giovedì 30 agosto 2018

Appunti per un naufragio

Questo è il primo di una coppia di titoli che ho letto nel corso dell'estate e ai quali ho avuto bisogno di pensare un po' prima di scriverne. In questo caso si tratta di un romanzo, mentre il prossimo sarà un saggio che però ha in comune con il libro di oggi il tema attorno al quale ruota: quello delle migrazioni contemporanee.





Titolo: Appunti per un naufragio
Autore: Davide Enia
Anno della prima edizione: 2017
Casa editrice: Sellerio
Pagine: 216





LA STORIA


Enia, prolifico scrittore di narrativa e per il teatro, ha in mente di raccontare gli sbarchi dei migranti sull'isola di Lampedusa. Per questo vi si reca in due occasioni, entrambe raccontate all'interno di questo libro, insieme al proprio padre. 
A Lampedusa assiste alla commemorazione del 3 ottobre, incontra testimoni diretti come sommozzatori e pescatori che numerose volte hanno assistito all'arrivo di gommoni ed imbarcazioni varie, e loro malgrado anche alla morte di molti individui, al ritrovamento di decine (quando non centinaia) dei loro cadaveri inghiottiti dal mare. 
Non solo dei migranti e dei loro approdi scrive però Enia: egli infatti scava dentro se stesso, riscopre il rapporto con il padre, taciturno uomo del Sud che impara a comprendere anche attraverso i suoi silenzi. Lampedusa diviene quindi un luogo dell'anima, dove tante esistenze si incrociano, e così fanno i sentimenti.




COSA NE PENSO

Enia scrive un libro coraggioso, nel quale non ha paura di parlare della morte e di chiamarla con il proprio nome. Non scrive solo delle tante vittime dei naufragi, ma anche del lutto per un amico perduto che deve ancora elaborare, e della malattia -un linfoma- che divora dall'interno il suo amato zio. 
Dagli appunti presi per una sorta di reportage, Enia riesce a creare un romanzo potente ed intenso, spesso molto poetico, ricco di sentimenti e di umanità. L'aspetto che ho maggiormente apprezzato è la scoperta del proprio padre, così a lungo incompreso nei suoi modi da uomo del Sud che non sa esprimere a parole i propri sentimenti; suo padre che ha fatto il medico per tanti anni pur sognando di dedicarsi alla scrittura, suo padre che ama la fotografia e ha sempre desiderato avere un cane (informazione che dà il titolo ad un racconto scritto da Enia diversi anni fa,  "Mio padre non ha mai avuto un cane"). Pare un rapporto con grandi potenzialità, quello dei due uomini che sembrano conoscersi davvero in quel teatro di vite e di morti che è Lampedusa, ed è un aspetto che mi ha molto colpita.
L'unico elemento che non mi ha convinta del tutto è la lingua utilizzata dall'autore: nelle frasi infatti, scritte in un ottimo italiano, si trovano talvolta termini dialettali che sembrano quasi inseriti casualmente, soprattutto al di fuori dei dialoghi. Per quanto l'ambientazione isolana ben si presti a questo arricchimento linguistico, nella narrazione ordinata e corretta dell'autore l'ho trovato un elemento dissonante
Mi sento comunque di consigliarvi questa lettura, che riesce a raccontare grandi drammi senza scadere mai nel patetico, ad emozionare senza strappare lacrime ad ogni costo, e a far riflettere su temi trattati sempre più spesso con troppa superficialità.

lunedì 27 agosto 2018

Haytham - Crescere in Siria

Quella di oggi sarà una recensione breve, breve come il romanzo grafico di cui vi parlo. Non ho molto da scrivere in proposito, ma dal momento che non ne ho mai letto né sentito parlare sui social ho pensato che farla conoscere ad un pubblico, per quanto ridotto, fosse una buona idea.




Titolo: Haytham - Crescere in Siria
Autori: Nicolas Hénin (sceneggiatore), Kyungeun Park (disegnatore)
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: Haytham: une Jeunesse syrienne
Casa editrice: Mondadori
Traduttore: Marco Cedric Farinelli
Pagine: 80





LA STORIA

Haytham nasce in Siria nel 1996; alla morte di Hafiz Al-Assad ha quattro anni, ed assiste bambino ai primi anni della presidenza del figlio di Hafiz, Bashar Al-Assad. Haytham ama il calcio e gli scacchi; suo padre Ayman è un dissidente, leader delle manifestazioni che si diffondono nella città di Dar'a nel 2011 dopo le primavere arabe in Tunisia ed Egitto. Mentre la situazione si fa via via più pericolosa, la città viene assediata dall'esercito siriano per reprimere la rivoluzione e le sparizioni e le morti a seguito degli interrogatori si fanno sempre più frequenti. Questi sono gli anni dell'infanzia di Haytham, il cui padre riesce però ad ottenere lo status di rifugiato politico in Francia e a farsi raggiungere, un anno più tardi, dalla moglie e dai due figli.


COSA NE PENSO



Si tratta di un'opera estremamente breve, che forse avrebbe avuto bisogno di un'introduzione o di una postfazione, di qualche informazione in più su Haytham rispetto alle fotografie che aprono e concludono il volume e a alle poche frasi scritte in quarta di copertina:
Mi chiamo Haytham al-Aswad. Sono nato il 20 agosto 1996 a Dar'a, in Siria. Sono fuggito dalla guerra con la mia famiglia. La Francia ci ha offerto asilo. Questa è la mia storia.
Mi sono chiesta infatti: perché Haytham? Perché proprio la sua famiglia, tra tante famiglie siriane? Questa è una domanda destinata a rimanere senza risposta
Tuttavia la storia di Haytham, che da un'infanzia in un contesto sempre più pericoloso e meno democratico è riuscito, da adolescente, ad integrarsi in Francia e a proseguirvi gli studi, è interessante perché rappresenta un punto di vista alternativo e precedente a quelli di cui spesso sentiamo parlare. La famiglia al-Aswad rappresenta infatti le migrazioni legali, la politica dell'accoglienza, l'opportunità di stabilirsi in un altro Paese senza bisogno di rischiare la vita su un gommone, sul fondo di un camion o nel deserto; una volta passato il confine siriano infatti, dalla Giordania alla Francia, la famiglia al-Aswad ha avuto la possibilità di viaggiare in aereo, di ottenere poi l'asilo e riprendere a vivere -nonostante l'impegno nei confronti del proprio Paese non sia mai venuto meno, specialmente per Ayman.
La storia di Haytham ci ricorda, a mio parere, di quanto chi ha già sofferto nel proprio Paese d'origine dovrebbe avere la possibilità di rifugiarsi altrove senza ulteriori violenze e soprusi ai quali sopravvivere, e senza viaggi che mettano in pericolo la loro esistenza minuto dopo minuto.


Un altro aspetto che ci tengo a sottolineare è quello delle illustrazioni: le tavole in scala di grigi disegnate da Kyungeun Park sono incredibili, i volti dei personaggi estremamente espressivi, talmente realistici da essere quasi delle fotografie. Lo stesso vale per gli sfondi delle vignette, che siano esse ambientate in Siria o in Francia: rappresentano in modo dettagliato edifici, luoghi ed oggetti. Graficamente, credo che questa sia la mia opera preferita tra quelle che ho letto finora nel 2018!

giovedì 23 agosto 2018

Cara Zoe

Ho acquistato una luce da lettura. Per molti di voi, questa non sarà un'affermazione molto interessante; è tuttavia rilevante ai fini di questo blog poiché ha rivoluzionato il mio modo di leggere. Dovete sapere infatti che io amo leggere la sera, col buio attorno, e per questo motivo la gran parte delle mie letture degli ultimi anni sono state fatte su e-reader retroilluminato; grazie a questo portentoso oggettino invece sto nuovamente godendo della compagnia dei miei libri cartacei, che troppo spesso ho acquistato e lasciato ad attendere sugli scaffali della libreria. Il romanzo di cui vi parlo oggi fa parte proprio di questa categoria. 



Titolo: Cara Zoe
Autore: Philip Beard
Anno della prima edizione: 2005
Titolo originale: Dear Zoe
Casa editrice: Corbaccio
Traduttrice: Lucia Corradini Caspani
Pagine: 180



LA STORIA


Tess ha quindici anni l'11 settembre 2001, il giorno in cui sotto la sua sorveglianza perde la vita la sua sorellina Zoe, molto lontano dal dramma del World Trade Center. Diversi mesi dopo, è a Zoe che Tess scrive questa lunga lettera dove le racconta la disperazione della loro madre, la solitudine della sorellina Em, la faticosa elaborazione del lutto. Tess scrive di un'estate adolescente, del trasloco a casa del padre, del suo cane Frank, del lavoro estivo al parco divertimenti e soprattutto dell'amore per Jimmy, che la riconcilia con la vita.
Fu l'unica volta in cui fummo lì lì per litigare, e da quel momento lui sembrò guardarmi in modo differente. Più come se fossimo sullo stesso piano e io fossi qualcuno a cui lui non solo poteva raccontare, ma anche domandare. Di tutte le cose che mi piacevano di lui, credo che questa mi fece iniziare a innamorarmi di lui. 
Immagine di Pascal Campion

COSA NE PENSO


La seconda di copertina di questo libro lo consiglia agli amanti de "Il giovane Holden" e "Amabili resti". Non aspettatevi la potenza delle voci narranti di Holden Caulfield o Susie Salmon, perché rischiate di rimanere un po' delusi, ma sappiate che anche in questo caso siamo davanti ad un romanzo di formazione scorrevole e piacevole da leggere, raccontato in prima persona da una protagonista nella quale è facile identificarsi. 
Il punto di forza di "Cara Zoe" è il fatto di ruotare attorno ad un dramma, quello della morte prematura di Zoe appunto, eppure di non parlarne in realtà quasi mai. È anche un romanzo sull'undici settembre, e dell'undici settembre si parla ancor meno. L'autore evita così di cadere in una facile spettacolarizzazione del dramma, nella retorica di frasi melense, ed il romanzo nel suo insieme finisce per essere commovente in passi dai quali non ce lo si aspetterebbe
Da quando me n'ero andata di casa, quello fu l'unico momento in cui, per poco, non ci mettemmo a parlare di te. E anche se eri tu quella di cui avremmo dovuto parlare, non potevo che essere contenta del fatto che, invece, avessimo parlato di me. 

Un altro elemento davvero ben riuscito è la caratterizzazione del padre di Tess, e la costruzione del rapporto tra i due: nonostante sia un padre imperfetto, molto lontano dall'impeccabile nuovo marito della madre, invischiato in traffici loschi e talvolta nei guai con la giustizia, Nick Di Nunzio è un bravo padre. La sua casa non è in un bel quartiere, non è pulita e profumata, eppure i suoi pastori tedeschi e i suoi sforzi, al massimo delle sue possibilità, consentono a Tess di elaborare il proprio dramma e di ritrovare se stessa, le permettono di crescere
Nel complesso, nonostante qualche scivolone dell'autore che soprattutto al principio non è sempre credibile nei panni di un'adolescente (quanta importanza dà realmente una ragazza alle sue prime mestruazioni? Davvero ne parlerebbe così di frequente?), "Cara Zoe" racconta una storia triste senza diventare strappalacrime, ed è riuscito a emozionarmi con un linguaggio semplice e dei personaggi ben costruiti. 
Lo consiglierei specialmente ad un pubblico di lettori dell'età della protagonista, che di certo si immedesimeranno nelle tappe di crescita della sua estate, ma anche per i più cresciuti sarà una lettura piacevole!  

lunedì 20 agosto 2018

Luce d'estate ed è subito notte

Per quanto ami i mercatini dell'usato e le biblioteche pubbliche, soffro naturalmente anch'io dell'acquisto compulsivo di libri -ne possiedo moltissimi ancora da leggere. Le iniziative editoriali in edicola sono le più pericolose per il mio bilancio mensile, ed anche negli ultimi mesi gli acquisti dal mio edicolante di fiducia sono stati piuttosto numerosi: colpa della casa editrice Iperborea, che con Il Corriere della Sera ha messo in vendita titoli estremamente interessanti in un'edizione graficamente irresistibile -e più maneggevole del formato tradizionale. Questo titolo è solo il primo di quelli che ho acquistato… 



Titolo: Luce d'estate ed è subito notte
Autore: Jon Kalman Stefansson
Anno della prima edizione: 2005
Titolo originale: Sumarljos, og svo kemur nottin
Casa editrice: Iperborea
Traduttrice: Silvia Cosimini
Pagine: 268



LA STORIA


Quella contenuta in questo romanzo non è una storia, ma piuttosto un mosaico di storie, di esistenze: quelle degli abitanti di un paesino di quattrocento anime nelle campagne islandesi, occupati con le proprie incombenze quotidiane, il lavoro, i sentimenti, la vita familiare.
Siamo più o meno in mezzo al distretto, circondati a nord, sud ed est dalla campagna e dal mare a ovest. È bello guardare il fiordo, anche se praticamente non dà pesce e non l'ha mai dato. In primavera richiama uccelli acquatici contenti e fiduciosi, a volte si trova qualche strombo sulla spiaggia e in lontananza spuntano migliaia di isole e isolotti come una dentatura irregolare dal mare -la sera il sole vi sanguina e allora pensiamo alla morte.

C'è la bella Elisabet, da cui tutti sono attratti e di cui tutti parlano ma che per oltre sei anni ha atteso il ritorno del suo amante Mathias, Elisabet che vuole aprire un ristorante; c'è l'Astronomo, che da imprenditore al Maglificio si è dato al collezionismo e allo studio del latino e delle stelle, mandando a monte il proprio matrimonio; ci sono gli amanti clandestini, Kjartan e Kristin, e Asdis, la moglie di lui, che cova nell'ombra il suo rancore. Ci sono amori di lunga data, amori in crisi, amori che devono ancora nascere come quello tra Benedikt e Puridur -protagonisti del mio capitolo preferito, l'ultimo.
L'intento del narratore, con tono indulgente ed ironico, è quello di raccontarci le loro vite come tessere di un puzzle, che solo unite l'una all'altra danno senso ad una comunità: fino al farcene sentire parte in prima persona.
Racconteremo di eventi quotidiani, ma anche di certi che superano la nostra comprensione, probabilmente perché non hanno nessuna spiegazione, gli individui spariscono, i sogni ti cambiano la vita, persone di quasi duecento anni fa sembrano farsi sentire invece di rimanersene mute e tranquille al loro posto. E naturalmente desideriamo raccontarti della notte che incombe su di noi e che trae la propria forza dalle profondità dell'universo, dal canto degli uccelli e dall'attimo estremo, saranno sicuramente tante storie, partiremo dal paese e finiremo sull'aia di una campagna del nord, ma adesso cominciamo, ecco, la felicità e la solitudine, la dignità e l'incoerenza, la vita e i sogni -sì, i sogni. 

COSA NE PENSO


Quello in edicola non è stato un acquisto impulsivo: avevo infatti già letto, diversi anni fa, "Paradiso e Inferno" dello stesso Stefansson. Lo avevo trovato un romanzo molto poetico e toccante, che mi piacerebbe rileggere in futuro insieme ai due volumi che, ho scoperto, compongono con esso una sorta di trilogia.
Devo ammettere che avevo aspettative molto alte nei confronti di questo romanzo, precedente, che non è riuscito a soddisfarle pienamente. Nonostante l'indubbio talento dell'autore nella costruzione dei personaggi, nella descrizione delle debolezze umane, dei piccoli vizi di ognuno, non sono stata in questo caso sempre coinvolta da una narrazione che ogni tanto mi ha causato qualche calo di attenzione. La sua struttura è infatti suddivisa in capitoli praticamente autonomi e ricorda una raccolta di racconti, collegati dall'appartenenza alla stessa comunità; come in una raccolta di racconti alcuni capitoli  sono più appassionanti di altri
Matthias guardò Elisabet, sembrava perplesso, lanciò un'occhiata al bancone, dove si vedevano due teste, quattro occhi in tutto, si passò rapidamente la mano sui baffi, deglutì, come a catturare il respiro al volo, poi disse svelto e sottovoce: Lo sai vero che me ne sono andato soprattutto per causa tua? Elisabet non rispose, non fece che guardarlo con quei suoi occhi. Lui si girò di nuovo verso il bancone, forse volevo trovare qualcosa che fosse più grande di te, immaginavo che poi sarebbe stato più facile tornare, da te voglio dire. E? E cosa? L'hai trovato? No. Eppure sei tornato lo stesso. 

Si tratta di un romanzo che comunque mi sentirei di consigliarvi, perché è ricca di descrizioni suggestive, pervasa da una vena di ironia che riesce a strappare diversi sorrisi, e vi sono anche numerosi passi del libro che ho sottolineato perché mi hanno colpita.
Ne suggerirei tuttavia la lettura in particolare a lettori motivati, magari ai più amanti della produzione di Stefansson che vogliono goderne integralmente, e agli appassionati di letteratura nordica che di certo rimarranno affascinati dall'atmosfera islandese. Non lo definirei un romanzo che tiene col fiato sospeso, bensì una lettura dal ritmo lento, rilassante: un genere di libri che ogni tanto è proprio quello che ci vuole. 

giovedì 16 agosto 2018

Il mio Salinger

"Il giovane Holden" lo abbiamo letto in molti, soprattutto da adolescenti. La mia professoressa di Italiano me lo consigliò quando avevo tredici anni -che forse segnano proprio l'inizio dell'età più adatta per incontrare Holden Caulfield, per comprendere quella sua rabbia ostinata, quella ribellione a tutti i costi. Andavo in giro con la mia copia ovunque, ed ancora oggi è uno dei libri a cui sono più affezionata, macchiato com'è di erba e di caffè a ricordarmi l'inizio della mia adolescenza.
Da allora, confesso di non aver approfondito la produzione di Salinger, avendo lasciato a sedimentare nel mio cuore il ricordo tenero ed intenso di quella lettura. È bastata però la copertina di questo romanzo grafico per risvegliare l'interesse per l'autore americano, e la sua lettura per intensificarlo ulteriormente.





Titolo: Il mio Salinger
Autrici: Valentina Grande e Eva Rossetti
Anno della prima edizione: 2017
Casa editrice: Beccogiallo
Pagine: 143





LA STORIA


Jerome David Salinger nacque negli Stati Uniti nel 1919. Dopo variegate esperienze lavorative, fu arruolato nel controspionaggio nel corso della Seconda Guerra Mondiale per via della sua conoscenza del francese e del tedesco. Si occupò in particolare di interrogare i prigionieri di guerra (e visse l'esperienza di osservare in un campo di concentramento, che lo segnò profondamente); si trasferì per un periodo in Germania dedicandosi alla denazificazione del Paese, e qui incontrò in circostanze poco chiare Sylvia Welter, un medico tedesco dal passato oscuro.
Da questo episodio prende il via questa biografia romanzata, che ripercorre le tappe di una storia d'amore e di un matrimonio durato assai poco, nel corso del quale J. D. Salinger si dedicava alla stesura del proprio capolavoro, "Il giovane Holden". 


COSA NE PENSO


"Il mio Salinger" racconta l'inizio e la fine di un amore; racconta una donna che non ha mai dimenticato il suo primo marito (Sylvia scrisse infatti a J.D. dopo molti anni dal loro divorzio, egli tuttavia strappò la lettera senza mai leggerla), e di un uomo inquieto, tormentato, accompagnato dal suo personaggio Holden Caulfield che prende forma nel romanzo con cui otterrà la fama. 
C'è spazio anche per i racconti, ad esempio per "Un giorno ideale per i pescibanana" pubblicato sul New Yorker, così come per le citazioni di Rilke e della Dickinson. Ne "Il mio Salinger" c'è Vienna con la sua ruota panoramica, c'è Ellis Island che accoglie chi sbarca a New York, c'è Central Park con la sua giostra; ci sono spiagge e stazioni, appartamenti e musei, ognuno di essi reso graficamente in modo impeccabile, in tinte che ricordano acquerelli, in tavole colme di poesia. 


Questa graphic novel è anche arricchita da due brevi scritti dell'autrice Valentina Grande, davvero utili nella comprensione dell'opera: nel primo, "Sylvia e Salinger: una biografia romanzata" sono descritti gli eventi da cui il fumetto ha preso vita, mentre nel secondo, "The last and best of Peter Pans" (il titolo di un racconto che Salinger ha vietato di pubblicare fino al 2051... e spero di avere l'opportunità di leggere allora!) ricostruisce la trama e la storia editoriale de "Il giovane Holden". Infine vi è una cronistoria essenziale che ripercorre la vita di Salinger, dalla nascita alla morte avvenuta meno di una decina di anni fa.
Credo che "Il mio Salinger" sia una delle opere illustrate che più mi abbiano colpita in questi mesi, e credo che potrà fare questo effetto a tutti coloro che da adolescenti hanno amato molto Holden Caulfield, ma l'hanno perso di vista da un po'. In questa categoria di lettori infatti si risveglierà di certo un ricordo indelebile e con esso, da lettori più maturi quali siamo oggi, un prepotente desiderio di approfondire la produzione di Salinger cogliendo questo spunto. Per quanto riguarda coloro che invece di Salinger non hanno ancora letto nulla, sono sicura che  dopo aver terminato questa lettura correranno a procurarsi perlomeno una copia "Il giovane Holden"!

lunedì 13 agosto 2018

Un buon presagio

Di Gillian Flynn ho letto, in tempi recenti, il suo romanzo d'esordio "Sulla pelle" di cui ho scritto qui. Nonostante della sua produzione mi attirasse (e tutt'ora continui ad attirarmi) in modo particolare "L'amore bugiardo", da cui è stato tratto l'omonimo e riuscitissimo film, mi sono lasciata tentare da questo librino nell'espositore della biblioteca e gli ho dato la precedenza.




Titolo: Un buon presagio
Autrice: Gillian Flynn
Anno della prima edizione: 2014
Titolo originale: The Grownup
Casa editrice: Rizzoli
Traduttore: Alberto Cristofori
Pagine: 64




LA STORIA

Una protagonista senza nome, tra i venti e i trent'anni, racconta in prima persona di come da massaggiatrice erotica (o per meglio dire masturbatrice a pagamento) si è reinventata come sensitiva a causa del tunnel carpale. Tra la sua nuova clientela si presenta Susan: moglie benestante di un marito assente, terrorizzata dalla casa sinistra dove vivono che è stata in passato teatro di tragici avvenimenti e dal suo inquietante figliastro Miles. Susan chiede dunque alla sensitiva di aiutarla a purificare la casa, ma la situazione sfuggirà ben presto di mano… 
Non è perché non ero brava che ho smesso di fare le seghe. Ho smesso di farle perché ero la migliore. 


COSA NE PENSO

Non posso svelarvi più di quanto abbia già fatto raccontandovi la trama in qualche riga: "Un buon presagio" è infatti un racconto lungo, non un romanzo, in sostanza un'idea (brillante) sviluppata per poche pagine -anche se probabilmente la materia per un libro più lungo si sarebbe trovata facilmente.
Ho ritrovato in questa storia dei tratti di Gillian Flynn che mi avevano colpita già in "Sulla pelle": lì la protagonista, autolesionista e traumatizzata dalle vicende familiari tutt'altro che semplici, si trovava in qualità di giornalista ad investigare sugli omicidi di due bambine. Anche qui la protagonista è un personaggio femminile, la cui infanzia è stata segnata da una madre che l'ha costretta all'accattonaggio, e che si trova in un nuovo ruolo all'improvviso -dal settore della prostituzione a quello della truffa come presunta sensitiva. Ama i libri, le storie di fantasmi, si definisce un'autodidatta per quanto riguarda la cultura e un'esperta di scambi per quanto riguarda le sue attività lavorative. 
Mia madre era astuta, ma pigra. Io ero molto più ambiziosa. Resistente e per niente orgogliosa. A tredici anni guadagnavo più di lei, centinaia di dollari al giorno, e a sedici avevo mollato lei, le macchie e la tv -e anche la scuola- e mi ero messa in proprio. Uscivo tutte le mattine e chiedevo la carità per sei ore. Sapevo chi avvicinare e per quanto tempo e cosa dire esattamente. Non mi sono mai vergognata. Si trattava di uno scambio: io facevo sentire bene qualcuno e lui mi dava dei soldi. Capite adesso perché la storia delle seghe mi è sembrata uno sviluppo naturale della mia carriera. 
Anche in questo racconto, che ha un incipit folgorante e tutt'altro che di basso profilo -ci tiene, l'autrice, a presentarci subito la protagonista come un personaggio forte, sicuro di sé, non impressionabile- il grande talento di Gillian Flynn sta nell'effetto sorpresa: le carte in tavola vengono ribaltate diverse volte nel giro di pochissime pagine, lasciando spiazzati ed incerti su cosa si sia appena terminato di leggere.
Ma o ero fottuta, o non lo ero, per cui decisi di credere che non lo ero. Avevo convinto tanta gente di tante cose, in vita mia, ma questa sarebbe stata la mia più grande impresa: convincere me stessa che stavo facendo una cosa ragionevole. Non rispettabile, ma ragionevole. 
Un racconto difficilmente soddisfa quanto un romanzo; anche in questo caso infatti avrei di certo apprezzato qualche particolare in più, ma riconosco che l'opera sia riuscita e particolarmente ad effetto proprio per la sua brevità e le sue questioni in sospeso. Ne consiglio insomma la lettura a chi abbia già apprezzato altrove Gillian Flynn e voglia conoscerne ogni pubblicazione, così come agli amanti dei racconti lunghi, capaci di raccontare una storia che si può leggere in pochissimo tempo, ma non per questo è priva di contenuto.

giovedì 9 agosto 2018

Da dove viene il vento

Raramente leggo romanzi incentrati su storie d'amore, ma non si tratta di una scelta fatta di proposito: diciamo che mi capitano sottomano meno spesso di altre letture, che meno spesso attirano la mia attenzione. Anche in questo caso non è la relazione amorosa al centro di questo romanzo quella che mi ha spinta a prenderlo in prestito, bensì l'elemento della migrazione che, come ormai avrete capito, è uno di quelli che più mi stanno a cuore.
Clandestino. Penso a qualcuno che si aggira in un paese che non è suo. A un amore che deve rimanere nascosto.



Titolo: Da dove viene il vento
Autrice: Mariolina Venezia
Anno della prima edizione: 2011
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 242





LA STORIA

Tre sono i personaggi principali di questo libro: Idris, Dora e Salvatore. Le loro storie si snodano tra Roma, Padova, il deserto nordafricano, la Sicilia, il Mediterraneo. L'Italia è prepotente in questo romanzo, molto spesso non amata, respingente
Idris è un Amazigh, un uomo libero; non ama essere definito berbero, ma è così che lo chiameremmo. Parte dal proprio villaggio ed affronta il viaggio della speranza su un barcone, che tuttavia finisce per affondare; unico superstite sulle coste della Sicilia, raccoglierà pomodori nelle campagne pugliesi, sfruttato come uno schiavo.
Dora e Salvatore invece sono stati insieme a lungo, in gioventù, per poi incontrarsi di nuovo: lei insegna all'università, scrive di miti ed etimologie, vive in funzione delle sporadiche visite del suo antico amore; lui è un ex cocainomane che gioca in borsa, che riempie il proprio matrimonio di segreti, che non sa fare i conti con la realtà.
Le storie di Dora, Salvatore e di Idris sono destinate ad incontrarsi, ma soltanto sul finale, dove un colpo di scena non del tutto inaspettato aprirà le loro vicende a molteplici possibilità future.


COSA NE PENSO

Non solo Dora, Salvatore e Idris popolano questo libro. Altre voci minori trovano infatti spazio su queste pagine: un ammiraglio su una nave alla deriva, un astronauta che attende in orbita perché il suo Stato, l'Unione Sovietica, si è sciolto mentre era in missione (ispirato alla figura di Sergei Krikalev). Come loro, sospesi, in bilico, sono i tre protagonisti.
Il narratore racconta talvolta in terza persona, talvolta invece è un narratore interno, in prima, che ci fa entrare ancor più in profondità nelle storie. 
Un'ulteriore alternanza è di tempo: passiamo dai primi anni Novanta, a ricordi del Quattrocento, al crollo delle Torri Gemelle e al giorno d'oggi. Questo in un primo momento disorienta il lettore, che dopo qualche pagina però si abitua e si lascia coinvolgere.
Nella sua storia mi rifugio e mi perdo. È la mia malattia e la mia cura.

Un grande pregio di questo romanzo infatti è il suo ritmo incalzante: composto da paragrafi brevi, talvolta di una sola riga, al massimo da capitoli di poche pagine, le voci e i personaggi ci catturano, ci trascinano. L'autrice (vincitrice del premio Campiello con il suo romanzo d'esordio, "Mille anni che sto qui") è senz'altro capace di mescolare i registri e gli elementi fondendoli in un insieme riuscito e convincente. Vi sono infatti pagine con riferimenti alla mitologia, all'etimologia delle parole, a concetti filosofici e scientifici, addirittura al mondo delle fiabe: è infatti da una fiaba che Idir ascoltava da bambino a dare il titolo al testo (la fiaba esiste davvero, ed è anche acquistabile in lingua francese).
L’economia dei fatti vuole che passi alla storia chi intraprende una sfida e la vince, chi scopre un nuovo continente, sbarca sulla luna, scala una vetta o capisce come funziona l’atomo, così si è portati a credere che il punto sia quello, provare, e riuscirci, che il piccolo passo di un uomo sia un grande passo per l’umanità, ma io vorrei parlare di chi perde la strada, di chi fa la scommessa sbagliata e se ne pente per il resto della sua vita, o di chi inciampa un’altra volta sugli stessi passi. Di me. E anche di te, forse.
Si tratta di un libro che in un momento diverso della mia vita avrei compreso meglio, o forse soltanto sentito più mio: in un periodo della vita in cui gli abbandoni e i ritorni erano all'ordine del giorno, in cui sentirmi più vicina a Dora ed entrare in sintonia con lei. Mi ha suscitato molti ricordi, questo libro, ma ora l'ho sentito come la storia di altri, come un modo diverso dal mio di vivere l'amore. 
Consiglio questa lettura a chi non cerca un romanzo pieno d'azione o di avventura, ma di sentimenti; lo consiglio in particolare a chi ha il cuore spezzato, a chi soffre per amore, a chi attende ogni giorno una telefonata o un messaggio che non si decidono ad arrivare: credo che lo troverete liberatorio.

lunedì 6 agosto 2018

Te la sei cercata

Di Louise O'Neill avevo già letto, lo scorso anno, "Solo per sempre tua": ne avevo parlato qui. All'epoca non avevo ancora scoperto "Il racconto dell'ancella", lettura che ho fatto successivamente (qui trovate la recensione) e che mi ha fatto poi riconsiderare l'opera della O'Neill, non poco ispirata alla distopia di cui è protagonista difred; il libro della autrice irlandese mi aveva profondamente colpita e per questo mi ero procurata in lingua originale "Asking for it", che è stato solo di recente pubblicato in Italia. 
Farò riferimento all'edizione italiana per quanto riguarda informazioni sul libro e citazioni, nonostante quella in mio possesso sia in inglese.



Titolo: Te la sei cercata
Autrice: Louise O'Neill
Anno della prima edizione: 2015
Titolo originale: Asking for It
Casa editrice: Il Castoro
Traduttrice: Anna Carbone
Pagine: 273



LA STORIA

Emma O' Donovan è da poco maggiorenne, frequenta la scuola superiore a Ballinatoom, cittadina della cattolicissima Irlanda dove la domenica si va a messa e l'aborto è vietato
Emma è intelligente, sarcastica, spesso una pessima amica, ma soprattutto è attraente: grazie al proprio aspetto fisico è invidiata e venerata dalle coetanee e circondata da ragazzi interessati a lei, o per meglio dire al suo corpo. Convinta di essere lei a condurre il gioco, di essere lei ad usare gli altri, finisce molto spesso per farsi usare dai maschi che le stanno attorno; della gravità della situazione se ne renderà conto all'improvviso, dopo una festa in cui dopo aver assunto droghe perde i sensi e subisce una violenza di gruppo, immortalata grazie ai telefoni cellulari e attraverso essi resa di dominio pubblico sui social network. Da allora, Emma O' Donovan non è più la Emma O' Donovan che credeva di essere: non più al centro dell'attenzione, non più adorata e corteggiata, ma emarginata e derisa, accusata di aver rovinato la vita dei maschi coinvolti con una denuncia che nessuno pare prendere sul serio, ma che rimbalza dalle testate giornalistiche ai siti web.
Ero piena zeppa di spazzatura, di merda, di roba che non serve più a niente, che nessuno vuole o che non vorrà mai più. Ero sporca. (Dovrebbero buttarmi via.) E mentre ascoltavo era come se mi sentissi spezzare in due, io e lei, e adesso era lei che era Emma, Emma O’Donovan. Io ero la Ragazza di Ballinatoom.


COSA NE PENSO

Louise O'Neill è senza dubbio molto capace nel narrare i personaggi femminili: sia freida, protagonista di "Solo per sempre tua", sia Emma O'Donovan sono ragazze convincenti e caratterizzate piuttosto bene. Entrambe sono circondate da altre giovani donne, in un ruolo meno di primo piano, e da maschi che non si possono certo definire memorabili: gli Eredi in "Solo per sempre tua" sono irrispettosi e prevaricatori quanto i ragazzi che abusano di Emma per poi postare online le foto della violenza perpetrata.
I parallelismi però si fermano qui: mentre infatti era immediato empatizzare con freida e la condizione femminile in quel mondo distopico, è molto difficile provare la stessa empatia per Emma, che non si trattiene mai dal dire cattiverie a quelle che dovrebbero essere sue amiche, né dal sedurne i fidanzati solo per mettere alla prova il proprio potere.
Mi chino in avanti per togliere un pelucco dalla spalla di Eli ignorando l’occhiata torva che mi lancia Maggie. Non farei mai niente con Eli, ovvio che no, è il ragazzo della mia migliore amica, però è sempre bello verificare se potrei farlo.
È innegabile che sia più facile accusare Emma piuttosto che comprenderla; inutile cercare di convincere qualcuno che non si sia già tutti, chi più chi meno, imbottiti della retorica della colpa, della minigonna troppo corta, dell'aver esagerato con gli alcolici, dell'essersi messe consapevolmente in una situazione di pericolo. A quale ragazzo (maschio) viene infatti contestato l'abbigliamento un attimo prima che esca di casa? Quale viene accusato di eccedere nei rapporti con le ragazze? Piuttosto lo si ritiene un seduttore, ed i suoi pari proveranno invidia nei suoi confronti; l'equivalente femminile invece scoprirà scritte nei bagni della scuola, voci di corridoio che ne insultano la moralità, segreti da nascondere ai propri genitori -che, come nel caso degli O'Donovan, sarebbero delusi e profondamente segnati davanti ad un lato delle proprie figlie che preferiscono fingere di non vedere. 
«Sei in ritardo per la scuola.» Mia madre si stringe la vestaglia attorno al corpo, le strisce bianche ingiallite, sul bavero una macchia di tè. «Non ci vado.» «Ieri sera mi hai promesso che oggi ci saresti andata, Emma. Dai, ormai manca solo un mese agli esami.» «Forse domani.» È un gioco che facciamo. Io fingo che potrei tornare a scuola. Lei finge di credermi. Tutte e due fingiamo che a giugno affronterò gli esami. Siamo diventate brave a fingere.
Questo romanzo di Louise O'Neill è coraggioso: nonostante sia pensato per un pubblico di lettori molto giovani, non fa sconti nella forma e nella sostanza. Il linguaggio è estremamente esplicito, non ci resta alcun dubbio su quanto capitato ad Emma -nonostante nella sua memoria non ve ne sia traccia, le foto sono più che sufficienti a ricostruire la nottata e le umiliazioni subite, e l'autrice le descrive nel dettaglio
Nonostante questo elemento molto d'impatto, o forse anche proprio per questo, consiglierei "Te la sei cercata" innanzitutto ad un pubblico di lettori giovani, ma non soltanto. La retorica dello slut shaming, del victim blaming (ovvero dell'umiliare chi si ritiene una ragazza "facile", di incolpare la vittima, perché appunto si sarebbe andata a cercare e dunque meritata quanto le è capitato) è sin troppo diffusa tra i giovanissimi, ed il fenomeno delle foto in rete è tutt'altro che raro; comprendere questo è dunque di estrema importanza anche per chi con i giovani lavora a stretto contatto, e se un libro può essere non un semplice intrattenimento, bensì un mezzo di informazione che attira l'attenzione e sensibilizza su un problema attuale, ritengo che questo sia un merito. Come scrive la stessa autrice nella postfazione alla storia di Emma, infatti,
Dobbiamo parlare dello stupro. Dobbiamo parlare del consenso. Dobbiamo parlare del senso di colpa che imputiamo alle vittime e dello slut-shaming e dei doppi standard che applichiamo a ragazzi e ragazze. Dobbiamo parlarne e parlarne e ancora parlarne finché tutte le Emma di questo mondo si sentiranno sostenute e comprese. Finché si sentiranno credute.

giovedì 2 agosto 2018

L'estate del cane bambino

Ne avevo sentito parlare qualche volta online e mi aveva incuriosito: ecco perché in biblioteca sono andata alla ricerca di questo titolo, spinta anche dal titolo che me lo faceva immaginare come una lettura adatta a questa stagione. Si è rivelata una lettura molto diversa da quanto mi aspettavo dal suo folgorante incipit, ma non per questo me ne sono pentita.
Menego aveva quattordici anni, io, Michele e Ercole dodici, Stalino quasi, e il cane nero chissà. Era l’estate del 1961. Il nostro mondo di allora era fatto di morti che resuscitavano per uccidere pescatori ingrati, di velieri portatori di peste, topi e vampiri, di nuvole combattenti e cavalieri inesistenti. Era un tempo in cui le leggende erano vere, e se qualcuno ci avesse detto che non era possibile che un bambino si trasformasse in cane, ci saremmo stretti nelle spalle, infischiandocene. 



Titolo: L'estate del cane bambino
Autori: Mario Pistacchio e Laura Toffanello
Anno della prima edizione: 2014
Casa editrice: 66thand2nd
Pagine: 224





LA STORIA

Estate 1961, Brondolo, un paesino poco lontano da Chioggia. Vittorio ed i suoi amici hanno frequentato l'avviamento e trascorrono i mesi caldi ad aiutare i propri padri al lavoro la mattina, chi nell'agricoltura chi nella pesca, ed i pomeriggi in interminabili partite di calcio e battaglie di figurine nel loro luogo di ritrovo segreto, che chiamano la Base. Con il gruppo spesso si fa vedere Narciso, fratello minore di uno di loro, Ercole; un giorno però Narciso si allontana e da allora sparisce nel nulla, inutili gli interminabili giorni di ricerche. Nello stesso giorno compare un cane, da qui il titolo, ed i ragazzini nella loro ingenuità arrivano a convincersi che Houdini (questo il nome che danno al cane) sia solo la forma nella quale Narciso si è trasformato. Quell'ingenuità però non durerà a lungo: l'estate del 1961 infatti segnerà per i protagonisti la perdita dell'innocenza.
Cinquanta anni dopo, Vittorio riceve un disegno che gli ricorda quell'estate, e ritorna al paese. Da cinquanta anni non parla con i suoi amici d'infanzia, a causa delle vicende dell'epoca, e diverse sono le questioni rimaste in sospeso che ha intenzione di chiudere; prima tra tutti, proprio la verità sulla scomparsa di Narciso.

Album figurine Panini 1961

COSA NE PENSO

Credevo che questo libro sarebbe stata una lettura veloce, poco impegnativa, un noir perfetto per l'estate. In realtà le mie aspettative sono state del tutto disattese da un romanzo tutt'altro che leggero, tutt'altro che limitato ad un cold case rimasto irrisolto: mi sono addirittura commossa sulle pagine di questo romanzo, che mi ha richiesto una certa resistenza. Come infatti vi accennavo già nella recensione di "Salvare le ossa", le crudeltà sugli animali sono un argomento che cerco di evitare nel corso delle mie letture, perché mettono eccessivamente a dura prova la mia sensibilità; anche in questo romanzo dunque ho incontrato qualche difficoltà nel procedere, ed alcune pagine mi hanno davvero turbata: senza rovinarvi la lettura e svelarvi troppo, mi pare comunque giusto avvertirvi.
Gli autori sono bravissimi nel ricreare le atmosfere dei primi anni Sessanta nel Nord Italia: tra i personaggi ci sono quelli ancora molto legati al Fascismo, i reduci della lotta partigiana, gli stalinisti entusiasti, gli ebrei guardati con sospetto; l'aborto è illegale e praticato in clandestinità, ed è facile che le persone con disturbi psichiatrici siano ritenuti indemoniati e perciò sottoposti ad esorcismo, oppure rinchiusi in istituti dove le terapie somigliano spesso alle torture.
Anche se solo per pochi mesi, Stalino era il più piccolo o, come puntualizzava lui quando glielo facevamo pesare, il più giovane tra noi. Suo padre, dopo Primo, Secondo, Terzo e Quarta, tutti nati sotto Mussolini e chiamati così in ordine d’arrivo per non subire l’affronto di trovarsi un Benito in casa, avrebbe voluto chiamarlo direttamente Stalin, ma all’anagrafe si erano rifiutati.
I protagonisti nel 1961 sono preadolescenti molto credibili; la narrazione è filtrata attraverso l'esperienza di Vittorio, narratore in prima persona anche cinquanta anni più tardi: Vittorio ragazzo legge Il conte di Montecristo, è complice del nonno ex partigiano al quale permette di fumare di nascosto nonostante i suoi problemi ai polmoni, ed è legatissimo ad Ercole, il suo migliore amico, alla sorte del quale non saprà reagire se non una volta diventato adulto. 
Raggiunsi il punto in cui anche il barone Danglars cadeva nella rete di Dantès. Non mancava molto all’epilogo, ma la voglia di leggere mi era passata.
“Lo finiamo un’altra volta” dissi chiudendo il libro.
“Non so se riuscirò a resistere,” fece il nonno “la curiosità potrebbe uccidermi. Finché non sai come vanno a finire, il senso delle storie non si capisce.”
Altrettanto convincenti sono i compagni di avventure di Vittorio: Stalino e Menego, Michele e, appunto, Ercole. Appassionati di calcio, di fumetti, fumano sigarette di nascosto e danno un senso all'estate solo insieme, almeno finché il mondo degli adulti farà brutalmente irruzione e nulla sarà più come prima, mettendo fine all'epoca dell'infanzia.
Il romanzo di questa coppia di autori è nero, cupo, lo definirei addirittura crudele; i protagonisti devono dare un nome al diavolo, quel diavolo di cui Ercole parlava solo tra le righe, di cui tutto il paese non sa niente o fa finta di non sapere, compreso il prete. È un romanzo potente e doloroso, che mi ha disturbata e coinvolta, che mi ha scossa trattando temi assai delicati; pur trattando della perdita dell'innocenza, riesce a lasciare un senso di purezza che aleggia attorno ai suoi personaggi, specialmente sul finale. Ve lo consiglio perché senza dubbio è uno dei noir più ad effetto che abbia letto negli ultimi tempi, tanto più che si tratta di un romanzo d'esordio; vi avverto però di armarvi di uno stomaco piuttosto forte e, altrimenti, di una buona scorta di fazzolettini, perché non si tratta di un libro che vi lascerà indifferenti.