mercoledì 30 marzo 2022

Il predicatore

Secondo volume delle indagini create da Camilla Läckberg ambientate nella cittadina svedese di Fjällbacka, "Il predicatore" è un giallo che ho trovato riuscito quanto "La principessa di ghiaccio" se non di più.


Titolo: Il predicatore
Autrice: Camilla Läckberg
Anno della prima edizione: 2004
Titolo originale: Predikanten
Casa editrice: Marsilio
Traduttrice: Laura Cangemi
Pagine: 462


Il caso ruota questa volta intorno ad una famiglia, il cui patriarca Ephraim è stato un noto predicatore, famoso nella comunità per i poteri di guaritore che condivideva anche con i figli Gabriel e Johannes. Molto di irrisolto c’è in questa famiglia, dov’è stato il nipote Jacob a seguire in qualche modo le orme del nonno, fondando una comunità per adolescenti in difficoltà che amministra con un ruolo molto simile a quello del predicatore [proprio con il nonno ha avuto un fortissimo legame, poiché l’uomo ha avuto davvero il potere di guarirlo donandogli il midollo osseo quando Jacob era un bambino malato di leucemia].

La famiglia è stata inoltre colpita da drammi e dicerie quando, nel 1979, due ragazze scomparvero senza lasciare traccia [e della loro sparizione fu incolpato Johannes, che venne trovato però morto, presunto suicida. Dico presunto perché tutt’altro si scoprirà nel corso dell’indagine: sono passati più di trent’anni quando i corpi delle due ragazze vengono ritrovati insieme ad un nuovo cadavere, quello di una turista tedesca appena assassinata le cui ossa riportano le stesse fratture presenti sui corpi delle due ragazze orribilmente torturate prima della morte.].

L'orrore a Fjällbacka ritorna però nell’estate del 2003, quando una turista viene ritrovata morta, e un'altra ragazza scomparse senza lasciare traccia. Alla polizia non resta che investigare, e l’indagine li porterà a scavare in rapporti familiari colmi di segreti e di rancori [primo tra tutti la disparità economica in cui versano i due rami della famiglia: quello di Gabriel estremamente benestante e l’altro invece in grossa difficoltà, e porterà alla luce scomode verità, tra cui quello che Gabriel non è il padre di Jacob. È proprio quest’ultimo, come suo padre Johannes prima di lui, a cercare di riportare alla vita il dono di guaritore del nonno (che è stato in realtà solamente un impostore) e a causare così l’inutile morte di due giovani donne.)]

Per quanto riguarda i nostri personaggi ricorrenti troviamo insieme Erica e Patrick, in attesa del loro primo figlio, mentre Anna deve ancora lottare con la presenza del violento ex marito [dal quale non riesce proprio a liberarsi al punto che alla fine del romanzo scopriamo che è tornata a vivere con lui.]

Devo dire che ho sospettato del vero colpevole dei più recenti delitti sin dall’inizio della storia, e avrei potuto trovare dunque la soluzione del giallo un po’ scontata. Invece l’autrice è molto brava a tessere la tela delle sue trame lasciar insospettire i suoi lettori, portandoli poi fuoristrada fino a ricondurli alla verità senza mai creare un momento di noia. 

Ho apprezzato moltissimo anche l’elemento stilistico delle pagine in corsivo in cui viene data voce alle vittime, anche a quelle del passato, creando così un’alternanza temporale che immerge ancor di più nella storia che si sta leggendo. 

Come avrete capito questa saga si sta rivelando una lettura piacevole e capace di catturare la mia attenzione, e quindi di certo leggerò anche i volumi successivi!

Qual è l’ultimo giallo che avete letto?

giovedì 24 marzo 2022

Tutto per i bambini

Tutto per i bambini è una novità letteraria alla quale ho ceduto subito, come raramente mi capita, innanzitutto perché negli anni avevo già letto altri romanzi dell’autrice Delphine De Vigan e mi erano sempre piaciuti. 


Titolo: Tutto per i bambini
Autrice: Delphine De Vigan
Anno della prima edizione: 2021
Titolo originale: Les enfants sont rois
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Margherita Botto
Pagine: 296

Inoltre perché il tema raccontato in questo romanzo è di estrema attualità: si tratta infatti di un thriller piuttosto atipico, che ruota attorno alla scomparsa di una bambina di sei anni la cui madre (che ha sempre desiderato diventare famosa grazie ai reality show, ma non c’è mai riuscita) pubblica online ogni attimo delle vite dei suoi figli Sammy e Kimmy -quest’ultima è la piccola scomparsa. 

I due sono infatti i protagonisti di un seguitissimo canale YouTube e di un profilo Instagram, dove partecipano ad ogni sorta di challenge e attività consumistica, orchestrati dalla madre. Questa sovraesposizione mediatica è tutt’altro che fantasia, chiunque usi i social network lo sa bene, e così mentre seguiamo l’indagine sul sequestro di Kimmy ci troviamo a chiederci se sia per forza un male per la bambina essere allontanata da una simile pressione, messa in atto da chi dovrebbe più di tutti amarla e proteggerla...

Il romanzo alterna alla narrazione numerosi verbali della polizia parigina, e l'analisi dei contenuti postati sui vari social da parte della mamma di Kimmy, rendendo così il testo più convincente e concreto. È inoltre suddiviso in due parti: la prima dedicata appunto all’indagine e all’approfondimento delle attività online della famiglia, ed una seconda che si svolge 11 anni più tardi per mostrare le conseguenze che  l’utilizzo dei minori sui social network da parte dei familiari ha provocato. 

È un’opera di finzione, certo, ma basta poco per sentirla profondamente reale e pensare ai tanti bambini, figli di genitori più o meno celebri, i cui momenti più intimi sono ogni giorno condivisi con i followers dei genitori. "Tutto per i bambini" è quindi una lettura che fa riflettere, i cui punti di forza non sono la tensione, la suspense o l’indagine di polizia, bensì la pulizia nella scrittura e gli spunti che ci fornisce sulla realtà che ci circonda. 

Degna di nota è inoltre la dicotomia che si crea tra Melanie, la madre di Kimmy e Sammy, ossessionata dall’apparire e dal rimanere popolare per la sua community, e la poliziotta Claire che ha scelto di condurre tutt’altra vita. 

"Tutto per i bambini" è una lettura che vi consiglio perché, chi più chi meno, siamo tutti sui social network: per questo è sempre più necessario riflettere su cosa significhi utilizzarli in modo consapevole, come uno strumento e non come qualcosa che prende il controllo su di noi, e soprattutto è fondamentale riflettere sul diritto all'immagine dei minori che oggi, considerati un’estensione dei genitori, non hanno alcun controllo su ciò che di loro finisce in rete.

Conoscete questa autrice?
Che cosa ne pensate dei minori esposti sui social?

Per questo ho vissuto

Acquistato in edicola in occasione della giornata della memoria 2021, "Per questo ho vissuto" di Sami Modiano è rimasto nella mia libreria per oltre un anno prima che sentissi che era arrivato il momento di leggerlo.


Titolo: Per questo ho vissuto
Autore: Sami Modiano
Anno della prima edizione: 2013
Casa editrice: Rizzoli
Pagine: 206


È stata una lettura intensa e dolorosa, come è inevitabile quando si parla di sopravvissuti ai campi di concentramento, ma questo libro presenta anche delle particolarità per le quali sono stata davvero molto contenta di averlo letto: la deportazione di Sami infatti avviene dall’isola di Rodi, che nel 1944 era una colonia italiana, fatto del quale non sapevo nulla. Sull’isola viveva una numerosa e molto unita comunità ebraica, di cui la famiglia Modiano faceva parte, e che venne crudelmente espropriata di tutto ciò che aveva e poi imbarcata su battelli che servivano per il trasporto del bestiame in un’estenuante viaggio durato mesi alla volta di Auschwitz.

Qui Sami arriva insieme a suo padre e a sua sorella Lucia: hanno perso da tempo la mamma, a cui è stato risparmiato però un simile orrore. Sami è un ragazzino, non ha nemmeno raggiunto la maggiore età religiosa e il suo bar mitzva avverrà proprio nel campo, dove perderà ciò che gli resta della sua famiglia e dove gli uomini di Rodi verranno sterminati dalle terribili condizioni climatiche e di lavoro.

Quella di Modiano è una testimonianza estremamente preziosa. L’uomo racconta la sua vita, ma soprattutto racconta di come all’inizio degli anni 2000 in occasione del suo primo viaggio per tornare ad Auschwitz come accompagnatore e testimone si sia reso conto della ragione per la quale era sopravvissuto: la ragione che aveva cercato per tutti gli anni precedenti, ovvero portare la propria testimonianza di ciò che era stato costretto a vivere in modo che non fosse dimenticata o che si potesse sostenere che non fosse mai avvenuto. Da allora numerosi sono stati i viaggi compiuti da Modiano verso Auschwitz, ad accompagnare centinaia studenti delle scuole italiane. 

Italiano si è sempre sentito Modiano nonostante sia nato in quella che oggi è Grecia, e italiano ha scelto di essere al ritorno dal campo, dopo peripezie che lo hanno portato tra Roma e l’attuale Zaire. Anche il racconto della parentesi coloniale è di estremo interesse dal punto di vista storico, e nuovamente lo costringe ad un esilio quando il Congo belga ottiene l’indipendenza e si libera dallo strapotere coloniale, rifiutandosi di lasciare le ricchezze anche duramente conquistate ai bianchi che vi vivevano. 

Modiano non ha potuto studiare, è stato poco più di un bambino costretto a lavorare in tenerissima età. Dopo il lavoro forzato nel lager, ha lavorato per i russi che liberarono Auschwitz e poi da uomo libero per guadagnarsi giorno dopo giorno il pane da mangiare, un posto dove dormire. Non ha studiato e il suo linguaggio è semplice e diretto, a volte molto tenero come quando rievoca la propria infanzia felice sull’isola di Rodi, a volte straziante come quando rievoca gli incontri divisi dal filo spinato con l’amatissima sorella Lucia nel campo di concentramento. 

"Per questo ho vissuto" è la testimonianza di un uomo che ha avuto una vita intensa e travagliata, che non è soltanto un sopravvissuto ma anche un uomo che ha saputo vivere una vita piena, nel tentativo di dimenticare ciò che aveva subito, e poi ha ricucito il legame con il passato rielaborandolo, portandone la testimonianza al mondo. Per questo la lettura di questo testo è prezioso e mi sentirei di consigliarla anche ad un pubblico di lettori giovani, già dall’età alla quale Modiano è stato deportato. 

Ho scoperto che sulla vita di Sami sono stati inoltre realizzati due documentari: "Il viaggio più lungo" del 2013 e "Tutto davanti a questi occhi" del 2018, che ho intenzione di recuperare prossimamente.

Avete letto questo libro qual è una testimonianza che vi ha particolarmente toccati?

mercoledì 23 marzo 2022

Quaderni russi

Di Russia si parla molto in questi mesi: si parla di Ucraina, di Putin, dell’ex Unione Sovietica e mi sono accorta che nonostante qualche corso negli anni dell’università conosco ben poco della materia di discussione. Come sempre la lettura diventa per me anche il mezzo per imparare qualcosa di nuovo; non me la sentivo di iniziare con saggi o testi storici e così ho acquistato "Quaderni russi" di Igort.


Titolo: Quaderni russi
Autore: Igort
Anno della prima edizione:
Casa editrice: Oblomov
Pagine: 176

In questo fumetto l'autore, che ha viaggiato per oltre due anni negli stati che hanno fatto parte dell'URSS, ripercorre il coraggioso operato della giornalista Anna Politovskaja, assassinata per le sue inchieste sulla seconda guerra in Cecenia nell’ottobre del 2006. La ricostruzione avviene anche attraverso numerose testimonianze di chi ha vissuto il conflitto, da una parte e dall'altra: assistiamo alle brutalità, alle torture, agli stermini di massa condotti sul territorio da un esercito russo determinato a non concedere alcuna indipendenza, soprattutto per via dell’importanza economica della regione, e vediamo anche la resistenza che si mescola alla disperazione. Tra le pagine ritroviamo due eventi che sono stati di grande impatto anche nelle notizie in Occidente: il massacro di Beslan nel 2004 e quello del teatro di Mosca nel 2002. 

I fatti di cronaca e la lotta per l’autonomia del popolo ceceno, represso sin dai tempi degli zar di Russia, si intrecciano agli scritti di Anna Politovskaja, ma anche a Tolstoj e Dostoevskij, la cui produzione letteraria è strettamente connessa con le loro vicissitudini di cittadini della Russia.

I disegni di Igort sono semplici e molto efficaci: passano dal bianco e nero a colori cupi, che ricordano quelli del sangue, dei bombardamenti, dell’oscurità in cui dimorano i prigionieri. Quest’opera è una sorta di quaderno come dice il titolo ed alterna ai disegni e alle vignette pagine di testo, citazioni dirette di Anna Politovskaja, tavole mute dedicate ai paesaggi, numerose didascalie esplicative, un'efficacissima riattualizzazione del dipinto Guernica in ambito ceceno. Vi è anche una parentesi sulla Siberia e sulla deportazione dei kulaki negli anni '30 del Novecento, che ha ben poco da invidiare agli stermini di massa messi in atto dai nazisti appena un decennio più tardi, pur essendo per noi evidentemente meno noti.

Ritengo questa lettura in qualche modo introduttiva al tema, perché nel suo essere molto comunicativa richiede di certo un approfondimento dei fatti storici e dei personaggi rappresentati da parte del lettore. Fornisce comunque uno spunto da cui partire e personalmente mi sento di consigliarla anche a chi come me non è affatto un esperto in materia, perché vi verrà spontaneo documentarvi una volta terminato questo fumetto. Per quanto mi riguarda mi sono già procurata anche quaderni ucraini!

Avete scelto di affrontare delle letture sul momento storico che stiamo vivendo?

giovedì 17 marzo 2022

Kentuki

Kentuki di Samanta Schweblin, pubblicato da edizioni SUR, è stato un acquisto impulsivo nel corso di un giro in libreria: mi attirava da troppo tempo per riuscire a resistere ancora, infatti l’ho letto immediatamente e devo dire che mi ha sorpreso così tanto che sono stata molto contenta di aver ceduto! 


Titolo: Kentuki
Autrice: Samanta Schweblin
Anno della prima edizione: 2018
Titolo originale: Kentukis
Casa editrice: SUR
Traduttrice: Maria Nicola
Pagine: 230


Si tratta di un romanzo molto originale, costruito come una sorta di mosaico di storie che si alternano in diversi luoghi del mondo e con diversi protagonisti, ma con un elemento comune: quello dei kentuki. Nel mondo creato dall’autrice si può possedere un kentuki  o essere un kentuki: si tratta di animaletti di pelouche collegati ad una connessione Internet attraverso la quale chi è il kentuki osserva la vita di chi lo ha acquistato, e decide di interagirci nelle più svariate maniere. Questi peluche tecnologici sono diventati al tempo del racconto una moda internazionale e così persone in tutti gli angoli del globo possono relazionarsi con luoghi e individui anche lontanissimi da loro.

L’idea di intrecciare la tecnologia all’umano non è nuova, anche se io non sono un’esperta del genere; ho trovato l’idea di farlo attraverso questi giocattoli molto particolare e interessante. Degno di nota è anche il fatto che un peluche dovrebbe stimolare sentimenti di tenerezza, innocenza, desiderio di giocare, ma invece da entrambi i lati di questi oggettini nei racconti dell’autrice spesso si palesano i peggiori istinti umani, spesso in modo incomprensibile e ingiustificato: quasi il messaggio dell’opera volesse essere che l’umano è già abbastanza crudele e perverso in se stesso, senza bisogno di essere stimolato ulteriormente dalla tecnologia. E se all’infanzia viene lasciata la purezza che ci aspettiamo, senza trovarci davanti ad alcun bambino mostro torturatore, gli adulti che li circondano a distanza o faccia a faccia sono spesso spietati in modi difficili da accettare.

Non aspettatevi però soltanto racconti tetri o macabri, perché in "Kentuki" ci sono anche personaggi estremamente teneri come un bimbo che non è mai riuscito a vedere la neve e spero di farlo attraverso il Kentuki che è, è una signora desiderosa soltanto di compagnia che prova per la coniglietta che impersona una commovente tenerezza.

Nel complesso quest’opera è stata piuttosto lontana da i generi che leggo di solito, ma proprio per questo è stata una bella sorpresa che mi sento proprio di consigliare!

Qual è l'ultimo libro lontano dalla vostra zona di comfort che avete letto?

mercoledì 16 marzo 2022

La ragazza del convenience store

"La ragazza del convenience store" di Muraka Sayata, pubblicato da Edizioni E/O, è un breve romanzo giapponese pubblicato per la prima volta nel 2016.


Titolo: La ragazza del convenience store
Autrice: Muraka Sayata
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: Konbini ningen
Casa editrice: Edizioni E/O
Traduttore: Gianluca Coci
Pagine: 176

 

La protagonista è Furukuru, una giovane donna che sin da bambina ha avuto difficoltà ad inserirsi nel mondo che la circondava, incapace di interpretare i comportamenti degli altri e conformare ad essi i propri. La sua esistenza ha trovato un ordine e uno scopo quando a diciott’anni ha trovato lavoro in un kombini, un piccolo supermercato della quale è diventata una commessa esemplare. 

I lavori nei kombini sono però in Giappone concepiti come impieghi part-time, temporanei, scelti da studenti, artisti che non vogliono occupare completamente la propria giornata, oppure madri di famiglia che hanno bisogno di integrare il reddito del marito. Così il fatto che la protagonista superati i trent’anni non abbia mai deciso di cercarsi un altro impiego in Giappone, dove l’etica del lavoro è fondamentale e le ore di lavoro quotidiane sono spesso davvero eccessive, è per tutti davvero incomprensibile. Altrettanto inspiegabile sembra il fatto che Furukuru non abbia mai avuto una relazione, e che  la sua vita per tutti così vuota e priva di senso sembri comunque soddisfarla...

"La ragazza del convenience store" è un romanzo sulle aspettative altrui e su come le persone si sentano costantemente il diritto di giudicare le scelte degli altri. Furukuru non sente che nulla le manchi, eppure la pressione della sua famiglia, delle sue amiche di gioventù e persino dei suoi colleghi e responsabili arriva a schiacciarla, facendola sentire in difetto e spingendola al punto di mettere in discussione quella che per lei è la normalità.

L’autrice ha uno stile semplice e diretto e racconta in prima persona le vicende, in modo da farci identificare con la sua protagonista e permetterci di riflettere attraverso di lei.

Questo è un racconto breve, ma è impossibile non coglierne il profondo messaggio: quante volte ci siamo sentiti a disagio, in difetto rispetto alle persone considerate più di successo se ad una certa età non ci siamo sposati, non abbiamo fatto dei figli, non abbiamo ottenuto un contratto a tempo indeterminato? E questo non con nostro dispiacere, ma semplicemente perché abbiamo assecondato i nostri desideri più profondi, quando le nostre aspirazioni però non sono quelle della maggioranza allora siamo diversi, considerati sbagliati, inadatti e spinti spesso dalle aspettative degli altri a modificare le nostre scelte per conformarci a quelle dei nostri coetanei riconosciuti come modelli positivi.

Credo che in molti si riconosceranno tra le righe di questo romanzo che ha fatto sentire anche a me compresa nella particolarità della protagonista e nel suo essere una voce fuori dal coro. È importante ricordarci che nonostante le pressioni esterne non siamo obbligati a fare quello che ci viene suggerito come inevitabile o migliore, e l’unica persona a cui dobbiamo rendere conto siamo noi, così come Furukuru ha il diritto di rispondere alla musica del kombini e trovare la propria serenità tra merci e scaffali.

Qual è l’ultimo romanzo giapponese che avete letto?

I ragazzi della Nickel

"I ragazzi della Nickel" non è stato il mio primo incontro con Colson Whitehead, autore premiato con ben due Pulitzer, uno per questo romanzo e l’altro per "La ferrovia sotterranea" che ho letto qualche anno fa. L’avevo trovata una lettura intensa, ma questa volta l’autore si è davvero superato!


Titolo: I ragazzi della Nickel
Autore: Colson Whitehead
Anno della prima edizione: 2019
Titolo originale: The Nickel Boys
Casa editrice: Mondadori
Traduttrice: Silvia Pareschi
Pagine: 216


Anche qui lo spunto per la narrazione è un fatto reale: l’esistenza di un riformatorio in Florida che per un secolo è stato un luogo di violenza e di morte per i ragazzini che vi venivano destinati: solo di recente vi è stato scoperto un cimitero segreto dove erano sepolte decine di corpi in più dei morti dichiarati all'istituto. L’autore si ispira a questa storia per darle una maggiore risonanza e crea così il personaggio di Elwood, un adolescente nero nella Talahassee degli anni '60 che prende esempio da Martin Luther King e fa di tutto per conquistarsi un ottimo futuro, quando per un vero colpo di sfortuna finisce alla Nickel, e coloro che vi entrano, se saranno così fortunati da uscirne vivi, non saranno comunque mai più gli stessi.

Si tratta di un romanzo durissimo, dove l’autore non ci risparmia scene drammatiche e di sofferenza, dove ci tiene a far risaltare la terribile realtà che è stata per troppo tempo protetta dal potere costituito ed ignorata, autorizzando così ogni genere di angherie. Non è per niente una lettura rilassante, anzi a volte è stata per me così difficile da risultare quasi intollerabile, ma al tempo stesso la scrittura dell’autore sa essere poetica in mezzo a tanto orrore  e a trasmettere quanto la verità rende liberi quando si decide di darle voce, e di non essere più prigionieri dei fantasmi che ci perseguitano da una vita. Nella narrazione riesce anche ad inserire un colpo di scena conclusivo che per me è stato davvero efficace!

Mi aspettavo che questa lettura sarebbe stata più nelle mie corde rispetto a "La ferrovia sotterranea" ed è stato proprio così. È infatti il romanzo di formazione di un ragazzo che cerca di rimanere fedele ai suoi principi nonostante quello che gli accade, ed è una storia di amicizia e di coraggio, di valori che meritano di essere condivisi e sostenuti. È anche un romanzo dove si dà voce al movimento per i diritti civili e dove non ci si dimentica di quanta strada ci sia ancora da compiere oggi.

Personalmente l’ho trovata una delle migliori letture fatte quest’anno fino ad oggi, e se pure vi farà soffrire non posso fare altro che consigliarvelo!

Avete letto questo o altri titoli di Whitehead?

mercoledì 9 marzo 2022

La nostra folle, furiosa città

"La nostra folle, furiosa città" di Guy Gunaratne è un romanzo sulla sopravvivenza: lo scrive l’autore stesso nei ringraziamenti, e fa ruotare la sua storia attorno a tre adolescenti londinesi dalle differenti origini.


Titolo: La nostra folle, furiosa città
Autore: Guy Gunaratne
Anno della prima edizione: 2019
Titolo originale: In Our Mad and Furious City
Casa editrice: Fazi
Traduttore: Giacomo Cuva
Pagine: 288


C’è Ardan, figlio di una madre irlandese e alcolizzata; Yusuf, orfano del padre, imam proveniente dal Pakistan; e infine Selvon, i cui genitori sono emigrati dalla colonia inglese delle Piccole Antille e lo hanno cresciuto più integro e forte dei suoi coetanei. Selvon corre e nella pratica sportiva trova il baricentro che Ardan trova nella musica e nel suo amato cane Max, e Yusuf cerca invece nella religione. 

La Londra che ci raccontano è quella contemporanea delle periferie e degli scontri, dei pregiudizi razziali e delle incomprensioni, dove il loro trio che vorrebbe soltanto giocare a pallone liberamente viene guardato con sospetto e ostilità da chi li vorrebbe appartenenti a gruppi contrapposti. C’è dunque la Gran Bretagna di oggi in questo romanzo, ma c’è anche il passato: quello degli scontri dell’IRA a Belfast per l’indipendenza irlandese che vediamo attraverso l’adolescenza della madre di Ardan, e le troppe difficoltà incontrate dai neri delle colonie quando sono stati  ammessi in Gran Bretagna come manodopera, ma qui hanno fatto i conti con il razzismo e la discriminazione com’è capitato al padre di Selvon. Quest'Inghilterra del passato è priva di ogni intento didascalico e così per chi non è esperto potrebbe essere utile cercare qualche riferimento storico durante la lettura: io per esempio ne ho avuto bisogno ma ho trovato questo aspetto molto stimolante.

L’autore alterna nei brevi capitoli i diversi punti di vista, quasi tutti raccontati in prima persona, e ci fa entrare piano piano nell’universo dei palazzoni, della moschea, del piazzale in cemento dove si muovono i passi dei protagonisti. 

La tensione è crescente in questo libro e davvero ben bilanciata, fino ad una sorta di scontro finale che porta con sé il dramma che sin dall’inizio si avverte come incombente.❗Rassicurazione doverosa per gli amanti degli animali a Max non capiterà nulla di brutto!

Questo romanzo mi è piaciuto molto. Ho trovato l’autore bravissimo nel caratterizzare degli adolescenti di oggi in modo credibile e non retorico: non sembrano mai caricature o stereotipi privi di sfaccettature, ognuno di loro ha le proprie peculiarità e una voce che esprime pensieri ben distinti da quelli degli altri. L’argomento della crescita e di come questa possa essere difficile in ambienti multiculturali e pieni di tensione come le grandi metropoli di oggi  è un tema per me di grande interesse e che ho trovato davvero ben raccontato in questo romanzo, di cui purtroppo non sento parlare spesso e che quindi ci tengo a consigliarvi di cuore.

Qual è l'ultimo romanzo che avete letto ambientato in una grande città?

martedì 8 marzo 2022

La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo

I romanzi d’amore non sono quelli che leggo più spesso, anzi non ne leggo quasi mai se per romanzi d’amore intendiamo quelli dove tutto ruota attorno alla storia romantica tra i protagonisti. Tuttavia quando le storie d’amore presenti all’interno dei libri che sto leggendo sono in grado di emozionarmi è inevitabile che questo aggiunga per me un lato positivo alla lettura. 


Titolo: La moglie dell'uomo che viaggiava nel tempo
Autrice: Audrey Niffenegger
Anno della prima edizione: 2003
Titolo originale: The Time Traveler's Wife
Casa editrice: Mondadori
Traduttrice: Katia Bagnoli
Pagine: 504

È proprio il caso de "La moglie dell’uomo che viaggiava nel tempo" di Audrey Niffenegger, un romanzo senz’altro d’amore che ha però come dice il titolo al centro la tematica dei viaggi nel tempo. I protagonisti sono Henry e Clare, che si incontrano nel presente di Clare quando lei è soltanto una bambina e lui ormai è un uomo adulto, mentre invece si incontrano nel presente di Henry soltanto quando lui ha quasi compiuto i trent’anni e della Clare bambina non ricorda nulla. Questo avviene perché Henry viaggia nel tempo, e lo fa in un modo che è incapace di di controllare e che lo espone continuamente a pericoli di ogni tipo.

L’autrice alterna i punti di vista di Henry e Clare, e così ce ne fa conoscere approfonditamente i sentimenti, i pensieri e i timori attraverso due voci narranti differenti e ugualmente riuscite. Si tratta di una scrittura semplice ma molto efficace che trova Il suo maggior pregio nella struttura del romanzo, che è il maggior punto di forza. Passiamo infatti dal presente storico a continui flashback e flashforward che ci trasportano nei ricordi e in quello che sarà il futuro dei personaggi, in paragrafi corredati dalle date in cui gli eventi si svolgono e da parentesi contenenti le età di Clare e Henry (che può averne anche due contemporaneamente, capirete perché!). 

Non aspettatevi un romanzo fantasy perché la storia contenuta qui è profondamente umana e di soprannaturale c’è ben poco. Si parla di sentimenti, ma anche di genitori, di legami con il passato, di amicizia, della difficoltà di concepire: aspetti che davvero non potrebbero essere più realistici. Anche dei viaggi del tempo di Henry impariamo a conoscere la componente più umana, quella che lo rende un uomo fragile, spaventato, al quale è negata la possibilità di una vita normale e che suo malgrado è costretto a far soffrire e preoccupare costantemente chi lo circonda.

L'autrice sa anche tenerci col fiato sospeso: sappiamo molto presto che qualcosa di terribile dovrà sconvolgere le vite dei protagonisti ma non possiamo prevedere, come loro, quando e come avverrà, elemento che contribuisce a farci immedesimare e farci sentire coinvolti dalla prima all’ultima pagina. 

Si tratta di un romanzo che è riuscito a commuovermi e a farmi provare una grande tenerezza per i  suoi personaggi: se siete alla ricerca di una storia d’amore toccante e per niente già letta, questa potrebbe fare al caso vostro!

*Nel 2009 non è stato tratto un film che ho visto dal catalogo di Rai Play, ma purtroppo non mi ha convinta. So che negli Stati Uniti è stata già prodotta una serie TV e non vedo l’ora che venga distribuita anche in Italia!

Qual è la vostra storia d’amore dei libri preferita?

domenica 6 marzo 2022

Corpi celesti

Quest’anno con il proposito di ridurre notevolmente la mole delle nuove entrate in libreria sto resistendo parecchio alle nuove uscite. Una delle poche alle quali ho ceduto è stato "Corpi celesti" di Jokha Alharti, pubblicato da Bompiani e devo dirvi che purtroppo non si è rivelato all’altezza delle mie aspettative.


Titolo: Corpi celesti
Autrice: Jokha Alharti
Anno della prima edizione: 2011
Titolo originale: Sayyidat el-Qamar
Casa editrice: Bompiani
Traduttore: Giacomo Longhi
Pagine: 264

Il motivo principale per cui lo avevo acquistato è che non mi era mai capitato di leggere un romanzo ambientato in Oman e questo mi pareva un ottimo punto di partenza, visto che è stato premiato con il prestigioso International Booker Price nel 2019.

Si tratta di una saga familiare, genere che come sapete è molto nelle mie corde. Tuttavia  l’autrice decide di raccontare la sua storia dalla prospettiva di numerosi personaggi, quasi tutti membri della stessa famiglia illustrata in un utile albero genealogico in apertura, ma anche attraverso persone che hanno avuto a che fare con loro, come una donna che era stata schiava del patriarca fino all’abolizione della schiavitù ed era rimasta poi  fortemente legata alla famiglia.

Si parla dunque dell’evoluzione di un paese intero, della sua modernizzazione, della risposta alla colonizzazione inglese e di come il territorio sia divenuto anno dopo anno sempre più moderno e urbanizzato. La storia dell’Oman ci viene accennata: la divisione tra Oman e Mascate, il dominio inglese, poi l’indipendenza.

Nonostante la maggior parte dei personaggi sia femminile, l’unico narratore in prima persona è un uomo  che fa parte della generazione intermedia: non quella dei patriarchi ma nemmeno dei giovani dei giorni nostri. Si tratta di un uomo prigioniero del suo passato e dei tanti fantasmi che gli ha lasciato, traumi legati a suo padre, alla morte della madre che non è mai riuscito a comprendere, il senso di colpa per non essere stato presente alla cerimonia funebre dell’unica donna che lo abbia davvero protetto amato e cresciuto  -ovvero la schiava ed ex amante del padre. 

Tutti gli elementi di questa storia promettono bene, sembrano avere tutte le carte in regola per costruire un mosaico di voci interessanti da cui imparare qualcosa di nuovo. Purtroppo però il risultato non riesce ad essere convincente, perché troppo poche sono le pagine dedicate ad ognuno dei personaggi e così finiamo per non affezionarci davvero nessuno  e anzi rimaniamo con moltissime curiosità riguardo i loro sentimenti e destini. 

Per quanto i personaggi femminili, che ci vengono presentati e pieni di volontà e autodeterminazione, i loro percorsi di vita sembrano alla fine rivelarsi quasi sempre fallimentari. Questo elemento che voleva essere forse realistico risulta per il lettore non troppo soddisfacente. 

Non posso dire di non aver apprezzato per nulla questa storia, sarebbe un giudizio troppo poco generoso. Tuttavia mi è rimasto un senso di incompiuto e di una curiosità insoddisfatta per molti elementi che l'autrice non ha sviluppato quanto avrei voluto .

L’edizione Bompiani è estremamente leggibile e maneggevole, ma presenta a mio parere un altro difetto: è priva infatti di un glossario, difetto non da poco data la quantità numerosa di termini appartenenti alla lingua araba che non vengono in alcun modo spiegati al lettore. Chi si trovasse ad incontrarli per la prima volta rimarrebbe a mio parere con parecchi dubbi relativi al contenuto del testo! 

Sapete che cerco sempre  di cogliere i lati positivi di ciò che leggo e anche questa volta non ho fatto eccezione, tuttavia i miei pareri su questa pagina vogliono essere sempre onesti e per questo non mi sento di consigliarvi questa lettura. Sarei curiosa però di confrontarmi con chi di voi lo ha già letto per scoprire se posso aver trascurato qualche elemento che me lo avrebbe fatto apprezzare di più! 

Qual è stata l’ultima lettura a non avervi convinto?

Accabadora

Avevo letto finora soltanto testi di non-fiction scritti da Michela Murgia, che apprezzo anche come intellettuale e per il suo podcast Morgana (realizzato insieme a Chiara Tagliaferri) che mi ha fatto scoprire molte figure femminili delle quali non sapevo nulla. Ho deciso così di recuperare anche il suo romanzo “Accabadora”, pubblicato nell’ormai lontano 2009 e vincitore l'anno dopo del Premio Campiello.



Titolo: Accabadora
Autrice: Michela Murgia
Anno della prima edizione: 2009
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 164 


Si tratta di un romanzo breve ma molto intenso, che tratta un tema importante e ancora attuale come quello dell’eutanasia: il compito della accabadora, figura tradizionale della Sardegna, è infatti quello di porre fine alle sofferenze di una persona in condizioni ormai irreversibili. Molte riflessioni nascono da questa lettura, prima tra tutte il diritto di scegliere quando e se la propria vita meriti di essere vissuta.

L’accabadora qui è Bonaria Urrai (personaggio che ho amato), anziana donna che ha perso nella Grande Guerra il proprio innamorato e non ha mai smesso di rimpiangerlo, rimanendo così non sposata e senza figli. Ormai in là con l’età ha deciso di adottare Maria, quarta figlia non desiderata di una famiglia molto modesta. Il loro rapporto è al centro di questa storia: un rapporto tra madre e figlia, anche se Maria è una "figlia di anima" e non del corpo. 

"Accabadora" è un racconto di formazione narrato in terza persona, in cui Maria da bambina diventa donna in una Sardegna del secondo dopoguerra, ricca di credenze e superstizioni e di riti compiuti nella notte, che sia per spostare il confine di una vigna o per accontentare un moribondo.
❗️Chi come me teme sempre la sofferenza degli animali stia tranquillo: avrete paura per un attimo ma sappiate che durerà per poche righe!

La scrittura di Michela Murgia è ricca di similitudini, usa una grande quantità di aggettivi qualificativi, ma allo stesso tempo non eccede mai nei sentimentalismi e non spreca nemmeno una parola non necessaria nel trasmettere in modo estremamente efficace i legami tra i personaggi e le loro personalità. Ci sembra così di conoscerli, Maria, il suo amico Andria e soprattutto Bonaria, donna di poche parole che porta su di sé un enorme peso ma sempre con coraggio e dignità.

Quasi tutto il romanzo è ambientato in Sardegna. C’è una piccola parentesi piemontese che personalmente non ho trovato convincente quanto il resto della storia, anzi quasi superflua. La potenza sta infatti nella Sardegna rurale che emerge prepotente dalle pagine, nei suoi paesaggi e nelle sue tradizioni che creano l’ambientazione perfetta per questa storia e la raccontano così bene che vi trasportano immediatamente il lettore.

Nel complesso questo romanzo mi è piaciuto molto. La parte che ho preferito rimane la prima: l’infanzia di Maria, con le sue scoperte e gli eventi difficili da interpretare -ma naturalmente viene consiglio la lettura per intero. Per me si tratta di un’altra autrice italiana letta con piacere quest’anno, e se come me avete apprezzato molto "L’arminuta" anche questa storia potrebbe fare al caso vostro.

Qual è l’ultimo romanzo ambientato in Italia che avete letto? E in quale regione?

mercoledì 2 marzo 2022

La principessa di ghiaccio

Qualche anno fa avevo letto un paio di titoli dell’autrice svedese Camilla Läckberg, famosa per i suoi gialli ambientati in un paesino di nome Fjällbacka. Mi erano piaciuti molto, ma mi ero resa conto durante la lettura che non si trattava di volumi del tutto indipendenti l’uno dall’altro, in quanto i personaggi ricorrenti erano gli stessi, e mi sono accorta di non riuscire a seguirne molto bene le vicende personali. Ho deciso così di recuperare la serie a partire dal primo volume, "La principessa di ghiaccio".


Titolo: La principessa di ghiaccio

Autrice: Camilla Läckberg
Anno della prima edizione: 2002
Titolo originale: Isprinsessan
Casa editrice: Marsilio
Traduttrice: Laura Cangemi
Pagine: 458


La storia si apre con il ritrovamento del cadavere di una giovane donna in una vasca ghiacciata, da cui il titolo del romanzo. Si potrebbe pensare al suicidio, ma dal momento che parliamo di gialli è piuttosto chiaro che di suicidio non si tratti e che al ritrovamento seguirà un’indagine. A condurla sono un commissario a dir poco incompetente e pigro, che ha per fortuna dei più validi collaboratori, tra cui Patrick, che sarà uno dei personaggi ricorrenti della serie. In più facciamo la conoscenza di Erica, che della vittima è stata la migliore amica d’infanzia ed è oggi una scrittrice alle prese con i suoi problemi personali: la morte dei genitori e la difficile situazione della sorella, madre di due bambini ma moglie di un uomo violento. 

Sono così parecchie le tematiche che troviamo in questa storia: la violenza domestica, ma per chi è particolarmente sensibile ai temi mi sento di avvisarvi che vi troverete anche abusi sui minori, per quanto risalenti a molti anni addietro. 

Volutamente non vi svelo nient’altro riguardo la trama e l’indagine che vi si svolge, perché  in un romanzo di questo tipo ve ne rovinerei la lettura. Il mio parere una volta terminato questo romanzo è nel complesso positivo: la scrittrice ha uno stile semplice e molto scorrevole, che permette di leggere il romanzo tutto d’un fiato senza mai annoiarsi. L’indagine è costruita in modo credibile e per quanto mi riguarda non prevedibile.

L’unico difetto che mi sento di segnalare è una certa ingenuità nella costruzione dei personaggi, specialmente quando si parla di storie d’amore: sembrano nascere in modo per nulla sorprendente e i personaggi coinvolti sembrano spesso un po’ sciocchi o stereotipati. Questo non è bastato però a farmi passare la voglia di leggere anche i romanzi successivi, che affronterò dunque prossimamente, quando avrò voglia di una lettura poco impegnativa e capace di distrarmi da tutto il resto.

Qual è la vostra serie di gialli preferita?