Come si trovano le parole per dedicare un post a "I miserabili" di Victor Hugo? Di certo non servo io a valutare un capolavoro dell’ottocento, universalmente riconosciuto caposaldo della letteratura francese! Dell’autore avevo già letto "Notre Dame de Paris" qualche anno fa e devo ammettere che avevo incontrato qualche difficoltà in meno, forse per via della mole un pochino più contenuta...
Non c’è bisogno di nominare il valore di quest’opera, la vastità degli argomenti che tratta, la quantità di digressioni storiche che dedica alla Francia e alle sue vicende, così come alla città di Parigi e alla sua architettura: elementi che indubbiamente arricchiscono la narrazione e rendono evidente il talento di Hugo non soltanto come scrittore di finzione, ma al tempo stesso di certo rallentano il ritmo della lettura.
La storia è arcinota: il giovane Jean Valjean finisce in carcere per un reato ridicolo. Cerca di evadere più volte, prolungando la sua condanna e una volta conquistata la libertà quando tutti lo credono morto diventa un benefattore, che vive per riscattare quelli che ritiene i suoi errori precedenti, e si prende cura dell’orfana Cosette strappandola ad un’infanzia di stenti. I due trascorreranno insieme molti anni fino a che lei non si innamorerà di Marius e con lui si sposerà, fino ad una conclusione che lascia un po’ con l’amaro in bocca con Jean, convinto di doversi togliere dai piedi per lasciare a Cosette la sua felicità, che muore davanti ai due ragazzi senza potersi godere così la gioia della famiglia.
I temi sono numerosi in questa storia e quello che personalmente mi ha colpita di più è quello della paternità: una paternità non di sangue ma di anima, in cui due solitudini si incontrano e fanno del proprio meglio per creare un legame che non hanno mai potuto avere prima di allora. Jean, con la sua coerenza talvolta controproducente, è il personaggio che più mi è rimasto nel cuore per la sua forza d’animo e per la sua evoluzione, dove i valori rimangono intatti a prescindere da quali sacrifici questo comporti per lui.
Ho condiviso questa lettura con un gruppo di altri lettori e devo dire che è stato un aspetto importante dell’esperienza, perché altrimenti più volte credo avrei provato un certo desiderio di arrendermi alla mole del testo: sono abituata a letture più agevoli, più contemporanee e spesso i classici mi mettono un po’ in difficoltà. Quest’opera, che nasce come una pubblicazione a puntate, riserva sempre un colpo di scena al lettore, ma al tempo stesso contiene molti elementi morali che inevitabilmente oggi ci appaiono un po’ anacronistici e oserei dire un po’ invecchiati.
Detto questo, sono molto contenta di aver concluso questa lettura che ho trovato più volte appassionante e dove ho ritrovato la scrittura di Hugo, in grado di colpirmi per la vastità dei suoi temi e la ricchezza dei suoi toni. Tra i miei tanti acquisti al mercatino dell’usato possiedo già "L’uomo che ride", un’altra opera dell’autore dal volume mastodontico e che credo al momento aspetterò qualche tempo per cominciare!
Avete già letto questo classico della letteratura?
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