mercoledì 3 agosto 2022

Il giovane Holden

Avevo 13 anni la prima volta che lessi "Il giovane Holden": ero poco più giovane del suo protagonista e J.D. Salinger mi sembrò così capace di raccontare gli alti e bassi dell’adolescenza, quegli stati d’animo sospesi tra la rabbia, la tristezza e l’euforia che la mia copia me la portavo in giro ovunque e oggi è macchiata d’erba e di caffè. A quasi vent’anni da quella prima lettura, rileggere "Il giovane Holden" non è stata affatto la delusione che temevo: Holden è ancora il compagno della mia adolescenza, è ancora quel ragazzo arrabbiato, triste e insoddisfatto e d'un tratto entusiasta che si chiede dove siano finite le anatre di Central Park quando diventa inverno, che ripensa al fratellino perduto che scriveva poesie su un guantone da baseball  e che rinuncia ai suoi piani di fuga per la bellezza di guardare la sorellina girare in cerchio su una giostra.


Titolo: Il giovane Holden
Autore: J.D. Salinger
Anno della prima edizione: 1951
Titolo originale: The Catcher in the Rye
Casa editrice: Einaudi
Traduttrice: Adriana Motti
Pagine: 248


Salinger scrive nel secondo dopoguerra americano, dopo la sua esperienza di combattimento e i traumi dovuti all’essere stato testimone dei lager, il romanzo che proprio in guerra gli ha tenuto compagnia. È stato in guerra con Holden, mentre prima di partire ne aveva fatto un racconto e aveva la mezza idea di svilupparne soprattutto il fratello maggiore (lo scrittore D.B., che qui incontriamo di sfuggita). La storia di Holden è in realtà un lungo flashback che il ragazzo ci racconta, sentendo, come dice in chiusura, poi la mancanza di tutti i bizzarri personaggi che ne popolano i capitoli -quasi una serie di racconti a sé stanti, se non fossero legati dal peregrinare di Holden dalla scuola da cui è stato espulso fino al pomeriggio a Central Park con Phoebe, nell’arco di due notti e tre giorni.

Il titolo merita un discorso a parte: quello italiano paga l’intraducibilità dell’originale “The Catcher in The Rye”, letteralmente l’acchiappatore nella segale, storpiatura di una poesia che Holden comprende male e gli fa immaginare un’attività che tra le tante possibili potrebbe essere l’unica che vorrebbe fare: prendere al volo ragazzini che giocano in un campo di segale e rischiano di finire oltre il limite -e non ditemi che l’innocenza e la purezza di quest’immagine non vi spezza il cuore.

È un romanzo figlio degli anni '50, dove troveremo parecchi stereotipi sugli omosessuali, una visione di certo datata dei rapporti tra uomini e donne e l’esperienza fresca della guerra che tanto segnò lo scrittore. Ma è soprattutto il romanzo tra tutti quelli che ho letto che è meglio da voce a quell’età di mezzo, a quelle sensazioni a cui non si sa dare un nome, all’incertezza di chi si è e cosa si vuole, alla fragilità che ci fa affezionare ma al tempo stesso respingere chi ci circonda. 
Salinger, che avevo imparato ad amare a soli 13 anni, è ancora per me un maestro nel raccontare e costruisce un Holden che è così vero da poterci parlare, un amico come dice lui stesso che vorresti chiamare al telefono dopo averne lette le avventure.
Grazie ancora, Holden Caulfield, di avermi fatto compagnia quando ero persa e arrabbiata quanto te, e grazie per ricordarmi oggi quanta strada abbiamo fatto insieme.

Qual è il romanzo insieme al quale siete diventati grandi?

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