giovedì 23 febbraio 2023

L'ombra non è mai così lontana

Il testo a fumetti "L’ombra non è mai così lontana" di Leila Marzocchi, pubblicato da Oblomov, all’inizio mi ha un po’ confusa: le informazioni che racchiude sono moltissime e ancora più numerose sono le note a cui esse rimandano, che si trovano alla fine del testo. 


Titolo: L'ombra non è mai così lontana
Autrice: Leila Marzocchi
Anno della prima edizione: 2023
Casa editrice: Oblomov
Pagine: 184

Questa struttura rende l'opera dapprima non di immediata fruizione, ma ne denota senz’altro l’accuratezza storica e la ricchezza delle fonti a cui attinge.

L’autrice infatti a partire da un ricordo d’infanzia della sua zia Dina che era stata deportata nel lager di Bolzano mette in campo alcuni tra i testimoni più importanti dell’Olocausto come Primo Levi, Liliana Segre, Simon Wiesenthal, ripercorrendone le gesta e illustrandone le parole. 

Se di Primo Levi ho letto diversi testi e quindi ciò che l’autrice riporta qui non è stata una sorpresa, ho scoperto di avere davvero molto da imparare sulla figura di Simon Wiesenthal e sulla sua impresa di cattura dei nazisti durata un’intera vita! Dunque questo fumetto può essere uno spunto, non soltanto per i lettori più giovani ai quali credo sia originariamente indirizzato. 

Nella seconda parte del testo si ritorna a Dina e alla sua intervista in cui ha raccontato la propria esperienza di deportazione dalla provincia di Bologna (estremamente importante per me che ne condivido le origini) e la ricostruzione di una pagina della resistenza che merita di essere ricordata, così come l’esistenza di lager italiani dei quali si parla sempre troppo poco. 

Degna di nota è anche la conclusione dell’autrice, che in una nota ricorda, riprendendo ancora una volta le parole di Primo Levi, quanto il fascismo abbia tante facce e dove l’uguaglianza tra gli uomini viene meno trovi terreno fertile -l’ombra, dunque, davvero non è mai lontana, attualizzazione della tematica che ritengo oggi più che mai importante.

Le illustrazioni dell’autrice sanno essere molto dure: raffigurano l’orrore dei campi di sterminio, delle torture e degli assassinii subiti dai prigionieri, ma lasciano spazio anche ad alcune tavole che ricordano le tregue e la tenerezza del ritorno a casa, ritrovando l’amatissimo fratellino di Dina. 

Sebbene la zia non abbia mai desiderato parlare del campo di concentramento in famiglia, e la nipote abbia rispettato tale divieto per tutta la vita della parente, oggi Dina ci parla e la sua testimonianza attraverso l’eredità di Leila è preziosissima.

Non lasciatevi disorientare dalla necessità di interrompere molto frequentemente la lettura per approfondirla con le note in appendice: queste arricchiscono il testo e forniscono anche spunti bibliografici che potranno tornarvi utili in futuro. 

Insomma: bolognesi soprattutto, ma non soltanto, recuperate questo fumetto, consigliatelo nelle scuole, dove può essere un ottimo spunto per introdurre un periodo storico ancora così vicino, e siate aperti ad imparare dalle persone coraggiose che incontrerete tra le pagine.

Qual è il testo sull’Olocausto che più vi ha segnati?

Cucinare un orso

Il catalogo della casa editrice Iperborea è tra quelli che più mi attirano: già la copertina di "Cucinare un orso" di Michael Niemi è assolutamente irresistibile!


Titolo: Cucinare un orso
Autore: Mikael Niemi
Anno della prima edizione: 2017
Titolo originale: Koka björn
Casa editrice: Iperborea
Traduttrici: Alessandra Albertoni e Alessandra Scali
Pagine: 507

Si tratta di un thriller molto particolare, ambientato nell’estrema Svezia della metà del 1800, ai confini con la terra dei Sami, la Lapponia. Il protagonista è Jussi, un giovane uomo che non è mai stato amato, vittima da bambino della violenza della madre. Viene salvato dal pastore della comunità locale che lo accoglie nella sua casa e lo istruisce alla lettura, alla botanica e alla scrittura, fino al giorno in cui  la quotidianità viene spezzata dall’omicidio di una ragazza, su cui le forze dell’ordine sembrano tutt’altro che intenzionate a scoprire la verità. [infatti sebbene indizio dopo indizio raccolto dal pastore si scoprirà che il colpevole non è altri che l’assistente del giudice distrettuale  Porterà all’accusa e alla condanna di Jussi che verrà condannato all’esecuzione ma salvato dalla nuova entrata in scena della sorellina che dall’inizio del romanzo si sente in colpa per aver abbandonato]

Ve ne consiglio la lettura per due ragioni: la prima è l’ambientazione, assolutamente atipica e suggestiva, così vicino al Nord, alla natura, alla comunità lappone, che non si incontra spesso in letteratura. La seconda è l’indagine, che procede attraverso la scoperta di indizi come in un giallo classico e suscita decisamente molta curiosità nel lettore, che ne può conoscere le dinamiche ma trovarle qui applicate in un contesto insolito.

Il mio parere non è tuttavia unicamente positivo, perché per quanto riguarda lo sviluppo dei personaggi non sono riuscita a trovarlo del tutto coerente, soprattutto per quanto riguarda il protagonista e la ragazza di cui è innamorato. Nel caso del primo non ho trovato coerenti le scelte che compie, e nel caso della seconda ne ho trovata troppo repentina la trasformazione. Inoltre è una lettura che non ho trovato appassionante allo stesso modo: nelle pagine che sono dedicate alla spiritualità e alla corrente religiosa del Risveglio, di cui il pastore è rappresentante, ammetto di essermi talvolta annoiata.

Infine mi sento di segnalare a chi come me è sensibile all’argomento alcune pagine di violenza sugli animali che ho trovato davvero difficili da tollerare!

Nel complesso è stata comunque una lettura piacevole, una declinazione in edita di un genere che apprezzo e un volume del catalogo di una casa editrice che amo diverso da tutti quelli che avevo letto fino ad ora!

Qual è il vostro Iperborea preferito?

mercoledì 22 febbraio 2023

Figlie del mare

"Figlie del mare" è un libro che desideravo leggere da tempo, e quando finalmente l’ho fatto l’ho divorato nell’arco di una sola giornata, perché l’idea di separarmi da Hana ed Emiko senza aver scoperto cosa ne era stato di loro mi era insopportabile. 


Titolo: Figlie del mare
Autrice: Mary Lynn Bracht
Anno della prima edizione: 2018
Titolo originale: White Chrysanthemum
Casa editrice: TEA
Traduttrice: Carla Katia Bagnoli
Pagine: 372

Si tratta di un romanzo storico, che ha al centro un tema estremamente doloroso: quello delle donne di conforto dell’esercito giapponese durante la seconda guerra mondiale, che sta per fortuna trovando spazio nella letteratura in questi ultimi anni in modo che alla loro memoria sia riconosciuto il rispetto dovuto. Avevo letto già in proposito il fumetto "Le malerbe" e il romanzo "Storia della nostra scomparsa", che avevo amato molto. 

Questa storia inizia sull’isola di Jeju, al largo della Corea del Sud, durante l’occupazione giapponese. Le sorelle Hana ed Emi sono figlie di una haenyeo, una donna pescatrice che si immerge nei fondali per provvedere al sostentamento della famiglia. Hana ha 16 anni quando viene fatta prigioniera da un soldato giapponese, che da lì in poi sarà ossessionato da lei e la costringerà a prostituirsi in un orribile bordello. 

Le vicende ci Hana si sviluppano nel 1943, la seguiamo prigioniera, vittima ma mai priva della sua forza d’animo e della sua determinazione. Nel 2011 seguiamo invece la sorella, il cui passato è stato segnato non solo dal rapimento di Hana, ma anche dall’omicidio dei suoi genitori e da un matrimonio forzato con un poliziotto che ne è stato direttamente responsabile. Ai figli non ha mai rivelato nulla, lo fa soltanto una volta anziana quando non le resta poi molto da vivere, e riconosce nel memoriale alle donne di conforto proprio i tratti di quella sorella perduta, della quale non ha mai trovato il coraggio di parlare. 

"Figlie del mare" è un romanzo estremamente doloroso, che non ci risparmia crude scene di violenza: Hana viene abusata moltissime volte, e così le sue compagne di prigionia. È un romanzo che trasmette la memoria di donne che non hanno avuto alcuna scelta, e sono state considerate null’altro che oggetti al servizio del corpo maschile, strumenti per esercitare il proprio dominio come accade troppo spesso nei conflitti combattuti dagli uomini, che usano la donna come un ulteriore campo di battaglia. 

La scrittura dell’autrice è molto semplice, oserei dire quasi troppo lineare e di per sé lo stile non è granché memorabile, ma l’importanza di questa storia è nel suo contenuto e nelle sue protagoniste,  che diventano mezzi per ricordare migliaia di donne che sono state troppo a lungo dimenticate. 

Il mio cuore tenero per di più ha apprezzato moltissimo la seconda possibilità che la famiglia in Mongolia offre ad Hana, pur rendendomi conto del suo non stringente realismo. L’autrice scrive nella postfazione che era così affezionata a questo personaggio da non poter immaginare una sua fine per mano dell’orribile caporale giapponese, per quanto non molte donne come lei abbiano potuto avere un lieto fine durante il conflitto: mi è sembrata comunque una licenza poetica per così dire per ridare una speranza e una giustizia a tutti coloro che non hanno potuto ottenerla in vita.

Qual è l'ultimo libro che vi ha commosso?

martedì 14 febbraio 2023

Il blu è un colore caldo

Desideravo leggere "Il blu è un colore caldo" di Jul Maroh da quando, ormai una decina di anni fa, vidi al cinema il film "La vita di Adele", che il regista Kechice ha diretto ispirandosi proprio a questo fumetto francese, pubblicato per la prima volta nel 2010. Non aspettatevi però che le due esperienze coincidano!


Titolo: Il blu è un colore caldo
Autore: Jul Maroh
Anno della prima edizione: 2010
Titolo originale: Le bleu est une couleur chaude
Casa editrice: Rizzoli Lizard
Traduttrice: Federica Zicchiero
Pagine: 158

La storia ha inizio negli anni '90 attraverso il diario di Clementine, una delle due protagoniste, che frequenta il quarto anno di liceo. Non prova alcun trasporto per il suo fidanzato del momento e la sua vita viene sconvolta dall’incontro con Emma, una ragazza dai capelli e gli occhi blu, verso la quale prova un’istantanea attrazione, che fatica però ad accettare in quanto l’omosessualità è assai malvista nella comunità attorno a lei. 

Quello che l’autore, persona transgender, ci racconta è un amore tra due giovani donne, fatto di un grande trasporto, dell’intensità degli anni giovanili, ma anche di molte incomprensioni e sofferenze, fino ad una conclusione davvero tragica che ci viene preannunciata sin dalle prime pagine.

Le tavole sono in gran parte sui toni del grigio fino alla conclusione a colori, ma anche in quelle monocromo spicca sempre l’azzurro che contraddistingue Emma, quel colore caldo che cambierà per sempre la vita di Clementine. 

Si tratta di un fumetto commovente e molto poetico, che racconta l’insicurezza e la paura dell’adolescenza, le difficoltà dei giovani omosessuali che non vengono accettati dalle loro famiglie e che è una tematica purtroppo ancora molto attuale. 

Rispetto al film di Kechiche, che trasmette uno sguardo maschile e talvolta invadente in particolare sull’intimità tra le due ragazze, qui questi eccessi sono per fortuna assenti e Maroh ci regala una storia più romantica e delicata, che lascia l’assoluto primo piano ai sentimenti. 

Questo fumetto mi è piaciuto, e ve lo consiglio se siete giovani, se avete paura di un amore che temete gli altri non potranno capire, oppure se siete interessati all’argomento, o ancora se volete fare un confronto con il famosissimo film! 

Qual è l’ultimo fumetto che avete letto?

Uscita per l'inferno

Come in "Ossessione" e "La lunga marcia", i precedenti titoli pubblicati sotto pseudonimo di Richard Bachman, Stephen King in questa pubblicazione del 1981 dal titolo "Uscita per l’inferno" non inserisce alcun elemento soprannaturale. 


Titolo: Uscita per l'inferno
Autore: Stephen King
Anno della prima edizione: 1981
Titolo originale: Roadwork
Casa editrice: Sperling&Kupfer
Traduttore: Tullio Dobner
Pagine: 334

Ci sono altri parallelismi con i due libri che ho citato: anche qui al centro della narrazione c’è un protagonista che sembra trovarsi su un piano inclinato, inevitabilmente proiettato verso una catastrofe, in un’escalation di tensione preparatoria. 

Siamo all’inizio degli anni '70: al cinema danno "L'esorcista", e Barton, il protagonista di questa storia, è l’ultimo residente di una strada dove a breve ogni abitazione verrà demolita perché sia consentito il passaggio dell’autostrada in costruzione. Bart non è pronto a questa separazione e nella sua mente si affollano i ricordi del figlio perduto e le voci di Fred e George, che di lui e del figlio riprendono i secondi nomi e sono nella sua perdita di controllo una sorta di voce della coscienza. Non ho più nulla da perdere Bart, mentre lascia la moglie, dà passaggi a sconosciuto autostoppiste, perde il lavoro e si mette in contatto con loschi personaggi che gli permettano di realizzare il nebuloso piano finale che ha in mente.

È del tutto reale questo romanzo del Re, nulla di più realistico di un uomo che non ha più nulla per cui lottare, la cui disperazione prende il sopravvento sul buon senso e sull’autocontrollo. 

È un romanzo molto amaro, che segue il suo protagonista giorno per giorno dividendo la narrazione in capitoli che per titolo hanno proprio la data in questione, creando nel lettore una curiosità che si fa sempre più avvincente. 

Non avevo grandi aspettative per questa storia, perché ne avevo sempre sentito parlare in toni poco entusiastici e forse anche per questo ne sono rimasta soddisfatta. Non è certo un King dei più memorabili, all’altezza di capolavori come "Il miglio verde" o per rimanere sul genere thriller come "Misery", ma è comunque una storia riuscita con un personaggio molto credibile, per cui è facile provare empatia. 

Alcuni aspetti, come le voci interiori di Fred e George e la loro origine, avrebbero potuto essere un po’ più approfondite, ma nel complesso è una lettura che consiglio a chi vuole recuperare la produzione dell'autore! 

Qual è l’ultimo romanzo di Stephen King che avete letto ?

Mi limitavo ad amare te

Rosella Postorino scrive un romanzo di madri e di figli, di patria e di abbandoni, di distacchi e di ritorni. Scrive "Mi limitavo ad amare te" che già dal titolo cita poesia, lo pubblica Feltrinelli, ed è uno dei romanzi più intensi che leggerete quest'anno.


Titolo: Mi limitavo ad amare te
Autrice: Rosella Postorino
Anno della prima edizione: 2023
Casa editrice: Feltrinelli
Pagine: 352

Inizia a Sarajevo, nei primi anni '90: Omar e Senadin, Nadia e Ivo vivono in orfanotrofio, due coppie di fratelli, abbandonati dalle loro madri irregolari. Incontrano Danilo mentre viaggiano verso l'Italia, bambini sfollati, orfani e figli di famiglia mandati in affido per allontanarsi dalle bombe, dai proiettili dei cecchini. Inizia qui lo strappo, di chi cresce sradicato, Omar che continua a pensare alla madre che gli ha detto di scappare dalle granate e non può accettare una nuova famiglia, Danilo e Sen che vogliono integrarsi, Ivo che è rimasto a combattere al fronte, Nadia che si sente sempre di troppo, impossibile da amare.

Rosella Postorino scrive una storia di solitudini, di frammenti spezzati che non sanno trovare un incastro, Omar che pensa a Nada ma si mette sempre più nei guai, Danilo che la abbandona, Nada che non si impone e cresce un figlio, lo mette al mondo pensando a sua madre, alla figlia che in qualche modo non è mai stata.

È una colpa essere madri, mettere al mondo figli riflette Azra, la madre giornalista di Danilo, e le sue pagine in corsivo di cui solo piuttosto avanti si riconosce l'autrice sono le più taglienti, le più dolorose nel raccontare la guerra in ogni crudele aspetto, è Azra a riflettere su quei figli della Bosnia che alla loro terra non sono mai stati restituiti in nome del loro benessere. 

"Mi limitavo ad amare te" è un fiume in piena che si snoda per vent'anni di storia, tra la Jugoslavia andata in pezzi e le nostre pianure e città, tra ragazzi che salgono sugli alberi, che imparano a nuotare di notte, che dimenticano la loro lingua d'origine e non sanno più parlare con chi li ha generati. 

È un romanzo doloroso e tagliente, che mi ha riempita di angoscia, che crea personaggi così veri e tridimensionali che li leggiamo crescere, che li vorremmo abbracciare pur sapendo che verremo respinti, che ci sussurra nell'orecchio domande scomode sulle buone intenzioni, sull'identità, i legami del sangue. 

L'autrice, che avevo già apprezzato nell'esordio "La stanza di sopra" e ne "Le assaggiatrici", qui si supera. E la fragilità di Nada, di Omar, di Danilo ci resta dentro, come solo chi popola i romanzi migliori sa fare -e questo si candida, senz'altro, ad entrare tra i preferiti dell'anno.

Qual è l'ultimo romanzo che avete amato così tanto?

giovedì 9 febbraio 2023

Le regole della casa del sidro

"Le regole della casa del sidro" di John Irving è stato scritto negli anni '80, ma si svolge in un arco di tempo che inizia dopo la prima guerra mondiale e supera gli anni '60. È un affresco di storie ambientate nel Maine, che iniziano all'orfanotrofio di Saint Cloud dove nasce Homer, il protagonista di questa storia.


Titolo: Le regole della casa del sidro
Autore: John Irving
Anno della prima edizione: 1985
Titolo originale: The Cider House Rules
Casa editrice: Bompiani
Traduttore: Pier Francesco Paolini
Pagine: 688


Homer è amatissimo dal dottor Larch, che dirige l’orfanotrofio e vi lavora, dando la possibilità alle donne di scegliere se tra "un orfano oppure un aborto", indipendentemente da ciò che la legge consentirebbe. Non si fa adottare Homer, e quando arriva vicino ad avere una famiglia per sé è a Saint Cloud che ritorna, perché è a Saint Cloud che è di casa.

Divenuto un giovane uomo, la sua strada incrocia quella di Wally e di Candy, due giovani venuti a Saint Cloud proprio in cerca di un’interruzione di gravidanza, a cui si affezionerà immediatamente e che seguirà nella tenuta dei genitori di lui, dove farà il proprio mestiere della raccolta delle mele e la lavorazione del sidro. 

Gran parte di questa storia dunque si svolge alla casa del sidro, ed intreccia la vita di Homer con quella dei braccianti stagionali ma soprattutto con quella di Candy, di cui è innamorato, e di Wally, che nella seconda guerra mondiale si arruolerà come pilota risultando però disperso a seguito di un bombardamento. 

È qui che Candy e Homer si avvicinano, al punto di concepire Angel, e la gravidanza di lei riporterà Homer proprio Saint Cloud, l’unico luogo dove quel bambino può nascere in pace ed essere accolto come una fonte di gioia. 

Homer diventa adulto in questa storia, mentre il dottor Larch invecchia  e ci affezioniamo all’uno e all’altro sin dalla prima pagina, aspettando di capire come le loro strade si incontreranno in un modo o nell’altro. 

Quello di John Irving è un romanzo di formazione in piena regola, e il suo protagonista da bambino dai poderosi pianti diventa un uomo alla soglia della terza età, che raccoglie l’eredità di colui che lo amato come un padre e ha cercato di proteggerlo per tutta la sua lunga vita, sapendo che avrebbe fatto alla fine la scelta giusta. 

È un romanzo di grandi ideali in cui si leggono Charles Dickens e Charlotte Bronte, e di uomini che lottano al fianco delle donne perché non sia fatta loro violenza e sia data loro la libertà di scelta. Incredibile pensare che a distanza di ormai quasi settant’anni dalla pubblicazione di questo romanzo il tema sia ancora di scottante attualità e tutt’altro che è un diritto garantito!  

Irving scrive un romanzo lungo, che ci dà il tempo di goderci anche i personaggi secondari come Melony, da sempre innamorata di Homer ma anche arrabbiata al punto di non saper perdonare, Melony che come lui soltanto a Saint cloud sarebbe poi stata a casa, da viva o da morta, Melony che rilegge Jane Eyre e si indigna e si commuove e rompe tutto. 

Quello di Irving è un romanzo americano, che racconta le stagioni nello stato del Maine, le nevicate, la pesca di aragoste, le fabbriche, il duro lavoro degli stagionali e gli sguardi diffidenti verso i neri provenienti dal Sud. 

È un romanzo di orfani, ma soprattutto di famiglie e di legami che sono dati non dal sangue ma dai sentimenti genuini, come la scrittura dell’autore che nonostante la mole del romanzo non ci fa annoiare nemmeno per un momento. 

È stata una lettura dal ritmo lento ma appassionante, e pagina dopo pagina sì diffondevano nella mia mente le immagini di questa storia che non posso far altro che consigliarvi di leggere quando siete alla ricerca di un romanzo che sappia emozionare e che vi lasci alla sua conclusione un profondo senso di giustizia e di serenità.

Avete letto questo libro ho visto il film che è stato tratto?