lunedì 14 settembre 2020

La mia anima è ovunque tu sia

La seconda guerra mondiale è uno dei periodi storici dei quali leggo più volentieri, sia testimonianze autobiografiche sia romanzi che siano ambientati in quegli anni. In questo caso ho letto un romanzo che ruota attorno alla resistenza partigiana e racconta una storia noir.





Titolo: La mia anima è ovunque tu sia
Autore: Aldo Cazzullo
Anno della prima edizione: 2011
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 127




LA STORIA

Ne “La mia anima è ovunque tu sia” c’è un tesoro, che era nelle mani della Chiesa ma ha permesso a qualcuno di diventare ricco, a guerra finita. C’è la lotta partigiana sulle colline di Alba combattuta da Domenico e da Alberto, innamorati della stessa donna, attiva nella Resistenza anche lei. Ci sono conti in sospeso che restano, sessanta anni dopo, ancora da regolare; e la morte di Domenico, assassinato, che dà inizio ad un’indagine che dovrà scavare nel passato.


COSA NE PENSO

Cazzullo, giornalista per il Corriere della Sera, scrive qui il suo primo romanzo. Lo ambienta ad Alba e lo scrive alternando tre piani temporali: il 1945, il 1963 e il 2011. 
Nel 1945 c’è la fine della guerra che incombe, ci sono le lotte partigiane che hanno affrontato i fascisti e subito molte perdite; ci sono Alberto e Domenico che hanno perso la donna che amavano, e hanno scoperto una grande quantità di denaro nelle mani della Chiesa.
“Anche quando saremo lontani, vorrei che il mio amore fosse sempre con te, come un pensiero allegro in fondo alle giornate tristi, o un amico che ti fa compagnia quando sei sola. Spero che il mio amore si renda utile, come lo scialle che indossi quando hai freddo e posi quando voli via, libera e leggera. Attenta però a non dimenticarlo, a non lasciarlo chissà dove. Maneggialo con cura, il mio amore, quando lo porti in giro: bada a non urtare gli spigoli, proteggilo dalle chiacchiere indiscrete. Ricordati che il mio pensiero ti segue sempre, il mio cuore ti appartiene, e la mia anima è ovunque tu sia.”
I capitoli sono brevissimi e il passaggio tra tempi e personaggi è repentino; questo rende un po’ difficile seguire l’ordine delle vicende e mettere a fuoco il carattere dei protagonisti, ai quali non si ha materialmente il tempo di affezionarsi. 
Degni di nota sono la presenza del personaggio di Amilcare Braida, nome di battaglia Johnny, che è un chiaro rimando a Beppe Fenoglio: Amilcare era infatti il nome del padre di Fenoglio, e Braida il cognome del protagonista del suo romanzo “La malora”; “Johnny” invece è il nome del protagonista di quello che forse è il suo romanzo più famoso, “Il partigiano Johnny”. 
Neppure Alberto amava i commissari politici, l’indottrinamento, la disciplina. E forse neppure lui era davvero comunista. Ma era convinto che la guerra doveva essere davvero guerra di liberazione. Dai preti, dai padroni, dai ricchi. Si combatteva per la terra, per i mezzadri cacciati nel giorno di San Martino, per riscattare la malora in cui erano vissuti i padri e le botte che i fascisti avevano aggiunto al conto. 

Ne “La mia anima ovunque tu sia” c’erano tutte le premesse per creare un romanzo che mi sarebbe piaciuto moltissimo: sa raccontare infatti la Resistenza, e lo fa in modo credibile.
Il vescovo aveva conosciuto i tedeschi in guerra, aveva visto di cosa erano capaci, era caduto in ginocchio di fronte alle case bruciate, aveva offerto invano la sua vita in cambio di quella degli ostaggi, aveva benedetto i corpi degli uccisi, poveri resti di uomini e di donne, carni senza occhi, mani senza unghie, segni di un’agonia senza conforto, di una morte data senza un’ombra di compassione, di una vita strappata via con forza, come si cava un dente. Tanti partigiani erano senzadio; ma erano pur sempre i figli dei contadini di Langa. I nazisti parevano divinità pagane che reclamavano sacrifici di sangue. Il Papa, al sicuro dietro le mura del Vaticano, non poteva saperlo. Lui sì. Nessuno poteva essere peggio dei nazisti. 
È purtroppo la sua brevità, che a volte me lo ha fatto sembrare anche frettoloso, che non mi ha permesso di apprezzarlo appieno. Il mistero c’è e viene risolto (la conclusione a mio parere è anche molto convincente), ma avrebbe potuto essere molto più appassionante se maggiormente approfondito.
Nel complesso credo che Cazzullo abbia ancora bisogno di impegnarsi un po’ prima di dedicarsi alla narrativa… 

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