venerdì 28 marzo 2025

Quattro galline

Romanzo d'esordio di Jackie Polzin, "Quattro galline" (pubblicato in Italia da Einaudi) è stato piuttosto chiacchierato alla sua uscita, qualche anno fa. L'ho recuperato nella prima incursione del 2025 al mercatino dell'usato, e sebbene mi sia trovata davanti un testo molto diverso dalle mie aspettative si è rivelata una bella sorpresa.

Il pollaio diventa il simbolo del ciclo della vita, in questo testo: il nutrimento che viene dal suolo, e poi dalle uova che le galline producono per la coppia di sposi che le alleva, alla ricerca di un nuovo stile di vita. Lui è un ricercatore, lei pulisce le case che la sua amica cerca di vendere; hanno un rapporto quieto, le domande taciute non sembrano sopraffarli, il trauma della perdita di una gravidanza desiderata ancora da elaborare.

Le quattro galline del titolo hanno nomi e aspetti differenti, c'è la leader del gruppo, c'è quella più sottomessa, ma tutte vivono ugualmente immerse nel loro eterno presente, nel qui e ora su cui gli esseri umani non sanno più concentrarsi. Non so nulla di galline, e le pagine dell'autrice sono state un interessante sguardo in una dimensione del tutto lontana dalla mia quotidianità urbana.

Polzin organizza il testo per brevi brani, senza titoli né numeri a distinguerli, che accompagnano lo scorrere delle stagioni nel Minnesota, in un quartiere un po' malfamato. Ci racconta delle galline, certo, ma anche delle piccole cose di ogni giorno, e alla vita che scorre si accompagna la perdita, con l'inevitabile dolore che ci arreca, e la necessità di superarla.

"Quattro galline" è un romanzo agrodolce, che parla dei suoi animali ma soprattutto della protagonista, una donna riflessiva in cui è facile immedesimarsi. È un romanzo che offre più domande che risposte, scritto in punta di piedi, con tatto e delicatezza, e che sono certa sappia parlare in modo personale a ogni lettore (forse, più in particolare, a ogni lettrice).

Qual è l'ultimo titolo che vi ha sorpresi?

mercoledì 26 marzo 2025

Una questione privata

"Una questione privata" di Beppe Fenoglio fu pubblicato per la prima volta nel 1963, in un'edizione congiunta ai racconti di "Un giorno di fuoco" (a cui ho già dedicato un post). Tra le carte dell'autore, scomparso poco tempo prima, ne furono ritrovate tre versioni: è incerto se il titolo sia da attribuire a una sua decisione, o si tratti di una scelta redazionale.

Come sapete sto recuperando in ordine cronologico l'intera produzione dell'autore, anche se orientarsi tra i tanti racconti e le loro edizioni non è semplice; tra i titoli che ho affrontato finora, di certo "Una questione privata" si è guadagnato il ruolo di mio preferito.

Ambientato durante la seconda guerra mondiale, il focus è sulla guerra partigiana nel Piemonte, nei mesi che seguirono l'8 settembre 1943. Milton è un giovane partigiano badogliano, che in tempo di pace ha provato un inteso sentimento nei confronti di Fulvia, la quale lo ha trattato con favore ma senza ricambiarne la passione; quando si ritrova davanti alla casa dove la frequentava, la governante accenna al ragazzo di una relazione più sentimentale tra Fulvia e Giorgio, amico di Milton sin dall'infanzia, e a lui non resta che scoprire a tutti i costi se ciò che gli è stato fatto intendere fosse vero.

Partito così alla ricerca disperata di Giorgio, partigiano anche lui, scopre che è stato fatto prigioniero; seguiamo così le peregrinazioni di Milton disposto a tutto pur di ritrovarlo, di organizzare uno scambio di prigionieri, in un rocambolesco girovagare dove un'imboscata dei fascisti è sempre dietro l'angolo.

"Una questione privata" è un romanzo materico, concreto, dove si sente la pioggia scrosciare incessante, dove si affonda nel fango, dove si perde l'orientamento nei banchi di nebbia fitta; si sentono gli abiti fradici incollarsi alla pelle, i muscoli dolenti per la fatica del risalire le colline, i nervi tesi dall'essere costantemente all'erta. È un romanzo partigiano di ragazzi e di valori, di lotta e di liberazione, e al tempo stesso di fragilità, di insicurezza, quella così condivisa ad ogni epoca dai giovani innamorati.

Forse si tratta di un'opera incompiuta: eppure la conclusione, certo aperta all'interpretazione del lettore, completa il testo in modo convincente, e non ci si sente privati di nulla. La scrittura di Fenoglio è come sempre impeccabile, evocativa, e al suo meglio quando incarna la letteratura partigiana piemontese.

Qual è il vostro titolo preferito dell'autore?

A sangue freddo

Capostipite del genere true crime, "A sangue freddo" di Truman Capote (pubblicato in Italia da Garzanti editore) è costruito con la struttura di un'opera di narrativa, ma si occupa di ricostruire e raccontare fedelmente fatti realmente accaduti.

In Kansas, nel 1959, due giovani da poco usciti dal carcere per reati minori sommarono le proprie insoddisfazioni e solitudini per derubare una fattoria di Holcomb, la casa dei Clutter: un tentativo di rapina ad una cassaforte che non c'era, e che finì nel sangue, con il compiersi di ben quattro omicidi impulsivi e imperdonabili. 

Di questo delitto Capote lesse sul New York Times, e decise di recarsi nella cittadina dove trascorse poi molto tempo, documentandosi, intervistando persone realmente coinvolte, con il supporto dell'amica scrittrice Harper Lee. Pubblicata a puntate sul New Yorker, l'opera d'inchiesta che gli richiese ben sei anni di lavoro divenne l'apripista del genere non-fiction, ancora tanto popolare al giorno d'oggi, ma all'epoca suscitò non poco scandalo, generando accuse di voyeurismo nei confronti dell'autore, che riporta i fatti in maniera esterna, distaccata.

Leggendo questo testo però traspare una grande umanità in come Capote delinea i suoi personaggi: Nancy Clutter è forse quella che rimane più impressa, insieme al fratello, due ragazzi nel pieno delle loro potenzialità ancora da realizzare, amanti degli animali, della comunità in cui vivevano, rispettati e benvoluti da tutti. Anche ai colpevoli però non viene negata un'identità, anzi ripercorriamo le loro formazioni sin dall'infanzia, e particolarmente nel caso di Perry Smith è davvero difficile non pensare che sarebbe potuto diventare un uomo diverso, se avesse ricevuto amore e protezione come ogni bambino merita.

Desideravo da tempo recuperare questo libro, e il gruppo di lettura organizzato da @narrazionisuldivano è stato la perfetta occasione per farlo: mi sono sentita coinvolta dallo svolgersi dell'indagine, dalla caratterizzazione dei protagonisti, e lo consiglio come un'ottima lettura per gli amanti del genere.

Ho anche intenzione di approfondire l'argomento attraverso la lettura del fumetto "Capote in Kansas" pubblicato da Panini, e la visione del film con protagonista Philip Seymour Hoffman!

Avete già letto questo classico americano?

giovedì 20 marzo 2025

Ethan Frome

Ormai diventato maggiorenne nella mia libreria, "Ethan Frome" di Edith Wharton, pubblicato da Rizzoli, ha finalmente avuto il suo momento grazie al gruppo di lettura #gliambasciatorideilibri.

Si tratta di un romanzo breve ma soprattutto scorrevole e coinvolgente, che ho letto in una sola giornata perché non potevo aspettare per conoscere gli sviluppi della trama. Come si evince già dal titolo, il protagonista di questa storia è Ethan Frome, un uomo modesto, un contadino senza grandi ambizioni, che vive nella sua proprietà con la moglie Zeena, donna cagionevole per cui non prova grande trasporto -l'incontro tra i due è stato dettato dalla parentela e dal fatto che lei si fosse trasferita lì ad occuparsi dei genitori anziani di lui.

L'equilibrio viene spezzato dall'arrivo della giovane Mattie, che dovrebbe occuparsi di Zeena e della casa, ma che porta con sé anche freschezza, ingenuità ed entusiasmo a cui Ethan non può restare indifferente -sotto gli occhi attenti di Zeena, che coglie i segnali tra i due e ne è tutto fuorché piacevolmente stupita.

Sin dall'inizio l'impeccabile scrittura dell'autrice ci preannuncia che in questo New England rurale immerso nell'inverno, in fondo alla discesa innevata ci attende un avvenimento drammatico, un incidente da tragedia greca che aspettiamo dalle primissime pagine -ma che si configura in una dinamica casalinga che non avevo osato immaginare, ed è stata ben più amara di quanto mi aspettassi.

Pubblicato nel 1911, in seguito a una delusione d'amore di Edith Wharton, i lati più amari di questo sentimento vengono incarnati tra le pagine, in tre personaggi di cui sappiamo poco, ma quanto viene descritto è sufficiente a renderli tridimensionali e credibili -ed è difficile non dispiacersi per ciascuno di loro, ognuno per differenti ragioni.

Ho scoperto grazie a questa lettura uno stile essenziale ed evocativo che mi ha conquistata, e ora sono molto curiosa di leggere altro dell'autrice -magari il celebre "L'età dell'innocenza" con cui è stata la prima autrice a vincere il Premio Pulitzer!

Avete già letto qualcuno dei suoi titoli?

martedì 11 marzo 2025

Tutta la vita che resta

Alla sua uscita, lo scorso anno, non credevo che "Tutta la vita che resta", l'esordio di Roberta Recchia per Rizzoli, sarebbe stato nelle mie corde; poi gli innumerevoli pareri positivi mi hanno convinta, l'ho ricevuto in regalo per San Valentino, ed eccoci qui.

Lo dico subito: mi è piaciuto. Non l'ho trovato un romanzo perfetto, credo ci siano delle ingenuità, degli elementi d'accumulo non necessari quasi a voler trattare ancora un tema in più, ancora un altro, che distolgono inutilmente dal cuore della storia. La storia, però, resiste agli urti.

Nell'estate del 1980, in una località balneare del Lazio, la sedicenne Betta Ansaldo viene aggredita e uccisa nella notte; con lei c'è la cugina Miriam, sua coetanea ma tutto l'opposto, timida e riservata, al punto che preferirà tacere per anni e farsi consumare dal peso insopportabile di quel segreto.

Attorno a questo nucleo, di femminicidio e di omertà, di giudizi morali e di disattenzione, c'è una famiglia: il grande amore salvifico tra Stelvio Ansaldo e Marisa; la freddezza glaciale della nonna Letizia, per cui la moralità e l'opinione altrui contano più degli affetti; Miriam che si consuma, quando la sua strada incrocia quella di Leo, un ragazzo di borgata dal cuore buono.

La linea narrativa di Leo e Corallina (quella quota LGBTQ+, con anche un tocco ulteriore di tragedia, che per quanto mi riguarda sembra un po' messa lì per forza, quasi a distrarre) è quella che ho trovato meno convincente, per quanto decisiva nello sbrogliare la matassa -funzionale, quindi, forse un po' eccessiva. 

Con la conclusione l'autrice mi ha riconquistata, quel cerchio che unisce Leo e Stelvio, i cocci che si ricompongono, la vita di prima non tornerà mai più, ma c'è la vita che resta a cui fare ritorno. 

Non è un romanzo perfetto l'esordio di Recchia ma è genuino, racconta alla pancia, ai sentimenti, e ci sono dei passaggi che emozionano, che fanno spuntare le lacrime; ci sono gli uomini che aggrediscono, che uccidono, ma anche quelli che restano, quelli che lottano per la verità, che si meritano l'amore.

È una storia degli anni '80, che potrebbe ancora essere oggi; e anche solo per questo è un romanzo che non posso fare altro che consigliarvi, come già avete fatto voi nei miei confronti.

Qual è l'ultima scoperta di narrativa italiana che avete fatto?

Naufragio

"Naufragio" di Vincent Delecroix è un romanzo breve quanto intenso: pubblicato da edizioni Clichy, è attualmente inserito nella longlist dei titoli candidati all’International Book Prize, insieme a "Il libro della scomparsa" di Ibtisam Azem, pubblicato da Hopefulmonster, che ho già letto e apprezzato moltissimo - si tratta di un testo palestinese che sceglie la chiave del realismo magico.

Qui l’autore francese si attiene invece strettamente alla realtà, a partire da un fatto di cronaca del novembre 2021 che ha visto protagonisti i servizi di emergenza francesi che non hanno inviato i soccorsi ad un gommone di migranti che stava affondando nella Manica, in attesa che si trovassero in acque inglesi, e causando così la morte di 27 persone.

Il testo conta poco più di cento pagine ed è suddiviso in tre parti: nella prima e nella terza si esprime in prima persona l’ufficiale della marina che ha comunicato al telefono con i migranti nel gommone, in un flusso di coscienza spesso non interrotto da punteggiatura o lettere maiuscole, che ripercorre gli interrogatori che subisce per accertare le proprie responsabilità in particolare riguardo alle frasi distaccate fino alla crudeltà pronunciate mentre i naufraghi supplicavano per il suo intervento.

La parte centrale, la seconda, si concentra invece sulla dinamica del disperato viaggio per mare e sulla sua tragica e quantomai realistica conclusione.

Le più letterarie sono senza dubbio la prima e la terza, un concentrato della banalità del male che affligge la società e l’opinione pubblica, non soltanto quella francese, rappresentata attraverso le parole dell’ex marito della donna, sostenitore del Front National, che davanti all’annegamento non fa altro che manifestare soddisfazione perché così in Europa "ne arriveranno di meno". 

Questo ci mette in panni scomodi, in cui sono stata stretta e a disagio, a seguire i pensieri autoassolutori della donna: ho provato spesso fastidio e repulsione, come mi era capitato leggendo "Bambino" di Marco Balzano qualche tempo fa. 

"Naufragio" non è una lettura semplice e nemmeno scorrevole quanto potrebbe far pensare la sua brevità: il suo contenuto lo rende scomodo, fastidioso, ma comunque un testo che parla dell’oggi e di quello che ogni giorno ci rifiutiamo di vedere, perché è più semplice tenere a distanza coloro che spariscono inghiottiti dalle onde e dall’indifferenza.

Recupererete qualcuno dei candidati a questo premio?

Triste tigre

Mi è servito tempo per trovare il coraggio di leggere "Triste tigre" di Neige Sinno, pubblicato da Neri Pozza, vincitore del Premio Strega europeo del 2024: si tratta di un’opera autobiografica in cui la scrittrice trova il coraggio di ripercorrere gli anni di abusi sessuali subiti dal proprio patrigno da quando era bambina.

L’argomento è così duro da risultare insopportabile: premetto per chi è particolarmente sensibile all’argomento che le pagine che contengono descrizioni esplicite sono poche, di certo non sono il centro della narrazione, ma inevitabilmente ci sono e sono difficilissime da digerire.

Questa lettura mi ha ricordato i testi del premio Nobel Annie Ernaux, a cui la stessa Sinno fa riferimento in modo esplicito in almeno un’occasione: ne condivide la prospettiva esterna su una questione estremamente personale, uno sguardo lucido, analitico, pronto a prendere in esame statistiche e opere letterarie, senza lasciarsi sopraffare dalla propria esperienza.

"Triste tigre" è dunque una riflessione collettiva sulla sopravvivenza agli abusi subiti nell’infanzia, che prende in considerazione il ruolo della vittima ma anche quello dell’aggressore, che si interroga sulle punizioni e sul ruolo della famiglia e della società senza mai scagliarsi armata di certezze, ma sempre valutando e confrontando più punti di vista.

È un lavoro coraggioso quello dell’autrice, che riesce ad evitare la trasformazione in vittima compatita, ma si riappropria della propria narrazione, artefice del proprio destino così come lo è stata quando ho trovato il coraggio di sporgere denuncia.

Non si valuta una lettura come questa in termini di gradimento, o perlomeno per quanto mi riguarda ritengo che la sua importanza tra valichi il gusto personale. La consiglio a tutti coloro che si sentano pronti ad avvicinarsi a un tema così doloroso, che non so quando troverò il coraggio di approfondire nuovamente.

Qual è l'ultima storia vera che avete letto?