giovedì 4 agosto 2022

Sul lato selvaggio

Dopo "L’estate che sciolse ogni cosa" e "Il caos da cui veniamo" credevo che sarebbe stato difficile incontrare un romanzo migliore dei precedenti nella terza opera dell’autrice americana contemporanea Tiffany McDaniel, pubblicata in Italia da edizioni Atlantide: e invece "Sul lato selvaggio" ha superato entrambe le opere precedenti! 


Titolo: Sul lato selvaggio
Autrice: Tiffany McDaniel
Anno della prima edizione: 2020
Titolo originale: On the Savage Side
Casa editrice: Atlantide
Traduttore: Luca Briasco
Pagine: 384


Siamo a Chillicothe, in un Ohio torbido e dilaniato dalla droga dove la tossicodipendenza spezza le vite dei personaggi: abbiamo due sorelle gemelle, Arc e Daffy, che vivono insieme alla madre e alla zia, gravemente dipendenti, dopo la morte del padre (per overdose) e della nonna, che era l’unica in grado di occuparsi di loro. 

C’è incuria in queste pagine, trascuratezza, disattenzione; ci sono bambine che subiscono abusi indicibili senza ricevere affetto né protezione. È un libro durissimo, che vede le protagoniste diventare dipendenti a loro volta e sin dalle primissime pagine sappiamo che nessuna di loro è sopravvissuta ad una così grama esistenza, nonostante il tentativo di riportarsi, con le storie, sul lato buono: sono rimaste lì, in trappola, sul lato selvaggio.

Il dolore è un elemento a cui l’autrice ci ha ormai abituati. La sofferenza tra le sue pagine è sempre tantissima e con i suoi personaggi stiamo male, mentre siamo certi che non ci sia alcun lieto fine dietro l’angolo. 

Qui però l’autrice si supera ed intreccia la storia di formazione o per meglio dire di disgregazione alla storia di giovani prostitute trovate senza vita (traendo ispirazione da un caso di cronaca), che appassiona come se ci si trovasse davanti ad un thriller. Ho apprezzato molto questo elemento di novità, che accompagna così bene la scrittura sempre poetica e tagliente, che ho imparato ad amare sin dal romanzo d’esordio. 

"I ragazzi dello zoo di Berlino" ha segnato intere generazioni di lettori: certo è una testimonianza di vita vera, questo invece è un romanzo, tuttavia  è altrettanto potente nel trasmettere quanto l’eroina possa ammaliare e distruggere e se siete interessati all’argomento fa senz’altro al caso vostro.

Questo libro, fatto di gatti randagi, di vite spezzate, dell’immaginazione che ribalta le carte in tavola con un colpo di scena finale che non mi sarei mai aspettata [Daffy in realtà ha perso la vita sin da bambina a causa dell’influenza ed è la sorella ad aver portato avanti la fantasia della gemella per non dover riconoscere né con se stessa né con gli altri che fosse morta, anche perché la madre non ne fosse incolpata e dovesse pagare per questo] è un romanzo in cui la narratrice è profondamente inaffidabile e una volta chiuso ci rimaniamo a domandare se davvero abbiamo capito tutto, se davvero non ci è sfuggito un particolare attraverso l’interpretazione dello sguardo di Arc, che vede ovunque ragni, sangue che cola, presagi di morte e sventura mentre cerca la prossima dose. 

È un romanzo di visioni, di disegni tracciati sul pavimento, di giocattoli tenuti nascosti e ottenuti in cambio di troppo dolore. Non è un romanzo per cuori deboli (ma ormai come aspettarselo da parte dell’autrice!) ma è un romanzo magnifico, che trasuda verità in mezzo alle invenzioni, che sa diventare una di quelle storie che ci rimangono addosso come i tatuaggi dei gigli sulla pelle di Arc e ci accompagnano anche una volta portato a termine.

Inutile dirvi che l’ho amato moltissimo e che non posso evitare di consigliarvelo, se vi sentite pronti ad una simile lettura: credo che per me sia diventato ufficialmente il preferito dell’autrice. 

Avete mai letto qualcosa di suo?

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