mercoledì 22 ottobre 2025

Ultime notizie dalla famiglia

Dopo i primi quattro romanzi del ciclo Malaussène, la serie di romanzi di Daniel Pennac (portata in Italia da Feltrinelli editore) poteva forse considerarsi conclusa; nel 1996 in Francia però escono due testi brevi, "Monsieur Malaussène au théatre" e "Des chrétiens et des maures", che non la portano avanti bensì si inseriscono nella narrazione precedente. Ad oggi sappiamo che Pennac ha poi proseguito le vicende dei suoi protagonisti (e io ho tutta l'intenzione di dedicarmi anche ai volumi successivi), ma quanto al 1996 la linea temporale della famiglia Malaussène non si sposta in avanti. 

Racchiusi in un volume unico intitolato "Ultime notizie dalla famiglia" nell'edizione italiana, i due testi sono rispettivamente una breve opera teatrale che traspone una versione riassunta del quarto volume della serie "Signor Malaussène" in cui viene alla luce il figlio di Benjamin e Julie, e un flashback sulle origini de Il Piccolo e l'identità del padre di quest'ultimo.

Se in "Monsieur Malaussène au théatre" non trova nulla di nuovo un lettore costante delle avventure della famiglia di Belleville, anzi vi ritroviamo passaggi che riconosciamo integralmente aver già letto sin dal primo romanzo "Il paradiso degli orchi", molto più godibile è "Des chrétiens et des maures". Si tratta di un racconto breve e citazionistico, che prende il via dal Bartleby di Melville nel momento in cui Il Piccolo "preferirebbe il suo papà", ed inizia uno sciopero della fame deciso a tutti i costi a scoprire chi fosse. Così i ricordi di Benjamin e dei suoi amici del quartiere tornano indietro di qualche anno, prima dell'arrivo di Verdun, di È Un Angelo, del cane Julius, e naturalmente di Signor Malaussène. Ci viene raccontata così una rocambolesca avventura della vittima di un crimine violento, rapita dall'ospedale in cui lavora Louna, per il quale non si trova altra soluzione che l'ospitalità in casa Malaussène nella speranza che possa rimettersi in salute -ma la conclusione torna ad essere letteraria e ricca di fantasia, perché "la maggior parte dei bambini nasce da una metafora" [l'uomo infatti, ebreo newyorkese poliglotta, si rivelerà il protagonista di una serie di romanzi, niente di meno e niente di più concreto].

Con questo titolo di transizione Pennac riporta i suoi fedeli lettori a Belleville, nell'universo colorato e fantasioso dei Malaussène, a perdersi tra i suoi personaggi teneri, divertenti, che se ne inventano sempre una nuova per non farci annoiare. Certo non è un capitolo fondamentale per godersi la serie, ma l'ho trovato comunque una piacevole compagnia per un pomeriggio e non ha fatto altro che aumentare ancora la mia voglia di proseguire nella lettura.

Qual è il titolo che preferite nella saga dei Malaussène?

I Greenwood

Letto negli ultimi mesi dell’anno, "I Greenwood" di Michael Christie, pubblicato da Marsilio, ribalta quelli che credevo sarebbero stati i titoli preferiti di questo 2025, rientrandovi con prepotenza e necessità.

Sin dalle prime pagine ho sentito che questo voluminoso romanzo familiare mi sarebbe entrato nel cuore, ma ancora non potevo immaginarmi quanto!

Costruito come un viaggio nel tempo che procede prima a ritroso dal 2038 al 1908 e poi ritorno fino al futuro, questo libro racconta le vite travagliate e spesso anche infelici dei membri di una famiglia che si è formata per caso: la famiglia Greenwood. Nata da due fratelli che fratelli non erano [bambini soli, orfani di un disastro ferroviario, cresciuti come randagi dentro una foresta, imparando il mestiere del legno che ne renderà ricco uno ed emarginato l’altro che si è arruolato in guerra per salvare il primo che stava diventando cieco]: sono Harris ed Everett, ricco il primo privo di tutto il secondo, ma anche profondamente solo il primo nella sua omosessualità così difficile da dichiarare all’epoca e molto amato il secondo da una donna che in una fattoria in mezzo al nulla sfama i senzatetto sulla veranda, e ha fondato una biblioteca di libri che vanno e che vengono e che lo aspetta, pur senza saperlo per tutta la sua prigionia.

A cosa è dovuta a quella prigionia? Ad aver salvato una vita, quella di Willow l’ennesima parente che entra in famiglia senza avere alcun legame di sangue con i Greenwood, creduta figlia di un ricco magnate e della sua amante (in realtà concepita da lei e dalla guardia del corpo di lui, dipendente dall’oppio e già sposato con troppi bambini); una neonata senza nome, viene lasciata nel bosco dove Everett vive nascosto e quando la trova pur desiderando sbarazzarsene all’inizio, le si affeziona e pur di non lasciarla in mani che non la amerebbero quanto lui, dichiara di averla uccisa e così la libera. L’affida al fratello, quel fratello che di sangue non è, e sconta una pena per omicidio e per rapimento, reati che non ha mai commesso.

Everett è il personaggio a cui mi sono più affezionata sin dalle primissime pagine in cui è comparso in scena e ho temuto per lui al punto che ogni tanto ho dovuto interrompere la lettura perché non ero pronta a ricevere notizie negative al suo riguardo.

Oltre a Willow, poi che rifiuterà la ricchezza del padre e soprattutto il suo continuo abbattere gli alberi, scegliendo di vivere in un furgone, compare Liam, suo figlio che prende il nome di quell’amore segreto di suo padre Harris, quell’uomo irlandese che leggeva poesie ad alta voce. Liam, che si innamora di una musicista e fabbrica una viola che finisce distrutta, Liam che è più solo ancora di suo zio e di suo nonno e che nemmeno riuscirà a conoscere sua figlia Jake, la prima che conosciamo in questo romanzo e anche la voce che lo terminerà.

Jake, l’ultima dei Greenwood o forse no, perché essere un Greenwood non è mai stata una questione di DNA, apre e chiude questo romanzo insieme al Grande Avvizzimento che non lascia scampo agli alberi del mondo e ci parla del riscaldamento globale, di quanto l’essere umano stia distruggendo il pianeta -realtà che conosciamo già bene al giorno d’oggi. Così come la Grande Depressione non aveva lasciato scampo all’epoca in cui i primi fratelli Greenwood erano bambini. il Grande Avvizzimento stermina gli alberi del 2038 di cui Jake cerca di essere guardiana, al di là di ogni convenienza, perché gli alberi sono al centro di questa storia: che siano il legname commerciato da Harris, la fonte dello sciroppo ricavato da Everett per sopravvivere o appunto i protetti di Jake che si ritrova a fare da guida ai più ricchi del pianeta, dove della natura non rimane niente.

"I Greenwood" è un romanzo corposo, la cui mole non si percepisce per nulla: è un romanzo in cui ci si commuove, ci si emoziona, in cui attraverso il diario di una giovane donna le vite si inseguono e si ritrovano; dove nessuno forse riesce a salvarsi, ma tutti ci provano per come possono, come un albero malato che cerca di resistere alla siccità e ai parassiti.

"I Greenwood" è un romanzo pieno di umanità: l’umanità degli ultimi, di coloro che sono rimasti soli, che spesso lo hanno addirittura scelto. È un romanzo che conquisterà gli amanti delle storie familiari che non potranno che sentirsi parte di questa foresta familiare, fatta di condivisione, di darsi riparo reciprocamente e per cui non c’è bisogno di appartenere allo stesso lignaggio. Ho amato ogni pagina di questo romanzo, e da tempo non sentivo la necessità di andare avanti con una storia come con questa lettura, di cui sento già la mancanza un attimo dopo aver terminato l’ultima pagina e che non posso fare altro che consigliarvi di cuore!

Qual è l’ultimo romanzo familiare che vi ha conquistati?

venerdì 17 ottobre 2025

Passeggiare la notte

Mio primo incontro con Leila Mottley, "Passeggiare la notte" pubblicato da Bollati Boringhieri è anche il suo romanzo d’esordio ed è ambientato nella sua città, Oakland in California. L’autrice si è ispirata ad un fatto realmente accaduto: una giovane ragazza nera che è stata ricattata e sfruttata da un gruppo di poliziotti. Per dare voce a queste vittime, troppo spesso ignorate e che di rado ottengono la giustizia che meritano proprio perché i loro aguzzini sono proprio quelli che dovrebbero far rispettare le regole e proteggere i più fragili, Mottley ci racconta la storia di Kiara. 

Ha 17 anni, sua madre è in carcere, suo padre è morto e suo fratello non partecipa alle spese domestiche, impegnato com’è a sognare di sfondare nella musica. Davanti alla minaccia di sfratto e ai soldi che non bastano mai, Kiara percepisce come unica alternativa quella di vendere il proprio corpo sulla strada. Non ci riflette più di tanto, semplicemente comincia, ma alla difficoltà di questa situazione si aggiungono appunto i poliziotti che decidono di approfittare di lei e della sua fragilità, rendendola sempre più prigioniera della situazione.

In mezzo a tanta violenza, alla povertà, alla condizione estrema di chi non sa come tenersi un tetto sulla testa e che si sente abbandonata da tutti coloro che avrebbero dovuto proteggerla, Kiara diventa colei che protegge e lo fa con Trevor, il figlio bambino di una vicina tossicodipendente che lo ha abbandonato senza curarsi di come possa sopravvivere. Kiara diventa il suo punto di riferimento e nonostante fatichi a badare a se stessa fa di tutto perché Trevor continui ad avere una casa, cibo da mangiare e le partite a basket nel campetto che tanto ama.

Soffriamo con Kiara in questo libro: ogni volta che una porta le si chiude in faccia, ogni volta che la trappola si stringe e che non sembra che possa esserci un futuro con un qualche genere di speranza per lei e per coloro che la circondano. È un libro molto cupo quello di Mottley, che racconta la realtà difficile delle persone razziate, marginalizzate sfruttate fisicamente e private delle opportunità a cui dovrebbero avere diritto. È un romanzo triste, ma anche incalzante, ben scritto e coinvolgente, dove davvero ci interessiamo alla sorte della protagonista e dove le pagine scorrono senza che nemmeno ce ne accorgiamo.

Mottley rientra tra le mie scoperte di autrici lette per la prima volta quest’anno e il suo esordio mi ha colpita così tanto che ho già recuperato l’appena uscito "Ragazze che diventano grandi", che promette di essere convincente ed emozionante quanto il precedente.

Quali sono le scrittrici che avete scoperto quest’anno e non smetterete più di leggere?

lunedì 13 ottobre 2025

Via Katalin

Acquistato al mercatino dell'usato, "Via Katalin" di Magda Szabo, pubblicato da Einaudi, è stato uno di quegli incontri "destinati": ambientato infatti nella città di Budapest, è entrato nella mia libreria pochi giorni prima di prenotare un viaggio last minute verso la capitale ungherese. "Via Katalin" l'ho infilato nello zaino, ma in vacanza ho letto poco e nulla, e l'ho terminato nei giorni dopo il rientro. 

Si tratta di un romanzo breve, ma tutt'altro che immediato, semplice o prevedibile: "Via Katalin" è una storia di fantasmi sulle rive del Danubio, una storia di perdita dell'infanzia e dell'innocenza in cui i nazisti ungheresi mietono vittime, in cui si sente il rombo dei carri armati sovietici, in cui i legami si spezzano ma chi se n'è andato non è mai del tutto passato oltre.

Nei palazzi della via Katalin degli anni '30 incontriamo Henriett, Bàlint, Irèn e Blanka, che fanno amicizia da bambini e crescono insieme, finché una delle loro tre famiglie non viene spazzata via. Li ritroviamo adulti, tutti tranne uno, alle prese con gli innamoramenti, le separazioni, le bugie che cambieranno vite [Blanka, per risarcire Irèn ferita dalla freddezza di Bàlint che non la sposerà, mente sul suo conto e l'uomo viene allontanato dalla città. Quando farà ritorno, Irèn sarà sposata con una figlia bambina, ma lascerà suo marito per lui; sarà Bàlint a mettere in salvo Blanka facendola fuggire all'estero, prima che le bugie che ha raccontato sul suo conto ma non soltanto le rovinino la vita per sempre], e mentre i vivi crescono, invecchiano, si sposano, un fantasma ne osserva i passi, in bilico tra le tante visioni del passato e quelle del presente, rendendo questo racconto suggestivo e commovente.

Avevo letto molti anni fa un titolo dell'autrice, "L'altra Eszter", molto prima di raccontare le mie letture su questo profilo. Ricordo che lo avevo apprezzato, ma al momento "Via Katalin" mi ha stupita oltre ogni previsione, ed è stato l'ennesimo fortunatissimo incontro al mercatino dell'usato.

Quali titoli di Magda Szabo avete già letto?

Kafka e la bambola viaggiatrice

Raramente leggo libri per ragazzi (ne compro già abbastanza per adulti!), ma per "Kafka e la bambola viaggiatrice" di Jordi Sierra i Fabra, pubblicato da Salani editore, ho fatto un'eccezione: la storia trasmessa dalla sua compagna, dopo la morte dello scrittore ceco, mi aveva incuriosita moltissimo.

Si parla infatti di un'opera di Kafka andata perduta: le lettere che Kafka scrisse, pochi mesi prima di morire, ad una bambina che incontrò in un parco di Berlino e volle consolare dalla perdita della sua amata bambola. Inventò per lei lettere scritte dal punto di vista di questa bambola, ambientate nei più diversi luoghi della terra, inventandosi le sue avventure e le sue conoscenze; dopo la morte di Kafka furono pubblicati annunci di ricerca sui giornali per trovare la bambina e recuperare gli scritti perduti, ma l'impresa non riuscì. 

È molto triste pensare che l'opera forse più fantasiosa, tenera e spontanea di un grande autore sia andata persa per sempre, ma in questo libro adatto anche ad un pubblico molto giovane (e ignaro dell'identità del protagonista) si trova una storia dolcissima, che da lettrice adulta ho trovato commovente e che, come le letture migliori, mi ha fatto venire voglia di tornare a leggere i testi dello scrittore che qui troviamo rappresentato come personaggio di fantasia.

Vi capita di leggere letteratura per l'infanzia?

Supersaurio

In moltissimi contenuti ho letto consigliare Sally Rooney come autrice della generazione millennial, quella a cui appartengo io per prima. In un paio di giorni però ho divorato "Supersaurio" di Meryem El Mehdati, pubblicato da Blackie edizioni, e credo che questo invece potrebbe rivestire il ruolo in maniera molto più credibile. 

Di ispirazione dichiaratamente autobiografica, "Supersaurio" racconta le vicende di Meryem che dopo la laurea passa da uno stage all’altro a Gran Canaria dove vive, e approda in un’azienda nella quale inizia piano piano il suo percorso verso l’uscita dal precariato. Lo fa sottoponendosi a lavori ripetitivi, maltrattamenti da parte della sua referente, infinite persone che storpiano il suo nome (di origine marocchina, altra fonte di incomprensioni davanti al suo essere astemia ai cocktail aziendali) e conversazioni piene di stereotipi sulle giovani donne lavoratrici.

Chiunque sia laureato nel secondo decennio degli anni 2000, cresciuto credendo che sarebbe stato facile diventare adulti ed inserirsi nel mondo del lavoro e poi scontratosi con l’evidenza che sarebbe successo tutt’altro, soprattutto se in possesso di titoli di studio umanistici, non farà altro che riconoscersi nelle parole dell’autrice. Ad ogni pagina ho ritrovato pensieri che io stessa ho formulato per anni , le stesse frustrazioni, lo stesso senso di impotenza e di prigionia in una routine che ti svuota, ma dalla quale non puoi fuggire.

E ciò che ho trovato ancora più realistico è che mentre il contratto di lavoro diventa più stabile la pressione che Meryem riceve dall’ambiente di lavoro e da tutte le ore che è costretta a dedicargli non diminuisce, perché è così che viviamo la nostra vita adulta, cercando di ritagliarci tempo per ciò che ci piace, per ciò che siamo davvero, mentre ci scontriamo con i doveri pressanti delle nostre quotidianità.

La voce di Meryem è la nostra, quella delle donne nate tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, cresciute leggendo Harry Potter, qualcuna scrivendo fan fiction come lei, che hanno lavorato su se stesse con più senso critico dei propri genitori, ma anche con una minore ingenuità.

Quando ho iniziato "Supersaurio" non sono più riuscita a posarlo, perché le esperienze raccontate al suo interno sono così simili alle mie che mi è sembrato di rivedere un film già noto, raccontato però con arguzia ed ironia e con un linguaggio tagliente e mai banale che rendono la lettura un’esperienza ancora più coinvolgente e piacevole.

Se leggendo Sally Rooney avevo percepito una grande distanza tra i suoi personaggi e la mia esperienza, in Meryem mi sono ritrovata moltissimo, specialmente nel percorso lavorativo ma anche nelle delusioni amorose dei vent’anni, nel rapporto simbiotico e salvifico con le sue amiche, in quegli urli soffocati nel cuscino, ma allo stesso tempo nella sua determinazione ad affrontare l’indomani una nuova alba e una nuova giornata di lavoro.

Per chiunque faccia parte della cosiddetta generazione millennial, questa è una lettura in cui sono sicura che vi riconoscerete e vi affezionerete pagina dopo pagina alla protagonista!

Qual è l’ultimo libro sul mondo del lavoro che avete letto?

sabato 11 ottobre 2025

Quando il mondo dorme

Di Francesca Albanese si è parlato molto in questi mesi, e giustamente: relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati, ingiustamente attaccata da voci ignoranti da ogni fronte, tacciata di antisemitismo, mentre da anni si spende per il riconoscimento delle condizioni intollerabili della vita in Palestina, facendo sentire la propria voce contro l'apartheid e, più di recente, il genocidio a Gaza.

Per sostenere il suo operato ho acquistato "Quando il mondo dorme", titolo pubblicato da Rizzoli, che ha in copertina l'illustrazione dell'artista palestinese (rifugiata in Inghilterra) Malak Mattar -la stessa autrice del cosiddetto "Guernica di Gaza", intitolato in realtà semplicemente "No words".

Racchiusi tra un'introduzione e una conclusione, il testo di Albanese è composto da nove capitoli centrali, tutti dedicati a persone che hanno avuto un particolare ruolo nella progressiva presa di coscienza di Albanese riguardo a quello che avrebbe dovuto essere il suo impegno per la Palestina. Vi troviamo intellettuali, artisti (la già citata Malak), amici incontrati durante gli anni a Gerusalemme est e anche vittime del massacro iniziato ad ottobre 2023, come la piccola Hind Rajab, la cui voce è al centro del film "The voice of Hind Rajab", premiato a Venezia con il Leone d'Argento ed in corsa per gli Oscar.

Il primo aggettivo che utilizzerei per descrivere "Quando il mondo dorme" è: accessibile, ed il secondo: necessario. Albanese scrive infatti un libro che potrà, e dovrebbe, leggere un vastissimo pubblico, anche dagli studenti delle scuole superiori: un testo informativo, che ripercorre in modo semplice e chiaro l'occupazione della Palestina, che stimola alla riflessione, che crea collegamenti con gli altri genocidi della storia -anche quelli che di rado vengono chiamati così, come la fondazione degli Stati Uniti d'America e del Canada. 

È un testo pieno di persone e di umanità, che crea vicinanza con i lettori dal momento che Albanese riporta le proprie esperienze e i propri incontri, e ci tiene ad essere informativa e comprensibile sulle tante ingiustizie e su come esse vengano manipolate dai media per non essere percepite come tali. Per chi ha già letto molto sull'argomento non ci saranno grandi scoperte in questo libro, ma ogni occasione è buona per essere ancora più consapevoli, e per chi invece sente di avere grosse lacune questa può essere la lettura perfetta per cominciare a porvi rimedio.

Qual è l'ultima lettura sulla Palestina che avete terminato?