lunedì 11 novembre 2019

Canta, spirito, canta

Jesmyn Ward è un'autrice pluripremiata: unica donna ad aver vinto per due volte il National Book Award, racconta gli Stati Uniti del Sud (in particolare il Mississippi di cui è originaria), l'uragano Katrina e le sue conseguenze; i suoi protagonisti sono afroamericani che non se la passano troppo bene. Quella ambientata a Bois Savage è una trilogia che inizia con "Salvare le ossa", romanzo molto crudo che ho letto e apprezzato nel 2018 -ne trovate qui la recensione.



Titolo: Canta, spirito, canta
Autrice: Jesmyn Ward
Anno della prima edizione: 2017
Titolo originale: Sing, Unburied, Sing
Traduttrice: Monica Pareschi
Casa editrice: NN Editore
Pagine: 266



LA STORIA

Jojo ha tredici anni. I suoi punti di riferimento sono i suoi nonni materni, Mam e Pop; lei sta morendo, divorata dal cancro, mentre lui è l'unico a poter dare un esempio da seguire al nipote. Leonie, la madre di Jojo, infatti ha problemi di droga e di dipendenza affettiva da Michael, padre di Jojo e della piccola Kayla -che nel fratello maggiore e nei nonni trova il suo universo.
All'inizio del romanzo Michael sta per uscire dal carcere; Leonie carica allora in auto Jojo e Kayla per un rocambolesco viaggio dove emergono i problemi del presente, ma anche i fantasmi del passato.

Illustrazione di Tomer Hanuka
COSA NE PENSO

La scrittura di Jesmyn Ward è potente; l'autrice delinea personaggi che spezzano il cuore, Esch in "Salvare le ossa" lo era stata ma il protagonista di questo romanzo lo è ancora di più: impossibile non provare tenerezza per Jojo, padre bambino della sua sorellina, figlio trascurato da una madre troppo giovane ed instabile, profondamente amato dal nonno Pop che vorrebbe poterlo difendere da tutto.
Mi racconta le storie. Le storie di quando mangiavano le radici di tifa che il loro papà andava a raccogliere dalla palude. Le storie di quando sua mamma e la sua famiglia usavano il muschio spagnolo per i materassi. A volte mi racconta la stessa storia anche tre o quattro volte. Quando racconta, la sua voce è come una mano tesa che mi accarezza la schiena, e posso schivare la paura di non riuscire mai a stare a testa alta come lui, a essere sicuro di me come Pop lo è di se stesso.
Jojo è sensibile, talmente sensibile che i capitoli raccontati dalla sua voce sono toccanti e dolorosi, mentre confesso di aver provato un certo fastidio leggendo il punto di vista di Leonie, egoista, incapace di crescere ed assumersi le proprie responsabilità di madre -anche se proprio questo la rende un personaggio credibile e ben costruito.
"Sono stufa di questa merda" dico io. Non so perché lo dico. Forse perché sono stufa di guidare, stufa della strada che si allunga davanti a me all'infinita, con Michael sempre all'estremità opposta, non importa quanti chilometri faccio, quanto mi spingo lontano. [...] Forse perché vorrei che venisse a rannicchiarsi contro di me, che si facesse proteggere da me invece che da suo fratello. Forse perché Jojo nemmeno mi guarda, tutta la sua attenzione è per il corpo che ha tra le braccia, quel piccolo essere che sta cercando di consolare, mentre la mia è altrove. Il mio amore materno: incostante, come sempre.
La terza voce narrante è poi quella di Richie, che insieme a River (il fratello defunto di Leonie) è l'elemento di rivoluzione nel nuovo volume della trilogia di Bois Savage: mentre "Salvare le ossa" è un romanzo intriso di verità, con l'incombente uragano Katrina e la concretezza della terra, dell'acqua e del sangue, qui ritroviamo gli stessi elementi mescolati con una particolare percezione dei personaggi che li mette in comunicazione con gli spiriti di chi non c'è più, in un realismo magico che mi ha ricordato molto "Amatissima" di Toni Morrison.
Abbraccio Pop come abbraccio Kayla. Lui affonda la testa tra le ginocchia, gli trema la schiena. Rimaniamo chini l'uno sull'altro, mentre Richie diventa sempre più scuro, finché non è che un buco nero in mezzo al prato, come se avesse assorbito tutta la luce e tutto il buio di quei chilometri, di quegli anni, finché non è altro che nero combusto, e poi non è più. Al suo posto c'è un'aria soave e sole giallo e polline portato dal vento, e io e Pop abbracciati nell'erba. Tra i brontolii, gli sbuffi, i guaiti, gli animali si stanno calmando. Grazie, dicono. Grazie grazie grazie, cantano. 
Come nel capolavoro dell'autrice premio Nobel, c'è anche in "Canta, spirito, canta" il passato di soprusi a cui i neri sono stati sottoposti negli Stati Uniti, in particolare negli stati del Sud; c'è la violenza dei bianchi che non fa distinzioni tra adulti e bambini quando la loro pelle è del colore sbagliato, e spinge a commettere azioni che non si sapranno mai perdonare a se stessi.
Rispetto a "Salvare le ossa", questo secondo volume della trilogia potrà piacere ad un pubblico più ampio: rispetto a Esch, Skeetah e gli altri (che qui appaiono, per un attimo, strizzando l'occhio a chi ha già letto Jesmyn Ward) è più immediato provare empatia per Jojo, affezionarsi a Mam e Pop, sentirsi parte della loro famiglia.
"Mi odia" dico. "No, ti vuole bene. Solo non sa dimostrarlo. E il suo amore per se stessa e il suo amore per Michael... be', è ingombrante. La confonde". [...] Mam mi guarda dritto in faccia."Tu non avrai mai quel problema".
Confesso di aver preferito "Canta, spirito, canta" anche perché l'ho trovato, seppure intenso ed emotivamente impegnativo, meno disturbante; ne sono stata rapita senza provare la repulsione che avevo avvertito tra le pagine del volume precedente. 
Vi consiglio dunque questo titolo anche come romanzo singolo, dal momento che la continuità con il precedente non è necessaria, e le tematiche del secondo potrebbere esservi, come a me, più congeniali. 

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