mercoledì 28 aprile 2021

Il deserto dei Tartari

Ci sono libri che semplicemente arrivano al momento giusto, quando sei pronto per comprenderli e per apprezzarli come meritano. Mi è capitato proprio questo con uno dei più famosi romanzi di Dino Buzzati.


Titolo: Il deserto dei Tartari
Autore: Dino Buzzati
Anno della prima edizione: 1940
Casa editrice: Mondadori
Pagine: 202



LA STORIA

Giovanni Drogo ha appena vent’anni quando, soldato, prende servizio alla Fortezza Bastiani, che si trova in un remoto luogo montuoso ed affaccia su una pianura, a nord, dalla quale si attende da decenni l'arrivo dei Tartari. In realtà i Tartari tanto attesi tardano ad arrivare, e gli anni passano per Giovanni che dapprima è convinto che il proprio servizio alla fortezza sia soltanto temporaneo, di molto breve durata, ma poco a poco si rende conto di come finirà per trascorrervi l’intera esistenza, in attesa di gesta eroiche che non arriverà mai a compiere.

COSA NE PENSO

Leggere a trent’anni compiuti "Il deserto dei Tartari" trasmette un messaggio che non sarei stata in grado di comprendere se lo avessi affrontato in adolescenza, come spesso viene suggerito dagli insegnanti di scuola. Giovanni diventa infatti, una volta giovani adulti, l’occasione per riflettere sulle occasioni della propria vita, sulle possibilità e sulle grandi gioie che attendiamo e pensiamo di trovare sui nostri passi, restando molto spesso delusi. 

Buzzati ha il dono di descrivere con le parole in modo da rendere ogni ambiente ed ogni personaggio vivo e presente. Il lettore vede la Fortezza, ne percorre i bastioni e le ridotte, sente lo scorrere dell'acqua nelle grondaie, il silenzio della neve che la ricopre. E si sente Giovanni Drogo, a cui il tempo scorre addosso, e che si accorge di invecchiare quando non sale più le scale due gradini alla volta.

Il tempo intanto correva, il suo battito silenzioso scandisce sempre più precipitoso la vita, non ci si può fermare neanche un attimo, neppure per un'occhiata indietro. «Ferma, ferma!» si vorrebbe gridare, ma si capisce ch'è inutile. Tutto quanto fugge via, gli uomini, le stagioni, le nubi; e non serve aggrapparsi alle pietre, resistere in cima a qualche scoglio, le dita stanche si aprono, le braccia si afflosciano inerti, si è trascinati ancora nel fiume, che pare lento ma non si ferma mai.

Giovanni Drogo è il simbolo di chi la propria vita l'ha trascorsa ad aspettare. Non uso di proposito il verbo "sprecare", perché Giovanni non spreca la propria vita in maniera consapevole: lascia soltanto che i giorni passino, scrutando l’orizzonte in attesa di un trasferimento prima, di un assalto nemico poi. 

Ma una decisione bisognava pur prenderla, e ciò gli dispiaceva. Egli avrebbe preferito continuare l'attesa, rimanere assolutamente immobile, quasi a provocare il destino affinché si scatenasse davvero.

"Il deserto dei Tartari" è un romanzo sul tempo che passa e su come questo inevitabilmente ci cambi, vedendoci talvolta (come nel caso di Giovanni) immobili all’interno di una fortezza in cui le gerarchie, il peso della società ci portano a commettere atti insensati come lo sparare ad una sentinella rimasta in avvertitamente chiusa fuori dalle mura, oppure morire di freddo com’è il tenente Angustina. In entrambi casi questi due uomini ci rappresentano assai bene: vittime inconsapevoli dei potenti e delle decisioni prese al di sopra della nostra testa, spesso il nome di leggi che non hanno motivo. 

Mi sono sentita Giovanni molto spesso durante questa lettura, e questo mi ha toccata, mi ha turbata perché mi sono resa conto di come anche io abbia dato per tanto tempo per scontato che qualcosa di determinante sarebbe successo, ed invece sono ancora qui alla mia personale fortezza Bastiani, che aspetto i Tartari in arrivo da una pianura del Nord.

Nessun commento:

Posta un commento