lunedì 26 luglio 2021

Sedici parole

"Sedici parole" l’ho ricevuto in regalo dopo averlo visto per diverso tempo nei circuiti dei lettori online; poi a sorpresa mi è stato donato da mia madre.


Titolo: Sedici parole
Autrice: Nava Ebrahimi
Anno della prima edizione:
Titolo originale: Sechzehn Wörter
Casa editrice: Keller
Traduttrice: Angela Lorenzini
Pagine: 336


LA STORIA

Di madri, di donne e di rapporti familiari parla "Sedici parole", della scrittrice Nava Ebrahimi, di origine iraniana ma emigrata in Germania, elemento che condivide con la giovane protagonista Mona. Il romanzo si apre con un lutto, e con la necessità per madre e figlia di recarsi in Iran al funerale della nonna appena scomparsa.

COSA NE PENSO

Il viaggio diventa il pretesto per numerose riflessioni: Mona infatti non è sposata, non ha figli ed intrattiene relazioni delle quali non è completamente convinta sia in Germania sia in Iran. È una ragazza in divenire, nonostante tutti nella sua patria d’origine le ripetano continuamente che dovrebbe sistemarsi, perché ormai è arrivato il momento, mentre per Mona il momento non pare essere arrivato -per me è stato molto facile identificarmi con lei. 

Il lettore segue Mona insieme a sua madre, di appena di quattordici anni più vecchia di lei, in un viaggio attraverso l'Iran dalla casa della nonna a diversi luoghi di interesse che per il lettore è molto interessante scoprire -io per esempio non ne avevo mai sentito parlare.

I romanzi "on the road" non sono propriamente il mio genere, ed in effetti alcune parti di questo romanzo mi sono sembrate un parentesi meno appassionanti di altre. Tuttavia "Sedici parole", che struttura i propri capitoli proprio aprendoli con una parola della lingua persiana fondamentale nel dizionario emotivo della narratrice, è una sorta di romanzo di formazione di una persona adulta: perché in fondo chi stabilisce quando sia obbligatorio smettere di crescere?

Gli uomini non hanno un grande peso in questo romanzo, o meglio non è data loro una propria voce. Sappiamo del padre che è scomparso dopo essere stato incarcerato in Iran perché comunista, e poi a sua volta è emigrato in Germania; conosciamo due giovani iraniani di cui uno, incurante del proprio matrimonio, è In procinto di emigrare negli Stati Uniti, e un giovane fotografo tedesco del quale non scopriamo poi granché -sembra la protagonista stessa a non essere davvero interessata a saperne di più. Nonostante quindi le presenze maschili mi sento di considerare "Sedici parole" un vero e proprio romanzo di donne, e se mi conoscete sapete che questo per me non è affatto un difetto.

Anche la costruzione della storia è interessante: contiene infatti un colpo di scena impossibile da prevedere in una storia di questo genere, che naturalmente non posso svelarvi, ma che è in grado di rovesciare i rapporti tra le donne di questo romanzo.

Nel complesso gli aspetti che ho trovato più interessanti sono stati quelli relativi alla cultura persiana e all’aspetto della doppia appartenenza di coloro che sono emigrati in giovane età e che forse per questo faticano a trovare il proprio posto nel mondo, sia in un paese sia nell’altro. Mona è una voce narrante assolutamente convincente e credibile, che sembra davvero di avere davanti agli occhi mentre ne leggiamo le parole, e questo è un altro elemento per il quale vi consiglio la lettura di "Sedici parole", che per me è stata originale e sorprendente. 

giovedì 22 luglio 2021

Il conte di Montecristo

I classici mi intimoriscono sempre, e quando la loro mole è voluminosa ancora di più. In questo caso quindi ero a dir poco terrorizzata dall’idea di annoiarmi o non essere all’altezza dell’opera. Non avrei potuto essere più nel torto, invece! Questo romanzo è entrato a far parte senza ombra di dubbio delle storie più avvincenti che io abbia mai letto.


Titolo: Il Conte di Montecristo
Autore: Alexandre Dumas
Anno della prima edizione: 1844
Titolo originale: Le comte de Monte-Cristo
Casa editrice: Mondadori
Traduttore: Emilio Franceschini
Pagine: 1101


LA STORIA

Edmond Dantes è un marinaio di Marsiglia di diciannove anni, e la sua vita sembra andare per il meglio nel 1815: sta per diventare capitano del Pharaon e per sposare Mercedes, la sua amata. Tanta fortuna però, nonostante sia meritata, attira le invidie di coloro che lo circondano ed è proprio per questo che Edmond sarà ingiustamente imprigionato per quattordici anni. Una volta trovato modo di uscire, la sua sete di vendetta sarà inesauribile…

COSA NE PENSO

Il numero di pagine dell’opera di Dumas vi spaventa, lo so, ma credetemi: non ce n’è alcun motivo. Perché ne “Il conte di Montecristo” troverete intrighi, segreti, travestimenti, storie d’amore travagliate, matrimoni di convenienza, avventure di ogni sorta... E non vedrete l'ora di scoprire che cosa ne sarà del vostro beniamino. Un capitolo tira l’altro durante la lettura: ricordiamoci che “Il Conte di Montecristo” nacque come un romanzo d’appendice, originariamente pubblicato in ben diciotto parti nell’arco di due anni: la curiosità dei lettori doveva essere tale da spingerli all’acquisto anche a distanza di mesi, ed è evidente a distanza di quasi duecento anni come Dumas fosse riuscito perfettamente nel suo intento. 

I personaggi sono molteplici e tutti ruotano attorno ad Edmond: dapprima divisi tra coloro che lo amano (suo padre, il capitano Morrel, Mercedes) e coloro che ne sono invidiosi (il marinaio Danglars e Fernand, a sua volta innamorato di Mercedes), una volta tornato nelle loro vite nei panni del Conte di Montecristo (ma non solo) sarà Edmond a tirare i fili delle loro esistenze. E tanto era innocente ed ingenuo il giovane Edmond nelle segrete del Castello d’If, tanto è scaltro, rancoroso e ingegnoso il Conte, che ha avuto anni per progettare la propria vendetta, pazientemente istruito sul mondo dall’abate Faria… 

Impossibile comunque non affezionarsi ad Edmond sin dalle sue prime, ingenue vicissitudini: Dumas ha costruito un eroe indimenticabile e integerrimo, nella cui felicità continuiamo a sperare anche nelle sue più crudeli manovre, e per cui parteggiamo nonostante si riveli in più occasioni un uomo dalla lucida spietatezza. 

Dare una propria opinione su un classico intramontabile come questo è difficile, perché ogni parola sembra superflua, già detta, ogni analisi è già stata fatta da voci autorevoli, critici di ogni sorta, ma anche milioni di lettori comuni che come me si sono appassionati a Edmond, ai suoi travestimenti e ai suoi piani ben orchestrati. Ho impiegato mesi a decidermi a pubblicare questo modestissimo parere, che ha un unico scopo: spronarvi alla scoperta di questo meraviglioso romanzo d'avventura, che sono sicura saprà tenervi compagnia per ore e ore e farvi scordare del tutto la realtà che vi circonda!

venerdì 16 luglio 2021

Resurrezione

Quando si tratta di classici sono sempre intimidita all'idea di dare la mia opinione, sapendo di essere molto ignorante in materia e di non avere nulla da aggiungere a quello che critici ed esperti di sorta hanno di certo già detto. Tuttavia questo posto virtuale è un diario delle mie letture, dove mi piace tenerne traccia soprattutto per me, e dunque eccoci qui.


Titolo: Resurrezione
Autore: Lev Tolstoj
Anno della prima edizione: 1899
Titolo originale: Воскресение
Casa editrice: BUR
Traduttrice: Emanuela Guercetti
Pagine: 477


LA STORIA

Il protagonista di Resurrezione è Nechlijudov, un giovane della ricca San Pietroburgo che ha sempre vissuto tra agi, salotti e comodità. In gioventù, nell'onnipotenza conferitagli dal suo status, si è approfittato dell'altrettanto giovane Maslova, che ha sedotto e abbandonato, rovinandole l'esistenza. I due si reincontrano anni dopo, in tribunale: Nechlijudov è un giurato, Maslova invece un'imputata, che sarà ingiustamente condannata ai lavori forzati. Proprio quest'ingiusta condanna è per Nechlijudov l'evento che lo spingerà a cambiare radicalmente la propria vita.

COSA NE PENSO

Tolstoj è di certo più famoso per altri romanzi: "Anna Karenina" e "Guerra e pace". C'è molto però dell'autore in questo romanzo, scritto in dieci anni ed ispirato a diversi casi di cronaca realmente accaduti: anche Tolstoj infatti ha per tutta la sua vita provato interesse per le classi operaie e per i contadini, disprezzando in qualche modo la propria ricchezza (e finendo poi, in effetti, per trascorrere in miseria gli ultimi anni della propria vita). Nel 1901 l'autore fu anche scomunicato per via della filosofia anarco-cristiana di cui era il fondatore -e le cui idee sono decisamente percepibili in questo romanzo.

A nessuno dei presenti passava per la mente che quanto s'era fatto lì costituiva il sacrilegio e la beffa più solenne verso quel Cristo in nome del quale si faceva. Nessuno pensava che la croce dorata coi piccoli medaglioni di smalto che il prete aveva portato in mezzo alla chiesa e fatto baciare alla gente, non era altro che l'immagine di quel patibolo su cui Cristo era stato suppliziato, proprio per aver proibito tutte quelle cose che ora in nome suo lì si compivano.

Nechlijudov è, come Tolstoj, un uomo ricco. È anche una sorta di opposto della più famosa protagonista dello scrittore russo, Anna Karenina: una donna agiata, che ha tutto, e che non desidera nulla per noia e depressione. Nechlijudov invece decide di rifiutare ciò che possiede, distribuendo la terra ai contadini e dedicandosi alla beneficienza, per ben altre ragioni: seppure ciò che lo spinge inizialmente sono ragioni egoistiche, personali (il senso di colpa per ciò che si rende conto di aver fatto a Maslova), mette poi gradualmente radici in lui un'esigenza spirituale profonda, e soprattutto una consapevolezza ragionata della società che lo circonda e delle ingiustizie che la caratterizzano.

"Possibile che anch'io fossi così?", pensò Necliudov, proseguendo verso la casa dell'avvocato. "Se non proprio così, facevo però di tutto per esserlo e pensavo che quella fosse la mia vita.

"Resurrezione" infatti è un duplice viaggio: da un lato nell'animo del suo protagonista e nei miglioramenti che esso attraversa, sempre più altruista e disinteressato; dall'altro nell'orrore del sistema carcerario russo di fine '800, fatto di processi sommari e distratti, condanne comminate superficialmente e pene severe e spesso crudeli. In "Resurrezione" Tolstoj descrive, attraverso Nechlijudov che ne prende coscienza e tutti i detenuti che incontra e che lo aiutano a maturare le sue nuove convinzioni, l'ingiustizia di uomini deputati a giudicare e punire altri uomini, dando vita ad un sistema che non può che condurre ad un aumento del crimine, invece che alla sua diminuzione come sarebbe auspicato. È più ingiusto il sistema del crimine stesso commesso dai condannati, arriva a pensare Tolstoj per bocca di Nechlijudov -e molte sono le testimonianze a sostegno di questa tesi, che ci arrivano attraverso i personaggi che circondano il nostro protagonista e Maslova.

Con chiarezza, straordinaria capì che tutte quelle persone erano state imprigionate e deportate non perché avessero commesso un reato contro la giustizia o la legalità, ma solo perché volevano impedire ai funzionari e ai ricchi di godersi i beni che avevano tolto al popolo.

Maslova, la protagonista femminile, non ha in effetti molto spazio in questa storia: ma è degno di nota come Tolstoj dipinga lei e le altre detenute femminili non come fanciulle in pericolo pronte a farsi salvare dal principe di turno (Nechlijudov infatti fa una missione del supportarla finanziariamente e dal punto di vista giudiziario, arrivando a prometterle di sposarla per espiare il proprio peccato), bensì come donne determinate, capaci di offrirsi in sacrificio per altri, e di prendere per sé le proprie decisioni -non è Nechlijudov infatti che Maslova sceglierà come compagno con cui condividere la vita, ma un detenuto politico incontrato durante la deportazione in Siberia. 

"Sì, l'unico posto decente per un galantuomo, in questo momento in Russia, è la prigione", pensava. E lo sentiva con immediatezza, mentre s'avvicinava alle mura della prigione e ne varcava la soglia.

"Resurrezione" è un romanzo ricco di riflessioni interessanti sul tema del crimine e della punizione, sul tema dei diritti degli individui e anche sulle lotte politiche dei cittadini comuni, pronti ad impegnarsi per i loro ideali. Tolstoj è un maestro delle caratterizzazioni, e attorno ai detenuti e al sistema carcerario trova spazio anche per chi lo dirige, in modo spesso privo di scrupoli, senza provare alcuna pietà per i condannati. In una scena, due bambini assistono al passare della fila dei condannati ai lavori forzati: mentre la bambina volge lo sguardo altrove, giudicandoli di certo dei miserabili colpevoli come le hanno insegnato, il fratello si impietosisce, commosso davanti a quella che percepisce come un'intollerabile crudeltà -e in due bambini, in poche righe, Tolstoj ha dato voce alla popolazione intera, divisa secondo la propria coscienza.

Non leggo spesso classici o almeno non l'ho mai fatto finora, ormai lo sapete; con Dostoevskij e il suo "Memorie del sottosuolo" ho faticato non poco, nonostante la sua brevità. Con "Resurrezione" invece, nella mia edizione degli anni '60 che contiene ancora testimonianze dei bombardamenti sulla città grazie ai ritagli del mio bisnonno a cui è appartenuta, sono stata assorbita da una storia appassionante e scorrevole, ricca di spunti di riflessione e di vividi ritratti che sembrano uscire dalle pagine per mostrarsi al lettore. Posso affermare quindi che questa esperienza di lettura sia stata un vero successo, che spero di ripetere con l'autore prossimamente!

mercoledì 14 luglio 2021

Vivere!

Il mio secondo incontro con la letteratura cinese avviene grazie ad un altro titolo di Yu Hua, autore che avevo già apprezzato moltissimo con "Cronache di un venditore di sangue".


Titolo: Vivere!
Autore: Yu Hua
Anno della prima edizione: 1992
Titolo originale: Huózhe
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttrice: Nicoletta Pesaro
Pagine: 191


LA STORIA

In "Vivere!" l’autore racconta, attraverso la cornice di un giovane che viaggia per la Cina per raccogliere le ballate tradizionali dei vari villaggi, la storia tragica di Fugui: nato benestante e scialacquatore, da giovane è costretto a fare i conti poi con i debiti e la povertà, ma soprattutto con perdite strazianti che segneranno l’intero corso della sua vita.

COSA NE PENSO

"Vivere!" è un’opera estremamente drammatica, dove ripetutamente ci affezioniamo ai personaggi che entrano in scena -la moglie i figli (il minore, dolcissimo e forte al tempo stesso, la maggiore, sordomuta e determinata), il genero, il nipote di Fugui, e inaspettatamente li perdiamo, rimanendo ogni volta senza parole. 

L’autore racconta anche la storia della Cina attraverso quella del suo protagonista, e lo fa per un lungo arco di tempo: dalle guerre contro il Giappone negli anni '30, in cui Fugui viene arruolato contro la sua volontà, fino alle riforme agrarie che ridistribuiscono le terre in base ai criteri del Partito Comunista e alla Rivoluzione Culturale. Si tratta di un aspetto certamente molto interessante, ma che non prevale mai sulla storia personale dell’anziano.

Yu Hua è bravissimo anche qui, come in "Cronache di un venditore di sangue", a raccontare i legami familiari e l’affetto, talvolta difficile da esprimere, che un uomo prova per i figli e per i nipoti. Personalmente preferisco i romanzi che lasciano al lettore un po’ di speranza: sì, la conclusione in cui l’uomo salva un bufalo dal macello e affronta con l’anziano animale la propria vecchiaia è in qualche modo rasserenante, tuttavia ci sono immagini che mi hanno davvero spezzato il cuore. Sin dal figlio bambino costretto a rinunciare alle proprie amate pecore, sapendo che verranno mangiate, fino a delle tragedie che davvero non mi sarei aspettata... Non metto in dubbio che questo possa conferire realismo al romanzo, ma lo rendono una lettura che non consiglierei a cuor leggero e che dubito mi verrà voglia di rileggere in futuro. Se siete però lettori meno sensibili di me, "Vivere!" è senz’altro una storia familiare ben scritta e appassionante, capace di ritrarre un paese attraverso le sue generazioni, che potrà di certo piacere a coloro che sono interessati alla Cina e alla sua cultura.

lunedì 12 luglio 2021

Cambiare l'acqua ai fiori

"Cambiare l’acqua ai fiori" è un romanzo di cui si è parlato in lungo e in largo, e che deve la propria fama proprio ai lettori più che alla promozione che ne ha fatto la casa editrice. A volte i libri così amati si rivelano delle delusioni, dal momento che ci avviciniamo a loro con aspettative così alte: non è decisamente questo il caso.


Titolo: Cambiare l'acqua ai fiori
Autrice: Valerie Perrin
Anno della prima edizione: 2018
Titolo originale: Changer l'eau des fleurs
Casa editrice: Edizioni E/O
Traduttore: Alberto Bracci Testasecca
Pagine: 473


LA STORIA

ViolettE è una donna che dalla vita avuto ben poco: abbandonata alla nascita, diventata madre giovanissima, sposa un uomo egocentrico, immaturo ed incapace di amare; affronta negli anni difficoltà ed enormi sofferenze, fino ad arrivare al piccolo cimitero di provincia dove lavorerà come guardiana.

COSA NE PENSO

Sulla trama volutamente non voglio aggiungere altro, perché qualunque dettaglio potrebbe in qualche modo rovinarvi il piacere della lettura. Sappiate però che i temi in "Cambiare l’acqua ai fiori" sono moltissimi: primo tra tutti, il più importante, è sicuramente l’amore, l’amore materno, l’amore per gli amici che sanno davvero salvarti la vita quando meno te lo aspetti. In questo senso il personaggio di Sasha, precedente guardiano del cimitero, è davvero degno di nota, guardiano dei corpi e delle anime dei vivi più che delle tombe. 

Ieri è venuta la signora Gordon a farsi curare il fuoco di sant’Antonio. Se n’è andata col sorriso sulle labbra. Quando mi ha chiesto: «Cosa posso fare per ringraziarla?» per poco non le ho risposto: «Vada a prendermi Violette».

C’è poi l’amore che non si dovrebbe, quello tra persone coniugate per cui lasciare la propria famiglia sarebbe un sacrificio inaffrontabile ma allo stesso tempo a cui riesce impossibile rinunciare ad una felicità così perfetta, ad una passione così travolgente, ad un sentimento che saprà davvero oltrepassare i confini della morte. 

Credo che nessuno abbia mai saputo che lei e Laurent si fossero amati. Naturalmente non è stata sepolta accanto a lui. Il giorno del suo funerale, una volta andati via tutti, ho fatto una riproduzione per talea, come quando si pianta un albero per la nascita di qualcuno. [...] In questo modo la lavanda di Laurent sarebbe diventata anche la lavanda di Émilie, per anni avrebbero avuto in comune lo stesso fiore, figlio della pianta madre. [...] Ancora oggi le lavande di Laurent ed Émilie sono magnifiche e profumano tutte le tombe intorno.

C’è poi l’amore che fa rinascere, quello che non ti aspetti, quello in cui anzi non vuoi più credere, perché troppo dolore ti sembra passato per poterti concedere una seconda possibilità. L’amore è al centro di questo romanzo, che si tinge ad un certo punto anche di un mistero -la cui soluzione non farà davvero sentire meglio nessuno, ma che comunque appassiona il lettore, che come i personaggi ha bisogno di risposte.

"Cambiare l’acqua ai fiori" è un romanzo sulla rinascita e su come si possa trovare tra i gatti, le lapidi, i fiori, una vecchia cagna (e un commissario di polizia) la motivazione sufficiente per ricominciare, per ricostruire se stessi a dispetto di tutto. 

Nel momento in cui avevo deciso di alzarmi, scavalcare il muretto alle mie spalle e saltare nell’acqua nera del fiume un gatto siamese è venuto a strofinarsi contro le mie gambe facendo le fusa. Mi ha fissato con i suoi begli occhi azzurri. Mi sono chinata per toccarlo, aveva un pelo morbido, caldo, magnifico. Mi è salito sulle ginocchia facendomi trasalire. Non osavo muovermi. Si è allungato sulle mie gambe come una zavorra, un parapetto. Stavo per lanciarmi nel vuoto e me l’ha impedito. Credo che quella sera il gatto siamese mi abbia salvato la vita, o almeno il poco che ne restava.

Violette in questo senso è un grande esempio e la sua vicenda è una di quelle che fanno bene al cuore, che una volta terminata fa sentire il lettore arricchito di una nuova sensibilità e di una nuova tenacia imparata proprio da lei. "Cambiare l’acqua ai fiori" è un romanzo dove l’autrice riesce nella difficile impresa di costruire mano a mano i suoi personaggi in modo tale che anche quelli più detestabili e negativi acquistino una sfumatura per cui è possibile comprenderli: per me è stato così con la caratterizzazione di Philippe, un immaturo, incapace di amare (a causa di certo dell’educazione ricevuta) ma che si rivela mano a mano che le pagine trascorrono più di quello che ci saremmo aspettati da lui -e in un certo senso accade anche con i suoi genitori.

"Cambiare l’acqua ai fiori" è un romanzo che mi sentirei di consigliare ad una platea di lettori davvero eterogenea, perché credo che sia uno dei rari casi in cui quasi chiunque potrà trovare nella lettura aspetti che lo aggradino e che lo emozionino. Chiunque infatti nella vita si è trovato davanti alla necessità di elaborare un lutto, e questo è di certo un romanzo che mi sentirei di consigliarvi in un momento così delicato delle vostre vite, ma non soltanto. Anche se non state attraversando alcun momento difficile, "Cambiare l’acqua ai fiori" saprà raccontarvi una storia dolce e toccante sulle seconde possibilità, sull’importanza degli amici che ci salvano, delle persone che sembrano angeli custodi e soprattutto l’importanza di non arrendersi alle avversità, messaggio del quale tutti abbiamo sempre bisogno.

mercoledì 7 luglio 2021

Basilicò

Questo fumetto è rimasto nella mia lista desideri per oltre un anno, finché in una serata d'estate, complice la zona bianca e i miei migliori amici, mi sono data alla pazza gioia e l'ho acquistato!



Titolo: Basilicò
Autore: Giulio Macaione
Anno della prima edizione:
Casa editrice: BAO Publishing
Pagine: 160


Fumettista italiano di origini siciliane, Macaione mette la Sicilia nel suo primo romanzo grafico e lo fa attraverso la storia della famiglia Morreale, capitanata da Maria, una matriarca inflessibile e spesso troppo diretta che giudica i suoi cinque figli senza risparmiarsi. 

"Basilicò" è un fumetto dalle illustrazioni dettagliate e che corrispondono particolarmente ai miei gusti: volti espressivi, per niente stilizzati, e un'alternanza dei toni del bianco e nero per il presente e quelli seppia per il passato. Ripercorriamo così gli anni della gioventù di Maria, e la sua età adulta fino all’ultimo giorno, quello che il fumetto ci racconta in particolare, presentando insieme ad esso lo spaccato delle cinque vite dei suoi figli.

In "Basilicò" c’è ancora di più: ci sono le ricette che Maria realizza, ineguagliabili, grazie alla pianta che cresce rigogliosa nel suo giardino. In "Basilicò" ci sono i profumi, i sapori della cucina siciliana e c’è l’atmosfera di una storia familiare dove i segreti non mancano, dove abbondano l’insoddisfazione, il non detto, i traumi dell’infanzia che non sono mai stati risolti, e sembra che nessuno riesca a conoscersi per chi realmente è.

Ho trovato "Basilicò" un fumetto estremamente nelle mie corde, sia dal punto di vista grafico sia per la storia che racconta. Ammetto che qualche pagina in più non mi sarebbe dispiaciuta, perché il tempo per affezionarsi ai singoli personaggi è davvero poco e la curiosità nei loro confronti una volta terminata la lettura non manca. Si tratta comunque di un’opera che vi consiglio se vi piacciono le storie familiari ricche di misteri, e se siete alla ricerca di un’opera all’interno della quale sentirsi immersi nelle atmosfere della Sicilia.

lunedì 5 luglio 2021

Le vedove del giovedì

Nei confronti dei gialli e dei thriller, la mia scelta di solito è quella di reperirli al mercatino dell'usato e tenerli di scorta, per quando tra una lettura e l'altra sentirò l'esigenza di un titolo poco impegnativo. È proprio il caso di questo romanzo argentino, che avevo acquistato ormai diversi anni fa.


Titolo: Le vedove del giovedì
Autrice: Claudia Pineiro
Anno della prima edizione: 2005
Titolo originale: Las viudas de los jueves
Casa editrice: Feltrinelli
Traduttrice: Michela Finassi Parolo
Pagine: 256


LA STORIA

Ad Altos de la Cascada, comprensorio residenziale molto selettivo alla periferia di Buenos Aires, vivono ricche famiglie argentine. Sono tutte apparentemente in rapporti di amicizia, trascorrono insieme il tempo di feste, partite a golf e a tennis, film al cinema, mentre fuori dalle recinzioni perimetrali le crisi economiche del Paese mietono vittime. Tuttavia non tutto è perfetto come appare, numerosi sono i segreti sotto la superficie, e disoccupazione e debiti non vengono fermati all'ingresso dai guardiani...

COSA NE PENSO

Il delitto compare presto, nel romanzo di Claudia Pineiro: sono tre corpi di uomini, in apparenza rispettabili mariti, sul fondo della piscina nella villa di uno di loro. Questa scena ci viene mostrata dopo una ventina di pagine; ma poi scompare sullo sfondo, lasciando spazio alla ricostruzione delle vite dei residenti di Altos de la Cascada, i loro legami, i segreti che ogni famiglia cerca di nascondere sotto il tappeto. Ci sono mariti violenti, figli adottivi non amati, uomini disoccupati che non ammettono di aver perso il lavoro, e donne insoddisfatte, oppresse dalle difficoltà familiari, eppure disposte a tutto pur di mantenere la perfetta apparenza di prati curati, figli educatissimi dall'impeccabile inglese e occasioni mondane. 

Noi che veniamo a vivere ad Altos de la Cascada diciamo di farlo perché siamo in cerca del “verde”, della vita sana, dello sport, della sicurezza. Con questa scusa – la raccontiamo anche a noi stessi – alla fine non confessiamo mai perché siamo venuti qui. E con il passare del tempo non ce ne ricordiamo più.

Se avete amato la serie televisiva "Desperate Housewives", il romanzo di Claudia Pineiro fa al caso vostro: la scrittrice è anche una sceneggiatrice ed il libro è estremamente vivido, trasmette al lettore ciò che descrive come se personaggi e ambienti scorressero davanti agli occhi su uno schermo. 

I personaggi sono numerosi, e all'inizio ho sentito l'esigenza di annotarne nomi e parentele su un foglietto per orientarmi nella lettura; i miei preferiti, una volta portato a termine il romanzo, sono stati senza dubbio i membri della famiglia Guevara, composta da Virginia, Ronie e il loro figlio Juani: i due componenti maschili si riveleranno determinanti per la comprensione delle tre morti ad Altos de la Cascada, mentre Virginia è una donna intraprendente, che nonostante le difficoltà familiari non si arrende e che antepone i propri affetti alle logiche ipocrite del comprensorio. Degna di nota è anche Ramona, figlia adottiva della scostante Mariana, che avrebbe voluto adottare soltanto il suo fratellino appena nato; alla ragazza viene addirittura modificato il nome per renderlo più presentabile, cercando di rimuoverne il passato e le origini, alle quali lei resta invece estremamente legata -e trova per fortuna un sostegno in Juani, anche lui mal tollerato dai benpensanti residenti.

Sebbene ci convinciamo di essere responsabili soltanto delle nostre azioni, anche guardare è un’azione, scrissi quella sera sul mio libretto rosso. Fu un attimo, ma mi parve eterno.


"Le vedove del giovedì" è un romanzo che mi è piaciuto molto. Dell'Argentina degli anni '90 ritrae un aspetto molto particolare, quello delle crisi economiche che comportano la chiusura o alla riduzione delle filiali di numerose multinazionali e fanno perdere il lavoro anche ai membri più istruiti e qualificati della società, che si trovano improvvisamente a dover ridimensionare il proprio tenore di vita e naturalmente si rifiutano di farlo il più a lungo possibile.

Lui non poteva permettere che la sua famiglia potesse cadere, né qui né in nessun’altra parte del mondo. Non si trattava di non far vedere la propria caduta, ma di non cadere.

Ho trovato i personaggi di questo romanzo caratterizzati molto bene, il ritmo narrativo incalzante e la conclusione molto convincente -per me del tutto a sorpresa: in conclusione non posso che consigliarvelo per quando siete alla ricerca di una lettura che vi assorba completamente!