Non leggo particolarmente spesso autori e autrici di nazionalità italiana, e così facendo a volte rischio di perdermi letture che varrebbe davvero la pena di fare, come questa -che ha fatto parte della cinquina del Premio Strega 2018, ma non è stato il vincitore.
Autore: Marco Balzano
Anno della prima edizione: 2018
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 192
LA STORIA
Trina scrive una lunga lettera alla figlia, che non incontra da decine di anni: quando ai tempi del fascismo la ragazzina preferì lasciare il Sudtirolo per trasferirsi in Austria con gli zii. Trina e suo marito Erich invece non hanno mai lasciato Curon, nonostante i fascisti abbiano provato a privarli della loro cultura -impedendo a Trina di svolgere la sua professione di maestra e sostituendola con insegnanti madrelingua italiani-, abbiano costretto Erich ad arruolarsi e poi, dopo l'armistizio, a nascondersi sulle montagne per evitare di combattere di nuovo. Trina ed Erich sono rimasti a Curon, hanno resistito, nonostante la minaccia della costruzione della diga sempre incombente sulla loro valle, pronta a sommergere i loro masi, i loro campi, i loro animali, facendo perdere loro ogni cosa.
COSA NE PENSO
La voce narrante di Balzano, autore che leggo per la prima volta, è estremamente convincente nel dare corpo ai pensieri di una donna non più giovane come la protagonista, che narra in prima persona la propria storia passata sotto forma di lettera alla figlia. Trina ricorda i giorni della sua gioventù, ricorda il marito, uomo integro e testardo, i giorni di paura e di coraggio sulle montagne a sfuggire alla morte; ricorda il pensiero della figlia, che non li ha mai abbandonati seppure in modo diverso.
A vederlo sempre solo, sempre su quello sgabello, non mi sentivo sola neanch’io. Non può essere un modo di amarsi pure questo? Restare a guardarlo di nascosto, senza per forza mettere su il solito teatrino di matrimonio e figli?
In questo romanzo, che coinvolge e talvolta commuove, che fa ad ogni pagina parteggiare per la sua protagonista, c'è la storia della Val Venosta: del campanile che svetta dal lago di Resia e rappresenta una storia che si conosce assai poco quando si visita il luogo durante le vacanze, e si scatta una foto ricordo senza domandarsi che cosa abbia comportato la sommersione di quel campanile.
Nel giro di pochi anni il campanile che svetta sull’acqua morta è diventato un’attrazione turistica. I villeggianti ci passano all’inizio stupiti e dopo poco distratti. Si scattano le foto con il campanile della chiesa alle spalle e fanno tutti lo stesso sorriso deficiente. Come se sotto l’acqua non ci fossero le radici dei vecchi larici, le fondamenta delle nostre case, la piazza dove ci radunavamo. Come se la storia non fosse esistita.
Il libro di Balzano fa riflettere sui concetti di cultura e di appartenenza; la popolazione del Sudtirolo, prima del Ventennio, non si pone domande: parla tedesco, professa la religione cristiana. Impossibile per loro sentirsi poi italiani d'un tratto, mediante un'imposizione prima di tutto linguistica, che li allontana dai posti di lavoro e li rimpiazza con sostituti ritenuti più adatti. Più facile forse sentirsi austriaci, proprio per via della lingua; ma il trasferimento in Austria vorrebbe dire lasciare il proprio universo e c'è chi, come Trina, invece resta.
Mussolini ha fatto ribattezzare strade, ruscelli, montagne… sono andati a molestare anche i morti, quegli assassini, cambiando le scritte sulle lapidi. Hanno italianizzato i nostri nomi, sostituito le insegne dei negozi. Ci hanno proibito di indossare i nostri vestiti. Da un giorno all’altro in classe ci siamo ritrovati insegnanti veneti, lombardi, siciliani. Loro non ci capivano, noi non capivamo loro.
Mi voltavo e guardavo il paese, piccolo su in alto, e mi invadevano gli stessi sentimenti di Erich: che era mia quella terra, che nessuno mi poteva cacciare, che non potevo rimanere inerte a guardare. E sentivo che i fascisti erano bastardi perché volevano annegarci, ci avevano trascinato in guerra e avevano portato via Barbara. E i nazisti erano bastardi uguale perché ci avevano messi gli uni contro gli altri e volevano i nostri uomini solo per farne carne da cannone.
Quella di Erich e Trina è una scelta, non certo dettata dalla convenienza. Balzano caratterizza i (pochi) personaggi che animano la lunga lettera di Trina in maniera impeccabile, talmente vivida da farli percepire al lettore come persone reali, attraverso le loro decisioni e i loro sentimenti. Li descrive immersi in un contesto che prende vita nelle parole di Trina, diviene tridimensionale, addirittura percettibile attraverso i sensi: percepiamo l'odore delle stalle e delle bestie, il freddo delle notti d'inverno, sentiamo il silenzio delle montagne.
Ho apprezzato molto la scrittura di Balzano e la storia che ha scelto di raccontare in "Resto qui"; sento di aver imparato qualcosa da questo libro, che ha anche avuto l'indubbia capacità di emozionarmi e intrattenermi senza risultare mai noioso né didascalico. Insomma il primo romanzo italiano di questo 2019 è stata un vero successo!
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