lunedì 27 aprile 2020

Ossessione

Nonostante non sia stato il primo libro di King a venire pubblicato (il primato spetta infatti a Carrie), Ossessione è il primo libro che King abbia scritto. Aveva appena diciannove anni all’epoca, ma il suo talento appare già piuttosto evidente.




Titolo: Ossessione
Autore: Stephen King
Anno della prima edizione: 1977
Casa editrice: Bompiani
Traduttore: Tullio Dobner
Pagine: 211



LA STORIA


Charlie è un adolescente che frequenta un liceo di Bangor; ha un padre che beve troppo e non lo ha mai apprezzato, e come se non bastasse lo ha segnato con episodi davvero poco piacevoli quando Charlie era ancora bambino.
All’inizio del romanzo sappiamo che Charlie ha già un trascorso di sospensioni da scuola per un episodio di violenza. Il giorno in cui la storia ha inizio però la carriera scolastica di Charlie viene interrotta dall’espulsione. Tuttavia, invece di andarsene, Charlie dà fuoco al suo armadietto, spara a due insegnanti con la pistola sottratta a suo padre e prende in ostaggio i suoi compagni di classe. Con esiti del tutto imprevisti... 



COSA NE PENSO

In seguito alla strage della Columbine fu King a richiedere che il romanzo fosse ritirato dal mercato.
Chiunque lo abbia letto però si rende conto che ha ben poco a che fare con simili episodi: Charlie è un protagonista molto lucido, capace di profonda autoanalisi e di dare un nome alle cause del suo gesto e per di più trasforma il sequestro in una sorta di terapia di gruppo.
Per il resto, non ci fu alcun cambiamento nei nostri rapporti. Adesso mi rammarico di non avere ammazzato lui, nel momento in cui ho dovuto ammazzare qualcuno. Questa cosa che ho qui per terra fra i piedi è un classico caso di aggressione sostitutiva.

Come in tutti i romanzi che King scriverà successivamente, gli adolescenti sono caratterizzati in modo così realistico da sembrare veri. Hanno timori, desideri, sono vittime di bullismo o sono bulli; nel teatro in cui però Charlie occupa il palcoscenico i ruoli si rovesciano in una sorta di Carnevale in cui il vincente perde il proprio titolo e Charlie, quello relegato in un angolo, tira i fili di tutti i burattini.

Quello di Ossessione è un King diverso dal Re dell’Orrore, nonostante qualche avvisaglia del futuro si possa ritrovare tra le righe. 
È una roulette, ma non è dignitoso mettersi a frignare che la ruota è truccata. Puoi immaginartela con tutti i numeri che ti pare, che tanto il principio di quella pallina bianca non cambia mai. E non mettiamoci a dire che è una follia, perché è tutto perfettamente normale e sano. E tutto quello che esula dalla norma non accade solo fuori. È anche dentro di voi, in questo preciso istante, a crescere al buio come funghi magici. Chiamiamolo la Cosa in Cantina.

Qui il realismo è assoluto, non c’è spazio per il soprannaturale, ogni elemento positivo o nefasto che sia è da imputarsi completamente all’essere umano. L’analisi psicologica non manca, e ci rendiamo conto di come sin da una giovanissima età sia stato un tratto distintivo dell’autore.

Nel complesso Ossessione non è un capolavoro, e non è il romanzo dal quale vi consiglierei di cominciare ad approcciarvi a King. È comunque un’opera riuscita, che vi piacerà se amate le storie con protagonisti giovani che non siano banali e infarcite di buoni sentimenti; in più è il primo libro che King abbia mai scritto, come farselo scappare se come me amate la sua sconfinata produzione?

lunedì 20 aprile 2020

L'inventore di sogni

McEwan è uno degli autori più versatili che io abbia mai letto: nessuno dei suoi romanzi somiglia all'altro, nessuna storia ricorda la precedente. Su questo blog hanno trovato spazio finora soltanto "Chesil Beach" e "Nel guscio", ma ho letto molto della sua produzione e ho un debole per i suoi libri del periodo più macabro, in cui rientrano anche questi racconti che quindi come potrete già aspettarvi mi sono piaciuti moltissimo.



Titolo: L'inventore di sogni
Autore: Ian McEwan
Anno della prima edizione: 1994
Titolo originale: The Daydreamer
Traduttrice: Susanna Basso
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 89



LA STORIA

Peter Fortune ha undici anni, una sorella minore, due genitori amorevoli e un gatto anziano di nome William. Peter è un preadolescente che oscilla tra lo stupore e la crudeltà tipiche dell'infanzia, e che passa gran parte del suo tempo immerso in sogni ad occhi aperti: sono proprio le sue fantasie ad essere raccontate ne "L'inventore di sogni".



COSA NE PENSO

"L'inventore di sogni" viene proposto come romanzo per ragazzi, dagli otto anni in su. In realtà è una raccolta di racconti che può essere letta ed apprezzata ad ogni età, uniti dal filo conduttore del protagonista, il giovane Peter Fortune.
Peter è un bambino assolutamente credibile: non è uno stereotipato simbolo d'innocenza, una vittima degli adulti o un piccolo genio. È un bambino che talvolta va d'accordo con la sorellina, talvolta ci litiga; che talvolta si comporta in modo maturo e responsabile, mentre in altre è geloso delle attenzioni ricevute dal cuginetto neonato e percepisce i propri genitori come estranei.
Peter rivolse alla sua famiglia uno sguardo carico di risentimento. Con gente del genere, non c’era niente da fare, ma non si poteva neppure buttarli via. Forse, però... Tirò un lungo respiro, si infilò in tasca il vasetto di vetro blu e scese di sotto. 
Peter ha paura dei bulli, ma è anche un bambino coraggioso che sa reagire all'ingiustizia, e non vuole commetterne a sua volta; è un ragazzino che si perde nelle proprie fantasie al punto di dimenticare la differenza tra il suo mondo interiore e quello reale.
Che cosa rendeva tanto potente il roseo, il paffuto Barry? E all’improvviso, dal nulla, Peter trovò la risposta. Ma è ovvio, pensò. Siamo noi. Siamo noi che lo abbiamo sognato come il prepotente della scuola. Non è più forte di nessuno di noi. Tutta la sua forza e il potere, ce la siamo sognata noi. Noi abbiamo fatto di lui quel che è. Quando va a casa e nessuno gli crede se fa il prepotente, allora torna se stesso.

McEwan dimostra ne "L'inventore di sogni" di saper dare vita ad un universo in cui anche i più giovani hanno un punto di vista; anche in "Nel guscio" il narratore è giovanissimo, addirittura è un feto che deve ancora venire alla luce. Tuttavia il protagonista di "Nel guscio" ha una voce adulta, dal lessico ricercato e maturo, senza alcuna pretesa di risultare credibile -il che ha senso, considerato che un feto di certo non potrebbe parlare; Peter invece, nonostante sia raccontato in terza persona, non ci fa mettere in dubbio nemmeno per un momento la sua età anagrafica. 
"L'inventore di sogni" racchiude sette racconti, più una breve introduzione; come sempre capita con i racconti, non tutti mi hanno emozionata allo stesso modo: i miei preferiti sono stati "Il gatto" (chiunque abbia condiviso gran parte della sua vita con un felino e lo abbia visto invecchiare sarà colpito da questo testo) e "I grandi", che conclude il libro con grande poesia. 
E oltre tutto questo umano fermento, l’oceano si gonfiava e si ripiegava, perché a nulla e nessuno è dato di restare fermo, non agli uomini, non all’acqua e neppure al tempo. - Un tesoro! - esclamò ancora Kate. - Eccomi, - gridò Peter. - Arrivo -. E si lanciò di corsa verso la battigia. Si sentiva agile e leggerissimo sulla sabbia. «Sto per prendere il volo», pensò. Chissà se stava sognando, o se volava davvero.
Se di McEwan non avete letto ancora nulla, non vi consiglio di cominciare da questo, perché potrebbe confondervi le idee sul McEwan romanziere che scrive per un pubblico adulto; se invece siete già estimatori della sua produzione, allora non potete perdervi nemmeno questa opera forse minore, ma di certo molto riuscita

lunedì 13 aprile 2020

La memoria rende liberi

Liliana Segre è una senatrice a vita della Repubblica italiana, nata a Milano nel 1930. È una donna elegante, di grande eloquenza, che oggi porta il proprio messaggio in Parlamento e nelle scuole per portare avanti la memoria dei superstiti ai campi di sterminio. In questo libro scritto a quattro mani con il giornalista Enrico Mentana ha raccolto la storia della sua vita e della sua famiglia, dando vita ad un'opera a dir poco preziosa.




Titolo: La memoria rende liberi
Autori: Liliana Segre, Enrico Mentana
Anno della prima edizione: 2015
Casa editrice: Rizzoli
Pagine: 225




Liliana Segre nasce a Milano nel 1930 in una famiglia di origini ebraiche, ma sostanzialmente laica. L'ebraismo non è per lei una vera propria appartenenza, ed anzi da bambina non si rende nemmeno conto di fare parte di tale cultura; cresce con suo padre Alberto, rimasto vedovo quando Liliana aveva solo undici mesi, deciso a dedicare alla amatissima figlia la propria vita.


Alberto è senz'altro una figura chiave in questo libro, in quanto presenza costante nella vita di Liliana anche dopo la separazione ad Auschwitz -dove l'uomo morirà dopo tre mesi. Alberto è un uomo buono, un figlio amorevole e un padre devoto; un uomo che non osa, quando gliene viene offerta l'opportunità, emigrare all'estero. Nonostante in Italia siano state promulgate le leggi razziali, Alberto non se la sente di abbandonare gli anziani genitori, il padre affetto dal morbo di Parkinson, e per ben due volte rifiuta di prendere in considerazione l'emigrazione negli Stati Uniti o in Argentina. Solo più tardi, nel 1944, quando la situazione è ormai insostenibile Alberto cerca con Liliana di attraversare il confine con la Svizzera: ma alla frontiera vengono respinti, e in Italia arrestati. Sarà dal carcere di San Vittore che saranno deportati. 
Ho sempre cercato di proteggere mio papà: non mostrandogli la mia disperazione, sforzandomi di sorridere anche quando era difficile farlo, fino all’ultimo saluto che ci siamo scambiati. Era un uomo da proteggere, mio papà.

Separata dal padre, Liliana sopravvivrà, una tra le poche. Sopravvivrà al lavoro in condizioni di schiavitù in una fabbrica di munizioni, alla fame e alle privazioni, alla più totale disumanizzazione ed infine anche alla marcia della morte, essendo appena un'adolescente. Dovrà rinunciare ai suoi affetti più cari, ma anche a tutto ciò che le ricorda la sua tranquilla quotidianità di prima della guerra; in questo libro non ci risparmia lo spaesamento, la crudeltà che subisce, il dolore e la fame.
Venivo da un mondo fatto di persone buone, miti, da una famiglia in cui non si litigava, in cui ci si voleva bene, appartenente a una borghesia quieta. Per questo – anche dopo aver attraversato tutti i passaggi intermedi che avrebbero dovuto prepararmi al peggio – quell’orrore andava oltre la mia capacità di comprensione.
Ma addirittura più difficile sarà per Liliana sopravvivere al reinserimento nella società, in una famiglia che non è più quella che tanto aveva amato -vivrà infatti presso gli zii materni, borghesi e attenti alle apparenze, incapaci di comprendere le sofferenze subite dalla nipote e la sua necessità di colmare un vuoto attraverso il cibo. 
La forza per ricominciare la troverà incontrando Alfredo, dal quale avrà tre figli nonostante le avessero detto che non avrebbe potuto: al primo darà il nome di Alberto, suo padre, dando in qualche modo nuovamente vita al suo uomo più amato. Si sentirà una madre a volte scomoda, intrappolata nella propria memoria - incapace di dare voce ai traumi subiti, per moltissimo tempo messi a tacere dentro di sé.

Spesso mi diceva anche: «Il tuo sguardo a volte è terribile, perché tu guardi oltre le cose. Io so a cosa stai pensando in quei momenti. Invece devi stare qui! Sei qui».

A lungo Liliana Segre non ha raccontato nulla della deportazione e del campo di concentramento; poi ha trovato la forza per farlo, ne ha sentito la necessità e lo ha fatto dapprima nel collegio cattolico dove aveva studiato da ragazzina (e dove le era stato richiesto il battesimo) e poi nelle scuole, nei teatri, e oggi addirittura in Parlamento -qui trovate il più recente dei suoi discorsi.
La sua testimonianza è naturalmente anche in questo libro, in questa preziosa autobiografia: dove emerge una Liliana che davvero non mi aspettavo. La donna elegante che tante volte avevo ascoltato parlare con lucida determinazione in questi capitoli è una donna spietata, mai indulgente nemmeno con se stessa; una donna che non ha perdonato nemmeno quelli che ha considerato i propri errori e che mi ha quasi spaventata per la sua durezza.
Ero una formica in un formicaio, ma senza neanche una briciola di pane da trasportare. Anche fra i prigionieri sono sempre stata un paria. Non avevo alcuna qualità utile: non ero furba e parlavo solo in italiano. Mi sarebbe potuta succedere qualunque cosa.

Il suo punto di vista è lontano da ogni retorica, da ogni banalità: non ci consente di adagiarci sui luoghi comuni, di rifugiarci in qualche lieto fine da cartolina, o in un ottimismo che di realistico avrebbe ben poco. 
Troppe volte, in nome di una bella finzione, si è banalizzato l’Olocausto. Il sopravvissuto è diventato un cliché in molti dei romanzi che mi capita di leggere: c’è sempre un giovane protagonista con un saggio nonno che si è salvato dai campi di sterminio. O magari il nostro eroe ha nel passato qualche parente vittima delle SS. La Shoah è stata ridotta a un argomento di moda, e questo è orribile. 
Proprio questo, la sua voce narrante inconfondibile, tutt'altro che rassicurante, rende "La memoria rende liberi" un testo impossibile da dimenticare: un libro che sconvolge, che disturba e che fa male, e che ricorda quanto sia fondamentale ogni giorno non essere indifferenti, ricordare l'orrore che è stato e non ripeterlo

lunedì 6 aprile 2020

Il treno dei bambini

Qualche anno fa ho visto uno tra i più interessanti documentari che siano mai capitati sul mio cammino: "Pasta nera", di Alessandro Piva. Racconta un episodio poco noto della storia del dopoguerra italiano, ovvero il progetto organizzato dall'Unione Donne Italiane del Partito Comunista che consentì a migliaia di bambini del Meridione di essere ospitati presso famiglie dell'Emilia Romagna in segno di solidarietà verso le loro famiglie, in gravissima difficoltà economica.
Viola Ardone, autrice napoletana che ne aveva sentito parlare dalle sue nonne, dà voce a questa pagina di storia nel suo romanzo, che proprio a Napoli ha inizio.




Titolo: Il treno dei bambini
Autrice: Viola Ardone
Anno della prima edizione: 2019
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 226




LA STORIA

Amerigo Speranza ha sette anni e vive nei bassi di Napoli insieme alla sua burbera mamma Antonietta. Raccoglie gli stracci per strada per farli rammendare alla madre e poterci guadagnare un paio di lire, finché il Partito Comunista (sul quale circolano leggende poco incoraggianti) propone ad Antonietta di lasciare che Amerigo prenda un treno per l'Emilia Romagna: qui sarà ospitato da una famiglia dove almeno per un po' potrà fare una vita migliore. E parte, Amerigo, prende il treno che lo porterà a Modena, ospite della famiglia Benvenuti: un'esperienza che lo cambierà profondamente, trasformando il suo rapporto con Napoli e soprattutto con la donna che gli ha dato la vita.



COSA NE PENSO

Il romanzo di Viola Ardone ha il grande pregio di dare voce ad un personaggio credibile: Amerigo è vero -anche se inventato- sin dalle prime pagine, in cui la sua lingua è ricca di termini ed inflessioni dialettali, molto diversa da quella con cui ci racconterà la sua vita adulta nel 1994, nella seconda parte del romanzo.
Mentre Amerigo è inventato, non si può dire lo stesso di Derna o di Maddalena, ispirate a due donne realmente esistite, sindacalista la prima, partigiana la seconda, comuniste entrambe; perché la forza maggiore del romanzo di Viola Ardone è senza dubbio quello di mescolare la Storia italiana ad un racconto di fantasia

Quello di Viola Ardone è un romanzo pieno di stupore e di meraviglia, mentre scopriamo il mondo -anzi un mondo nuovo- attraverso gli occhi di Amerigo, narratore in prima persona: che prima scopre la nebbia, poi la neve, infine il mare, in una località del modenese dove ci sono un buio e un silenzio che nei vicoli di Napoli non ha mai incontrato fino ad allora.
Fumano assai, qua sopra! Non si riesce manco a vedere la strada. – Non è fumo, è nebbia, – dice lei. – Ti spaventa? – No. Mi piace che le cose prima sono nascoste e poi spuntano fuori a sorpresa. – Questa è la casa di mia cugina Rosa. Quando è bel tempo si vede anche dalla tua finestra, ma con la nebbia scompare. – Pure a me piacerebbe scomparire, qualche volta, ma noi nel Meridione la nebbia non ce l’abbiamo ancora.

E se è uno shock culturale quella emigrazione verso nord, sarà uno shock uguale e contrario quella del ritorno ad un mondo di privazioni, dove le scarpe le hanno in pochi e se le hanno sono sempre troppo strette o troppo consumate, dove una tavola imbandita è uno spettacolo impensabile e non ci si può permettere di suonare il violino o studiare la matematica.
Perché piangi? – dice. – Ti manca mammà? Io nascondo le lacrime ma mi tengo le carezze. – No no, quando mai, non piango per mia mamma, – dico. – Sono le scarpe. Sono le scarpe strette. – E perché non te le togli ora che è notte, cosí stai piú comodo? Il viaggio è assai lungo. – Signurí, grazie, ma tengo paura che se le fottono e devo andare un’altra volta scalzo o con le scarpe di qualcun altro. E io, con le scarpe degli altri, non ci voglio andare piú.

Se Amerigo intenerisce da bambino, e fa riflettere sul concetto di appartenenza una volta adulto, spiccano tra le pagine de "Il treno dei bambini" due personaggi femminili che sono protagoniste insieme a lui: Derna e Antonietta, le sue due madri.
Antonietta è la madre che lo ha partorito, a cui la vita non ha mai dato carezze e che quindi non ha mai imparato a darne; ha perso il figlio primogenito a causa di una malattia, ha cresciuto Amerigo da sola, nel mito di un padre partito per l'America in cerca di fortuna -che non corrisponde a verità. Antonietta è una donna coriacea, non per sua scelta, il cui profondo amore per il figlio si manifesta in modi difficili da percepire per un bambino -e talvolta facendo prevalere l'egoismo al bene stesso di lui. Antonietta non resta però immutata per tutto l'arco del romanzo, e questo è un aspetto che ho particolarmente apprezzato: Viola Ardone le concede un riscatto letterario, e se è dagli occhi di Amerigo che la conosciamo come scorbutica e incomprensibile sarà dagli occhi del nipote che impareremo a perdonarla.

Derna è l'altra faccia della maternità: una donna che ha sofferto, perdendo il proprio amore nella lotta partigiana, e che apre la sua casa ad Amerigo per una vera e propria coincidenza. Da allora sarà la prima a fargli conoscere la tenerezza, l'accettazione, e ad inserirlo con l'aiuto della cugina Rosa e del cognato Alcide in quella che diventa a tutti gli effetti la sua famiglia allargata -mentre a Napoli la vita continua a scorrere, in sua assenza.
Non so perché, ma all’improvviso non riesco piú a nasconderlo, e glielo confesso. – Sono io il ladro della mortadella. Rosa mi carezza la fronte, mi passa le dita sugli occhi, come per togliere le lacrime. – Non ci sono ladri in casa nostra –. Mi prende per mano e mi riporta dentro.  


"Il treno dei bambini" è un romanzo di andate e di ritorni, di infanzia e di maturazione. È un romanzo che fa sorridere, perché lo stupore dei bambini intenerisce e i loro gesti di generosità allargano il cuore per quanto sono puri; ma è anche un romanzo che commuove e racconta la difficoltà di chi non sa quale sia la sua casa, di quale sia il suo posto nel mondo, ed ha bisogno di decenni interi per capirlo.
Guardo l’orizzonte e vedo che da qualche parte il cielo già schiarisce. Non mi è mai piaciuta l’alba: sa di notti in bianco, di sogni agitati, di emergenze, di aerei da prendere troppo presto per raggiungere una città straniera. Per me ogni città è straniera. 

Viola Ardone ha creato ne "Il treno dei bambini" un piccolo gioiello, uno di quei romanzi forse non molto letterari -il suo stile è semplice, privo di fronzoli, parla onestamente con il lettore- che però viene voglia di consigliare, di rileggere, di portare con sé. Per quanto mi riguarda è stata una vera scoperta, che non posso fare altro che suggerire anche a voi!