lunedì 22 marzo 2021

Underground

Negli ultimi mesi ho acquistato in edicola diversi titoli di Murakami, autore che ho già apprezzato in passato e che mi piacerebbe approfondire. Non mi sono ancora approcciata alla sua produzione più onirica, e ho iniziato la lettura dal volume più realistico di tutti.


Titolo: Underground
Autore: Haruki Murakami
Anno della prima edizione: 1997
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Antonietta Pastore
Pagine: 512


Underground racconta l’attentato alla metropolitana di Tokyo avvenuto il 20 marzo 1995: adepti del culto religioso Aum forarono con le punte dei loro ombrelli sacche di gas sarin poste in vagoni di diversi treni della metropolitana. L’attentato fece otto vittime e quasi trecento feriti, e otto dei responsabili furono condannati a morte. 

L’autore costruisce questo libro attraverso interviste, divise in due parti: alle vittime dell’attentato o ai loro familiari nella prima, a membri di Aum nella seconda. Indaga quindi sia gli effetti del tragico evento sulla popolazione che ne è stata colpita, sia la percezione che ne hanno avuto coloro che erano interni al culto e la loro reazione quando il mondo a cui avevano scelto di appartenere si è reso responsabile di una simile atrocità.

Meritano la pena di morte, è ovvio. C’è chi ne chiede l’abolizione, ma per chi ha fatto una cosa del genere, non ci può essere pietà. Se ho preso quelle due sacche con il sarin, è solo perché mi sono trovato lí in quel momento. Se non ci fossi stato io, le avrebbe prese qualcun altro. Bisogna assumersi le responsabilità che comporta il proprio lavoro. Non si può far finta di non vedere.

Underground ha l’innegabile punto di interesse di dare un ritratto del Giappone degli anni ‘90 vivido e interessante. Vi ritroviamo una dedizione al lavoro incredibile, uno spirito di sacrificio e un’autodisciplina che colpiscono immediatamente: ore di pendolarismo per recarsi al lavoro, anticipo invece di puntualità, ore e ore di straordinari, weekend passati a dormire per riprendersi dalla fatica. Dalle interviste traspare come tutto ciò sia concepito come normalità, ma è difficile non percepirlo come alienazione ed estremismo capitalista. Gli unici ad averlo percepito sembrano coloro che hanno scelto di rinunciare al sistema e alle cose terrene, per entrare in Aum.

Ho un sacco di lavoro, me ne dànno una quantità tale, tutto a me, che fra un po’ scoppio. Ho protestato diverse volte con i superiori, ma loro fanno finta di nulla. Certi giorni lavoro dodici o tredici ore, nel nostro ramo è normale. Naturalmente mi faccio pagare gli straordinari, ma non devo esagerare se no dall’alto piovono critiche. Però se non lo facessi mi farebbero sgobbare senza sosta, la situazione diventerebbe insopportabile.

I protagonisti della prima e della seconda parte di interviste non sono poi così diversi: entrambi sono disposti ad impegnarsi completamente nel proprio lavoro, che sia esso per un’azienda o per un’organizzazione religiosa. Differenti sono le domande a cui cercano di rispondere con le loro azioni -e forse chi si è posto più domande sono gli intervistati della seconda parte, anche se le conclusioni a cui sono arrivati non sembrano condivisibili.

Se ritenessero di aver sprecato gli anni passati nella comunità, dopo aver rinunciato al mondo e preso i voti. Tutte, senza eccezione, hanno risposto: «No, non mi pento. Non sono stati anni buttati via». Perché? La risposta è semplice. Perché in Aum c’era una purezza di valori che nella società non avevano potuto trovare. Anche se tale purezza alla fine ha portato a una sorta di incubo, il ricordo caldo e luminoso della sua luce resta vivo in loro, e non possono sostituirlo con nulla. 

Underground è un testo che mette in discussione molto della società giapponese, dal sistema educativo a quello lavorativo, sebbene non lo faccia molto apertamente. Di certo la competizione e l’ansia da prestazione hanno un peso nello spingere le persone ad affiliarsi a culti che li allontanino dal quotidiano, percepito come privo di senso. Anche la capacità del governo di gestire le emergenze viene apertamente messa in discussione da diversi intervistati, che hanno sempre ritenuto il proprio un Paese nel quale sentirsi al sicuro e si sono trovati smarriti davanti all'incapacità di far fronte ad un evento drammatico di grande portata.

Quando succede qualche calamità, le reazioni immediate, sul posto, sono molto rapide, ma l’organizzazione a livello globale è disastrosa. In Giappone non esiste nessuna struttura in grado di intervenire in maniera efficace e veloce in caso di sciagure di questa entità. Non c’è una chiara linea di comando. È stata la stessa cosa per il terremoto di Kōbe.

Underground è una lettura interessante, anche se da un momento in poi ho iniziato a percepirlo come un po’ ripetitivo -il che è dovuto alla sua struttura, più che al suo contenuto. Si tratta di una lettura che consiglierei agli appassionati del Giappone, e agli amanti delle raccolte di testimonianze: non aspettatevi un romanzo avvincente o una narrazione sorprendente. Underground è un racconto ordinato e pulito, accompagnato dalle osservazioni di Murakami sulle parole che ascolta, nelle quali tuttavia non si intromette affatto -anche se nelle interviste della seconda parte e nelle domande che pone ai suoi interlocutori traspare più volte in modo chiaro quale fosse la sua opinione in proposito.

In conclusione ho apprezzato la lettura di Underground perché sento di aver imparato qualcosa sulla cultura giapponese, che per esperienza diretta conosco assai poco; ed ogni volta che sento di aver imparato qualcosa da un libro sono sempre molto contenta di aver deciso di leggerlo.

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