lunedì 6 luglio 2020

Lessico famigliare

In materia di classici, antichi e moderni, sono molto ignorante. Più facile per me è farmi incuriosire da un romanzo uscito da poco, di cui si parla tanto o che si vede spesso in giro; tuttavia vorrei davvero colmare questa lacuna e variare il mio genere di letture. In questo caso ci sono riuscita, anche se si tratta di un libro che avevo già iniziato diverse volte, senza mai riuscire a terminarlo…




Titolo: Lessico famigliare
Autrice: Natalia Ginzburg
Anno della prima edizione: 1963
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 222




Difficile definire “Lessico famigliare”: Natalia Ginzburg lo definì un romanzo, pur raccontando la sua famiglia e i suoi amici e conoscenti; non è certamente un diario, essendo quasi completamente privo di riferimenti temporali, e non è un’autobiografia, dal momento che è proprio Natalia quella a rimanere più in secondo piano
L’ultimo romanzo che ho scritto è tutto vero. È però un romanzo, perché vi manca l’obbiettività d’una cronaca, e perché non mi sono proposta, scrivendo, di dare un quadro obbiettivo e fedele della realtà, ma semplicemente di far rivivere la realtà a modo mio e come io volevo.

Chi spicca di più sono certamente i genitori: Lidia e Beppino, solare lei quanto autoritario (ma spesso inascoltato) lui, alla testa del clan di figli ognuno con le proprie inclinazioni, le proprie amicizie e soprattutto le loro parole: quei sempiezzi, sbrodeghezzi, quelle robine, quei termini che creano un codice privato, una forma di riconoscimento e di condivisione. 

Lidia Tanzi e Giuseppe Levi
Più che parlare dei legami Natalia ritrae i suoi familiari come se fossero i suoi personaggi, ne rievoca i momenti più importanti, le carriere universitarie, i matrimoni -degno di nota quello della sorella Paola con l’imprenditore Adriano Olivetti, descritto con grande dolcezza tra queste pagine.
Io ricorderò sempre, tutta la vita, il grande conforto che sentii nel vedermi davanti, quel mattino, la sua figura che mi era cosí familiare, che conoscevo dall’infanzia, dopo tante ore di solitudine e di paura, ore in cui avevo pensato ai miei che erano lontani, al Nord, e che non sapevo se avrei mai riveduto; e ricorderò sempre la sua schiena china a raccogliere, per le stanze, i nostri indumenti sparsi, le scarpe dei bambini, con gesti di bontà umile, pietosa e paziente. E aveva, quando scappammo da quella casa, il viso di quella volta che era venuto da noi a prendere Turati, il viso trafelato, spaventato e felice di quando portava in salvo qualcuno.
Adriano Olivetti e Paola Levi
C’è ben poco ebraismo in “Lessico famigliare”, nonostante Natalia sia nata Levi; è un ebraismo secolarizzato, a cui di rado si fa riferimento, se non per qualche commento ironico sulle differenze esteriori tra ashkenaziti e sefarditi, o quando il fascismo fa sentire sempre di più la propria presenza. 
Padre e fratelli Levi vengono infatti arrestati numerose volte per la loro opposizione al regime, così come coloro che gravitano attorno alla famiglia (primo fra tutti Leone Ginzburg, primo marito di Natalia), mentre la guerra sembra ancora una realtà lontana, priva di conseguenze irreversibili.
Ma poi la guerra arriva e Natalia la descrive in poche righe, perché poco spazio è lasciato ai dolori in “Lessico famigliare”: poche righe occupa la morte di Leone Ginzburg, torturato dai fascisti, poche righe i bombardamenti che distruggono l’Italia, e in un numero così limitato di parole trapela un’efficacia rara.
La guerra, noi pensavamo che avrebbe immediatamente rovesciato e capovolto la vita di tutti. Invece per anni molta gente rimase indisturbata nella sua casa, seguitando a fare quello che aveva fatto sempre. Quando ormai ciascuno pensava che in fondo se l’era cavata con poco e non ci sarebbero stati sconvolgimenti di sorta, né case distrutte, né fughe o persecuzioni, di colpo esplosero bombe e mine dovunque e le case crollarono, e le strade furono piene di rovine, di soldati e di profughi. E non c’era piú uno che potesse far finta di niente, chiuder gli occhi e tapparsi le orecchie e cacciare la testa sotto al guanciale, non c’era. In Italia fu cosí la guerra.
Poche righe sono dedicate anche al suicidio di Pavese. Pavese, amico della famiglia Levi, ha condiviso con loro numerose serate torinesi e fa capolino tra queste pagine in paragrafi colmi di dolcezza, in cui traspare un personaggio ironico, poco interessato alla politica, facile alle delusioni d’amore, che ama le ciliegie: questi brevi, fugaci ritratti dello scrittore sono stati i miei brani preferiti dell’intero libro della Ginzburg, perché mi sono sembrati quasi degli scatti rubati in cui intravedere l’uomo dietro l’autore
Continuò tuttavia ad avere paura della guerra, anche dopo che la guerra era da gran tempo finita: come, del resto, noi tutti. Perché questo ci accadde, che appena finita la guerra ricominciammo subito ad aver paura di una nuova guerra, e a pensarci sempre. E lui temeva una nuova guerra piú di tutti noi. E in lui la paura era piú grande che in noi: era in lui, la paura, il vortice dell’imprevisto e dell’inconoscibile, che sembrava orrendo alla lucidità del suo pensiero; acque buie, vorticose e venefiche sulle rive spoglie della sua vita.

Cesare Pavese, Leone Ginzburg, Franco Antonicelli e Augusto Frassinelli (1932)
Impossibile ridurre la lettura di un testo così importante per la letteratura italiana ad un giudizio personale, specialmente parte di chi come me legge per piacere e non per mestiere -quindi con limitatissime capacità critiche. 
"Lessico famigliare" vinse il Premio Strega nel 1963 e riscosse un immenso successo; oggi è considerato un classico della letteratura italiana del Novecento, un libro capace di raccontare un'epoca attraverso la storia di una famiglia. Spesso viene consigliato come lettura scolastica: personalmente credo che pochi adolescenti possano apprezzarlo (io per esempio non ne ero affatto stata capace) e che sarebbe meglio leggerlo da adulti, quando i nomi di Turati, dei fratelli Rosselli, di Pavese per dirne qualcuno avranno acquisito un significato. 
Non l'ho trovata una lettura semplice, ma quando l'ho conclusa mi sono sentita arricchita e soddisfatta per averla portata a termine; vi consiglio di fare lo stesso quando vi sentirete pronti a farlo, di certo arriverà il momento giusto!

Nessun commento:

Posta un commento