lunedì 27 gennaio 2020

Almarina

Finalmente un romanzo che entra nella mia libreria e non giace per anni abbandonato sugli scaffali! Ero molto curiosa di leggere questo romanzo che ha attirato molta attenzione la scorsa estate, e così ho deciso di iniziarlo quasi immediatamente.




Titolo: Almarina
Autrice: Valeria Parrella
Anno della prima edizione: 2019
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 136
 



LA STORIA

Elisabetta è una donna napoletana di cinquant'anni, rimasta improvvisamente vedova mentre lei e il marito cercavano di adottare un figlio. Insegna matematica nel carcere minorile di Nisida ed è qui che incontra Almarina, giovane detenuta romena, sopravvissuta ad indicibili orrori e fuggita attraverso la rotta balcanica nel tentativo di salvare la sua vita e quella del fratellino.


COSA NE PENSO

L'aspetto che ho maggiormente apprezzato in questo romanzo è l'insolita ambientazione carceraria: non si trovano molti testi di narrativa che raccontino i luoghi di detenzione, tantomeno quelli minorili. Degne di nota sono diverse riflessioni sul dopo, su ciò che aspetta i carcerati dopo il rilascio; poco spazio è lasciato però ai giovani detenuti, Almarina stessa è assai poco caratterizzata -e questo è a mio parere il più grande difetto del libro.
Dentro: questo posto è meraviglioso – e fuori ci sta la città che ti costringe al tutto o al nulla, la vita ingombrante, la famiglia violata, la guerra, i bombardamenti da cui scappi, il vecchio che ti manda a rubare e quello che ti mette incinta, il fidanzato che ruba il fucile di suo padre, la madre che non ha saputo vedere, quella che ha visto troppo, quella che non ha saputo parlare. Fuori vai mendico nel mondo. Fuori ci sono figli gettati come una sgravata di gattini, e ragazzi che si fanno sul binario della circumvesuviana prima dell’accelerato delle undici e la signora in vestaglia seduta sullo sgabello del tabacchi con gli occhi fissi sul monitor delle scommesse – dentro: questo posto è meraviglioso, è tutto quello che i nostri ragazzi non hanno mai avuto, a partire da lui, dal direttore. 
Nonostante il titolo infatti potrebbe trarre in inganno, questo romanzo è profondamente Elisabetta-centrico: Almarina resta sullo sfondo, il suo personaggio è più accennato che costruito, a spizzichi e bocconi ne emerge il trafico passato, la dolorosissima separazione dal fratello impostale -in nome della giustizia- dallo Stato italiano. 
Quella che emerge dal loro incontro, che rinasce attraverso Almarina, è Elisabetta: che ritrova in sé una forza che non sapeva di avere, uno scopo che faticava a trovare. Non si racconta però da dove nasca il legame tra loro, perché accada con Almarina e non con un'altra tra le detenute sue coetanee; anche la reciprocità del legame stesso è piuttosto nebulosa, l'unico punto di vista che ci è dato è quello di Elisabetta, e della sua lente dobbiamo accontentarci. 
Perché c’è una cosa che continua a essere sfuggente, e non ve la dirà nessuno ad alta voce, cosí adesso ve la dico io: l’amore non riconosce l’autorità. Sí, formalmente sí, ci siamo costretti: ma dentro le ossa, quando ci guardiamo le rughe allo specchio, o nella verità del sonno, non vi concediamo il diritto di decidere.

Un altro elemento che non ho trovato del tutto convincente è lo stile di Valeria Parrella, che ho incontrato qui per la prima volta: è uno stile di scrittura ricercato, che racconta i fatti dal punto di vista di un narratore interno in prima persona -Elisabetta, naturalmente- alternando il presente e i ricordi, che usa molteplici citazioni (da Gramsci a Charlotte Bronte) e per lo più ho apprezzato molto; tuttavia finisce talvolta per risultare talvolta artificioso, poco spontaneo.
Mi danno una chiave che corrisponde a un piccolo armadietto. Della mia borsa faccio un sacco, l’ammacco, la schiaccio, ce la faccio entrare, do la mandata e vado. Dentro ci lascio la solitudine della figlia unica, l’orecchio dolente di una malattia esantematica, l’ombra che mi terrorizzava al pomeriggio, proiettata sul muro della stanzetta. Quella risposta inopportuna per cui mia madre non mi parlò per giorni. Tenersi le mani addosso quando non le vuoi davvero, volere di piú le mani addosso e non saperle chiedere. Il primo attacco di panico una notte in albergo a Parigi, dopo la maturità. E la vacanza con un uomo piú adulto di me, nella quale piansi tutti i giorni.
Al termine della lettura di "Almarina" mi sono rimaste molte domande, e un senso di generale insoddisfazione: le mie alte aspettative iniziali sono rimaste, devo confessarlo, un po' deluse. 

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