giovedì 11 gennaio 2018

L'ibisco viola

Dell’autrice del romanzo in oggetto avevo già letto qualcosa. Si trattava però di un breve saggio, trascrizione del suo discorso alla conferenza TED, “Dovremmo essere tutti femministi”. Per quanto trattasse di un tema che mi è molto caro, lo avevo trovato un po’ troppo semplicistico (ve ne ho parlato qui); ho apprezzato decisamente di più questa nuova lettura.
 



Titolo: L'ibisco viola
Autrice: Chimamanda Ngozi Adichie
Anno della prima edizione: 2003
Titolo originale: Purple Hibiscus
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 275


 
Kambili e Jaja sono due adolescenti nigeriani, figli di Eugene, proprietario di una testata giornalistica, fervente cattolico, molto rispettato dalla comunità e decisamente benestante. Hanno a loro disposizione una grande casa, una domestica, la migliore istruzione privata; parlano l’inglese invece dell’igbo anche con i propri genitori, e sembrano due ragazzi invidiabili nel panorama di una Nigeria impoverita e minacciata dalle conseguenze di un colpo di stato.
Tuttavia non è affatto rose e fiori la vita di Kambili, Jaja e la loro madre: il padre che sembra tanto perfetto in apparenza è dentro le mura domestiche un vero e proprio padre padrone, che picchia la propria moglie procurandole ripetuti aborti, che mantiene la disciplina con il terrore e sadiche punizioni corporali, che ritiene il proprio stesso padre un eretico perché fedele alla religione tradizionale.
Così Kambili e Jaja sono due ragazzi silenziosi, fin troppo timidi. Il cambiamento arriva per loro attraverso la zia Ifeoma, donna coraggiosa ed intraprendente, vedova e madre di tre figli; i suoi ragazzi ridono, parlano a voce alta, si autodeterminano in un modo che Jaja e Kambili non avrebbero potuto immaginare prima di trascorrere con loro del tempo. La formazione della loro vera personalità avviene in questo incontro: i due fratelli scoprono se stessi, Jaja impara a far crescere l’ibisco viola, ad essere un uomo, Kambili si innamora di un pastore locale e scopre la propria femminilità, le proprie emozioni che sino ad allora aveva sempre soffocato.
Sullo sfondo però la situazione in Nigeria non fa che peggiorare, la redazione di Eugene viene attaccato anche attraverso l’omicidio dei suoi giornalisti, la benzina non si trova più, zia Ifeoma fa domanda per un visto per gli Stati Uniti dopo aver perso il suo impiego all’università… e un’altra donna, la madre di Jaja e Kambili, capisce che è giunto il momento di ribellarsi alle costanti violenze subite.


Un romanzo di formazione che ha per sfondo le tensioni di un Paese in grande sofferenza, dove la corruzione dilaga, dove la popolazione soffre; le religioni e le lingue sono influenzate dal periodo coloniale, l’inglese si mischia all’igbo, il cattolicesimo ai riti pagani. Jaja e Kambili sono due protagonisti per cui si prova grande tenerezza, per cui si parteggia, mentre Eugene è temibile, opprimente, spaventoso nella sua doppiezza. La zia Ifeoma è uno splendido personaggio femminile, che incarna l’immagine ideale della donna padrona di se stessa, lavoratrice, madre, che trova anche le risorse per occuparsi dell’anziano padre e dei nipoti a cui offre l’unica vera opportunità di una vita migliore, di una ribellione alla loro violenta figura paterna.
I personaggi e la loro eccellente caratterizzazione è l’aspetto che ho apprezzato di più questo romanzo, oltre all’intreccio tra le loro singole storie e la più grande storia dello stato africano. L’unico elemento che non mi ha completamente soddisfatta è stata la conclusione, forse un po’ affrettata (speravo di saperne di più delle vite di Kambili e di Jaja dopo la svolta avvenuta a poche pagine dalla fine). Nel complesso però è stata un’ottima lettura e mi ha convinta a continuare con i romanzi dell’autrice -il prossimo sarà, in ordine cronologico, “Metà di un sole giallo”.

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