martedì 30 settembre 2025

I Miserabili

Come si trovano le parole per dedicare un post a "I miserabili" di Victor Hugo? Di certo non servo io a valutare un capolavoro dell’ottocento, universalmente riconosciuto caposaldo della letteratura francese! Dell’autore avevo già letto "Notre Dame de Paris" qualche anno fa e devo ammettere che avevo incontrato qualche difficoltà in meno, forse per via della mole un pochino più contenuta...

Non c’è bisogno di nominare il valore di quest’opera, la vastità degli argomenti che tratta, la quantità di digressioni storiche che dedica alla Francia e alle sue vicende, così come alla città di Parigi e alla sua architettura: elementi che indubbiamente arricchiscono la narrazione e rendono evidente il talento di Hugo non soltanto come scrittore di finzione, ma al tempo stesso di certo rallentano il ritmo della lettura.

La storia è arcinota: il giovane Jean Valjean finisce in carcere per un reato ridicolo. Cerca di evadere più volte, prolungando la sua condanna e una volta conquistata la libertà quando tutti lo credono morto diventa un benefattore, che vive per riscattare quelli che ritiene i suoi errori precedenti, e si prende cura dell’orfana Cosette strappandola ad un’infanzia di stenti. I due trascorreranno insieme molti anni fino a che lei non si innamorerà di Marius e con lui si sposerà, fino ad una conclusione che lascia un po’ con l’amaro in bocca con Jean, convinto di doversi togliere dai piedi per lasciare a Cosette la sua felicità, che muore davanti ai due ragazzi senza potersi godere così la gioia della famiglia.

I temi sono numerosi in questa storia e quello che personalmente mi ha colpita di più è quello della paternità: una paternità non di sangue ma di anima, in cui due solitudini si incontrano e fanno del proprio meglio per creare un legame che non hanno mai potuto avere prima di allora. Jean, con la sua coerenza talvolta controproducente, è il personaggio che più mi è rimasto nel cuore per la sua forza d’animo e per la sua evoluzione, dove i valori rimangono intatti a prescindere da quali sacrifici questo comporti per lui.

Ho condiviso questa lettura con un gruppo di altri lettori e devo dire che è stato un aspetto importante dell’esperienza, perché altrimenti più volte credo avrei provato un certo desiderio di arrendermi alla mole del testo: sono abituata a letture più agevoli, più contemporanee e spesso i classici mi mettono un po’ in difficoltà. Quest’opera, che nasce come una pubblicazione a puntate, riserva sempre un colpo di scena al lettore, ma al tempo stesso contiene molti elementi morali che inevitabilmente oggi ci appaiono un po’ anacronistici e oserei dire un po’ invecchiati.

Detto questo, sono molto contenta di aver concluso questa lettura che ho trovato più volte appassionante e dove ho ritrovato la scrittura di Hugo, in grado di colpirmi per la vastità dei suoi temi e la ricchezza dei suoi toni. Tra i miei tanti acquisti al mercatino dell’usato possiedo già "L’uomo che ride", un’altra opera dell’autore dal volume mastodontico e che credo al momento aspetterò qualche tempo per cominciare!

Avete già letto questo classico della letteratura?

La morte di Belle

Ambientato in una cittadina dello stato di New York e pubblicato nei primi anni Cinquanta, “La morte di Belle” è il mio secondo incontro con Georges Simenon, autore del quale ho deciso di recuperare innanzitutto i cosiddetti “romanzi duri” -la quantità dei libri con protagonista Maigret spaventa persino un’acquirente seriale come me!

Nonostante siano trascorsi oltre settant’anni dalla scrittura di questo noir, la sua storia potrebbe tranquillamente svolgersi al giorno d’oggi: ospite di una coppia di conoscenti della madre, la giovane Belle viene trovata assassinata nella sua stanza. Inevitabilmente l’ospite, il signor Spencer Ashby, è il primo sospettato, sebbene non vi sia alcuna prova schiacciante a suo carico ed egli dichiari di essersi trovato nel suo studio, immerso nella lavorazione della ceramica.

“La morte di Belle” è un romanzo sul sospetto, e come esso possa serpeggiare in una comunità facendo sentire escluso uno dei suoi membri, fino al punto di farlo identificare unicamente con il colpevole. [spencer infatti, convinto che il suo destino sia venire ingiustamente arrestato per l’omicidio di Belle, si macchia alla fine del libro davvero di un delitto, quello della stenografa degli investigatori, e si fa arrestare per esso]

È un testo in cui si osservano i fatti dalla prospettiva del protagonista, e se ne percepisce la crescente tensione, il distacco da ciò che lo circonda ed aumenta ad ogni pagina.

L’ho trovata una lettura coinvolgente e suggestiva, che mi lascia il desiderio di proseguire nella lettura di questo famosissimo autore belga e anche di vedere il film che da pochissimo è stato tratto da questo libro ed è uscito in sala con il titolo “Il caso Belle Steiner”.

Qual è il vostro Simenon preferito?

venerdì 26 settembre 2025

Figlia della cenere

Quarto volume della serie di gialli di Ilaria Tuti con protagonista la commissario Teresa Battaglia, "Figlia della cenere" sempre pubblicato da Longanesi è quello che più di tutti i precedenti fa luce sul traumatico passato della protagonista, che tante volte era stato accennato e questa volta ci viene narrato in maniera esplicita.

Dunque è un romanzo crudo, dove assistiamo a una crescente violenza fisica e psicologica su una donna, perpetrata come troppo spesso accade proprio tra le mura domestiche. La tensione creata dall’autrice è così forte che più volte ho sentito la necessità di interrompere la lettura e intervallarla con un’altra, perché provavo una vera e propria angoscia, che testimonia quanto questo romanzo come i precedenti sia scritto in modo convincente e coinvolgente.

Non c’è solo questo in figlia della cenere, ma come siamo abituati in questi romanzi c’è un giallo legato ad un caso del passato: l’agire di un serial killer che con Teresa negli anni ha instaurato un rapporto significativo, anche dovuto a come le loro strade si sono incontrate 27 anni prima [in questa circostanza infatti Giacomo, che oltre ad essere un assassino era un infermiere era stato colui che dopo la barbara aggressione del marito Sebastiano, che aveva cercato di uccidere Teresa, era riuscito all’ultimo momento a rianimarla e nei 27 anni successivi la donna non ha mai smesso di andarlo a trovare in carcere, dal quale all’inizio di questa storia l’uomo riesce a fuggire compiuto un nuovo omicidio diverso però dai precedenti. Non è mosso questa volta dai traumi dell’infanzia Giacomo, maltrattato dal suo patrigno e rifugiatosi poi nella violenza e nell’arte del mosaico, bensì è stato commissionato da un mandante, il quale conosce molte cose sul suo passato e anche su quello di Teresa e che ci aspettiamo di veder ricomparire nel prossimo volume].

Caratteristica sempre presente della serie sono alcune pagine in corsivo che tornano indietro nel tempo, e questa volta fanno riferimento all’antichità, in particolare agli albori del cristianesimo ad Aquileia e al culto di Iside -argomento estremamente interessante per gli appassionati della materia, ma un po’ meno per me che preferisco narrazioni più contemporanee. In ogni caso è indubbia la documentazione storica dell’autrice e la sua bravura nel riportarla alla luce.

Anche in questa quarta lettura ho trovato il personaggio di Teresa Battaglia umano ed emozionante, una protagonista per la quale si parteggia dalla prima all’ultima pagina, con le sue fragilità che la rendono lontana da un’eroina stereotipata ed infallibile e che non vedo l’ora di ritrovare tra le pagine in "Madre d’ossa" che è già stato pubblicato e che porterà avanti la storia da dove l’abbiamo interrotta con questa lettura.

Avete già letto questa serie di gialli?

A quale volume siete arrivati?

Quando ormai era tardi

Abituata com'ero ai personaggi di Claire Keegan nei suoi romanzi brevi precedenti, che mi avevano scaldato il cuore (mi riferisco al Bill Furlong di "Piccole cose da nulla" e alla piccola al centro di "Un’estate") mi sono trovata disorientata davanti al primo racconto della più recente pubblicazione dell’autrice per Einaudi che dà il titolo alla raccolta "Quando ormai era tardi".

Ci troviamo davanti ad un protagonista che è rimasto solo a casa di sera. Ricorda gli eventi recenti che avrebbero dovuto condurlo al matrimonio e Keegan lo delinea in pochissime pagine: un uomo detestabile, intriso di maschilismo, che sa sempre rispondere la cosa sbagliata mostrando la propria avidità [e che alla fine siamo ben contenti che la fidanzata abbia scelto di non prendere per marito].

Anche nel secondo racconto "Una morte lenta e dolorosa" ritroviamo il filo conduttore delle separazioni. La protagonista di 39 anni aspirante scrittrice si trova nella residenza di Heinrich Boll ad Achill Island e vuole dedicarsi al suo lavoro quando viene interrotta da un fastidioso professore in pensione che pretende di visitare la casa. [Anche questa donna ha accettato più di una proposta di matrimonio nel suo caso, senza che però si sia mai trasformata in vere e proprie nozze] Lei invece è pronta a godere della sua solitudine che rivendica anche nelle pagine che si impegna a scrivere una volta liberatasi dello sgradito ospite, a cui appunto sulla pagina procurerà una morte lenta e dolorosa.

Se nei primi due racconti la tensione è sottile e crescente fino ad un certo punto per poi andare scemando sulla conclusione (nella nostra testa, ci siamo immaginati uno scenario ben peggiore che avrebbe potuto avere luogo tra i due innamorati infelici nel primo racconto e tra la scrittrice e il professore sconosciuto nel secondo) i nostri timori diventano realtà in "Antartide".

La più oscura tra le tre narrazioni brevi, contiene il racconto di una madre di famiglia dall’esistenza tranquilla e prevedibile decide di dare corpo al proprio desiderio di tradire il marito per il puro piacere di assecondare le proprie fantasie. Incontra così uno sconosciuto in un bar e chiunque come me sia appassionato di crime fiction, può già prevedere che non l’aspetterà nulla di buono!

Keegan si riconferma bravissima nelle narrazioni brevi, anche se rispetto ai due racconti pubblicati in forma autonoma qui siamo davanti a narrazioni meno complete, dove c’è il potere del racconto breve ma non posso dire che avvenga una vera e propria immedesimazione. Le ambientazioni dei tre racconti si assomigliano: sono soprattutto svolti in interni, seppure nel secondo vi sia anche la presenza della natura irlandese che tanto ci aveva circondato in "Un’estate", e rispetto ai titoli che avevo amato molto non troviamo qui la stessa fiducia nel genere umano.

Non ha affatto scalzato nella mia classifica di preferenze i due racconti che avevo letto per primi, ma se avete voglia di una lettura breve che non vi lasci indifferenti, anche questa potrebbe fare al caso vostro.

Conoscete già questa scrittrice irlandese?

Tutti i nostri segreti

"Tutti i nostri segreti" di Fatma Aydemir, pubblicato da Fazi editore, mi attirava sin dal giorno dell'uscita, e non ho aspettato poi tanti mesi prima di recuperarlo (l'ho acquistato nuovo, cosa che sapete non è mia abitudine). 

Ormai riconosco i titoli che corrispondono ai miei gusti, e questo senza dubbio lo fa: è un romanzo corale in cui ogni capitolo è narrato dal punto di vista di uno dei membri della famiglia, che dalla Turchia è emigrata in Germania negli anni '80, poco dopo il colpo di stato. Il romanzo si apre con la morte di Huseyn, il padre, che ha appena raggiunto l'agognata pensione dopo tanti anni di lavoro fisicamente estenuante e con i risparmi ha acquistato un appartamento a Istanbul, dove spera che lui e la moglie Emine potranno ricominciare daccapo e lasciarsi alle spalle i tanti dolori delle loro vite.

La parola passa poi ai figli: il più giovane Umit, appena adolescente, alle prese con la scoperta della propria sessualità; poi la terzogenita Perihan, studentessa a Francoforte, già alle prese con l'elaborazione di due perdite che ha subito di recente [l'ex fidanzato suicida dopo che lei lo ha allontanato, e Ciwan, un giovane con cui trascorreva molto tempo e che solo alla fine del libro scopriremo essere la prima figlia dei suoi genitori, transessuale, che da neonata era stata sottratta loro per essere cresciuta dal fratello maggiore di Huseyn e sua moglie che non potevano avere figli. Ciwan però è sparito nel nulla, e alla fine del libro scopriremo che è morto in un incidente]. Poi incontriamo Sevda, la figlia maggiore, il punto di vista per me più interessante del romanzo: la figlia che è stata lasciata indietro, poi portata in Germania quando era già adolescente, costretta a sposarsi troppo presto ma poi diventata una donna forte, lavoratrice, che cresce da sola i due figli dopo aver lasciato il marito alcolista. Infine Hakan, il secondogenito, che guida dalla Germania alla Turchia senza arrivare in tempo per il funerale; fino ad un capitolo conclusivo in seconda persona dove Emine riflette sulla propria vita e arriva ad una resa dei conti con la figlia Sevda, dove "tutti i segreti" del titolo vengono a galla mentre la terra trema ad Istanbul.

Oltre ad essere una storia familiare appassionante e convincente, dove le voci narranti sono ben distinte e caratterizzate, "Tutti i nostri segreti" racconta l'immigrazione turca in Germania e ancor di più l'annientamento del popolo curdo in Turchia -in questa famiglia che si trova a negare ai propri figli l'uso stesso della lingua, affinché non corrano pericoli. Racconta il razzismo, le difficoltà di inserimento, le grandi differenze tra chi cresce in un paese e chi invece vi arriva già compiuto un percorso di maturazione: per qualcuno la Germania è una casa, per qualcuno una sfida, per altri soltanto un luogo dove cogliere ogni occasione per poi fare ritorno alle origini. 

Aydemir dosa gli elementi in un crescendo di rivelazioni, costruendo personaggi che sentiamo di conoscere meglio a poco a poco e che incarnano le tante sfaccettature della duplice appartenenza: si tratta di un romanzo familiare tra i migliori letti quest'anno per il momento, che consiglio di cuore a tutti gli amanti del genere. 

Qual è l'ultimo romanzo familiare che avete letto?

giovedì 25 settembre 2025

150 acri

Il catalogo Atlantide riserva sempre belle sorprese: i titoli pubblicati sono pochi, scelti accuratamente, lontani dall’essere prevedibili o simili ad altri. Vale anche per “150 acri” di Melinda Moustakis, un romanzo ambientato in Alaska che segue i protagonisti, Lawrence e Marie, dal 1956 al 1959.

I due sono giovanissimi quando si incontrano e decidono immediatamente di sposarsi: lui è un reduce della guerra di Corea e ha come obiettivo un insediamento in cui diventare proprietario di un terreno e dare inizio a una famiglia numerosa; lei è una ragazza coraggiosa e indipendente, che vuole sfuggire alle scarse prospettive che le offrirebbe la famiglia d’origine.

“150 acri”, gli stessi di cui Lawrence vuole rivendicare la proprietà in Alaska, è un romanzo malinconico ed intenso, fatto di silenzi e di difficoltà nella comunicazione, in cui i protagonisti imparano a conoscersi, a legarsi l’uno all’altra nelle difficoltà, che siano la perdita di un figlio o una nuova nascita, che mette a dura prova con i suoi pianti.

È un libro pieno di natura e di lavoro, di mani che abbattono tronchi e costruiscono ripari, di familiari che tengono in piedi la coppia quando sta per crollare (che siano il padre di lui, molto più bravo con le parole, o la sorella di lei, suo unico punto di riferimento).

In questo romanzo verrete trasportati in un passato in cui l’Alaska diveniva il quarantanovesimo Stato degli USA, in cui due ragazzi con tutte le possibilità davanti compiono una scelta difficile ma stimolante e si impegnano per conquistarsi un futuro. È impossibile non voler bene a Lawrence e Marie, e si chiude questa lettura con un senso di pace e di speranza, quella che arriva dopo le avversità.

Qual è il vostro titolo preferito di questa casa editrice?

martedì 16 settembre 2025

Appunti sulla tua scomparsa improvvisa

Desideravo da molto leggere “Appunti sulla tua scomparsa improvvisa” di Alison Espach, pubblicato da Bollati Boringhieri, e quando l’ho trovato usato l’ho acquistato e letto immediatamente -sapete che succede di rado con le quantità di volumi che accumulo.

La trama è semplice: Sally ha tredici anni quando una mattina sale in auto insieme alla sorella maggiore Kathy e al fidanzato di lei, Billy; un cervo compare all’improvviso in mezzo alla strada e Billy, che esortato da Kathy in ritardo per un test sta guidando più veloce del dovuto, sterza e ne causa la morte sul colpo.

Questo è un romanzo sul lutto e la sua elaborazione, ma l’autrice lo ha costruito in modo ragionato: all’inizio seguiamo il “prima”, le due sorelle che crescono insieme, che discutono per sciocchezze, che si confidano segreti. Poi arriva l’incidente, il senso di colpa di Sally e di Billy, il trauma da superare, la disperazione dei genitori.

Poi Sally cresce: va al college, diventa adulta, trova un fidanzato, si trasferisce a New York, prende le distanze dalla pesantezza di quella casa. Ma il vuoto a forma di Kathy rimane e così quel legame con Billy, che c’è sempre stato, che hanno sempre sentito, forse perché sono gli unici ad aver perso Kathy nello stesso momento, ad esserne stati testimoni.

Se nella prima metà di questo libro il tono ha il difetto per un pubblico adulto di essere un po’ troppo teenager, focalizzato sulla scuola, i primi amori, le prime esperienze, poi segue la crescita di Sally che narra sempre in prima persona, fino ad un capitolo conclusivo dove un uragano che porta il nome di Kathy sta per colpire la casa degli Holt e l’autrice qui raggiunge punti davvero poetici, che mi hanno emozionata.

Il tema della perdita mi è caro, e Espach lo racconta molto bene, in una storia convincente e adatta da un pubblico di varie età, che non fa sconti sulla disperazione e le cadute di chi fa del suo meglio per rialzarsi, ma lascia intravedere anche un certo spazio per il futuro e la speranza. Si tratta di una lettura che non ha deluso le mie alte aspettative, e che non posso che consigliarvi.

Avete già letto questo romanzo piuttosto noto?

Bestie

Leggo volentieri il genere "mean girls", romanzi con protagoniste adolescenti nel pieno della loro età difficile, più istintuale e a volte capace di crudeltà: vi trovo storie taglienti, spesso coraggiose, non banali. Per questo ho deciso di leggere "Bestie", esordio della statunitense Dizz Tate pubblicato da Neri Pozza.

È un romanzo breve e molto amaro, che alterna una narrazione nel passato alla prima persona plurale a capitoli che si svolgono parecchi anni più tardi e danno voce ad un personaggio alla volta. La storia a cui si ruota attorno è quella che si svolge in Florida, quando l'appena adolescente Sammy, figlia del predicatore della zona, scompare all'improvviso: le sue coetanee sanno molto più di quanto sembri, ma tutte le informazioni che riceviamo in proposito sono confuse, inaffidabili, sovrastate dal desiderio di popolarità e di apprezzamento che schiaccia le ragazze.

Sarà difficile diradare questa moltitudine di elementi, tra audizioni in cui si spera di diventare famose, madri indisponibili ed instabili concentrate sui propri innamoramenti (o forse soltanto percepite come tali dalle figlie, nel pieno del conflitto adolescenziale), padri assenti o perduti, a volte addirittura suicidi. C'è molta oscurità in questa cittadina, gli abusi affiorano a poco a poco e non lo fanno in modo nitido, perché lo sguardo è quello di ragazze di tredici, quattordici anni che non hanno ancora gli strumenti per categorizzarli come tali. Non c'è una verità univoca nel romanzo di Tate, bensì tutto ciò che avviene è filtrato dalla percezione delle ragazze, e il lettore non sa se il noi corale del racconto descriva i fatti o le proprie sensazioni. 

[Difficile anche comprendere la verità su quanto davvero è capitato a Sammy: un abuso, un aborto forse spontaneo e forse no, una fuga per non si sa dove.]

Nei capitoli in cui le ritroviamo adulte, queste "bestie" giovani preda dei propri impulsi e della propria ingenuità sembrano ancora fragili, sperdute, insoddisfatte, forse nemmeno diventate completamente adulte nonostante gli anni trascorsi, le nozze imminenti, la maternità.

Non è una lettura semplice "Bestie", richiede più sforzo interpretativo di quanto mi aspettassi, ma al tempo stesso vi ho trovato una scrittura interessante e capace di alternare le voci narranti e i piani temporali in un gioco di specchi che lascia il lettore coinvolto e disorientato. 

Quali "cattive ragazze" della letteratura vi sono rimaste impresse?

La nipote

Ho sentito il richiamo del romanzo “La nipote” di Bernhard Schlink, pubblicato da Neri Pozza, dal giorno della sua uscita. Dello scrittore avevo letto, ai tempi in cui ancora riuscivo a portare a termine un romanzo in tedesco, “Der Vorleser” -ma questo mi è piaciuto ancora di più.

Ambientato tra Berlino e una Germania più rurale, segue le orme del settantenne Kaspar che, da poco rimasto vedovo, scopre che la moglie gli aveva tenuti nascosti diversi segreti, tra cui il più importante l’esistenza di una figlia nata prima che loro si sposassero, che aveva desiderato cercare ma non aveva mai trovato il coraggio per farlo davvero.

La cerca allora Kaspar, e la trova: Svenja è ormai una donna e insieme al marito e alla figlia adolescente Sigrun vive in una comunità di estremisti di destra, dove alla ragazzina viene insegnato che l’Olocausto non è mai avvenuto e che i musulmani vogliono prendere il controllo della Germania.

Inducendo in tentazione il padre con il denaro però Kaspar riesce a costruire a poco a poco un rapporto con quella nipote: la avvicina alla musica, le apre le porte della sua libreria, la incuriosisce su un mondo più grande di quello che ha abitato fino a quel momento. Ma naturalmente gli ideali dei genitori sono radicati in lei, ed è difficile sottrarsi ad un simile lavaggio del cervello.

Ciò che colpisce nel libro di Schlink sono le sfumature, i dilemmi morali, lo scontro tra opinioni distanti che si mettono in discussione o cercano di farlo. Colpisce che Svenja preferisca il suo orizzonte limitato essendo consapevole che le abbia salvato la vita, che vi sia poco spazio per il perdono, ma che al tempo stesso i legami germoglino anche su terreni aridi e inaspettati.

Non è un romanzo banale o già letto, anche per via dell’argomento del neonazismo in Germania e delle comunità völkisch di cui si conosce ben poco; racconta un’area d’Europa e i suoi abitanti di cui di rado si parla, ma è anche la storia di un nonno, di una nipote e delle loro settimane di vacanza, e della speranza che per Sigrun ci saranno più possibilità di quante ne avesse prima che le loro strade si incrociassero.

“La nipote” mi ha coinvolta dalla prima all’ultima pagina, l’ho trovato sempre convincente, mai retorico: e ora non vedo l’ora di approfondire la produzione di questo autore.

Conoscete i suoi romanzi?

domenica 7 settembre 2025

Piccoli miracoli sotto la pioggia

"Piccoli miracoli sotto la pioggia" di Piero Meli, pubblicato da Giulio Perrone editore, è un romanzo composto da brevi capitoli che vi piacerà se avete apprezzato, tra gli altri, "Cafè Royal" di Marco Balzano. Nella struttura questi due testi si assomigliano, perché ogni capitolo è dedicato ad un personaggio diverso che racconta in prima persona le proprie emozioni e i propri pensieri: sembrano scollegati dai precedenti e dai successivi, ma in realtà condividono piccoli punti di contatto.

Siamo a Milano, e Milano è essa stessa un personaggio, forse la protagonista vera e propria di questo libro, che si svolge in un’unica giornata di pioggia di settembre. I personaggi umani sono molti, svolgono mestieri diversi, ognuno alle prese con la propria insoddisfazione, con dei sogni mai realizzati, delle aspirazioni che non si sa se potranno mai avverarsi. Chi sogna di scrivere un libro, chi è stanco di consegnare pizze sotto l’acqua, chi lavora al bar ma vorrebbe fare televisione, chi ha perso tutto e vive per strada e chi invece ha ancora una carriera, ma la svolge ormai senza passione.

Tante solitudini scorrono sotto questa pioggia torrenziale, frequentano gli stessi caffè, le stesse lavanderie, ma si sfiorano senza mai toccarsi, accomunati dalla visione di una donna con un cappotto rosso, racchiusi dalla cornice del prologo e dell’epilogo.

Il romanzo di Meli è scritto in maniera asciutta, paratattica, rapida, molto sensoriale; trasmette i colori ciò che i personaggi vedono, le parole che leggono, l’acqua che dal cielo arriva sulla loro pelle. È un testo fatto di piccole cose delle umane genti, di quelle giornate che viviamo tutti, cercando di dare un senso alle nostre esistenze, anche quando siamo stanchi, anche quando non sappiamo se abbiamo riposto nei luoghi giusti le nostre speranze.

Si potrebbe leggere in poco tempo questo libro, ma vi consiglio di assaporarlo a poco a poco, qualche capitolo al giorno, di immergervi in una Milano grigia e piovosa dal ritmo frenetico che piano piano si svuota con lo scorrere delle ore.

È una lettura perfetta per questa stagione, per le prime giornate di maltempo e per questo mese di settembre, che come sempre è una ripartenza e insieme a questo libro vi darà la spinta per impegnarvi un po’ di più a vedere il lato buono delle vostre giornate, i piccoli miracoli sotto la pioggia che ci accadono intorno mentre siamo distratti.

Qual è l’ultimo romanzo breve che avete letto?