per l'imam ed i suoi seguaci convincere Driss e Khalil della necessità delle loro azioni, dopo averli fatti sentire per la prima volta nella loro vita davvero parte di qualcosa, di una sorta di nuova famiglia nella quale sentirsi amati ed accettati.
Chi aveva detto che potevo fare a meno dei miei fratelli? Fesserie. Avevo tentato di convincermi che ero in grado di vivere senza di loro, ma era bastato che Lyès riapparisse perché le cose si mettessero a posto. I miei dubbi, le mie paure, le mie frustrazioni si volatilizzarono. Il cuore mi batteva talmente forte da farmi male. Non ero più un relitto alla deriva: avevo ritrovato la rotta, ero nel mio elemento.
Difficile poi per un adolescente avere dubbi sulla purezza dei propri ideali. L'adolescenza è infatti per definizione l'età delle grandi passioni, dell'entusiasmo che nulla sembra scalfire; non ha dubbi Khalil, almeno finché qualcosa nel piano non va come previsto e tutto ciò che si era immaginato cambia all'improvviso.
Ho apprezzato moltissimo questo romanzo, che ho trovato molto ben costruito e capace di parlare con un linguaggio semplice e diretto, dal punto di vista interno di un giovane di seconda generazione che si è sentito belga da bambino ma nell'Europa non si riconosce più, di un tema delicato e sul quale è molto semplice ricadere negli stereotipi e nelle generalizzazioni.
"Tu non sarai mai un belga a tutti gli effetti", mi aveva avvertito Lyès. "Non avrai mai una macchina con autista. E se, per miracolo, dovesse capitarti d'indossare giacca e cravatta, lo sguardo degli altri ti ricorderà da dove vieni. Qualunque cosa tu faccia, qualunque successo tu ottenga, in un laboratorio di ricerca o su un campo di calcio, ti basterà dare una testata a un vigliacco per rotolare giù dalla tua nuvola di idolo e tornare a essere uno sporco arabo. È sempre stato così. E sempre così sarà".
L'unica critica che mi sento di fare riguarda l'evento che innesca in Khalil un cambiamento sostanziale: d'accordo, il fenomeno negli attentati nel romanzo si rivela tutt'altro che raro, ma considerate le due città diverse dove hanno luogo è davvero plausibile che due delle vittime siano in qualche modo legate al nostro protagonista? Per quanto il secondo decesso sia funzionale alla trama, basandomi sul calcolo delle probabilità mi è parsa una scelta un po' forzata.
Ciò non toglie che vi consigli la lettura di Khalil, che sarà di certo in grado di suscitare in voi riflessioni e pensieri su un argomento che in fondo ci riguarda tutti da vicino.

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