giovedì 28 agosto 2025

Kairos

Vincitore dell’International Booker Prize del 2024, "Kairos" è il più recente ed apprezzato il romanzo di Jenny Erpenbeck, di cui avevo letto "Voci del verbo andare" prima ancora di aprire questo profilo. Era un romanzo sulle migrazioni, mentre qui si tratta di una storia d’amore, che in realtà è soprattutto il racconto di una relazione disfunzionale.

Katharina non ha ancora vent’anni quando per caso conosce Hans di 34 anni, più grande di lei. L’uomo è un collaboratore radiofonico (e non solo...) nella Germania Est: entrambi vivono nel lato est di Berlino e qui la loro relazione  clandestina ed extraconiugale inizia con grande trasporto nel 1988. Per un po’ procede con grande passione, ma poi un presunto tradimento di lei mette in luce la capacità manipolatoria di Hans, la sua volontà di torturarla, descritta in maniera così vivida da diventare a volte intollerabile. 

Mentre la loro relazione precipita, anche la DDR comincia a farlo e assistiamo tra le pagine al crollo del muro di Berlino, all’apertura dei confini verso ovest, alla dissoluzione del mondo in cui abitano i due protagonisti.

Il parallelo del dissolversi della relazione e di uno Stato è reso benissimo dall’autrice, che ci consegna una storia ben documentata, ricchissima di riferimenti storici, filosofici, musicali e letterari. 

"Kairos" è un’opera complessa, progettata con attenzione, che procede per scatoloni nella memoria di Katharina ormai adulta, che apprende nell’introduzione al testo proprio della morte di quell'uomo che per anni aveva condizionato la sua vita.

Ho letto "Kairos" a Berlino, quando camminavo per le strade che l’autrice cita tra le pagine e questo è stato senz’altro un valore aggiunto alla lettura. Non è un romanzo immediato, ma una volta concluso mi sono accorta di quanto mi sia rimasto impresso, di come sia tornata a pensare allo spregevole personaggio di Hans, alla repulsione che mi ha suscitato, e alla costruzione di questo romanzo convincente e ben progettato. 

Qual è il vostro preferito tra i vincitori dell'International Booker Prize?

30 seconds from Gaza

Dell’artista Mohammed Sabaaneh avevo già letto "Racconto Palestina", sempre pubblicato dalla casa editrice Mesogea. Quella volta lo avevo preso in prestito in biblioteca, ma ricordando quanto mi avesse colpita, ho deciso di acquistare direttamente sul sito della casa editrice il suo più recente lavoro: "30 seconds from Gaza".

Non avvicinatevi a quest’opera a cuore leggero, ma fatelo con la consapevolezza che non è possibile chiudere gli occhi davanti all’orrore che ci circonda. Con un’introduzione dello storico Ilan Pappé, questo volume raccoglie la trasposizione in disegni dallo stile cubista dichiaratamente ispirati al Guernica di Picasso delle immagini di dolore, morte e distruzione che sono state pubblicate online dai cittadini di Gaza dal 7 ottobre 2023 in poi.

Dal momento che il controllo sulle immagini online dipende dall’azione delle aziende che controllano i social network, una gran parte di queste immagini e video da cui essi sono tratte erano già state rimosse al momento in cui l’autore si è messo all’opera. Proprio per preservarne la memoria e per ricordarci che nessuno può ritenersi assolto dall’aver chiuso gli occhi davanti al genocidio che si svolgeva e tuttora si svolge in mondovisione, allo sterminio che avviene attraverso le bombe, la mancanza di cure mediche, la distruzione degli ospedali stessi e la fame, Sabaaneh lascia una traccia indelebile in questo testo, perché nessuno possa dichiarare di non aver visto, di non aver saputo, di essere stato legittimato alla negazione o alla dimenticanza.

Nonostante raggiunga a stento le cento pagine, si tratta di un’opera che ho dovuto più volte interrompere per la sofferenza che contiene ad ogni tavola, per l’intollerabilità di tanto orrore, per la perdita dell’innocenza e della vita di migliaia di bambini. Nonostante mi sia costantemente informata su quanto Sabaaneh ricostruisce in quest’opera ,l’arte in cui ha trasformato l’orrore è riuscita a colpirmi quanto le immagini e i video originali, e il fatto che fossero cristallizzati sulla pagina con un inchiostro di china -impossibile da cancellare come il sangue che scorre- lo ha reso una lettura davvero difficile da portare a termine, e allo stesso tempo necessaria.

Chiudo quest’opera con la consapevolezza che non esiste una persona che possa sentirsi autorizzata a sottrarsi a questa lettura nei nostri paesi di pace, ormai anestetizzati davanti al genocidio mostrato online e in televisione. Non posso che dirvi leggetelo, diffondetelo e non lasciate che sia dimenticato.

Qual è l'ultimo testo palestinese che avete letto?

sabato 23 agosto 2025

In un chiaro gelido mattino

Prima lettura della mia settimana di vacanza, "In un chiaro gelido mattino di gennaio all’inizio del ventunesimo secolo" dell’autore tedesco Roland Schimmelpfennig, pubblicato in Italia da Fazi editore, è soprattutto un mosaico di storie. 

Lo avevo acquistato anni fa proprio per la sua ambientazione, e sono riuscita a godermelo percorrendo le vie che descrive tra le pagine e vivendo in particolare la coincidenza di leggere un paragrafo ambientato al Mauerpark di Berlino proprio mentre mi trovavo lì: questo ha sicuramente contribuito ad aumentare il mio gradimento verso questa lettura, che ci tengo però a specificare mi sarebbe piaciuta comunque!

È un romanzo corale, dove la maggior parte dei personaggi viene nominata in base al proprio genere o alla propria età -la ragazza, il ragazzo, la donna, il padre del ragazzo e così via. soltanto Thomas e Agnieszka hanno dei nomi, due giovani di origine polacca che si trovano a Berlino per lavorare e che vivono un momento di crisi quando lei ha una breve avventura con un altro uomo e lui è imprigionato nella propria incomunicabilità, senza saperle dire quanto tiene a lei.

Oltre a loro ci sono due ragazzi ancora più giovani che scappano di casa, dopo che la madre alcolista di lei le ha messo le mani addosso, e i rispettivi genitori che dalla loro cittadina convergono a cercarli proprio a Berlino, dove sono stati avvistati a bordo di un treno merci.

È una Berlino coperta di neve quella che descrive l’autore, di edifici abbandonati pronti per essere demoliti, di cantieri della metropolitana dove le persone bevono troppo e vivono in una solitudine profonda. Solo come loro c’è il lupo, che accomuna tutte queste storie tra chi lo avvistato e chi vorrebbe tanto farlo, una figura isolata che vive ai margini, a cui si dà la caccia senza sapere da dove cominciare; un animale selvatico, fuoriuscito dal branco, che si avvicina alla città, forse smarrito, e simboleggia con la sua natura quella dei protagonisti umani di questo libro.

Se avete bisogno di uno svolgimento, una trama e una conclusione, questa non è la lettura che mi sento di consigliarvi, perché è narrata per quadri molto brevi che passano da un punto di vista all’altro: a volte si intersecano, molte altre si separano, e il lettore soprattutto segue queste vite randagie, queste solitudini che a volte si sfiorano e che sanno essere molto evocative se vi lasciate trascinare dal ritmo di questa storia. Per me però è stata davvero un’ottima lettura, originale e coinvolgente!

Qual è un romanzo tedesco che avete scoperto di recente?

I tuoi figli ovunque dispersi

In meno di duecento pagine, Beata Umubyeyi Mairesse in "I tuoi figli ovunque dispersi", pubblicato da Edizioni E/O, ha scritto un gioiello.

Non c'è una parola di troppo in questo libro, che contiene una storia familiare intrecciata a quella del genocidio del Rwanda. I suoi protagonisti sono Blanche, la figlia, Immaculate, la madre, Stokely, il nipote; le loro tre voci si alternano, in una sorta di lettere mai spedite, dove Blanche scrive alla madre mentre lei si rivolge a Bosco, il figlio perduto, che ha combattuto con i ribelli per liberare il Paese ma non ha retto il peso degli orrori a cui è stato costretto ad assistere.

Sono passati anni dal genocidio, e Blanche che è stata mandata in Europa dalla madre (grazie alla cittadinanza francese ottenuta da un padre che non ha mai conosciuto) è diventata madre a sua volta. Con il compagno, francese anche lui ma di origini antillesi, riflette su cosa significhi per l'identità il colore della pelle, la padronanza linguistica, quale peso abbiano le radici di chi ci ha messo al mondo, quando sua madre non ha più parole per comunicare, quando Bosco è mancato mentre Stokely veniva alla luce.

È un romanzo di un'intensità estrema, dove avrei voluto sottolineare ogni paragrafo, che ho disseminato di post-it; vi è una profonda ricerca linguistica, un ricco uso di metafore, immagini prese soprattutto dal mondo della flora e della fauna, ma al tempo stesso un'essenzialità che arriva al cuore delle storie, all'essenza delle relazioni, che rispecchia l'incomunicabilità tra i personaggi e al tempo stesso la profusione di ciò che vorrebbero sapersi dire a vicenda.

Sono dispersi questi figli del Rwanda, chi è sopravvissuto sottoterra come un insetto, chi è stato fagocitato dalla guerra di liberazione, chi è rimasto a distanza e ora non sa come ricucire i fili strappati di una famiglia andata in pezzi. 

L'autrice ci consegna una storia di resilienza, ispirata alla sua esperienza personale di rifugiata in Francia negli anni del genocidio, che ci lascia sgomenti davanti alla brutalità della guerra ed emozionati davanti al germe di speranza seminato tra queste pagine, che non sono fatte di sangue ma di maternità, di affetti, di ponti da ricostruire. È un romanzo prezioso, a cui non si smette di pensare una volta terminato, e non posso che consigliarvene caldamente la lettura.

Qual è l'ultima storia africana che avete letto?

La materia alternativa

Inserito nella longlist del Premio Strega 2023, "La materia alternativa" di Laura Marzi, pubblicato da Mondadori, è il romanzo d'esordio dell'autrice, nata ad Aosta e trasferitasi a Roma come la sua protagonista, e che come lei ha insegnato per anni materia alternativa all'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche. In questi giorni si ritorna sui banchi, e mi è sembrato il libro adatto per questo periodo!

L'argomento trattato in questo breve romanzo è di mio estremo interesse, perché intreccia l'ambiente educativo nel quale anch'io ho lavorato per anni agli argomenti dell'adolescenza e la sua rabbia connaturata e dell'immigrazione e il peso che portano con sé i ragazzi di prima o seconda generazione. 

In capitoli contrassegnati dalla classe e dalla sezione dove la professoressa insegna materia alternativa incontriamo i suoi studenti, con le loro fragilità, i loro conflitti, la loro percezione del sé e degli altri. L'insegnante sfodera lezione dopo lezione un argomento più controverso dell'altro, dal maschilismo insito nei video pornografici all'anatomia dei genitali maschili e femminili -di per sé entrambi temi validissimi, ma adatti ad essere trattati in maniera così sporadica in un'ora a settimana, senza essere inseriti in un contesto? Questo è il primo punto che mi ha messa in difficoltà nella lettura di questo libro, perché spesso queste trattazioni mi sono sembrate un po' forzate, intenzionate a rompere gli schemi in maniera addirittura esasperata. 

Nel complesso però i capitoli ambientati in classe non mi sono dispiaciuti, e li ho trovati ricchi di osservazioni realistiche e per nulla idealizzate sugli adolescenti di oggi, così arrabbiati e desiderosi di sfogare le emozioni che non sanno esprimere a parole, ma anche capaci di profondi legami e sostegno reciproco.

Quindi, cosa non ha funzionato? Per me, l'altra metà del romanzo, quella che si alterna ai momenti in classe e si concentra sulla professoressa, il cui precariato lavorativo, sentimentale e familiare sarebbe stato anche molto coinvolgente (vive in un monolocale seminterrato, le traduzioni non le bastano per mantenersi e così vi affianca l'insegnamento, la sorella ha da tempo immemore problemi di tossicodipendenza...) ma purtroppo sfocia in un incontro erotico dopo l'altro, in una figura maschile bidimensionale dopo l'altra, e mi ha annoiata moltissimo.

Consiglierei comunque la lettura di questo romanzo a chi è interessato al tema della scuola nel suo senso più ampio, all'inclusività necessaria, alle difficoltà di inserimento degli studenti più fragili, perché sono convinta che potrebbe trovarvi spunti di riflessione; nel complesso però devo dire che non ha soddisfatto appieno le mie aspettative.

Qual è l'ultimo romanzo d'esordio che avete letto?

domenica 17 agosto 2025

Cose che si portano in viaggio

Apprezzo, in linea generale, gli autori con il dono della sintesi: opere come quelle di McEwan o di Ernaux, dove non c'è mai una parola di troppo, sono tra quelle che preferisco. Tuttavia la lettura di "Cose che si portano in viaggio" di Aroa Moreno Duran, pubblicato da Guanda, mi ha lasciato la sensazione che qualche pagina in più non avrebbe fatto male a questo libro.

In poco più di 150 pagine infatti l'autrice ripercorre la vita di Katia dall'infanzia all'età adulta, a partire  dall'emigrazione in Germania dei genitori, esuli spagnoli comunisti sfuggiti alla dittatura franchista e trasferitisi a Berlino est poco prima che il muro tagliasse in due la città. Katia cresce nella DDR, finché da studentessa universitaria incontra Johannes, che la aiuterà a fuggire all'ovest e diventerà suo marito.

I capitoli di questo romanzo sono brevissimi, e tra l'uno e l'altro trascorrono quasi sempre diversi anni; ci sono così molti vuoti in questa narrazione, molti particolari assenti, a partire dall'ingresso di Johannes nella vita di Katia che la stravolgerà per sempre senza che apparentemente ci siano premesse sufficienti per un cambiamento tanto irreparabile. Anche il racconto del matrimonio, apatico e insoddisfacente mentre Katia solo una volta ha contatti con la sua famiglia all'est, è frettoloso, asettico. D'un tratto siamo all'epilogo di questa storia in cui il muro di Berlino è sorto, e poi è stato abbattuto; d'un tratto Katia può attraversare quella che non è più una frontiera, e trovarsi in mano una valigia in cui scoprire il collaborazionismo del padre, il suo arresto, lo spionaggio incessante della STASI. 

A partire da un argomento di mio immenso interesse, purtroppo ho tratto una certa insoddisfazione da questa lettura, che ha qualche momento coinvolgente ma per il resto del tempo è così rapida, così pronta a passare da una decade all'altra del Novecento che non si ha modo di sentirsi coinvolti. Per una volta, avrei davvero voluto avere un più corposo numero di pagine, perché la scrittura dell'autrice è efficace e diretta ma in un volume così sottile non ha avuto modo di costruire una storia che alla fine risultasse approfondita. 

Qual è l'ultima lettura che non ha fatto al caso vostro?

giovedì 7 agosto 2025

Latte di tigre

Nella mia libreria i titoli entrano e si accumulano, in attesa. A volte non c’è una vera ragione per cui rimangono lì ad aspettare; altre volte invece è dovuta al loro contenuto o alla loro ambientazione, legata a luoghi o eventi particolari in occasione dei quali mi riservo di dedicarmici.

È proprio il caso di "Latte di tigre" di Stephanie de Velasco, pubblicato da Bompiani, che avevo comprato da anni, ma che non avevo mai trovato il coraggio di aprire mentre mi prendevo una pausa da una città che ho molto amato e che contiene tra i miei ricordi più felici di sempre. Il momento è arrivato quest’estate e così anche tra queste pagine ho fatto ritorno a Berlino.

Le protagoniste di questa storia sono Nini e Jamila, due quattordicenni amiche sin dall’infanzia; la prima è tedesca mentre la seconda viene dall’Iraq, e sulla vita sua e della madre incombe costantemente la minaccia del rimpatrio forzato -colpevole quella madre di essere tornata un’unica volta in patria per il funerale della sua genitrice.

Jamila e Nini sono inseparabili e vivono le proprie giornate in un contesto fatto di trasgressioni delle quali neanche loro conoscono l’origine: calze a rete e uomini abbordati sul Kurfurstendamm come fossero giovanissime prostitute, ma anche i loro amici di una vita dalle disparate origini nazionali, le cui famiglie vivono legate ad usanze e regole che finiscono per sfociare addirittura nel delitto d’onore.

"Latte di tigre" è l’istantanea di un’estate in cui si consumano alcolici nei barattoli dello yogurt, in cui si mente per proteggere gli amici pensando di fare il meglio per loro, in cui su Berlino spesso piove e dove crescere è un’avventura capace di fare molto male.

È un romanzo poco conosciuto in Italia quello di Velasco: si tratta di un esordio che è stato piuttosto apprezzato in patria e che si legge d’un fiato, tornando ai ricordi di quando si avevano quattordici anni -in un contesto probabilmente più conservatore, ma con la stessa intensità dei legami che solo a quell’età si formano e che ci rendono una volta adulti le persone che siamo.

È stato per me un bel viaggio, molto intenso, anche se soltanto la prima tappa di questo percorso da compiere attraverso i libri e per una volta anche di persona.

Dov’è ambientato l’ultimo romanzo che avete letto?

Il cuore della foresta

Il mio secondo incontro con Amity Gaige è stato "Il cuore della foresta", sempre pubblicato da NN editore. Avevo letto per primo "La sposa del mare", un testo che avevo trovato sorprendente in quanto molto più ricco rispetto alle premesse date dalla trama.

La natura rimane un tema centrale anche in questo nuovo libro: se nel precedente era il mare, qui abbiamo il bosco e precisamente le foreste che circondano il sentiero degli Appalachi, che la protagonista Valerie sta percorrendo dall’inizio alla fine, quando purtroppo si perde.

Seguiamo dunque per giorni e giorni le ricerche e lo facciamo attraverso molteplici punti di vista: innanzitutto quello di Valerie, che scrive lettere alla madre sul suo diario e che ci aiuta a ricostruire quanto è capitato nel folto del bosco. Poi il tenente Beverly, a cui manca poco alla pensione, che sta mettendo anima e corpo in quelle ricerche, come se ne andasse della sua stessa vita. Il terzo punto di vista è quello di Lena, una donna di origine polacca che vive in una residenza per anziani, trascorre molto tempo su Internet [si accorgerà di essere stata in contatto proprio con il giovane squilibrato che ha causato lo smarrimento di Valerie nei boschi, e sarà determinante per ritrovare la donna ancora viva] e riflette sul rapporto perduto con la propria figlia Cristina.

Il romanzo è inoltre arricchito da inserimento delle trascrizioni delle telefonate che ruotano attorno alla ricerca di Valerie, che ha estrema necessità di testimonianze di coloro che per ultimi l’hanno avvistata nel bosco, il che lo rende più realistico e coinvolgente.

Come nel precedente romanzo dell’autrice che avevo letto, anche qui ho trovato un testo capace di trasmettere moltissime emozioni, e di riflettere profondamente sulla condizione di isolamento e di solitudine che non è solo quella di Valerie perduta nella natura, ma anche quella di Lena lontana dai suoi familiari e quella di Beverly, completamente assorbita dalla sua professione che non le lascia il tempo per se stessa.

Ispirato ad un fatto realmente accaduto e purtroppo dal tragico epilogo, il testo di Amity Gaige tiene il lettore incollato alle pagine, avido di sapere come questa storia andrà a finire: se i percorsi delle tre donne che impariamo a conoscere si congiungeranno in un lieto fine oppure se per qualcuna di loro la conclusione non potrà essere così rosea. In diversi passaggi mi sono emozionata; alcune frasi hanno colpito davvero nel segno e ancora una volta mi trovo a consigliarvi un titolo del catalogo di NN, che sta diventando inutile dirlo una delle mie case editrici preferite.

Avete già letto un romanzo di questa scrittrice americana?