sabato 28 dicembre 2019

Il meglio del 2019

Nel 2019, rispetto agli anni precedenti, ho scelto le mie letture con maggiore attenzione -anche se nel 2020 ho intenzione di impegnarmi ancora di più nella selezione. Il risultato di queste scelte più ponderate è stato l'aver letto moltissimi libri che mi hanno colpita, emozionata, soddisfatta: e la diretta conseguenza di ciò è stata l'estrema difficoltà di selezionare dieci per questa sorta di classifica dei preferiti dell'anno.



Inizio con due titoli italiani che sono stati tra le più grandi sorprese del 2019. Il primo è "Resto qui" di Marco Balzano, un romanzo intenso, con una protagonista femminile davvero ben costruita, che racconta una pagina di storia di cui non conoscevo nulla se non il campanile al centro del lago di Resia: la storia di Curon e della costruzione di una diga che ha finito per cancellare paesi interi.






Il secondo titolo italiano è "Carnaio" di Giulio Cavalli, finalista al Premio Campiello di quest'anno, che ha saputo raccontare le migrazioni contemporanee in una chiave molto diversa da quelle a cui siamo già abituati. Attraverso un racconto che assume le tinte dell'orrore Cavalli racconta gli abissi di cui l'umanità è capace, e non si discosta poi così tanto dalla realtà...




Il terzo libro assolutamente imperdibile è opera di un autore che anche nel 2018 avevo inserito tra le migliori letture dell'anno: si tratta dello statunitense Kent Haruf, che ambientava le proprie opere a Holt, nello stato del Colorado. Mentre l'anno scorso mi ero innamorata della sua Trilogia della pianura, in particolare di "Canto della pianura", ad avermi rubato il cuore nel 2019 è stato "Le nostre anime di notte": un romanzo poetico e delicato, dove l'intensità dei sentimenti è così forte da sentirsi parte della storia insieme ai suoi protagonisti.


Due romanzi della lista hanno poi qualcosa in comune: il tema del razzismo negli Stati Uniti, in particolare nell'epoca in cui la schiavitù non era ancora stata abolita o la sua abolizione era un fenomeno estremamente recente.
Sono infatti afroamericani i protagonisti di "Amatissima" di Toni Morrison, capolavoro dell'autrice premio Nobel recentemente scomparsa, e di "Canta, spirito, canta" di Jesmyn Ward, secondo volume della Trilogia di Bois Savage -preceduto da "Salvare le ossa", titolo che avevo inserito tra i migliori del 2018.
In comune questi due romanzi non hanno soltanto l'etnia dei protagonisti e l'argomento della questione razziale, ma anche il realismo magico che fa coesistere personaggi vivi e vegeti ad altri da tempo scomparsi, che però non abbandonano le loro vite e si mettono in qualche modo in comunicazione con loro.

Il tema del razzismo è presente anche nel sesto romanzo di questo articolo (che non è in alcun modo una classifica), "Metà di un sole giallo" dell'autrice nigeriana Chimamanda Ngozi Adichie. Oltre a raccontare le storie di una famiglia, in particolare di due sorelle molto diverse tra loro, il grande pregio di questo romanzo è saper dare voce alla lotta per l'indipendenza del Biafra ed alla carestia con cui la Nigeria sterminò la sua popolazione per costringerla alla resa. Chimamanda Ngozi Adichie è un'autrice di cui ho già letto e apprezzato diverse opere (trovate qui la recensione del suo romanzo d'esordio, "L'ibisco viola", e qui quella del breve saggio "Dovremmo essere tutti femministi"), ma "Metà di un sole giallo" è di certo quella che mi ha convinta di più.




Decisamente meno impegnativo per quanto riguarda la tematica è "L'ombra del vento" di Carlos Ruiz Zafón, che non ho letto per la prima volta quest'anno ma ho riletto in occasione di un viaggio a Barcellona. Diversi anni fa, in occasione della sua uscita, lo avevo acquistato al supermercato e lo avevo letto in pochissimo tempo; questa rilettura che ha accompagnato la mia vacanza però lo ha reso più magico, di certo grazie alla vista della città che nel romanzo di Zafón è quasi un ulteriore personaggio, più che un semplice sfondo dove ambientare le vicende. In più il Cimitero dei libri dimenticati è il sogno di ogni lettore... anche se non credo avrei saputo limitarmi alla scelta di un volume soltanto!

In contrasto alla mole piuttosto voluminosa de "L'ombra del vento", ottavo romanzo preferito del 2019 è il brevissimo "Destinatario sconosciuto": un racconto lungo che risale agli anni '30 del Novecento, scritto durante l'ascesa del Nazismo in Germania. In pochissime pagine l'autrice Katherine Kressman Taylor racconta attraverso le lettere di Martin e Max come l'ideologia nazista era in grado di infiltrarsi nei rapporti umani e rovinare anche le amicizie più solide e di lunga data. Non aspettatevi però soltanto un romanzo epistolare: ciò che rende memorabile questo sottile libriccino è il colpo di scena con cui la scrittrice lo chiude magistralmente, lasciando il lettore a dir poco senza parole. Comprendete da voi che non posso aggiungere nulla, o vi rovinerei irrimediabilmente la lettura...

Gli ultimi due titoli di questo elenco non sono romanzi. Il nono è infatti una raccolta di
racconti, dalla penna di quello che è stato il mio autore del cuore quando ero adolescente e che ho provato il desiderio di riscoprire da adulta: J.D. Salinger.
Nel 2018 vi avevo consigliato tra i migliori fumetti dell'anno "Il mio Salinger", che aveva risvegliato in me l'urgenza di recuperare l'opera omnia dello scrittore; quest'anno eccoci qui con i "Nove racconti", una prova di incredibile talento che dà voce ad una varietà di personaggi, spesso bambini o giovani adulti. Compaiono qui per la prima volta alcuni membri della famiglia Glass, che saranno approfonditi in lavori successivi; ma soprattutto emerge la capacità di caratterizzare protagonisti e storie con poche, impeccabili frasi.

Ultimo ma non per importanza "Dimmi come va a finire" di Valeria Luiselli, autrice di origine messicana che ha riscosso nel 2019 grande attenzione con il suo ultimo romanzo "Archivio dei bambini perduti" (di cui vi parlerò a breve). 
In questa opera breve ed incisiva la scrittrice ed interprete rielabora il questionario composto da quaranta domande che nel suo incarico al tribunale deve porre ai minori non accompagnati che varcano la frontiera tra Messico e Stati Uniti. Crea così un libro che non è soltanto letterario, ma è lo spunto per riflettere sulle politiche statunitensi e sulle assurdità che ricadono sui migranti più indifesi. È difficile trovare le parole per commentare questo saggio sui generis, che ad ogni pagina è un vero e proprio pugno allo stomaco: per gli amanti dei libri che si occupano dell'attualità, ma anche per tutti i semplici cittadini del mondo questa è davvero una lettura necessaria.

giovedì 26 dicembre 2019

Il peggio del 2019

Eccoci arrivati alla fine dell'anno e con lei arriva il momento dei bilanci: iniziamo dalla "brutta notizia", tenendoci la parte migliore per la prossima settimana, e ricapitoliamo le peggiori letture del 2019.


Tra i libri che mi hanno convinta di meno ci sono libri assolutamente dimenticabili, che si leggono in fretta quanto poi ci passano di mente. Il primo è un thriller, letto ormai quasi un anno fa e del quale conservo già un ricordo sbiadito: "Girl in Snow" di Danya Kukafka. Nonostante sia proposta come una lettura per adulti, mi è sembrata più adatta ad un pubblico giovane e poco esperto; la storia ha molti punti deboli e ci sono di certo molti libri da preferirgli se state cercando una lettura di genere.







Secondo dei libri veloci da leggere e veloci da dimenticare è "Dopo l'onda" di Sandrine Collette, a cui devo riconoscere un ritmo appassionante ma anche un frettoloso svolgimento della storia, con una caratterizzazione dei personaggi che lascia molto a desiderare.

Seguono due titoli nei confronti dei quali avevo forse aspettative troppo alte, perché scritti da autori che di solito apprezzo moltissimo: si tratta in primis di Marco Balzano (scrittore che ho scoperto con "Resto qui", fino ad ora quello che ho preferito) e del suo "Pronti a tutte le partenze". Il limite che ho incontrato è quello di trovare il protagonista e narratore piuttosto antipatico, ed anche il fatto che i personaggi che gli ruotano attorno non siano affatto ben caratterizzati, ma restino piatti e privi di tratti che li contraddistinguano.
Il secondo autore del cuore che mi ha riservato una cocente delusione è stato Stephen King con il suo "L'uomo in fuga": le premesse -un reality che costringe il protagonista a fuggire mentre il mondo intero gli dà la caccia in cambio di laute ricompense- erano ottime, ma lo sviluppo lo ha reso più un romanzo d'azione che un distopico e non è riuscita a convincermi.


In comune con "L'uomo in fuga", "Le risposte" di Catherine Lacey ha un inizio davvero promettente: si tratta in questo caso di un esperimento in cui diverse ragazze vengono investite del ruolo di fidanzate per un uomo ricchissimo, ognuna con compiti specifici, in modo da soddisfarne nel complesso le esigenze. Purtroppo nell'andare avanti con la storia, questa sembra perdersi per strada e creare un progressivo distacco invece che aumentare il coinvolgimento; ed ho finito per perdere interesse.




Altri due libri quest'anno mi hanno piuttosto annoiata, entrambi opere d'esordio: si tratta di "Mia regina" di Jean-Baptiste Andrea, e "L'educazione" di Tara Westover. Entrambi hanno per protagonisti dei personaggi giovani, ma mentre il primo è più che altro il racconto di un'avventura il secondo è la biografia di una ragazza che attraverso l'istruzione prende le distanze dalla sua famiglia, che aveva fatto di tutto per tenerla a distanza dalla società. Non si tratta di testi privi di spunti, ma li ho trovati un po' ripetitivi e non sono riusciti a conquistarmi -anzi, nel corso della lettura non vedevo l'ora di portarli a termine.



Per ultimo in questa classifica delle delusioni devo nominare "Ottanta rose mezz'ora" di Cristiano Cavina, autore con il quale credo di avere cominciato dall'opera sbagliata: ne ho infatti apprezzato molto lo stile, scorrevole e accattivante, ma ho detestato con tutto il cuore il protagonista del suo più recente romanzo, che incarna una concezione di amore che proprio non sono riuscita a tollerare. Credo che però vorrò dargli in futuro una seconda possibilità

lunedì 23 dicembre 2019

Peter e Petra

Astrid Lindgren è una delle più popolari autrici per l'infanzia di tutti i tempi, grazie alla creazione dell'indimenticabile personaggio di Pippi Calzelunghe. Quando ero bambina tra i miei libri preferiti c'era una delle sue avventure, "Vacanza all'isola dei gabbiani", che non mi stancavo mai di rileggere. Così quando ho scoperto questi racconti sullo scaffale della biblioteca non ho saputo resistere…
Titolo: Peter e Petra e altri racconti
Autrice: Astrid Lindgren
Anno della prima edizione: 1949-1950
Casa editrice: Iperborea
Traduttori: A. Albertari, A. Borini, L. Cangemi, S. K. Milton Knowles
Pagine: 121
In questa raccolta sono contenuti sette brevi racconti che non hanno per protagonisti i più famosi personaggi di Astrid Lindgren: non ci sono infatti Pippi Calzelunghe, Emil né Lotta. Ci sono però elfi, creature del Piccolo Popolo, bambole che prendono vita e bambole che spuntano da un seme piantato nel terreno. Soprattutto però ci sono i bambini: bambini che si raccontano le storie, che si arrabbiano con i propri genitori e poi li perdonano, che imparano che i vagabondi non sono sempre pericolosi né cattivi, che trovano il coraggio di lottare contro i briganti, che fanno amicizia con chi è diverso da loro e che regalano fazzoletti perché diventino abiti per un ballo di elfi.
E poi parlarono del Natale e si trovarono tutti d'accordo che i pacchetti morbidi erano una vera sciagura, quanto a regali. Pacchetti morbidi… voleva dire calze e guanti e tutte cose deprimenti. No no, i pacchetti dovevano essere duri. Nei pacchi duri c'erano bambole e soldatini di stagno e altre cose che rendevano la vita degna di essere vissuta.
Illustrazione di Ingrid Vang Nyman
per il racconto "Buonanotte, signor vagabondo!"
Per un pubblico di lettori adulti, questa è una lettura che richiederà a malapena una mezz'ora, riportandovi alle suggestive atmosfere dell'infanzia e a quella fiducia nella fantasia che rendeva tutto possibile. Consiglierei però questa raccolta principalmente a chi ha bambini attorno a sé, in famiglia o a scuola: la lettura di queste storie, un racconto alla volta, farà certo innamorare dei libri i lettori più inesperti!
Gunnar pattina ancora sulla pista del parco Vasa nelle sere d'inverno. A volte però rimane lì fermo con lo sguardo assorto. Gli sembra quasi di vedere un bambino piccolo piccolo e una bambina piccola piccola che danzano sui pattini al suono di una fievole musica lontana.

lunedì 16 dicembre 2019

Tre storie di neve

Ci sono molti modi per scoprire una nuova lettura: le recensioni sulle riviste o online, le opinioni degli amici e dei conoscenti, gli scaffali della biblioteca o delle librerie. Questa volta l'ispirazione è stata un programma radiofonico, "La caccia al libro" all'interno di "Fahrenheit" su Radio 3. Trovare questo albo illustrato in effetti non è stato semplice, ma per fortuna le biblioteche nella mia città sono davvero fornite!




Titolo: Tre storie di neve
Autrici: Viviane Lamarque, Maria Battaglia (illustratrice)
Anno della prima edizione: 2006
Casa editrice: Fabbri
Pagine: 28




Come già preannuncia il titolo, le storie contenute in questo albo sono tre. Non aspettatevi però tre brevi narrazioni autoconclusive, perché un vero e proprio filo rosso -il filo della speranza- lega i personaggi che compaiono pagina dopo pagina: ci sono due bambine, Blanca ed Estella, ed un anziano cane diventato ormai inutile per il cacciatore che non ha mai saputo dargli affetto.
Blanca vive in una casetta sull'albero, in mezzo ad un bosco; Estella vive in un grattacielo di città; il cane invece, che non ha un nome, non ha più alcuna casa a cui fare ritorno.


"Tre storie di neve" è un libro tenero, ricco di buoni sentimenti, che però non diventa mai stucchevole. È un inno all'amore per gli animali, che insegna ai più piccoli l'orrore della caccia e le ingiustizie che troppe volte gli umani commettono nei confronti delle altre forme di vita.
Le illustrazioni di Maria Battaglia sono perfette per rappresentare le parole di Viviane Lamarque: trasportano i lettori di ogni età in una dimensione fatata, avvolta dalla neve che ricopre ogni cosa con il suo silenzio e il suo candore, e danno un volto ai piccoli protagonisti -specialmente al vecchio cagnolino- rendendo impossibile non affezionarsi a loro.


Nonostante nasca come un albo illustrato per bambini di circa cinque anni, "Tre storie di neve" per me è stata una scoperta assolutamente positiva, che trovo in grado di emozionare lettori di ogni età.

lunedì 9 dicembre 2019

Tutto quello che non ricordo

Lo scorso anno in edicola ho acquistato diversi titoli Iperborea, che uscivano con il Corriere della Sera; della serie faceva parte "Luce d'estate ed è subito notte" di cui ho scritto qui qualche tempo fa. Naturalmente sullo scaffale mi aspettano ancora parecchi titoli da leggere: questo è uno di essi.



Titolo: Tutto quello che non ricordo
Autore: Jonas Hassen Khemiri
Anno della prima edizione: 2015
Titolo originale: Allt jag inte minns
Casa editrice: Iperborea
Traduttore: Alessandro Bassini
Pagine: 324



LA STORIA

Il protagonista di questo romanzo è Samuel: figlio di madre svedese e padre arabo, nato e cresciuto a Stoccolma, di lui sappiamo sin dall’inizio che è morto in quello che potrebbe essere un incidente d’auto ma più probabilmente un suicidio.
Sulle circostanze della sua morte indaga il narratore: un giornalista anonimo, per metà svedese per metà tunisino, che ha incontrato Samuel a Berlino. È questo personaggio senza nome che raccoglie le testimonianze di chi ha conosciuto Samuel quando era in vita -il suo amico Vandad, che gli parla dal carcere, la Pantera, la sua ex fidanzata Laide, la nonna malata di Alzheimer, la madre che risponde solo via e-mail.
Racconto dopo racconto i punti di vista si alternano e ricostruiscono gli ultimi anni di vita di Samuel, alla ricerca della verità.


COSA NE PENSO

Khemiri è stato un economista, e da quando ha intrapreso la carriera letteraria è principalmente un autore teatrale: questa caratteristica si riflette nella struttura di "Tutto quello che non ricordo", costituita da un'alternanza dei punti di vista raccontati attraverso un dialogo con un personaggio -che è l'autore stesso. È lui decide di intervistarli per fare luce sull'evento centrale dell'intero libro: la morte di Samuel, sulla quale ognuno è convinto di conoscere la verità -inutile dire però che nessuna verità è identica alla precedente.
Khemiri condivide con i suoi personaggi la duplice appartenenza, il conflitto identitario che torna spesso tra le pagine: nato e cresciuto in Svezia da madre svedese e padre tunisino, conosce bene la materia che sceglie di raccontare e questo gli consente di costruire personaggi convincenti, dalla caratterizzazione molto netta, lontani dal sembrare al lettore l'uno la brutta copia dell'altro.
Potevo dire qualsiasi cosa, perché se hai un certo aspetto, nessuno osa sostenere che il tuo nome non è il tuo nome. Ma quando Samuel si presentò, gli dissi la verità. Mi preparai mentalmente alle solite domande: «Come? Vamdad? Vanbab? Van Damme? Ah, Vandad! Da dove viene questo nome? Cosa significa? Da dove vengono i tuoi genitori? Erano rifugiati politici? Tu sei nato qui? Sei tutto svedese o metà e metà? Tu ti senti svedese? Quanto ti senti svedese? Mangi la carne di maiale? A proposito, tu ti senti svedese? Potete tornare là? Sei mai tornato? Come ci si sente a tornare? Magari ti senti straniero quando sei qui e svedese quando sei là?»
Merita di essere menzionato a tal proposito il personaggio di Vandad, giovane uomo forte al punto da sembrare talvolta brutale, perseguitato da fantasmi che non confessa a nessuno. I sentimenti di Vandad sono ben nascosti sotto la superficie del cattivo ragazzo di periferia eppure sono genuini, specialmente nei confronti di Samuel con cui ha condiviso anni della sua vita. 
Quello che sto cercando di dire è che quando mi mancava Samuel era più difficile non pensare ad altre persone che non c’erano più, e quando succedeva poi non riuscivo a dormire, e quando non riuscivo a dormire ero costretto a cercare altri modi per addormentarmi, e quando non funzionava nemmeno così non riuscivo a fare un buon lavoro all’impresa di traslochi, e dopo quella volta che cominciai il turno di lavoro addormentandomi sul camion mi diedero sempre meno ore e tutto diventò un circolo vizioso da cui era difficile uscire.
Non soltanto i personaggi creati da Khemiri sono sfaccettati e molto realistici, ma altrettanto ben raccontati sono i sentimenti che li accomunano: le incertezze, le indecisioni di un'intera generazione -nella quale non ho potuto non riconoscermi- che nel precariato lavorativo fatica a crescere, che non trova il proprio posto sulla scacchiera di una società sempre più multietnica mentre loro non si sentono né carne né pesce, che spera che fuggire nella grande, arm aber sexy capitale tedesca basterà per farli sentire liberi e realizzati.
 «Dove sono tutti?» chiesi. «Sicuramente non al lavoro», disse la Pantera. «Cioè, nessuno a Berlino ha un lavoro.»
Samuel si innamora, in questo romanzo; Samuel perde la testa per Laide, un innamoramento travolgente, di quelli che tolgono l'appetito e il desiderio di fare qualunque cosa non sia essere tra le braccia del partner. Samuel e Laide si innamorano, ma sono due anime instabili, che si trascinano a vicenda in un vortice di timori, di fantasie nere, di progetti incerti, su una sorta di piano inclinato che non sembra destinato a finire bene. 
Non sapevo cosa rispondere. Mi sembrava volesse rassicurarmi, e chi non ha intenzione di tradire qualcuno non sente il bisogno di rassicurarlo.
E infatti, come sappiamo sin dalla prima pagina del romanzo, una notte l'automobile di Samuel va a schiantarsi; e c'è chi non ha dubbi sulle cause del suo gesto, chiaramente volontario, e chi invece non è affatto concorde con questa versione. 
La Pantera scuote la testa. Non lo so. Non saprei cosa risponderti. Forse si è dimenticato di sganciarla? Non si può escludere. Oppure andava così veloce che sapeva che nessuna cintura di sicurezza al mondo sarebbe riuscita a salvarlo.
"Tutto quello che non ricordo" è un romanzo ricco di domande e di questioni in sospeso, ma non aspettatevi un finale aperto (non esattamente...); aspettatevi piuttosto un romanzo che vi ricorderà con prepotenza i vostri vent'anni, la sensazione di avere tra le mani ogni possibilità, e al tempo stesso la frustrazione del sentirsi in trappola. La memoria, come si evince dal titolo, è più dello stesso Samuel la protagonista di questo libro: ed è una memoria che sfugge, che inganna ma che nonostante questo è quanto di più fondamentale sia dato agli esseri umani.
Nonostante la sua conclusione mi abbia un po' spiazzata -e non mi sia piaciuta quanto le pagine precedenti, "Tutto quello che non ricordo" è un romanzo potente, capace di risvegliare nel lettore ricordi ed emozioni sepolti dal tempo; ed è una delle letture fatte quest'anno che mi hanno colpita di più.