giovedì 14 settembre 2023

Vite che non sono la mia

Non ero pronta per leggere "Vite che non sono la mia" di Emmanuel Carrère, autore che mi aveva già colpita e turbata con "La settimana bianca", "L'avversario" e il magnifico "V13", ma che qui ha toccato corde che non mi aspettavo e mi ha lasciata, alla fine, a dir poco esausta. 

Definito il testo più doloroso dello scrittore, lo è senz'altro tra quelli che ho letto fino ad oggi, e ruota attorno a due decessi, entrambi di persone chiamate Juliette: la prima è una bambina figlia di turisti che si trovano in  Sri Lanka all'avvento dello tsunami del 2004 nella stessa località in cui sono Carrère e la compagna, la seconda è la cognata dello scrittore, uccisa a trentatré anni da una malattia.

È la seconda biografia quella che ho trovato devastante: perché ripercorre la vita di Juliette, il suo percorso professionale come giudice d'istanza schierata contro il sovraindebitamento, ma soprattutto il suo tumore, le cure, il rivelarsi vano di quest'ultime: e negli ultimi anni la mia personale esperienza ha toccato così da vicino questo decorso, conclusosi allo stesso modo per la mia migliore amica, che riviverlo è stato quanto di più doloroso avrei potuto trovare tra le pagine. 

Carrère è lucido, come sempre analitico, senza remore nello svelare i meno onorevoli sentimenti umani. Segue le vite dei genitori della piccola Juliette, che misteriosamente trovano la forza di continuare a vivere; racconta lo Sri Lanka devastato dal maremoto nel primo terzo del libro. Poi segue Etienne, collega della Juliette adulta, anche lui sopravvissuto ad un tumore in giovane età e rimasto con una disabilità in seguito ad esso, un professionista instancabile e motivato, un uomo onesto, trasparente anche nel rivelarsi all'autore, nel confessargli particolari di cui non si parla (come la prima notte da solo, in ospedale, a confrontarsi con la realtà della propria malattia). È Etienne ad accendere la miccia per questa scrittura, che mette in discussione l'uomo dietro lo scrittore, i suoi fantasmi nascosti sotto la superficie.

Ripensa a "L'avversario" Carrère tra queste pagine, alla malattia che Jean Claude Romande fingeva e che è la tragica realtà di Juliette; si prende anni di tempo per tornare a questo testo (nel mezzo pubblica "Un romanzo russo", che sarà il mio prossimo recupero) e poi lo dedica alle figlie della cognata, cercando di rendere giustizia alla memoria della madre, di tenerla in vita tra le pagine. 

È un testo intenso, faticoso, in cui si sente il bisogno di prendere fiato, in cui si incontrano esempi di lucente umanità e forza d'animo (i genitori della piccola Delphine e Jerome, Tom che sopravvive all'onda, Patrice il marito di Juliette), ma che non si legge a cuor leggero, che non si legge senza restarne colpiti e affondati. Se non ve la sentite di affrontare l'argomento della malattia scritto nero su bianco, vi consiglio caldamente di rimandare. Io forse avrei dovuto, ma una volta iniziato non sono più riuscita a fermarmi.

Qual è il vostro Carrère preferito?

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