giovedì 4 gennaio 2018

La strada

Uno dei miei propositi per questo nuovo anno, come vi raccontavo in questo post, è leggere libri che abbiano davvero qualcosa da dirmi e da darmi, che mi emozionino, che restino. Non avrei potuto fare una scelta migliore di questa per onorare il detto “chi ben comincia è a metà dell’opera”!
 
 
 
Titolo: La strada
Autore: Cormac McCarthy
Anno della prima edizione: 2006
Titolo originale: The Road
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 218
 
 
 
 
In un’America post-apocalittica, un padre ed un figlio che non hanno nome e non hanno età sono in cammino. Hanno con sé un carrello dove sono ammassati i pochi loro averi, scorte di cibo che non bastano mai, qualche indumento di ricambio e un telo di plastica per ripararsi alla meglio dalla pioggia. Del mondo come lo conosciamo non è rimasto granché: la vegetazione è bruciata, il terreno è ricoperto di cenere, le città sono disabitate, le case ed i negozi sono stati saccheggiati e dell’umanità non restano che poche persone. Tra queste, vi sono gruppi di soggetti pericolosi dediti alla violenza ed al cannibalismo, e poi i “buoni”: quelli che non mangiano le persone, che cercano di sopravvivere alla fame, al freddo, alle intemperie come possono, come il padre e il figlio protagonisti.
 
Viggo Mortensen e Kodi Smit-McPhee in una scena del film
"The Road" di J. Hillcoat (2009)
 
La strada” è stata una lettura dolorosissima. Uno di quei libri che ti scavano dentro, che ti aprono uno squarcio nell’anima, che ti fanno soffrire come se ci fossi tu, a camminare verso Sud, alla ricerca di non si sa cosa, a sopportare l’assenza di cibo, a nascondersi dalle orde che ti rubano tutto il poco che hai, a tremare zuppo di pioggia nel freddo dell’inverno, a dormire all’addiaccio. Ero insieme al padre e al figlio in quei pochi momenti di sollievo dopo aver trovato un riparo dove c’erano ancora dei viveri, ma anche le troppe volte in cui soffrivano, in cui il figlio chiedeva al padre “e noi siamo i buoni, vero?”, in cui sembrava non esserci più alcuna speranza.
Non è un romanzo che lascia indifferenti. Immedesimarsi nei protagonisti è istintivo, tanto bene sono descritte le loro sensazioni, i ricordi di una vita precedente che tormentano il padre, le paure che provano, nonostante sia del tutto assente una loro caratterizzazione precisa. Sono tutti i padri e tutti i figli del mondo, di quelli che si guardano le spalle a vicenda, tutti i padri disposti a mettere nelle mani del figlio una pistola carica da usare nel caso dovessero farlo prigioniero, tutti i padri disposti a tutto pur di salvare quel figlio magro, debole, ma sopravvissuto.
McCarthy mi ha fatto male, mi ha tolto il sonno finché non ho finito, con gli occhi pieni di lacrime, questo libro meraviglioso; e di certo mi ha regalato una lettura che non dimenticherò facilmente.

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