lunedì 13 gennaio 2020

Le più fortunate

Una lettura che puntavo da un po', ma faticavo a reperire in biblioteca, è il romanzo d'esordio di un'autrice di origini colombiane che vive in Inghilterra e pubblica in inglese.



Titolo: Le più fortunate
Autrice: Julianne Pachico
Anno della prima edizione:
Titolo originale: The Lucky Ones
Casa editrice: SUR
Traduttore:
Pagine:



LA STORIA

Le voci che popolano questo libro sono quelle di giovani donne colombiane delle classi più agiate, che hanno trascorso l'infanzia al riparo dalla guerriglia nonostante le loro famiglie fossero coinvolte nel narcotraffico
Le voci sono le loro ma le accompagnano quelle dei loro amici di una volta che sono diventati comandanti, dei loro professori che sono stati rapiti mentre si dirigevano a scuola, delle domestiche che hanno lavorato nelle loro enormi dimore; ci sono anche le voci delle stesse ragazze quando erano bambine, quando le feste di compleanno e le derisioni da parte dei compagni erano i pensieri più importanti.

COSA NE PENSO

Quello di Julianne Pachico è un romanzo d'esordio assolutamente atipico: è infatti un ibrido tra il romanzo vero e proprio e la tradizionale raccolta di racconti, dalla struttura frammentata che non rispetta l'andamento lineare del tempo. Si salta infatti avanti e indietro, in un arco temporale che ricopre in tutto una ventina d'anni (dal 1993 al 2013) partendo dagli anni duemila, tornando agli anni Novanta, di nuovo un passo in avanti e così via. L'autrice sceglie di proposito questa stratificazione, quest'assenza di linearità: ispirata dal "Cloud Atlas" di Mitchell costruisce il proprio racconto come un puzzle (immagine chiave all'interno del testo) composto da frammenti che meglio rappresentano la Colombia autentica.
"Le più fortunate" si apre sul personaggio di Stephanie, una giovane donna rimasta sola in un'immensa casa; i suoi genitori sono partiti (per andare ad una festa, scopriremo più avanti) e la domestica sembra scomparsa nel nulla, quando un uomo misterioso si presenta minaccioso alla sua porta. Inizia così un libro ricco di tensione, come se la parte di Colombia che Stephanie nel proprio benessere ha scelto fino a quel momento di ignorare venisse a presentarle il conto.
Ogni tanto le sale un leggero panico nello stomaco che le fa tremare le mani, e quando le succede non riesce a controllarsi; si precipita in camera e sbircia fuori dalla finestra, stringendosi le tende intorno al viso come un velo. Lui c'è sempre, con il solito poncho pizzoso, seduto sul prato accanto alla siepe irsuta. O appoggiato al banano. 
La fortuna del titolo è uno dei temi centrali a cui le storie ruotano attorno: è una fortuna però a cui ogni lettore può attribuire un diverso significato. Per le ragazze come Stephanie la fortuna è la loro distanza dal contesto colombiano che interessa le classi meno abbienti, ma per le loro domestiche, per quella parte di Colombia che Stephanie e le altre tengono a distanza, fortuna è la stabilità garantita dal posto di lavoro. Julianne Pachico scrive proprio di classi sociali, di una società divisa e dalle differenze estreme; dall'appartenenza di classe dipende dunque il significato dato al termine fortuna.  
Lui sta bene, dice tua mamma. Martedì scorso a scuola gli hanno fatto issare la bandiera. Gli manchi, ovviamente. Vuole sapere quando vieni. È passato così tanto tempo dall'ultima volta. Torni solo per i ponti; a malapena vi vedete, e poi alla fine stai quasi tutto il tempo in chiesa. Mai una telefonata, neanche una foto spedita per posta. Ti attorcigli il cavo del telefono intorno al dito finché non diventa paonazzo, quasi viola.
I personaggi di quelli che inizialmente ci sembrano racconti indipendenti, dalle diverse ambientazioni (le ville dapprima, la giungla poi, i suoi guerriglieri, le privazioni, la natura) si rivelano a poco a poco collegati tra di loro; questo è senza dubbio il maggior pregio dell'opera, che si presenta davvero come un viaggio nel quale il lettore scopre attraverso un indizio dopo l'altro la rete di legami che gli pare all'inizio invisibile, inesistente. Talvolta l'intero racconto ruota attorno ad un personaggio, che ne diventa protagonista; pagine dopo questo riappare, ma sullo sfondo, o addirittura come un ricordo di un passato lontano che sembra quasi non essere mai avvenuto.
Verso la torta e oltre!, hai esclamato. Stavamo seduti per terra uno accanto all'altra, così vicini che mi sembrava di captare segnali segreti inviati dai peli del tuo braccio al mio. Tu hai messo giù il libro e mi hai strofinato il mento addosso, proprio come un coniglietto, e poi hai appoggiato la tua testa alla mia -quanto vorrei averci visti da lontano, biondo su moro.
Julianne Pachico racconta una Colombia dilaniata dalla guerra civile, che si fa strada prepotentemente anche nelle vite di ragazze che si erano credute al sicuro fino a quel momento; ci racconta sì il narcotraffico, la violenza, l'incertezza e la paura, ma in modo molto più sfaccettato delle popolari serie TV ambientate in America Latina. L'autrice dà voce a una generazione di ragazze in bilico, attratte dalla cultura statunitense, poco informate e consapevoli -se non per nulla- di quando accade attorno a loro, e ci riesce in maniera strepitosa.
Ho trovato quest'opera di estremo interesse, affascinante nella sua particolarità (non mi viene in mente infatti qualcosa di simile che io abbia letto negli ultimi anni) e convincente nella sua costruzione dei personaggi, nella scrittura elegante senza mai divenire artificiosa. Mi è piaciuto al punto di acquistarne una copia dopo averlo letto in prestito dalla biblioteca; non posso proprio fare altro che consigliarlo a chiunque voglia andare oltre "Narcos" e scoprire la Colombia attraverso una narrazione sfaccettata e sorprendente.

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