lunedì 30 agosto 2021

Quando le montagne cantano

"Quando le montagne cantano" è una novità editoriale che mi ha tentato dal primo momento in cui è comparso tra gli scaffali delle librerie. Non ho aspettato molto prima di cedere alla tentazione e l’ho letto immediatamente dopo averlo ricevuto insieme al gruppo di lettura "Leggere l’Asia".


Titolo: Quando le montagne cantano
Autrice: Nguyen Phan Que Mai
Anno della prima edizione: 2020
Titolo originale: The Mountains Sing
Casa editrice: Nord
Traduttrice: Francesca Toticchi
Pagine: 383


Romanzo d’esordio di un’autrice che per lungo tempo non ha intrapreso la carriera letteraria (ha infatti lavorato come coltivatrice di riso e come venditrice), "Quando le montagne cantano" è una storia familiare introdotta da un utilissimo albero genealogico -orientarsi con i nomi i vietnamiti infatti non è stato facilissimo per me. 

È un romanzo che alterna i piani temporali di capitolo in capitolo e si concentra principalmente sugli anni '50 e gli anni '70 in Vietnam, nel corso dell’occupazione giapponese prima, con la carestia, la riforma agraria e il regime socialista instaurato nel Nord e poi sulla guerra nel Vietnam, il feroce scontro tra Nord e Sud del paese e l’intervento degli Stati Uniti, con i loro bombardamenti e gli spargimenti di sostanze chimiche su uomini e foreste.

I punti di vista che abbiamo in questa narrazione sono due: quello della nonna Dieu Lan e quello della nipote soprannominata Guava. Negli anni '70 le due sono rimaste sole, perché i sei figli della nonna sono tutti impegnati nel conflitto ed è lei a occuparsi della ragazzina, cercando come può di salvarle la vita. È proprio all’amata nipote che la donna racconta tutte le atrocità di cui è stata spettatrice, le tante privazioni e sofferenze che lei e la sua famiglia hanno dovuto affrontare.

Questo romanzo parla di perdite, naturalmente, perché quando si racconta una guerra è difficile che non siano numerose, ma racconta anche la storia di un paese del quale conoscevo ben poco. Proprio dare voce a coloro che tanto hanno sofferto è il dichiarato scopo dell’autrice, che non ha velleità letterarie e scrive in uno stile estremamente semplice, comprensibile e scorrevole. 



Degne di nota sono anche le descrizioni della natura che circonda le protagoniste e che aiutano ad immedesimarsi nel racconto e a sentirsi loro più vicini. Nonostante molti dei contenuti di questa storia siano crudi e dolorosi, "Quando le montagne cantano" bilancia gli aspetti più duri della narrazione con una lingua che in qualche modo rasserena il lettore attraverso proverbi tradizionali, insegnamenti buddisti ed un senso di fiducia nel futuro che i suoi protagonisti conservano nonostante tutto. In questo senso la nonna è un personaggio magnifico, tenace e amorevole, sempre capace di ricominciare e soprattutto di perdonare.

"Quando le montagne cantano" è un libro che mi è piaciuto: mi ha trasportata in un contesto che non avevo mai letto dagli occhi di autori vietnamiti, e che per questo ho trovato molto interessante ed istruttivo. Mi sento di consigliarlo a tutti gli amanti delle saghe familiari e dei romanzi storici che siano alla ricerca di un’ambientazione asiatica ben costruita e di una storia appassionante e commovente che faccia loro compagnia.

lunedì 23 agosto 2021

Atti umani

"Atti umani" di Han Kang è un romanzo che si ispira a fatti realmente accaduti: in particolare racconta il massacro di Gwangiu, una cittadina della Corea del Sud (per altro città natale dell'autrice) dove nel 1980 l’esercito massacrò studenti e manifestanti inermi, spesso giovanissimi, senza alcuna pietà. 


Titolo: Atti umani
Autrice: Han Kang
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: Human Acts
Casa editrice: Adelphi
Traduttrice: Milena Zemira Ciccimarra
Pagine: 323


L’autrice di "Atti umani" è più famosa per il romanzo "La vegetariana", premiato con il Man Booker International Prize nel 2014 e che personalmente non ho trovato nelle mie corde. Molto più vicino ai miei gusti e ai miei interessi è questo secondo libro, che ha il grande pregio di dare voce alla storia di un paese attraverso numerosi punti di vista, tecnica utilizzata dalla scrittrice anche ne "La vegetariana". 

Ci sono infatti dapprima un giovane studente alla ricerca del suo amico che ha smarrito nel corso delle manifestazioni: un ragazzo giovane e spaventato, che si trova ad aiutare all’interno dell’edificio di una scuola coloro che volontariamente si stanno prendendo cura dei cadaveri delle vittime. Abbiamo poi delle testimonianze raccolte a distanza di anni: quella di una delle ragazze che aveva collaborato con il giovane studente, quella di una madre che ha perso il figlio proprio negli scontri, e di un superstite vittima per lungo tempo delle torture della polizia che continua a fare i conti con i traumi che gli sono rimasti addosso. I narratori non sono soltanto persone diverse, ma raccontano anche in maniera differente le proprie storie: si passa infatti dalla seconda persona singolare alla prima, creando una mescolanza che rende la lettura più diversificata e ricercata dal punto di vista stilistico.

"Atti umani" non è un romanzo da leggere a cuor leggero, poiché le scene crude sono numerose e potrebbero turbare un lettore particolarmente sensibile. Tuttavia, raccontando  un episodio storico realmente accaduto e per di più poco conosciuto, credo che anche i passaggi più dolorosi abbiano ragione di trovarsi nel testo, che altrimenti risulterebbe una edulcorata rielaborazione dei fatti. Non conosco molto della storia della Corea, e per me questa lettura è stata davvero molto interessante; in proposito avevo avuto già l’occasione di guardare un film intitolato "A Taxi Driver", che si occupa proprio dello stesso avvenimento storico e che mi aveva molto turbatA ma avevo trovato eccellente. Ve ne consiglio quindi la visione oltre alla lettura di questo testo se siete appassionati di storia o interessanti alle vicende della Corea del Sud!

giovedì 19 agosto 2021

Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn

"Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn" è uno di quei romanzi che ho acquistato principalmente per il titolo, e per una copertina spettacolare che rappresenta le città di New York e del Cairo che si specchiano l’una nell’altra. 


Titolo: Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn
Autore: Ezzedine C. Fishere
Anno della prima edizione: 2011
Titolo originale: عناق عند جسر بروكلين
Casa editrice: Francesco Brioschi Editore
Traduttrice: Elisabetta Bartoli 
Pagine: 242


Il suo autore, Ezzedine Choukri Fishere, è egiziano e piuttosto famoso in patria, ma per via del suo lavoro come diplomatico e giornalista ha scelto qualche anno fa di emigrare negli Stati Uniti per sfuggire alla dittatura. Conosce quindi molto bene la materia della quale scrive, ossia la prospettiva degli emigrati di origine araba che si trovano a vivere negli Stati Uniti.

In questo libro i punti di vista sono molteplici, e ad ognuno di loro è dedicato un capitolo, talvolta narrato in prima persona talvolta invece in terza. Tutto ruota attorno ad una cena organizzata dal professor Darwish in occasione del ventunesimo compleanno della nipote Salma: l’uomo sa che gli resta poco da vivere, e ha deciso di organizzare questa cena per riunire attorno a sé tutti gli egiziani con i quali ha un legame in America, a partire da suo figlio fino ad ex studenti e collaboratori. 
Per ognuno dei personaggi di questa storia la cena è un’occasione per riflettere sulle proprie esistenze: i matrimoni falliti, gli amori rimasti in sospeso, i traumi riportati nel corso del proprio lavoro, i tanti dubbi che riguardano il futuro. Ci sono in questi capitoli prospettive radicalmente diverse: c’è chi negli Stati Uniti si sente a casa, chi ha scelto la strada dell’integrazione attraverso una carriera di successo, c’è chi invece si è legato ancora di più alla propria cultura d’origine radicalizzandosi e portandola all’estremo, soprattutto dopo gli attentati dell’11 settembre.

In "Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn" i punti di vista sono molteplici, e ognuno di loro ha saputo trasmettermi qualcosa: in ognuno di questi personaggi, pur essendo la mia situazione radicalmente diversa dalla loro, ho riconosciuto qualcosa di me. Quello che però ha reso questo romanzo davvero memorabile è un finale che non mi sarei mai aspettata, e che porta il testo ad un altro livello di ricercatezza stilistica e di significato, allontanandosi da una narrazione più tradizionale come quella portata avanti fino a quel momento.

"Abbracciarsi sul ponte di Brooklyn" è una lettura che consiglio a tutti coloro che come me sono appassionati di letteratura della migrazione, e che non sono mai stanchi di osservare l’Occidente con occhi diversi dai propri. Lo consiglio inoltre agli amanti dei romanzi psicologici, all’interno dei quali ci sia largo spazio per le riflessioni e l’analisi dell’esistenza: per me è stata una lettura sorprendente, che non ha per nulla deluso le mie aspettative.

mercoledì 18 agosto 2021

L'ultimo ospite

Da quanto tempo non mi capitava di rimanere sveglia oltre l'una di notte per terminare una lettura in corso? Le ultime che ricordo nitidamente sono dei titoli di Stephen King, It sopra a tutti; mi è capitato di nuovo e questa volta mi è successo con un’autrice che è una garanzia, Paola Barbato, la stessa autrice della sceneggiatura del primo Dylan Dog della mia vita, che mi ha spinta poi a collezionarne più di 300.



Titolo: L'ultimo ospite
Autrice: Paola Barbato
Anno della prima edizione: 2021
Casa editrice: Piemme
Pagine: 413



"L’ultimo ospite" è un thriller piuttosto classico per gli standard di Paola Barbato: contiene due protagonisti in pratica sempre presenti sulla scena, che si trovano a dover realizzare l’inventario di una villa la cui proprietaria è appena deceduta, senza lasciare un testamento che suddividesse la sua generosa eredità. I due sono Flavio, un notaio, e Letizia, la sua assistente -personaggi già apparsi in realtà in un’opera di Paola Barbato che però deve ancora vedere la propria pubblicazione in Italia, e che sicuramente leggerò per conoscere le circostanze del loro incontro, a cui penso si faccia spesso riferimento ne "L'ultimo ospite". Qui Flavio e Letizia si trovano davanti un edificio pieno di nascondigli segreti, che non contengono però soltanto gioielli o denaro come si sarebbero aspettati.

"L’ultimo ospite" è un thriller che gioca con la mente del lettore, lasciandolo a più riprese terrorizzato davanti a circostanze che sembrano senza via d’uscita per i protagonisti. È un thriller che confonde le identità, che gioca sugli scambi di persone e dove il tocco ineguagliabile dell’autrice si manifesta in due aspetti in particolare: il primo è Zora, l’amato cane di Letizia, il cui punto di vista viene addirittura raccontato in un capitolo. Paola Barbato è una grande amante dei cani, e sa dare voce a questi animali come pochi altri autori. Inoltre anche al "cattivo" di questa storia viene data voce, e nonostante sia innegabile che si tratti di un criminale e la sua condotta sia a dir poco indifendibile, Paola barbato riesce lo stesso a renderlo umano, a farci vedere e percepire l’uomo, i suoi sentimenti e anche la sua capacità di provare degli affetti a dispetto delle circostanze.

"L’ultimo ospite" è un romanzo tutt’altro che scontato, e di cui vi consiglio la lettura anche se avete trovato un po’ troppo duri altri titoli dell’autrice come "Mani nude" o "Zoo". Qui non ci sono scene estreme di violenza che possano entrare nei nostri incubi, ma allo stesso tempo non aspettatevi una lettura che vi lascerò dormire sonni tranquilli!

domenica 15 agosto 2021

L'occhio più azzurro

Per comprendere "L’occhio più azzurro" fino in fondo è necessario tenerne presente il contesto: è stato scritto nel 1961 da Toni Morrison, un’autrice che voleva scrivere il romanzo che avrebbe voluto leggere e si interrogava in un momento di grandi cambiamenti sociali sul concetto di bellezza associato a quello di razza. C’è molto di autobiografico ne "L'occhio più azzurro" ambientato nel paese stesso dell'Ohio dove Toni Morrison nacque; l’elemento di Ispirazione per l’autrice fu proprio una sua compagna di scuola, nera come lei, che desiderava però avere gli occhi azzurri, simbolo di una bellezza per lei il raggiungibile perché inestricabilmente legata alla razza bianca.


Titolo: L'occhio più azzurro
Autrice: Toni Morrison
Anno della prima edizione: 1970
Titolo originale: The Bluest Eye
Casa editrice: Frassinelli
Traduttrice: Franca Cavagnoli
Pagine: 230


In un romanzo che molti anni dopo Toni Morrison, prima autrice afroamericana a vincere il Premio Nobel per la letteratura, avrebbe giudicato in modo spietato, si racconta la storia di Pecola, una bambina appartenente ad una famiglia economicamente disagiata che subisce violenza dal proprio padre e rimane incinta. 

Il tutto è narrato da un punto di vista infantile quanto il suo, quello di un’altra bambina della comunità, Claudia, ma in alcuni capitoli trovano spazio anche i percorsi di formazione degli adulti che circondano Pecola, primi tra tutti i suoi genitori, cresciuti tra soprusi e umiliazioni. 

Quello "L’occhio più azzurro" è un contesto violento, che non risparmia nessuno; sono gli Stati Uniti del 1941, dove la guerra non è ancora cominciata e nelle case dei bianchi lavorano persone nere che dagli Stati del Sud si spostano a quelli del Nord per cercare una vita migliore, che non sempre riescono ad ottenere. "L’occhio più azzurro" è un romanzo sulla razza e su come una pelle più chiara possa essere invidiata o considerata un simbolo di superiorità: Claudia, la sorella e Pecola stessa infatti osservano con un misto di odio e di invidia bambine dalla pelle meno nera della loro. "L'occhio più azzurro" è un romanzo di abusi, ma allo stesso tempo di innocenza, poiché il punto di vista della narratrice mitiga le atrocità a cui è suo malgrado continuamente esposta. 

Si tratta anche di un romanzo magnificamente scritto, che richiede al lettore bianco uno sforzo per orientarsi, perché era stato scritto esplicitamente per lettori neri, completamente ignorati degli anni '60 dal mondo dell'editoria.  Toni Morrison già al suo esordio sapeva essere tagliente, evocativa e memorabile; la complessità della storia non è di certo paragonabile a quella di "Amatissima," l’altro romanzo della scrittrice che io ho già letto, ma è capace di suscitare nel lettore di oggi più di una riflessione su quanto il razzismo possa essere interiorizzato anche dalle comunità stesse che ne sono colpite in prima persona, e su quanto a distanza di oltre cinquant’anni ci sia ancora da lavorare nelle nostre società. Questa lettura non ha fatto che confermare in me il proposito di recuperare prossimamente l'intera bibliografia dell'autrice, e invito anche voi a fare lo stesso!

Quali romanzi di Toni Morrison conoscete?
Qual è l'ultimo titolo di scrittori afroamericani che avete letto?

mercoledì 11 agosto 2021

Sortilegi

Che io ami Bianca Pitzorno sin da quando ero bambina non è un segreto per nessuno: il primo libro che ho amato profondamente è stato il suo "La bambola viva", e sono poi cresciuta, tra gli altri, con Prisca di "Ascolta il mio cuore", rileggendo ogni estate "Re Mida ha le orecchie d’asino". Da adulta lo scorso anno ho apprezzato moltissimo "Il sogno della macchina da cucire" e non potevo quindi lasciarmi sfuggire il più recente "Sortilegi".



Titolo: Sortilegi
Autrice: Bianca Pitzorno
Anno della prima edizione:
Casa editrice: Bompiani
Pagine: 144


Sarò onesta: se non avete mai letto nulla dell’autrice non vi consiglio affatto di cominciare da qui. Non vi troverete davanti ad un romanzo infatti, ma ad una raccolta di tre racconti: il primo piuttosto lungo e gli altri due molto brevi. 

"La strega", che occupa gran parte di questo libro, riprende gli anni della peste ed è la rielaborazione di un racconto più breve realizzato dall’autrice nel 1990. Degno di nota è senz’altro il linguaggio che riprende quello seicentesco dell’epoca a cui appartengono i suoi personaggi, ed altrettanto lo è il lavoro di ricerca storica sulla stregoneria e su come ragazze innocenti come la povera Caterina venissero torturate ed uccise il nome di accuse e sospetti assolutamente infondati. Il tema della stregoneria, devo ammetterlo, non mi è particolarmente congeniale ed anzi mi disturba un po’: forse per questo non sono riuscita del tutto a godermi l’opera.

"Maledizione", il secondo racconto, è senza dubbio quello che ho preferito: prende ispirazione da una tovaglietta ricamata che è davvero esposta al museo dell’etnografia di Sassari e racconta di come una giovane cucitrice piena di buone intenzioni e dei migliori sentimenti possa neutralizzare con la sua creatività un potentissimo maleficio. Forse perché ero scossa dall’aver terminato "La strega" con il suo contenuto drammatico, questo tuffo nell’ottimismo mi ha fatto decisamente bene.

Infine abbiamo il racconto "Vento" dedicato a dei leggendari biscotti di un paesino sardo, il cui segreto è gelosamente custodito dalla famiglia che ne ha creata la ricetta. Per quanto ritragga in maniera interessante le tradizioni della pasticceria sarda e le migrazione dalla Sardegna al resto del mondo, la brevità di questo testo mi ha impedito di rimanerne coinvolta: l’ho trovato affrettato, quasi una bozza. 

Nel complesso "Sortilegi" sembra un collage, che certo rappresenta personaggi femminili coraggiosi e creativi come inevitabilmente ci si aspetta dalla scrittrice che tanti ne ha già inventati prima di questi. Tuttavia le storie che contiene non hanno la stessa potenza narrativa che ho sempre incontrato nei suoi romanzi, e per questo mi sento di dire che dovreste dare senza ombra di dubbio loro la precedenza.

lunedì 9 agosto 2021

La tua bellezza

"La tua bellezza" di Sahar Mustafah è un romanzo che ho acquistato nuovo poco tempo dopo la sua uscita: questo mi capita di rado e fa capire quanto mi abbia interessata sin dal primo momento!


Titolo: La tua bellezza
Autrice: Sahar Mustafah
Anno della prima edizione:
Titolo originale:
Casa editrice: Marcos y Marcos
Traduttrice: Francesca Conte
Pagine: 384



La trama di questo romanzo potrebbe far pensare ad una vicenda incentrata su terrorismo e attentati: infatti all’interno di un liceo femminile islamico dell’Illinois un uomo bianco armato entra per commettere una strage. Tuttavia non è questo il fulcro di "La tua bellezza", bensì la storia di formazione di Afaf, la preside della scuola, dalla sua infanzia sino al giorno d’oggi.

In questo libro seguiamo quindi Afaf da quando, bambina, si misura con l’insoddisfazione del matrimonio dei suoi genitori emigrati dalla Palestina, con la sparizione misteriosa della sua sorella maggiore, che si lascia dietro solo un diario, e con la conseguente depressione della madre, e l’Alcolismo prima  e il ritorno all’Islam poi di suo padre, che ha il sogno di suonare l’oud ed è costretto a fare l’operaio. Sarà proprio quest’uomo a metterla in contatto con la religione, che diventerà per Afaf una parte fondamentale della sua vita. 

L’autrice racconta, ben consapevole per via delle proprie origini, l’emigrazione da una patria di cui non si smette mai di sentire la mancanza, come avviene per la madre della protagonista. Racconta inoltre la difficile integrazione in un contesto in cui si viene guardati con sospetto, ancora più di prima dopo l’11 settembre. 
La scrittrice dà voce a donne che spesso con presunzione giudichiamo sottomesse, oppresse, poco consapevoli delle proprie decisioni. Sahar Mustafah racconta invece dell’autorealizzazione di una donna che decide con coscienza di indossare il velo, di compiere il pellegrinaggio ed al tempo stesso non rinuncia a nessuna opportunità personale o lavorativa. La protagonista di questo romanzo è tutt’altro che una donna per cui qualcun altro prende decisioni: è una donna che si sposa per amore, che mantiene un forte legame con il proprio padre ed il proprio fratello, una donna che nel tempo impara a perdonare i dolori che ha vissuto da bambina e che vive secondo il proprio senso della giustizia. Ne "La tua bellezza" troviamo una protagonista lontana dagli stereotipi a cui troppo spesso, influenzati dalla cronaca nera, riconduciamo le donne musulmane: e questo è l’aspetto principale per cui ve ne consiglio la lettura.

Degno di nota è anche il fatto che "La tua bellezza" rimanga molto lontano dal sensazionalismo nel quale avrebbe facilmente potuto cadere: all’attentatore si lascia poco spazio, altrettanto poco alle sue motivazioni, perché in fondo la diffidenza e la paura del diverso sono così diffuse che quest’uomo non ha nulla di speciale. 
Questo romanzo alterna le istantanee dall’interno del liceo agli anni della formazione della protagonista, a partire dagli anni '70: questa costruzione del romanzo a piani temporali alternati è un altro aspetto che ho apprezzato moltissimo, oltre alla capacità dell’autrice di evitare scene ed eventi esageratamente strappalacrime, altro errore che sarebbe stato facile da compiere.
"La tua bellezza" è un romanzo d’esordio e non si direbbe, perché è un’opera compiuta, della struttura ben ragionata e ben funzionante. È un romanzo tutt’altro che banale e già letto, anzi di storie così e di protagoniste così purtroppo ne incontriamo davvero poche! Non posso fare altro quindi che consigliarvene la lettura, che sono abbastanza certa saprà sorprendervi.

Conoscevate questo romanzo? 
Quali titoli vi vengono in mente con protagonisti musulmani?

mercoledì 4 agosto 2021

Unastoria

Gipi è un regista e un fumettista, un uomo complicato che conosce gli alti e bassi della mente e dell’umore. "Unastoria" è stato il primo fumetto italiano candidato al Premio Strega, e nel 2014 entrò a far parte della dozzina.


Titolo: Unastoria
Autore: Gipi
Anno della prima edizione:
Casa editrice: Coconino Press
Pagine: 126



Al termine di un periodo molto difficile scrive "Unastoria", dove intreccia due vite. La prima è quella di Silvano, uno scrittore in preda ad un episodio depressivo, ricoverato in psichiatria, che cerca di tornare a vivere nel mondo dove non sa stare. Poi c'è Mauro, un suo antenato partito per la Grande Guerra sopravvissuto alle trincee alle mitragliatrici alle lettere d’amore scritte alla moglie lontana e al figlioletto appena nato ma non senza essersi garantito una riserva di incubi e di colpe.

"Unastoria" è un fumetto che passa da disegni quasi stilizzati, in bianco e nero, circondati da balloon in una grafia stretta e disordinata, a tavole intere di acquerelli che ti incendiano lo sguardo con la loro neve, i loro tramonti, gli alberi soli nel paesaggio; queste tavole sorprendenti arrivano ad ipnotizzare il lettore e sono state per me un vero colpo al cuore durante la lettura. 
"Unastoria" è un fumetto di cui fatico a parlare, dove l’aspetto visivo mi ha colpito addirittura più della trama, anche se nelle pagine in cui Mauro è protagonista, nel suo impegno disperato e disposto a tutto pur di tornare vivo come ha promesso (consapevole che ciò non dipenda in alcun modo da lui), mi sono sentita al suo fianco, tra il fango, gli spari e le benedizioni di un prete che valgono il tempo che trovano.

Gipi è un autore che colpisce al cuore. Avevo già letto alcune sue opere, "Appunti per una storia di guerra" ed "Esterno notte" molti anni fa, prima di aprire questa pagina, e mi erano piaciute, avevano toccato anche loro le corde giuste, ma "Unastoria" è riuscita nella difficile impresa di superarle, e per questo non posso fare altro che consigliarvi di leggerlo anche se dell’autore non avete ancora conosciuto nulla.

lunedì 2 agosto 2021

Sul confine

Romanzo di cui non avevo mai sentito parlare, ma che ho acquistato a scatola chiusa grazie agli eccezionali sconti sui reminders invenduti della casa editrice ISBN (che ormai non esiste più), purtroppo "Sul confine" non si è rivelata una lettura memorabile.


Titolo: Sul confine
Autore: Sherko Fatah
Anno della prima edizione: 2001
Titolo originale: Jung und Jung
Casa editrice: ISBN Edizioni
Traduttrice: Cristina Vezzaro 
Pagine: 249


Il protagonista di "Sul confine" è un contrabbandiere che opera al confine tra la Turchia, l’Iraq e l’Iran; trasporta merci come tecnologia portatile, sigarette e alcolici, e mette tutto il proprio impegno nel passare il confine evitando i terreni minati delle campagne. L’argomento di questo romanzo è estremamente interessante e anche lo stile dell’autore non mi è dispiaciuto: molto descrittivo e attento ai dettagli, caratterizza il proprio protagonista senza nome ed il contesto che lo circonda in modo tale da far sentire il lettore al fianco dell’uomo, che potrebbe saltare in aria da un momento all’altro, venire da un momento all’altro arrestato da soldati di una o dell’altra nazione, o derubato da criminali comuni più disperati di lui. 

Il difetto principale di questa storia per alcuni potrebbe essere la lentezza; per me il problema non è stato questo, bensì il fatto che l’elemento attorno al quale mi aspettavo avrebbe ruotato la trama (ovvero la scomparsa del primogenito del contrabbandiere, che l’uomo non si rassegna ad aver perso per sempre) non è stato sviluppato come avrei voluto. Inoltre anche altri filoni della storia, come l’aspetto delle mine antiuomo, vengono purtroppo persi per strada. 

Sono contenta di aver finalmente letto questo libro che avevo lasciato per troppo tempo in attesa sullo scaffale, ma devo ammettere che purtroppo non si è trattata di una lettura memorabile! Ho deciso però che in un diario delle letture è giusto trovino spazio anche quelle che non mi hanno soddisfatta quanto speravo e quindi eccoci qui, anche se per oggi questo post non costituisce un consiglio.

Avete mai letto letteratura irachena? Conoscete le edizioni ISBN?