venerdì 5 aprile 2024

Cani neri

Dalla lettura di “Cani neri”, sempre pubblicato da Einaudi, esco ancor più convinta della fondatezza del mio proposito di lettura (o rilettura) delle opere di Ian McEwan in ordine cronologico di pubblicazione: ne si colgono così al meglio l’evoluzione e i punti comuni.

“Cani neri” è un romanzo diviso in quattro parti: in quella introduttiva conosciamo Jeremy, rimasto orfano da bambino (in un rovesciamento della situazione di perdita che avevamo incontrato in “Bambini nel tempo”), che si è profondamente legato da adulti ai genitori della moglie, June e Bernard, e decide di scriverne.

Abbiamo dunque June, in punto di morte nel 1987, e poi Bernard, con il quale Jeremy assiste al crollo del muro di Berlino nel 1989 -riportandoci all’ambientazione di “Lettera a Berlino”, dove il muro era ancora in piedi.

Infine torniamo al 1946, alla giovane coppia di sposi che erano June e Bernard, all’incontro della donna con quei cani neri nella campagna francese, che la segneranno per sempre facendosi percepire da lei come l’incarnazione del male -episodio realmente accaduto all’autore e a un amico, ed elemento da cui l’intero romanzo scaturisce.

Pubblicato nel 1992, “Cani neri” è il più metaforico tra i primi romanzi dell’autore, che racconta il male nella storia d’Europa (la seconda guerra mondiale, l’Olocausto, la guerra fredda e ciò che ne seguirà nell’ex unione sovietica) ma anche l’incomunicabilità di due coniugi innamorati, ma incapaci di far coesistere le proprie visioni del mondo -in qualche modo questo elemento tornerà poi in “Chesil Beach”.

Non lo consiglierei come romanzo per approcciarsi a McEwan perché non è il più diretto, il più immediato e accessibile, anzi sento di averlo apprezzato anche grazie all’inserimento nella cornice della sua intera produzione. Tuttavia la ritengo come sempre una lettura originale e scritta in modo impeccabile, un’ennesima conferma di quanto non mi stanchi l’approfondimento di questo autore.

Qual è il vostro McEwan preferito?

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