Dei romanzi scritti per il progetto Hogarth avevo già letto, qualche tempo fa, “Il ragazzo nuovo” di Tracy Chevalier. L’autrice si era dedicata a una riscrittura dell’Otello, e non posso dire che il risultato mi avesse entusiasmata, forse per il carattere adolescenziale dato alla narrazione.
Ho scelto però di proseguire nella lettura di opere appartenenti al progetto e per andare quasi sul sicuro ho scelto il romanzo di McEwan, che si è cimentato in una rivisitazione dell’Amleto. Difficile infatti che McEwan mi possa deludere: ho letto molto dell’autore (sul blog trovate già la recensione di Chesil Beach) e finora tutti i suoi romanzi mi hanno soddisfatta. Questo non ha fatto eccezione!
Ho scelto però di proseguire nella lettura di opere appartenenti al progetto e per andare quasi sul sicuro ho scelto il romanzo di McEwan, che si è cimentato in una rivisitazione dell’Amleto. Difficile infatti che McEwan mi possa deludere: ho letto molto dell’autore (sul blog trovate già la recensione di Chesil Beach) e finora tutti i suoi romanzi mi hanno soddisfatta. Questo non ha fatto eccezione!
Autore: Ian McEwan
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: Nutshell
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Susanna Basso
Pagine: 184
LA STORIA
La voce narrante in prima persona di questo romanzo è un feto. Nell’utero di sua madre Trudy assiste, impotente, a ciò che la sua genitrice ed il di lei cognato Claude stanno architettando: l’omicidio di suo padre, che sarà avvelenato con dell’antigelo mescolato ad un frullato.
Giorno dopo giorno il piccolo protagonista senza nome, del quale sappiamo soltanto che è un maschio e che nessuno pare desiderarlo particolarmente -né la madre troppo dedita all’alcool e al sesso, né tantomeno lo zio che ignora del tutto il suo prossimo arrivo, e neanche il padre che è stato allontanato dalla propria stessa casa- osserva dal suo inedito punto di vista la relazione tra Trudy e il cognato, e dall’interno dell’utero attende l’inevitabile.
Giorno dopo giorno il piccolo protagonista senza nome, del quale sappiamo soltanto che è un maschio e che nessuno pare desiderarlo particolarmente -né la madre troppo dedita all’alcool e al sesso, né tantomeno lo zio che ignora del tutto il suo prossimo arrivo, e neanche il padre che è stato allontanato dalla propria stessa casa- osserva dal suo inedito punto di vista la relazione tra Trudy e il cognato, e dall’interno dell’utero attende l’inevitabile.
Mi piacerebbe pensare che il suo scopo là fuori sia quello di favorire la formazione di vitamina D per la mia crescita ossea, che abbia abbassato la radio per contemplare meglio la mia esistenza e che la mano che mi accarezza il punto in cui è convinta si trovi la mia testa si possa intendere come una manifestazione d’affetto. Ma è possibile invece che si stia occupando dell’abbronzatura, che faccia troppo caldo per ascoltare alla radio un dramma storico sull’imperatore Moghul Alamgir e che le sue dita cerchino di lenire delicatamente il gonfiore scomodo di una gravidanza quasi a termine. Per farla breve, non sono sicuro del suo amore.
COSA NE PENSO
Il romanzo di McEwan prende l’avvio da una citazione dell’Amleto di Shakespeare: “Potrei anche essere confinato in un guscio di noce e sentirmi il re di uno spazio infinito – se non fosse la compagnia di brutti sogni”. Il guscio, qui, è un utero; il piccolo protagonista senza nome è in attesa di nascere, ed invece di spiare chi lo circonda come Amleto, è suo malgrado testimone della congiura ai danni del proprio padre. Un padre che è molto diverso dall'uomo duro, il combattente che era il padre di Amleto; qui siamo davanti ad un uomo tenero, un poeta.
Si trova allora a meditare vendetta -tema cardine della tragedia di Shakespeare, sebbene nel romanzo di McEwan il padre del protagonista non si trovi mai a domandargli di metterla in atto, per evidenti ragioni. Il piccolo eroe tragico, trascurato e non voluto, è dunque tormentato dai dubbi su quale sia la strategia migliore da mettere in atto, e dal dilemma amletico per eccellenza: essere o non essere, qui declinato piuttosto nell'accezione di: nascere o non nascere?
Lo stile con cui McEwan dà voce al suo protagonista è articolato, dal lessico ricco e ricercato, per nulla infantile: nonostante non sia ancora nato, conosce l’anatomia umana, la filosofia, tutto ciò che apprende dai podcast che la madre ascolta e per diretta conseguenza sente anche lui.
L’elemento di forza di questa storia è senz’altro il punto di vista, che almeno per quanto mi riguarda non avevo mai incontrato in un libro: il feto nell'utero ha una posizione privilegiata di osservatore sul mondo, uno sguardo neutro che spiazza il lettore. Dato questo aspetto fuso all’impeccabile scrittura di McEwan, mi sento di consigliare assolutamente questa lettura insolita, dai toni che si tingono di giallo in diversi passaggi e che farà venire voglia di rileggere l’Amleto per cogliere ulteriori somiglianze, forse sfuggite alla prima occhiata.
Si trova allora a meditare vendetta -tema cardine della tragedia di Shakespeare, sebbene nel romanzo di McEwan il padre del protagonista non si trovi mai a domandargli di metterla in atto, per evidenti ragioni. Il piccolo eroe tragico, trascurato e non voluto, è dunque tormentato dai dubbi su quale sia la strategia migliore da mettere in atto, e dal dilemma amletico per eccellenza: essere o non essere, qui declinato piuttosto nell'accezione di: nascere o non nascere?
Vendetta: l’impulso è istintivo, potente… perdonabile. Nessuno che sia stato oltraggiato, ingannato, mutilato può resistere alla tentazione di covare vendetta.
Lo stile con cui McEwan dà voce al suo protagonista è articolato, dal lessico ricco e ricercato, per nulla infantile: nonostante non sia ancora nato, conosce l’anatomia umana, la filosofia, tutto ciò che apprende dai podcast che la madre ascolta e per diretta conseguenza sente anche lui.
La rabbia di Trudy è oceanica, vasta e profonda, è la sua arma, la sua identità. Lo so dallo scorrere alterato del suo flusso sanguigno attraverso di me, nel disagio a livello di granulociti le cui cellule risultano sofferenti e compresse, nonché di piastrine danneggiate e rotte.
L’elemento di forza di questa storia è senz’altro il punto di vista, che almeno per quanto mi riguarda non avevo mai incontrato in un libro: il feto nell'utero ha una posizione privilegiata di osservatore sul mondo, uno sguardo neutro che spiazza il lettore. Dato questo aspetto fuso all’impeccabile scrittura di McEwan, mi sento di consigliare assolutamente questa lettura insolita, dai toni che si tingono di giallo in diversi passaggi e che farà venire voglia di rileggere l’Amleto per cogliere ulteriori somiglianze, forse sfuggite alla prima occhiata.
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