giovedì 8 febbraio 2018

Lasciami andare, madre

Questo memoir ha molto a che fare con il saggio di cui vi ho parlato qui di recente, "I figli dei nazisti": infatti la vita dell'autrice, nata in territorio polacco ma poi cresciuta in Germania ed ora residente in Italia, si è intrecciata con quelle di alcuni dei personaggi che nel saggio ci vengono presentati attraverso la figura di sua madre (che ad esempio ben conosceva Rudolf Höss ed Albert Speer). 




Titolo: Lasciami andare, madre
Autrice: Helga Schneider
Anno della prima edizione: 2002
Casa editrice: Adelphi
Pagine: 132





Helga Schneider è nata poco prima che la Seconda Guerra Mondiale iniziasse; sua madre era già membro del partito di Hitler, e pochi anni dopo abbandonò Helga e l'ancor più piccolo Peter senza fare ritorno. Cresciuta da una matrigna che non le ha mai dato amore, Helga ha trovato conforto più nei collegi che nella propria famiglia, ed ha incontrato nuovamente sua madre solo nel 1971, quando era già madre a sua volta. Nel corso di quel primo incontro, la donna, uscita da qualche tempo dal carcere, le propose di farle indossare la sua divisa delle SS e non degnò di alcuna considerazione il nipotino di appena cinque anni. A proposito di quella giornata, Helga ricorda anche:
Tu allora cominciasti a raccogliere gli oggetti, uno per uno, con accorata meticolosità. Quando sollevasti delicatamente una catenina, ebbi un tuffo al cuore. Era una di quelle catenine che si regalano alle bimbe per il loro quarto o quinto compleanno, una cosetta apparentemente leggera, ma di fattura assai pregevole. In quel momento un'immagine si sovrappose con agghiacciante nitidezza a quella di te che raccattavi il tuo oro: l'immagine di te che sospingi nella camera a gas la bambina della collanina. Fu in quell'istante che tutto si decise. Di una cosa fui certa: io, quella madre, non la volevo.    
Da allora sono trascorsi quasi trent'anni prima che Helga Schneider rivedesse la sua genitrice, ormai affetta da demenza senile e ricoverata in una casa di riposo viennese. Su invito di un'amica della donna, l'autrice non si è sentita di rifiutare l'ultimo incontro con la propria madre: incontro che ci racconta proprio in questo libro, e nel quale non si risparmia dal chiederle conto del suo terribile passato come sorvegliante al campo di Auschwitz-Birkenau e del quale l'anziana donna continua ad andare fiera, senza rinnegarlo neanche per un attimo.
Rispetto a quello della maggior parte dei figli narrati in "I figli dei nazisti", l'approccio di Helga Schneider alla sua genitrice è opposto, il suo rifiuto è totale. Non appena nella sua mente affiora un sentimento di dispiacere per l'anziana, le atrocità da lei commesse nel passato lo annullano; ha perdonato, sì, le sue assenze di madre, ma non ha mai potuto perdonarle i crimini commessi come sorvegliante ad Auschwitz-Birkenau. Mentre osserva per l'ultima volta la sua madre nazista, Helga riflette sui sentimenti contrastanti che si affollano in lei:
Guardo i suoi occhi fiduciosi che si riflettono nei miei, e penso: no, non la odio. Semplicemente, non la amo. 
Helga Schneider con il fratello minore Peter
La prima volta che lessi questo libro ero adolescente. Mi colpì per le atrocità che racconta in alcune delle sue pagine, ma non come mi colpisce oggi: oggi conosco la malattia della mente che confonde i ricordi degli anziani, che li fa smarrire nelle immagini del passato senza saper distinguere chi tra i loro parenti è ancora vivo e chi invece no. Questo mi ha reso la lettura più straziante, ma allo stesso tempo me l'ha fatta apprezzare più profondamente, perché oltre alle disturbanti memorie della madre Helga Schneider racconta molto bene anche la sua demenza senile.
Si tratta di un memoir breve e molto intenso, dove l'autrice tocca i temi centrali della sua produzione (il Nazismo, la Germania nel dopoguerra, la memoria storica) e si rivolge spesso direttamente alla madre, ponendosi domande alle quali non sempre trova una risposta soddisfacente. Molti sono ancora i segreti oscuri contenuti in un corpo fragile, in quella personalità ancora manipolatrice che oscilla tra le affettuosità materne ed il gelido distacco. Molti sono gli interrogativi che si pone anche il lettore su un'anziana donna ancora ambigua e profondamente ideologica, che ha sacrificato al Nazismo la famiglia e l'esistenza, devota ad Hitler e all'obbedienza, eppure vorrebbe essere chiamata Mutti e conserva ancora dopo molti decenni un orsacchiotto appartenuto ad Helga bambina.
Helga Schneider è una narratrice coinvolgente, abilissima nella descrizione dei sentimenti e delle sfaccettature dell'animo umano: è già un'ottima ragione per avvicinarsi ai suoi testi, primo tra tutti proprio questo.




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