giovedì 18 maggio 2023

L'estate in cui imparammo a volare

 Questo è il post più personale che abbia mai scritto per questo lato virtuale della mia vita: lo scrivo dopo aver letto "L'estate che imparammo a volare" di Kristin Hannah, pubblicato da Mondadori, a proposito del quale il mio giudizio non potrà essere oggettivo.


Un anno e mezzo fa, ho perso la mia migliore amica. Con lei ero cresciuta, dai miei tredici anni; a lei devo la persona che sono, perché l'adolescente arrabbiata e spesso crudele che ero è stata trasformata dal suo amore, perché per vent'anni ha guardato ogni mio errore o difetto come se non fossero tali, è stata la mia più grande sostenitrice, la mia alleata in tutto, il mio punto di riferimento.

Kate e Tully si incontrano all'età che avevamo noi, crescono insieme, pur essendo radicalmente diverse, come anche noi eravamo. Tully diventa una famosa conduttrice televisiva, Kate una mamma, una moglie, una casalinga; le loro vite sono estremamente diverse, ma sono Kate&Tully, per sempre, finché una malattia non si intromette.

"L'estate in cui imparammo a volare" non è un romanzo scritto in modo particolarmente ricercato, non è una storia che lascia senza fiato per la sorpresa. Racconta diffusamente la carriera di Tully nel giornalismo, i contrasti di Kate con la sua figlia adolescente Marah, l'immotivata gelosia nei confronti di suo marito Johnny. Eppure ne avevo bisogno, perché non ho avuto un lieto fine, perché nei romanzi fin troppo spesso qualche inspiegabile coincidenza cambia le carte in tavola, oppure quando qualcuno se ne va sembra solo funzionale alla trama. 

Qui c'è un'amicizia profonda, una di quelle che ti salvano quando sei appena ragazzina e ti permettono di affrontare la vita sapendo che la tua migliore amica ti guarderà le spalle: un'amicizia come quella che ho avuto io, e senza la quale, come una delle due protagoniste di questa storia, devo imparare a sopravvivere. Sto ancora cercando di capire come sarà possibile, e come sempre, le storie sono il mio rifugio, sono quello che mi salva ora che non ho più lei.

Speciale Violante

Il progetto Bianca Pitzorno continua con "Speciale Violante", pubblicato nel 1989, che ho letto in questa bellissima edizione Mondadori.


Vi è evidente l’esperienza televisiva della scrittrice, centrale per la trama: è infatti la telenovela "L'orfana di Merignac" quella di cui è protagonista la Violante del titolo, interpretata da Scintilla Luz, una ragazzina a dir poco saccente e insopportabile. 

Hanno a che fare con lei tre coetanee, Barbara, Vittoria e Valentina. La prima è la vera protagonista di questo romanzo: trascorre in montagna le vacanze con le amiche, e assiste alle riprese della telenovela in questione, che movimenta il loro periodo estivo. 

Questo è un libro che mi ha ricordato le vacanze di quando ero ragazzina, quella sfilza interminabile di giorni vuoti da riempire il più possibile con passatempi, letture e amicizie. Le tre adolescenti protagoniste sono costruite in modo estremamente realistico, tra le loro insicurezze, i primi innamoramenti, i corpi che cambiano, le famiglie ingombranti, la scoperta delle vite private degli adulti che le circondano, mentre piuttosto piatta rimane in effetti la loro antagonista, che entra in scena senza mettersi mai davvero in comunicazione con loro. 

Rispetto a diversi titoli di cui vi ho già parlato, come "La bambola dell’alchimista" o "La casa sull’albero", il target di "Speciale Violante" è un po’ più maturo: parliamo di lettori dalla preadolescenza in su. Non sono numerosi gli episodi divertenti, ma piuttosto è approfondita la caratterizzazione psicologica delle protagoniste e il racconto della loro estate di formazione, che passa anche per il set televisivo. 

Mi è piaciuto molto e lo ritengo perfetto come lettura dei mesi estivi, sia per gli adulti che vogliono ripensare a quel periodo della propria vita che all’epoca sembrava così complicato e oggi ci fa sorridere teneramente, sia per coetanee e coetanei delle protagoniste, che di certo sapranno immedesimarsi in loro!

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L'ottava vita

Si conquista, a metà dell'anno quasi, il titolo del preferito per il momento "L'ottava vita" di Nino Haratischwili, pubblicato da Marsilio. 


L'autrice scrive oltre mille pagine di storia familiare, storia della Georgia e dell'Unione Sovietica; con l'aroma della cioccolata, preparata secondo la ricetta del patriarca che sembra recare con sé una maledizione, ci immerge nelle generazioni della famiglia Jashi e non ci lascia scampo.

Le figlie del fabbricante di cioccolata, per prime, Stasia che sogna di danzare; poi i suoi figli, Kostja che sarà integerrimo nella sua ideologia, che lo rende cieco, capace di rovinare la vita di tutti coloro che sfuggono al suo ordine del regime -più di tutto, non gli ho perdonato l'annullamento dei piani di Giorgi, per raggiungere Kitty all'Ovest. Kostja, reso umano soltanto dall'amore per Ida, in quella scena straziante dove bussa alla porta per giorni mentre lei resiste, senza rivelargli di esserci per renderlo libero. 

E Kitty, la sua sorella ribelle, la sua sorella cantante, la sua sorella torturata e resa sterile, che perde l'amore di Andro, che non saprà mai perdonarsi il prezzo pagato da lui e da Mariam per quelle vite mai vissute, Kitty che inghiotte il mare, mentre rimane la sua musica.

L'autrice costruisce una famiglia i cui legami non salvano, inghiottono, a volte soffocano; ma dona una dignità e uno spessore anche ai personaggi secondari che rimangono impressi: Ida che si sacrifica per gli altri, Ida generosa e pura che perde la vita a Stalingrado, per quella sua giovane omonima che non ha la vista, ma le ridà la musica, in pagine meravigliose e strazianti -Ida la giovane, che troverà Kostja, dopo lunghi anni di ricerche.

Dopo Kitty e Kostja ci sarà Elene, figlia arrabbiata, che mette al mondo Daria, Daria la bella e l'amata, Daria l'attrice, Daria l'infelice, con quell'uomo violento eroinomane, Daria la madre di Brilka, e Niza, Niza che non trova un posto, che si innamora di Miro (Miro, un'altra linea narrativa che è iniziata con Sopio, l'amica di Stasia, che ha dato alla luce Andro, ucciso dall'alcol e dalla colonia penale, che ha concepito Miqa, ucciso dal carcere per aver girato un film che nessuno ha mai visto, e poi Miro per ultimo, che cresce con la moglie di Kostja e abbandona Niza su quel treno), che scrive per Brilka questa storia immensa, mentre la nipote adolescente cerca di tessere il tappeto di quel passato ingombrante, e vuole danzare come Stasia sulla musica di Kitty Jashi.

I fili di questa storia sono tanti, ma si riallacciano. Lo fanno a partire dal libro sesto, dove viene girato un film su un film che ha ucciso, dove il sacrificio di Kitty riscatta e libera le vite sprecate di Fred e di Giorgi, dove Ida la giovane ritrova Kostja. E poi nel libro settimo, dove Niza trova la sua voce, trova il coraggio di ricominciare ad amare nonostante i lutti, nonostante lo stupro, e scopre in Brilka l'antidoto alla maledizione che segue gli Jashi dal fabbricante di cioccolata di cent'anni prima.

Ci sono tocchi di realismo magico in questo romanzo, distribuiti con parsimonia, delicati e potenti: la maledizione, certo, ma anche i fantasmi che giocano a scacchi davanti agli occhi di Stasia, nel suo giardino, e poi Andro che torna da Kitty, ai suoi concerti.

È un romanzo intriso di storia e di voci, di guerre e di dittature, di servizi segreti e di torture, di oppositori politici ridotti ai campi di lavoro, alla morte, all'espatrio. È un romanzo che non lascia speranza alla Georgia, che non crede nella politica e nel futuro, ma soprattutto di personaggi per cui ho sofferto, a cui ho voluto bene, che ho faticato a lasciare andare.

Se siete amanti delle saghe familiari, allora non potete perdervi cent'anni di storia degli Jashi, la fragilità e la forza di queste donne e uomini, i tanti segreti taciuti e le verità rivelate a poco a poco. Per me, questo romanzo è stata una rivelazione, che mi accompagnerà per molto tempo.

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mercoledì 10 maggio 2023

Nomadland

Non sono affatto abituata a leggere saggistica, e per questo la lettura di "Nomadland" di Jessica Bruder, pubblicato da edizioni Clichy, mi ha richiesto parecchio tempo. Si è rivelata però una lettura davvero interessante, spunto per molteplici riflessioni e uno sguardo raro, lontano dalle immagini mainstream, sugli Stati Uniti d'America. 


Ho acquistato questo libro dopo aver visto il film omonimo con l'eccezionale Frances McDormand, pluripremiato agli Oscar 2021. Lo avevo trovato commovente, poetico e dalla fotografia capace di incantare, con i suoi paesaggi sul deserto e sui cieli stellati. 

La poesia è molto meno presente nel reportage di Jessica Bruder, che per anni ha seguito i nuovi nomadi americani, che per necessità o per scelta risiedono all'interno di veicoli su ruote e si spostano sul territorio, da uno stato all'altro, da un lavoro temporaneo al successivo. Leggiamo una feroce critica al sistema dell'indebitamento, del pignoramento degli immobili, che rende il ceto medio obbligato a rinunciare alla più gravosa delle proprie spese per sopravvivere: quella degli affitti. 

Seguiamo cittadini in età pensionabile sfinirsi nei magazzini di Amazon (vi invito alla lettura di questo libro anche solo per riflettere sulla necessità, o meno, di buona parte dei nostri acquisti online), nei servizi di accoglienza ai campeggi, nei turni di notte pagati qualche centesimo in più. Li seguiamo infortunarsi, creare comunità in mezzo al nulla sostenendosi a vicenda con tecniche di adattamento, qualche pasto caldo, l'apprendimento della tecnologia a servizio di un nuovo, difficile stile di vita. Ne scopriamo i legami, ma anche la profonda solitudine.


Jessica Bruder ci allena ad affinare lo sguardo, a riconoscere i "senza casa" (da non confondere con i "senza tetto") nei parcheggi di ogni città; ci ricorda come anche il vivere in un veicolo sia possibile solo se bianchi, privilegiati, in qualche modo tutelati dalla minaccia delle forze dell'ordine. 

Ho trovato "Nomadland" un testo importante e stimolante, che racconta un'America sommersa, a cui raramente si dà voce; un'attualizzazione, non romanzata, del "Furore" di Steinbeck, seguendo i nuovi Joad che lottano per arrivare a domani. Ve ne consiglio la lettura, anche se a piccole dosi, perché sono sicura che saprà trasmettervi qualcosa: io ne sono uscita turbata, ma arricchita. 

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Sofie e Abou

Per la giornata mondiale del rifugiato ho scelto di parlarvi di "Sofie e Abou" di Judith Vanistendael, che è un fumetto diviso in due parti, ma pubblicato in un’unica edizione in Italia da Rizzoli Lizard nel 2009. È ambientato in Belgio ed è ispirato ad un racconto intitolato "Notizie dalla fortezza"; racconta una storia del tutto realistica, quella dell’innamoramento di due giovani: una ragazza belga e un giovane richiedente asilo togolese, che si incontrano in un centro per rifugiati  a metà degli anni 90. 


Ottenere lo status di rifugiato è tutt’altro che semplice e così Abou, il protagonista maschile, nonostante sia stato vittima di torture nel suo paese d’origine è ancora in attesa di un verdetto che potrebbe non rivelarsi positivo. 

Viene accolto dalla famiglia di Sofie, che dapprima è smarrita e fatica ad accettare la relazione della figlia. Molto interessante da questo punto di vista è il personaggio del padre, che passa da una certa ignoranza imbevuta di luoghi comuni razzisti a parteggiare per la relazione della figlia e accettarne ogni decisione: è un personaggio profondamente vero, che mette in luce come l’unica arma verso il pregiudizio sia la conoscenza diretta. 

La seconda parte della storia si svolge a dieci anni di distanza e non indora in alcun modo la pillola sulle difficoltà che una relazione per forza influenzata dai traumi del passato deve affrontare [Sofie infatti, dopo aver sposato Abou perché quello è l’unico modo per fargli ottenere un permesso di soggiorno nonostante la ragazza non si senta pronta a compiere questo passo, decide di troncare la relazione per via dei troppi fantasmi che perseguitano Abou e inevitabilmente opprimono anche lei. La ritroviamo a distanza appunto di 10 anni madre di una bambina, che rievoca il ricordo di Abou come un’ingenua e tenera parte del proprio passato].

Quella di Sofie è una storia che potrebbe benissimo accadere accanto a noi e l’autrice la disegna in uno stile che ricorda quello di Craig Thompson in Blankets, dosando i bianchi e neri in modo da rendere perfettamente le emozioni e i tormenti dei suoi personaggi, senza far mancare tuttavia un tocco di ironia e di positività ai suoi dialoghi. 

L’ho trovato un fumetto estremamente nelle mie corde! Temo che sia purtroppo finito fuori catalogo, ma se siete interessati ai temi delle migrazioni è una lettura che vi consiglio caldamente di recuperare. 

Quali letture a tema per la giornata di oggi mi consigliate?

mercoledì 3 maggio 2023

Le otto montagne

"Le otto montagne" di Paolo Cognetti, pubblicato da Einaudi e vincitore del premio Strega 2018, di recente trasposto anche in un film che ho intenzione di guardare a breve, è una storia che parla di alta quota, della vita tra i pascoli, le rocce, i torrenti, gli alpeggi, le pietraie e le cime coperte di neve.


Titolo: Le otto montagne
Autore: Paolo Cognetti
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 200

Graines è la montagna al centro di questa storia: un paesino di poche anime dove il protagonista Pietro incontra Bruno, un suo coetaneo che dalla montagna non scende mai, nemmeno di inverno, che è un montanaro da generazioni e che non si è adattato alla città come hanno fatto invece i genitori di Pietro, sebbene sia stata la montagna a far sbocciare il loro amore -la montagna, e la tragedia che ha saputo portare con sé.

Aleggia questa sorta di predestinazione oscura sull’amicizia tra i due protagonisti, che condividono le estati e un profondo affetto anche se Pietro è un tipico adolescente che si ribella ai genitori mentre Bruno tutt’altro che amato e considerato si avvicina al padre dell’amico ed è in grado di comprenderlo meglio di lui, forse perché ne condivide la solitudine.

La solitudine accompagnerà Bruno per tutta la vita, rendendolo incapace di lasciare quella montagna che l’unico luogo dove si sente se stesso. Anche per Pietro la montagna è un tratto identitario, ma non soltanto le Alpi sono i luoghi dove si sente a casa, anzi piuttosto è l’Himalaya a rubargli il cuore.


"Le otto montagne" è un romanzo amaro, su come la determinazione e la volontà a volte non bastino, su come a volte sia impossibile imporsi di essere ciò che non si è, e sradicarsi dall’unico luogo al quale si sente di appartenere. È il romanzo di un figlio che non è mai riuscito a comprendere il proprio padre, ed è il romanzo di un amico che non è riuscito a salvarne un altro.

Per questo è una storia che una volta terminata lascia una certa malinconia, ma anche il senso di profondità e di apertura dei paesaggi che descrive diffusamente pagina dopo pagina: le stelle nel cielo nero di notte, il bianco abbagliante delle nevicate, i laghi alpini improvvisi, i rododendri che fioriscono per pochi giorni.

È un romanzo di certo per amanti della montagna, che sentiranno immediatamente il desiderio di mettersi in cammino per una cima, ma anche per chi come me non è un esperto frequentatore, tutt’altro: è una storia di sentimenti genuini, di legami tenaci come un albero che si rifiuta di crollare, e di appartenenza ad un territorio in cui molti di noi si riconosceranno indipendentemente dalla sua altitudine.

L’amicizia tra Pietro e Bruno mi ha appassionata della prima pagina al punto che ho divorato questo libro in una sola giornata, per quanto ero curiosa di sapere cosa ne sarebbe stato di loro. Ne consiglio la lettura a tutti gli amanti delle storie fatte di piccole cose, dei gesti del costruire e del prendersi cura, di personaggi veri che non hanno bisogno di tante parole per sentirsi vicini gli uni agli altri.

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martedì 2 maggio 2023

Cartoline da Limon

Come forse qualcuno di voi sa già, ho intrapreso un piccolo progetto personale, piuttosto ambizioso a dire il vero, che contempla l’idea di leggere un testo per ogni nazione del mondo, compresi i singoli Stati che compongono gli Stati Uniti d’America. 


Per il mio primo viaggio in Costa Rica ho scelto "Cartoline da Limòn" di Edo Brenes, un recente fumetto pubblicato da Bao Publishing, che racconta la storia della famiglia di Ramiro, che intraprende intenzionato a scrivere libro un viaggio nella sua terra d’origine partendo dal Regno Unito dove si è trasferito. 

Incontra numerosi membri della sua famiglia, i quali condividono con lui ricordi del passato e album di fotografie proprio a partire da queste immagini. L’autore illustra capitoli ambientati negli anni '40 del Novecento che ripercorrono alcuni tra i momenti più importanti degli antenati del protagonista. 

È una storia che per due terzi scorre in maniera piuttosto lenta, molto tranquilla, e ha sullo sfondo gli splendidi paesaggi del Costa Rica: le sue spiagge, i suoi animali. L’avevo trovata sì interessante, ma non particolarmente appassionante fino ad un colpo di scena che riguarda i due fratelli, il nonno e il prozio del protagonista, ai quali è riservato un ruolo di primo piano in questo fumetto, Osvaldo e Virgilio. Ho apprezzato particolarmente questo elemento perché ha vivacizzato la narrazione, mettendo in luce come un viaggio intrapreso senza aspettarsi particolari segreti abbia poi portato alla luce una verità a lungo sepolta e taciuta. 

Le illustrazioni sono ricche di dettagli, talvolta i balloon (le vignette contenenti i dialoghi) occupano molto spazio nelle pagine e anche questo è un elemento che mi è piaciuto. Nel complesso non lo definirei un capolavoro, ma senz'altro una lettura piacevole e di intrattenimento! 

Qual è l’ultimo testo ambientato in America latina che avete letto?

Le cronache di Narnia

La mia copia de "Le cronache di Narnia" di C.S. Lewis, pubblicata da Mondadori, è sul punto di compiere vent'anni: ero forse ai primi anni di liceo quando decisi di acquistarla, chiedendomi se dato il mio amore per Harry Potter il fantasy potesse rivelarsi un genere letterario a me affine. La risposta era stata negativa: e per decenni questo volumone è rimasto iniziato, a più riprese, e mai finito; almeno fino ad oggi.

Composto da sette volumi, pubblicati tra il 1950 e il 1956, si tratta di una saga fantasy ambientata in un mondo immaginario, ricco di creature magiche, animali parlanti e governato dal leone Aslan -evidentemente una metafora del divino. Negli anni ne sono stati tratti diversi film, ma le più recenti trasposizione si sono limitate a tre volumi. 

La religione cristiana riveste un grande ruolo in questi libri, che comunque possono essere una lettura godibile anche in quanto semplici fiabe senza prestare attenzione a questo aspetto -penso per esempio alla prospettiva di un lettore molto giovane. Oltre ad Aslan, tra le cui avventure spiccano una resurrezione e il sangue versato in sacrificio per un personaggio umano, Narnia rappresenta il Paradiso (è evidente in particolare ne "L'ultima battaglia"), tra i tanti aspetti del male vi sono i serpenti, ai protagonisti viene costantemente richiesta fede che viene messa alla prova.

I protagonisti umani non sono sempre gli stessi, ma sono sempre bambini, di entrambi i sessi: iniziamo con Polly e Digory, poi avremo i quattro fratelli Pevensie (Peter e Susan, Edmund e Lucy) ed infine Eustachio e Jill. Il potere dell'infanzia è quello di credere alla magia, agli armadi che portano in un altro mondo, ai fauni, ai giganti, agli unicorni e agli animali parlanti; i bambini viaggiano, combattono e vincono battaglie, salvano re e infrangono incantesimi, sostenendosi l'un l'altro.

Nel complesso, dopo tanti tentativi, sono contenta di aver portato a termine questa lettura, una delle più mastodontiche accumulate sui miei scaffali. Non sono la persona migliore per valutarla, in quanto molto inesperta e poco amante del genere fantasy, ma credo che potrebbe essere un ottima lettura a capitoli per un pubblico di ragazzi, e che saprà far sognare con le sue avventure anche lettori più maturi!

Qual è una saga che avete terminato?

In Italia sono tutti maschi

"In Italia sono tutti maschi" è il fumetto di Sara Colaone e Luca De Santis è il titolo che ho scelto di consigliarvi per la giornata mondiale contro l'omofobia, perché affronta un argomento di cui si parla a dir poco raramente: il confino degli omosessuali alle isole Tremiti durante l’epoca fascista. 


Con il pretesto di un documentario da girare sull’isola di San Domino, gli autori accompagnano Antonio detto Ninella, che ha ormai superato la settantina, nei luoghi dove alla fine degli anni '30 fu esiliato dalla sua Salerno e condivise l’esistenza con altri uomini come lui. 

Mentre infatti il regime nazista condannava gli omosessuali alla deportazione, Mussolini non ritenne appropriato muoversi nello stesso modo, in quanto in Italia "erano tutti maschi" e non c’era bisogno di una legge simile. Vennero però comunque allontanati dalle proprie comunità, per impedire che potessero proseguire le proprie relazioni sentimentali, e nei toni del nero e del senape gli autori ricostruiscono la vita sull’isola, le amicizie che si instaurarono, i momenti di spensieratezza e quelli di angoscia, allo scopo di rendere quest’opera una testimonianza per dare voce a uomini che  non sono mai stati ascoltati. 

Ho apprezzato molto anche il tratto della disegnatrice, che rende i suoi personaggi molto riconoscibili ed espressivi, ricostruendo un’atmosfera lontana nel tempo.

Si tratta di un’opera che vi consiglio assolutamente, perché il tema dell’omosessualità nel '900 e della misura del confino che coinvolse circa 300 omosessuali italiani è molto raramente affrontato in letteratura. Proprio per il suo argomento, e anche per la sua struttura accessibile e istruttiva, questo fumetto è assolutamente adatto anche a chi normalmente non si avvicina a questa forma letteraria.