lunedì 19 aprile 2021

Il labirinto degli spiriti

Con "Il labirinto degli spiriti" finisce un ciclo; finisce una storia che ho amato per anni e che mi ha accompagnata dall’adolescenza fino a stasera. Non è facile lasciare andare le storie che abbiamo amato e in quest’anno impossibile in cui lo stesso scrittore ci ha lasciati è ancora più doloroso.


Titolo: Il labirinto degli spiriti
Autore: Carlos Ruiz Zafon
Anno della prima edizione: 2016
Titolo originale: El laberint dels esperits 
Casa editrice: Mondadori
Traduttore: Bruno Arpaia
Pagine: 832


LA STORIA 

"Il labirinto degli spiriti" inizia durante il bombardamento su Barcellona nel 1943: le bombe distruggono la città, colpiscono Fermìn, già in fuga da chi lo perseguita, e la piccola Alicia che ne porterà per sempre il segno sul suo corpo.
Il resto della narrazione avviene quasi del tutto tra il 1959 e il 1960, quando in Spagna governa Franco, la giustizia è un’utopia e i giusti finiscono in carcere, torturati, uccisi, privati delle loro famiglie. Seguiamo le vite dei Sempere, che avevamo già imparato ad amare, di Fermìn, che rimane il mio personaggio preferito, e poi di Alicia divenuta adulta, indomita ma imprigionata in un ruolo impostole da un personaggio molto scomodo, il misterioso Leandro.


COSA NE PENSO

"Il labirinto degli spiriti" potrebbe sembrare un thriller, per una buona metà, ma chi ha letto i volumi precedenti della tetralogia dovrebbe aver già capito che Zafon non ha mai scritto romanzi convenzionali, appartenenti ad un unico genere, ma storie a tutto tondo, piene di mistero, che sta noi dotare di un senso e di un significato.
Barcellona, madre di labirinti, alberga nella parte più oscura del proprio cuore un viluppo di vicoli annodati in una barriera corallina di rovine presenti e future in cui viaggiatori intrepidi e spiriti smarriti di ogni condizione restano intrappolati per sempre in un distretto che, in mancanza di una più corretta avvertenza, qualche benedetto cartografo ha voluto battezzare come il Raval.
"Il labirinto degli spiriti" chiude un cerchio e lo fa svelando molto di quello che era rimasto il risolto o incompreso nei precedenti volumi: scopriamo infatti che David Martin ha avuto un ruolo ben più importante nella storia della famiglia Sempere, e che quell’amore di Isabella per lui aveva avuto un frutto che ben conosciamo. Riguardo David molto viene messo in dubbio, e questo mi ha fatto rivalutare il secondo volume di questa saga che avevo trovato troppo d’azione, troppo ricco di elementi surreali: alla luce di questa conclusione credo di averlo male interpretato, e questo fa capire l’importanza e la potenza del quarto volume nel complesso della storia. 
David Martín è un uomo malato che via via ha perso la ragione, sente voci e crede di essere in contatto con un diabolico personaggio di sua invenzione, un certo Corelli. In prigione, i suoi deliri, e il fatto che durante l’ultimo anno della sua vita Valls decida di rinchiuderlo da solo in una cella in cima a una torre del castello, gli valgono fra gli internati il soprannome di Prigioniero del Cielo.

Scopriamo inoltre che Julian -quel Julian che abbiamo seguito nel suo amore per Nuria e che abbiamo creduto morto in un incendio ne "L'ombra del vento" è tutt’altro che morto ed anzi, è pronto a tornare in campo al fianco del suo giovane omonimo e a chiudere il cerchio insieme a lui.
Ritorna anche Maurizio Valls, che ne "Il prigioniero del cielo" dava il tormento a David Martin ed era il crudele carceriere di Montjuic, mentre la mano di carte che riceve questa volta non sono proprio a suo favore -non che non se le fosse meritate! 

Non sono però tutti i fili di storie già note ad intrecciarsi ne "Il labirinto degli spiriti", perché c’è molto di nuovo in questo romanzo, anche se comunque collegato al passato. 
Ci sono infatti indagini, intrighi, crimini di regime; c’è la corruzione di una Spagna pronta a rubare i figli dei suoi oppositori, ma anche il coraggio di coloro che non si arrendono e cercano la verità, che siano essi giornalisti, donne responsabili dell’archivio dell’anagrafe o i nostri beniamini.
Nel 1981, poco dopo il fallito colpo di Stato che stava per riportare la Spagna all’età della pietra o a qualcosa di peggio, Sergio Vilajuana pubblicò una serie di articoli su La Vanguardia, nei quali rivelava il caso di centinaia di bambini rubati ai genitori, in gran parte prigionieri politici scomparsi durante i primi anni del dopoguerra nelle prigioni di Barcellona, che erano stati assassinati per cancellare le tracce.
Ho amato "Il labirinto degli spiriti" quanto "L’ombra del vento": ho amato l’inizio come ho amato la fine. Inutile dire quanto Zafon sia stato uno scrittore capace, dalla penna che ti avvolge dalla prima all’ultima riga, che ti trasporta in una dimensione suggestiva e magica come la sua Barcellona. Ho amato questo romanzo perché sa mettere il punto a tutte le storie le cui porte erano state lasciate aperte: tutto finisce dove era iniziato, al Cimitero dei Libri Dimenticati, che è stato così importante per tutti i personaggi della storia e dove trovare un libro non è mai stato un caso. In fondo questi quattro libri li sentiamo nostri, come se fossero stati proprio i nostri ritrovamenti in quel cimitero di Barcellona; nonostante la loro popolarità sono convinta che parlino ad ognuno di noi in un modo differente, perché come scrive l’autore "ogni libro è una conversazione" e la parte del lettore è proprio ciò che di suo ritrova nel romanzo -e in questo volume forse ho ritrovato me più che in tutti gli altri.
Una storia è un labirinto infinito di parole, immagini ed energie riunite per svelarci la verità invisibile su noi stessi. Una storia è, in definitiva, una conversazione fra chi la racconta e chi l’ascolta: un narratore può raccontare solo fin dove lo sorregge il mestiere, mentre un lettore può leggere solo fino a ciò che porta scritto nell’anima.
È difficile raccontare "Il labirinto degli spiriti" senza rovinare qualcosa a coloro che non hanno ancora letto i capitoli precedenti della tetralogia. Un consiglio che mi sento di darvi è senz’altro quello di non far trascorrere troppo tempo tra la lettura dei volumi precedenti e quest’ultimo, poiché mi sono accorta che avrei colto meglio alcuni dettagli se non avessi terminato "Il prigioniero del cielo" da così tanto tempo. 


Ne "Il labirinto degli spiriti" c’è moltissimo: moltissimi personaggi, decenni di storia, pagine avvincenti dove ci chiediamo chi sopravvivrà e chi invece non potrà farcela contro certi mostri che lo perseguitano e che sono del tutto realistici, come ogni regime con i suoi scagnozzi. Mi sono chiesta, mentre terminavo "Il labirinto degli spiriti", se Zafon sapesse di essere malato quando lo ha scritto; se sapesse e sentisse la necessità di mettere il punto alla sua storia, di portarla a conclusione per i suoi lettori. 
Vorrei che oggi potesse sapere quanto traspare da ogni singola pagina che i suoi personaggi hanno trovato la pace, che ogni tassello del puzzle è andato al suo posto, e che non sono rimaste coppie spaiate senza un equilibrio. Vorrei che sapesse che la sua storia mi arricchito enormemente, mi ha fatto sognare come pochi altri romanzi negli ultimi anni, e che mi ha profondamente commossa tanto da avermi fatto aspettare per mesi prima di trovare il coraggio di leggere questo libro, sapendo che sarebbe stato l’ultimo.
Nel mio lungo periplo attraverso i tunnel del labirinto scelsi un libro intitolato La tunica cremisi, un romanzo appartenente a un ciclo chiamato La città dei maledetti, il cui autore era un certo David Martín, del quale, fino ad allora, non avevo mai sentito parlare. O forse dovrei dire che fu il libro a scegliere me, perché quando alla fine posai gli occhi sulla copertina ebbi la strana sensazione che fosse lì ad aspettarmi da un bel po’, come se sapesse che quell’alba mi sarei imbattuto in lui.
Credo che la maggior parte di voi abbia già letto "L’ombra del vento"; non so se però vi siate spinti oltre e se non l’avete fatto l’unica cosa che posso dirvi è che siete soltanto all’inizio del labirinto, e ci sono moltissime altre storie che vi aspettano nel Cimitero dei Libri Dimenticati. La cosa migliore che possiate fare, il miglior regalo che possiate offrire a voi stessi, è quella di andare a scoprirle.

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