Wajdi Mouawad è un autore libanese naturalizzato canadese, che scrive principalmente per il teatro; una delle sue opere, “Incendies”, è stata trasformata in un film che ho amato molto, “La donna che canta”. In Italia sono stati pubblicati due dei suoi romanzi; li possiedo entrambi, e ho scelto di iniziare dal meno noto, il suo romanzo d’esordio.
Titolo: Il volto ritrovato
Autore: Wajdi Mouawad
Anno della prima edizione: 2002
Titolo originale: Visage retrouvé
Casa editrice: Fazi
Traduttrice: Antonella Conti
Pagine: 231
LA STORIA
Wahab nasce in Libano, dove quando è soltanto un bambino dolce, che ama gli animali, scoppia la guerra civile. Così Wahab assiste a un attentato che colpisce un autobus, vede i passeggeri bruciare tra le fiamme; e questo episodio segnerà per sempre la sua psiche, anche quando lui e la sua famiglia saranno emigrati in Canada, al punto di rendere Wahab incapace di riconoscere il volto della sua stessa madre dal giorno del suo quattordicesimo compleanno in poi.
COSA NE PENSO
In quarta di copertina, lo scrittore italiano Fabio Geda definisce questo romanzo un noir: viene da chiedersi quale libro gli sia stato proposto di leggere da parte della casa editrice Fazi, perché dubito fortemente che “Il volto ritrovato” possa essere considerato un noir.
Si tratta piuttosto di un romanzo di formazione, che ha il grande pregio di dare voce in modo credibile a Wahab (narratore in prima persona) nelle varie età della vita: è un ragazzino realistico quando decide di scappare di casa per sfuggire ad una sgridata, quando si perde nelle sue fantasie, poi un giovane altrettanto verosimile quando trova la propria strada nell’arte che gli permette di ricomporre le immagini sconnesse che da tanto tempo gli confondono la mente.
Tirò fuori dalla sua cartella il suo quaderno di storia, una matita, e, in piedi al centro del mondo, al chiaro di luna, tentò di ritrovare i tratti continui e luminosi di sua madre. Ma Wahab non sapeva disegnare. Non ancora, pensò, basterà esercitarsi, non mollare. Continuare.
Non tutto il romanzo è a mio parere ugualmente riuscito: in alcuni punti il ritmo non è dei più appassionanti, anche se i capitoli brevi aiutano il lettore a non demordere nella lettura. Le avventure di Wahab sono ai limiti del possibile, e talvolta mi sono ritrovata a chiedermi se non fossero piuttosto metafore di qualcos’altro.
Il secondo libro che compone “Il volto ritrovato” però è molto più convincente del precedente, anche se più drammatico: seguiamo un Wahab diciannovenne che sotto una bufera di neve si dirige all’ospedale, e il racconto diventa più coinvolgente.
Sui grandi viali cominciò a cadere una neve fine, nella frenesia della chiusura dei negozi e degli ingorghi. Non voglio far parte di questo mondo. Mai. Se sia meglio o peggio, me ne frego. Alzò la testa verso il cielo assente della città. Il grande telo grigio delle nuvole imbavagliava il sole, e la terra, che girava, girava, fece cadere la sera sul volto dei passanti. Bisogna essere dei pazzi scatenati per accettare di vivere, pensò Wahab.
Lo stile di Mouawad è descrittivo, i paesaggi accompagnano la crescita di Mouawad e le sue azioni: la natura nel Canada e il suo tempo atmosferico sono una costante dei capitoli e un loro valore aggiunto. Anche nei dialoghi Mouawad è a proprio agio, fatto comprensibile considerata la sua vasta esperienza nella scrittura per il teatro.
Per quanto non abbia trovato “Il volto ritrovato” un romanzo particolarmente memorabile, nel complesso credo che sia un racconto di formazione piuttosto riuscito, che migliora con il procedere delle pagine, e sono molto curiosa di affrontare prossimamente “Anima”, il più noto dei romanzi dell’autore.
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