lunedì 2 luglio 2018

Dal tuo terrazzo si vede casa mia

Una delle prime raccolte di racconti a cui mi avvicino negli ultimi anni ha fatto parte della dozzina di candidati al Premio Strega 2018. La mia curiosità è stata suscitata principalmente dal mio interesse per gli autori migranti che scrivono in italiano -qui vi avevo già parlato di Elvira Dones e del suo romanzo "La vergine giurata". In comune con la Dones, Malaj ha la provenienza dall'Albania (dalla quale è immigrato in Italia all'età di quindici anni) e la presenza costante delle proprie origini in ciò che scrive; qui un'interessante intervista, a mio parere necessaria per comprendere l'influenza del passato sull'opera di cui stiamo per parlare.
Questa raccolta di racconti è il suo esordio.




Titolo: Dal tuo terrazzo si vede casa mia
Autore: Elvis Malaj
Anno della prima edizione: 2017
Casa editrice: Racconti edizioni
Pagine: 164




I protagonisti di questi dodici racconti sono spesso giovani uomini di origine albanese che si trovano a vivere in una città del Nord Italia: in questo caso l'elemento autobiografico è palese. C'è chi si rifiuta di credere al razzismo che lo circonda ("Vorrei essere albanese"), chi si integra senza difficoltà finché uno scherzo manesco di un compagno di classe non risveglia traumi sopiti nella coscienza ("La nuova classe"), chi invece discute di filosofia e letteratura su un autobus ("Il lupo della steppa").

Saranno stati dieci anni fa, quando andavo ancora a scuola ed ero appena arrivato in Italia, quando ero quello diverso, quello spaesato che non parlava bene l'italiano e usava la parola "cazzo" per esprimere tutti gli stati emotivi. Quando ero quello che cercava di adattarsi e faceva finta di capire anche quando non capiva, e rideva alle battute anche quando non c'era niente da ridere. Ero veramente irritante. [da "Vorrei essere albanese"]

La lingua dell'autore è colorita, vivace, fa largo uso di parolacce e di parole o intere frasi in lingua albanese. Nei dodici racconti trova moltissimo spazio la fisicità dei personaggi, la loro sessualità, talvolta al limite della volgarità. A tempo stesso però Malaj cita Alda Merini, Dostoevskij, Herman Hesse; riesce a mettere al centro di un racconto ("Il televisore") una vecchia TV a tubo catodico abbandonata davanti ad un cassonetto che diventa il pretesto per mettere in luce il comportamento di immigrati di provenienza diversa davanti ad un oggetto buttato via, e non manca la poesia in questo.
Bashkim si avvicinò; era un modello vecchio, di quelli con lo schermo bombato, senza telecomando e con le manopole al posto dei tasti. "Ma se l'hanno buttato come fa a essere buono?" chiese Bashkim. "Non è detto che è rotto, può essere che l'hanno buttato perché ne hanno comprato un altro. Fanno così gli italiani, non sono come noi che prima telefoniamo a tutti i parenti, ai conoscenti, ai conoscenti dei parenti, per vedere se qualcuno lo vuole. Gli italiani lo buttano e basta." "Ma non hai detto che erano rumeni?" [da "Il televisore"]

Le donne in questi racconti sono meno riuscite dei protagonisti maschili, va detto. Sono spesso ragazze volubili, pronte ad allontanare il proprio fidanzato per motivi futili, restano personaggi piuttosto superficiali, privi di un'identità significativa -ciò vale per la protagonista di "La vergine Maria", per Maddalena ne "Il televisore", per Selvi ne "L'incidente", Mrika nel racconto omonimo. Anche i due personaggi femminili che rivestono ruoli più rilevanti (Silvia nel racconto "A pritni miq?" e Veronica in "Morte di un personaggio") non sono riusciti a comunicarmi granché.

In Albania l'autore ambienta "Scarpe" (che al suo Paese è anche dedicato) e "La carriola". Entrambi descrivono un lato piuttosto povero della nazione, protagonisti smarriti nelle proprie esistenze; nel primo caso un uomo dedito al tradire la moglie, sperperare il proprio denaro in scommesse e perdere la pazienza, nel secondo un bambino che non parla più dopo la morte della madre e desidera i giocattoli altrui. Da questi due racconti ho ricavato un senso di incompiutezza, come se non fossi riuscita a comprendere appieno cosa avrebbero voluto comunicare.



Diversi sono, ad essere sincera, i racconti che mi sono sembrati piuttosto vuoti, privi di un contenuto convincente e di uno sviluppo che potesse chiamarsi tale. I più eclatanti in tal senso mi sono parsi "La vergine Maria", "L'incidente", "L'uomo con la cravatta con un motivo a fiori" e "Mrika".
I miei preferiti della raccolta sono stati invece senza dubbio "Il televisore", nel quale ho trovato una grande capacità di raccontare la società contemporanea prendendo spunto da un elemento concreto e quotidiano come un rifiuto, poi "A pritni miq?" e "Morte di un personaggio".
Al centro di "A pritni miq?" (il cui titolo è una frase della lingua albanese con la quale si domanda ospitalità ad un connazionale) c'è una storia d'amore randagia come quelle che piacciono a me: una ragazza italiana che abbandona la propria vita tranquilla e la propria famiglia per seguire il suo innamorato albanese senza soldi, senza documenti, senza lavoro e senza una casa. Avrei preferito una conclusione un po' meno carnale, ma l'ho comunque apprezzato molto.
I suoi avevano cercato di convincerla: che futuro poteva darle? Era ignorante, bugiardo, scansafatiche e approfittatore. Non avrebbe combinato niente nella vita, era interessato a lei solo per i soldi. Altro che amore. Per dimostrarglielo, il padre l'aveva chiamato nel suo studio. Aveva lasciato la porta socchiusa così che Silvia potesse sentire. Non aveva sprecato tempo in chiacchiere, aveva poggiato sul tavolo una busta piena di soldi e aveva chiesto ad Agron di sparire per sempre. Senza rispondere Agron aveva contato i soldi -cinquemila euro-, s'era intascato la busta e si era alzato per andarsene. Quando aveva aperto la porta si era trovato davanti gli occhi tristi di Silvia, le aveva dato un bacio sulla bocca e se n'era andato. Qualche giorno dopo era tornato a prendersela. Era il 9 maggio di, esattamente, dodici anni prima. Era cominciata così. [da "A pritni miq?"]

"Morte di un personaggio" invece ha per protagonista Kastriot, un giovane scrittore albanese il cui percorso di studi è identico a quello dell'autore; un pomeriggio d'estate trova ispirazione nei fiori secchi sul balcone della vicina (da quel balcone prende il titolo la raccolta di racconti) che la madre lo spedisce ad innaffiare, nonostante per questo sia necessaria un'effrazione. Nell'appartamento incontra Veronica, la figlia della donna che di solito vi abita, e tra i due inizia una bizzarra amicizia che incide sulle vicende del personaggio al centro della produzione di Kastriot, che era previsto morisse ma sovvertirà numerose volte i pronostici. 
Dall'apparecchio si sentiva un bisbiglio stizzito, poi si spense anche quello. Veronica era rimasta muta. "Ma che cavolo dici?" chiese. Nei momenti di panico a Kastriot venivano in mente le poesie. Veronica si muoveva a casaccio nel salotto rivolgendo domande a qualcuno che non era Kastriot. "Questo dovrebbe convincermi a non chiamare la polizia?... non capisco." Si fermò. "Be', sono belle le poesie" rispose Kastriot. "E poi ha funzionato, no?" "Guarda, penso che se sei così scemo da metterti a recitare una poesia per convincermi a non denunciarti sarai di certo così scemo anche da commettere un reato per innaffiare dei fiori." [da "Morte di un personaggio"]

Nel complesso trovo molto difficile valutare una raccolta di racconti, genere al quale come scrivevo sopra non sono affatto abituata -ma che è stato molto più agevole da leggere di quanto mi aspettassi, ed è riuscito a coinvolgermi nonostante la brevità delle storie narrate, quindi credo che d'ora in poi mi avvicinerò a questo tipo di letteratura con un atteggiamento più fiducioso.
Basando il mio giudizio sui racconti che ho preferito, credo che Malaj sia un autore promettente, ricco di idee e di elementi che, essendo questo il suo libro d'esordio, potrà di certo sviluppare in futuro. È mia intenzione tenerlo d'occhio!

Nessun commento:

Posta un commento