Simona Vinci è la mia autrice preferita, qualifica che le ho attribuito una decina di anni fa senza mai revocarla, nonostante le sue pubblicazioni non siano frequenti e nel corso degli anni le mie letture siano aumentate considerevolmente di numero: nessuna scrittrice come lei ha scritto pagine che mi abbiano fatto sentire così compresa nel modo di provare sentimenti, nella tipologia di sentimenti provati (l'amore di Stanza 411 è così simile al mio modo di viverlo che all'epoca seppe sconvolgermi). Non potevo dunque perdermi il suo ultimo romanzo per nessuna ragione.
Autrice: Simona Vinci
Anno della prima edizione: 2016
Casa editrice: Einaudi
Pagine: 397
Grecia, 1992. Angela è una volontaria che si reca insieme alla cugina su un'isola greca, Leros, dove da decenni si trova una struttura per malati mentali, nella quale i pazienti sono a dir poco maltrattati ed abbandonati a se stessi, in attesa soltanto che la loro vita abbia fine. Gli abitanti dell'isola non se ne curano affatto, l'unico loro pensiero è non perdere quel lavoro sicuro per quanto disumano, mentre i volontari come Angela che vi si recano per un periodo soltanto ne rimangono sconcertati.
Le vite abbrutite nel manicomio di Leros si sono intrecciate, alla fine degli anni '60, con quelle dei confinati politici, di coloro che per il regime della Dittatura dei Colonnelli erano scomodi, e su quell'isola erano sottoposti a torture e costretti all'isolamento senza alcuna possibilità di fuga. Le piccole storie dei malati mentali incrociano la Storia della nazione, e degli uomini che hanno cercato di cambiarla. Tra loro c'è Stefanos, un poeta comunista (ispirato al poeta realmente esistito Ghiannis Ritsos), che scrive su ogni brandello di carta che riesce a trovare; Teresa, una delle ragazze del manicomio, impara a memoria le sue poesie finché le violenze e i soprusi non prendono il sopravvento, facendo riaffiorare i traumi del suo passato. Anche il piccolo Nikolaos, che tutti credono muto e chiamano Temistokles, fa amicizia nel suo bizzarro modo con il poeta, e ne nasconde le parole dove i soldati e i guardiani non possano distruggerle.
Questo romanzo non racconta soltanto le vite prive di futuro e speranza che albergano nella struttura psichiatrica che alla fine degli anni '80 fece tanto scalpore (qui un'intervista a Iannis Lukas, il medico che vi lavorava).
In parallelo alla ricostruzione di quelle vite, Simona Vinci racconta di Budrio, il suo paese natale nella provincia bolognese, dove già da prima della legge Basaglia i "mattucchini" si mescolavano lungo le strade al resto degli abitanti, in una convivenza alla quale tutti erano abituati. A Budrio Simona Vinci è nata e cresciuta, ha affrontato i disturbi mentali della madre per poi rendersi conto dei propri, una volta adulta: si mette a nudo in un coraggioso capitolo estremamente personale, e da Budrio riparte per raccontarci un viaggio in Sierra Leone, i suoi abitanti nell'unico ospedale psichiatrico del paese incatenati ai letti, traumatizzati dalla guerra civile, abbandonati a se stessi.
Il romanzo si conclude sulle coste di Leros dove aveva avuto inizio: nell'ospedale, delle centinaia di persone ne sono rimaste poche decine, ma ora nuovi individui vi sono accolti (se di accoglienza davvero si può parlare) dopo uno sbarco dalla Siria o da altre zone di conflitto o povertà, alla ricerca di una vita migliore che a Leros probabilmente non riusciranno a costruirsi e spereranno allora, come i confinati di un tempo, di potersene andare ad inseguire il futuro tanto sognato.
Una fotografia di Giuliana Rogano scattata nell'ex ospedale psichiatrico di Leros |
Quella di Simona Vinci è un'opera insolita ed interessante, vincitrice del Premio Campiello 2016. Si tratta di un romanzo complesso, composto da capitoli che sembrano libri a loro volta, tanto sono differenti le storie che ci raccontano. Il filo conduttore è quello della mente umana e dei suoi tanti angoli d'ombra, ed il modo in cui la società decide di emarginare, rinchiudere, addirittura torturare coloro che non corrispondono al modello dominante, quegli abitanti scomodi, difficili da gestire.
Come ho già detto, Simona Vinci è l'autrice che preferisco da giorni lontani, quando mi capitò per le mani la sua raccolta di racconti "In tutti i sensi come l'amore" e mi colpì in profondità, pur essendo io tutt'altro che amante dei racconti brevi. Da allora ho letto tutti i suoi romanzi che sono stati pubblicati, eccezion fatta per "Scheletrina - Cicciabomba" che risale al 2012 ed ho intenzione di recuperare quando mi sarà possibile procurarmelo, magari con un prestito interbibliotecario.
Fermo restando che ne adoro lo stile, che il suo modo di descrivere sentimenti e personaggi è così vicino alla mia sensibilità che ogni volta ne rimango sbalordita, questo non è il romanzo che ho amato di più tra i suoi.
Suddividerei il mio giudizio in due parti: quella relativa ai primi capitoli, ambientati a Leros, dove incontriamo Nikolaos, Stefanos, Teresa e Basil, dove Angela incontra Lina e sfoglia gli incartamenti incompleti che riguardano quei bambini, quegli uomini e quelle donne ridotti a fantasmi che si aggirano per corridoi e cortili. Questa parte del romanzo mi ha appassionata, commossa, coinvolta; lo avrebbe reso facilmente uno dei libri più apprezzati fino ad ora nel 2017.
Nella seconda parte, da Budrio alla Sierra Leone, ho ammirato il coraggio di elaborare la propria infanzia, i disturbi della madre ed i propri, da bolognese quale sono ho anche rivissuto l'ambientazione di provincia, i bizzarri personaggi che popolano i paesi dei dintorni. Il viaggio in Sierra Leone invece, per quanto sia caratterizzato dal tema centrale dell'intero libro, non sono riuscita ad apprezzarlo del tutto: non l'ho trovato contestualizzato come avrei preferito, mi è parso un di più non necessario al resto dell'opera e non è riuscito ad appassionarmi, rovinandomi un po' l'impressione complessiva sulla lettura.
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